A SCUOLA DI SFRUTTAMENTO DIGITALE

Riceviamo e diffondiamo questa testimonianza.

Memorie di un’operaia dell’educazione

Quando chiusi definitivamente come educatrice all’interno degli istituti residenziali – un’altra storia dell’orrore che richiederebbe pagine – rivolsi la mia attenzione al mondo della scuola.

Già da qualche anno portavo avanti una personale ricerca sui media digitali, per comprendere come le tecnologie dell’informazione e della comunicazione, sempre più invasive e capillari, stessero condizionando i processi di sviluppo, crescita, relazione e interazione, per considerarne quindi usi e opportunità ma anche e soprattutto effetti sulla salute e criticità.

Mi trovai a partecipare ad un progetto all’interno di una scuola in cui ebbi modo di constatare quanto iniziando a parlare di web, media e social network con le studenti e gli studenti, si arrivasse infine a parlare di vissuti, tutti quei vissuti che evidentemente non trovano spazio oltre le grandi platee digitali.

Il legittimo bisogno di condivisione e di espressione di sé venne messo in relazione ai pericoli legati alle piattaforme commerciali online iper-gamificate (1). Si ebbe modo di inquadrare criticamente la rete, l’uso dei media e tante altre cose (2, 2.1). Fu un’esperienza breve ma intensa, da replicare e moltiplicare, che raccolse molto interesse da parte di studenti e insegnanti. Mi convinsi che era qualcosa su cui poteva avere senso investire energie.

Come educatrice, venendo da altri percorsi, avevo bisogno di avere ‘crediti’ affinché le mie ‘competenze digitali’ fossero anche ‘dimostrabili’ sul mercato del lavoro, per cui cercai possibili percorsi ‘professionalizzanti’.

Mi trovai ad avere l’imbarazzo della scelta, il mercato delle formazioni online infatti si è allargato in modo esponenziale. Scelsi un corso ‘professionalizzante’ da consumare comodamente e inutilmente da casa mia, curato da un’ente accreditato che da anni si occupa di pedagogia, per diventare: “un’educatrice esperta in didattica col digitale” al prezzo di qualche centinaia di euro. Questo genere di mercato delle formazioni da’ accesso a crediti per i concorsi a scuola e/o per l’educazione continua in medicina.

“L’ECM è il processo attraverso il quale il professionista della salute si mantiene aggiornato per rispondere ai bisogni dei pazienti, alle esigenze del Servizio sanitario e al proprio sviluppo professionale. La formazione continua in medicina comprende l’acquisizione di nuove conoscenze, abilità e attitudini utili a una pratica competente ed esperta. I professionisti sanitari hanno l’obbligo deontologico di mettere in pratica le nuove conoscenze e competenze per offrire una assistenza qualitativamente utile. Prendersi, quindi, cura dei propri pazienti con competenze aggiornate, senza conflitti di interesse, in modo da poter essere un buon professionista della sanità.” (3)

Qui c’è da fare una premessa, la mia laurea educativa mi colloca tra i professionisti sanitari.

L’Educatore Professionale socio-sanitario si forma nelle Facoltà di Medicina o in corsi interfacoltà con una Laurea LSNT/02 abilitandosi nel settore delle professioni sanitarie, quindi ambiti che fanno capo alle Ausl (Aziende/unità sanitarie locali).

L’Educatore Professionale socio-pedagogico invece si forma nelle Facoltà di Scienze dell’Educazione e della Formazione con una Laurea L19 per operare in vari tipi di progetti e servizi ‘socio-educativi’, ambiti che in linea di massima fanno capo alle Asp (Aziende pubbliche di servizi alla persona).

Questo processo, sottovalutato pressoché da tuttx, ha decretato in molti ambiti la definitiva separazione, frammentazione, medicalizzazione e tecnicizzazione del lavoro educativo, per una “presa in carico” prima di tutto “sanitaria” dell’ ‘utente’, ‘tossicodipendente’, ‘psichiatrico’, ‘disabile’. Come se dipendenza, disagio, sofferenza e abilismo non siano questioni fondamentalmente sociali.

Il nostro educatore ‘sanitario’ si è trovato iscritto niente di meno che all’Albo dei Radiologi, divenuto ora “Federazione nazionale degli Ordini dei Tecnici sanitari di radiologia medica, delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione” (FNO TSRM PSTRP), in rappresentanza di 19 professioni sanitarie iscritte. Guardare per credere. (4)

La Legge Lorenzin (marzo 2018) ha individuato e regolamentato i nuovi ordini professionali e ha imposto agli educatori con titolo sanitario l’obbligo di iscrizione all’albo pena l’esercizio abusivo della professione, escludendo al contempo dall’élite dei “super qualificati” un esercito di lavoratori già in essere. A completare il quadro infatti la ex Legge Iori, inserita in Legge di Bilancio nel 2017, che ha scaricato sui lavoratori inquadrati come “educatore senza titolo” con meno di 50 anni o meno di 20 anni di anzianità, la gabella di doversi pagare un corso da 60 cfu da conseguire presso le università alla modica cifra di 1800 €.

L’epilogo di una deriva fortemente promossa da autoproclamate “associazioni di categoria” che hanno reso il lavoro educativo una professione definitivamente medicalizzata, soggetta a controllo, disciplina e sanzioni, destinata ad alimentare un sistema economico privatistico chiamato “ordine professionale” con il pagamento di quella che di fatto è una tassa sul lavoro.

Associazioni che si riempiono la bocca di paroloni, pubblicazioni, formazioni, studi, accreditamento, core competences, qualità, carta, dove le persone sono all’ultimo posto,  per lo più oggetto di giochi economici, politici e semantici, e le operaie e gli operai dell’educazione, del sanitario e del socio sanitario sono ridottx a pedine usa e getta in contesti al ribasso, o a lavorare come utensili all’interno di grandi realtà spersonalizzanti, sovraccaricati di mansioni e responsabilità ma senza un reale margine di autonomia e libertà operativa.

Gli educatori, gli insegnanti,  i lavoratori del sociale, del sanitario e del socio-sanitario sono diventati i principali lacchè del marketing aziendale  – lacchè: domestico o valletto in livrea che nei secoli passati precedeva o seguiva per strada il padrone o la padrona – la maggior parte della carta, della ‘progettazione’ e della rendicontazione prodotta dagli operatori sul lavoro serve infatti unicamente alle aziende per vendersi e ottimizzare i profitti sulla pelle di ‘utentx’ e lavortorx.
Si inizia a lavorare, si inizia ad imparare a raccontarsela. Che brutta fine questo ‘educatore’, che pure sembrava muovere da istanze che lo collocavano oltre i saperi unicamente tecnico-oggettivanti. E che sciocca io a credere che a scuola potesse essere ancora diverso…

Il Piano Nazionale Scuola Digitale (PNSD) è il documento di indirizzo del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca “per il lancio di una strategia complessiva di innovazione della scuola italiana e per un nuovo posizionamento del suo sistema educativo nell’era digitale.”

Obiettivo del PNSD, di valenza pluriennale, è quello di “indirizzare l’attività di tutta l’Amministrazione, e fungere da “catalizzatore” per l’impiego di più fonti di risorse a favore dell’innovazione digitale, a partire dalle risorse dei Fondi Strutturali Europei e dai fondi de La Buona Scuola.”

Non posso ripercorrere qui tutto il percorso formativo, ma posso di getto riportare le cose che mi hanno decisamente allarmata e poi tirare giù due pensieri sulle implicazioni che vi ho scorto, che scostano di molto da quei progetti/percorsi critici che immaginavo di portare a scuola. E’ stato subito evidente quanto l’intento principale di questi corsi sia addestrare insegnanti ed educatori, e con loro  studentx e famiglie, all’utilizzo acritico e passivo di ciò che viene imposto e calato dall’alto come grande innovazione.

La prima cosa a precipitarmi nel panico è stato vedere proposto con entusiasmo il sito Educazione Digitale alle insegnanti e agli insegnanti in formazione, una piattaforma digitale di “percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento” riconosciuta dal ministero dell’istruzione (5). Si tratta di alternanza scuola-lavoro, pillole di capitalismo multimediale di cui gli insegnanti diventano i nuovi infermieri somministratori. La carrellata degli sponsor è agghiacciante. Si parla di ambiente, cittadinanza, salute ed ecosostenibilità con Coca-Cola, Novartis, Federchimica e Confindustria, BPER, Leonardo, Enel, EnelX, Leroy Merlen, Melinda… ma l’elenco è lungo.

Agghiacciante allo stesso modo l’app ClassDojo (6) proposta come grande innovazione didattica, una piattaforma commerciale per “il miglioramento dei comportamenti e la gestione del gruppo classe” dove gli insegnanti possono segnalare i comportamenti negativi degli alunni e premiare quelli positivi informando in tempo reale anche le famiglie grazie ad un codice che permette di entrare sul sito e monitorare la situazione.

“Utilizzando questo sistema, dopo aver condiviso con gli studenti le regole e le finalità educative, si genera una classifica a punti che mostra i progressi degli alunni, rappresentati sullo schermo da simpatici avatar. Con un semplice gesto l’insegnante può segnalare un intervento positivo, un compito eseguito in maniera corretta, oppure un comportamento scorretto, un momento di distrazione, ecc. In questo modo, sotto forma di gioco, si effettua un monitoraggio continuo e costante dell’andamento di ogni singolo alunno e della classe intera.
 L’insegnante può inserire la lista dei comportamenti da premiare o comunque degli items da valutare e può scegliere se visualizzare o meno i punti negativi. Ad esempio si può scegliere in maniera del tutto autonoma di ritenere positivo il fatto di parlare con un tono di voce adeguato o di aiutare i compagni in classe. Esiste anche la possibilità di visionare e condividere delle schermate di sintesi riguardo l’andamento in maniera periodica.”

Questa piattaforma tra i vari optional ha una funzione che rileva il livello del ‘rumore’ in classe.
 Non credo serva aggiungere altro per trarre le proprie conclusioni in merito questa bella applicazione fatta per contenere i ‘comportamenti problema’ in classe inchiodando bambine e bambini ad uno schermo.

Si viene istruiti inoltre su come integrare la didattica a scuola con l’uso dei dispositivi personali degli studenti, con tutto quello che ne può comportare. In tale azione si legge testualmente “La scuola digitale, in collaborazione con le famiglie e gli enti locali, deve aprirsi al cosiddetto BYOD (Bring Your Own Device), ossia a politiche per cui l’utilizzo di dispositivi elettronici personali durante le attività didattiche sia possibile ed efficientemente integrato”.

BYOD è l’acronimo di Bring Your Own Device, ovvero “porta il tuo strumento a scuola”. Una didattica che incentiva l’utilizzo di dispositivi personali degli studenti, integrati con gli strumenti di base che nel piano scuola ogni istituto già di per sé dovrebbe fornire ad a ogni classe.
Si viene inoltre addestrati al registro digitale, già acquisito da tempo, con tutti gli aspetti di controllo ad esso legati, oltre che all’utilizzo di cloud e piattaforme commerciali per la creazione di contenuti digitali e classi virtuali. Tutta la suite google ma anche molte altre applicazioni nate per favorire i processi aziendali, ed ora riadattate per allestire presentazioni interattive e video accattivanti per ‘apprendimenti ‘coinvolgenti’. Insegnanti ed educatori vengono sollecitati a predisporre materiali di studio ‘smart’, che le studenti e gli studenti possano consumare anche sul bus o durante gli spostamenti.

Nella parte di un altro modulo si parla di singolarità tecnologica dandone per scontato il processo. Si anticipa il sempre più prossimo superamento della soglia in cui lo sviluppo della civiltà vedrà il processo tecnologico accelerare oltre la capacità di comprendere e prevedere degli essere umani in termini assolutamente passivi. Viene dato per scontato il capitalismo dell’innovazione tecnologica e il progresso predatorio che lo produce. Viene citato Raymond Kurzweil (7) e il suo testo “Come creare una mente, i segreti del pensiero umano”, si ribadisce che non sappiamo realmente dove la tecnologia ci porterà con questa corsa alla ricerca di essere replica delle capacità del nostro cervello. Si ricorda come la conoscenza rispetto come si sviluppano i pensieri, quindi sul funzionamento del cervello umano, aumenta esponenzialmente, al pari degli investimenti in nanotecnologie, biotecnologie e neuroscienze. Si parla di investimenti privati ma anche pubblici, come i miliardi investiti dall’Unione Europea nello “Human Brain Project” (8), un progetto scientifico nel campo dell’informatica e delle neuroscienze che mira a realizzare, entro il 2023, attraverso un supercomputer, una simulazione del funzionamento completo del cervello umano.

Si dice apertamente quanto l’intelligenza artificiale sia la nuova corsa all’oro. Si parla di memorie estese nei cloud e microchip. Fantascienza che nel 2025/2030 potrebbe essere già disponibile sul mercato. Si afferma quanto oggi non sia possibile ‘preparare i ragazzi al futuro poiché il futuro non lo si può immaginare, si dice palesemente quanto a questo processo non ci si possa opporre ma solo adattarsi. Si parla di nuove generazioni sperdute come i loro genitori e si invita a diventare flessibili alla novità.

Tecnologie che si propongono sempre più come connettore mente-conoscenza per una nuova pedagogia basata sulle evidenze, si, ma capitaliste, che dietro ad una retorica dell’inclusività, della cooperazione e della costruzione interattiva del sapere, nascondono dinamiche piu simili alla manipolazione e alla persuasione usata all’interno di certe aziende per promuovere la compliance dei lavoratori con l’ausilio di sistemi gamificati. Un’educazione decisamente comportamentista, che vede gli alunni e i loro comportamenti come qualcosa da correggere e manipolare a proprio piacere e l’individuo come qualcosa di completamente autofondato, separato dal suo contesto relazionale e ambientale.

Si va verso il “brain-based learning” un insegnamento/ apprendimento sempre più affidato alle neuroscienze e alla psicologia cognitiva per una didattica basata sul risultato, che per essere efficace si avvale di conoscenze approfondite dei processi cerebrali e cognitivi che sottostanno all‟apprendimento.

La strumentalizzazione della didattica laboratoriale e delle teorie costruttiviste (9, 9.1) sta consolidando un modello capitalista sempre più decentralizzato e multidirezionale, e una nuova pedagogia persuasiva dove insegnanti e alunni sono sollecitati e attivamente ingaggiati nel vendere se stessi e nel curarsi di sè solo in quanto produttori e oggetti di consumo. L’incrocio tra gaming ed advertising diventa l’approccio migliore in termini di monetizzazione e profitto per le compagnie del mercato digitale: trovare modi per portare le persone a ripetere determinati comportamenti fino a che questi non diventino abitudinari, desiderabili e ricercati.

Chissà perché un intero modulo è stato dedicato alla progettazione e conduzione di campagne di crowdfunding?! Insegnanti imprenditori procacciatori di fondi e studenti apprendisti manager di se stessi inventori/imprenditori di startup?

Importante in questo senso anche il modulo sul coding e sul pensiero computazionale, discipline che stanno entrando prepotentemente a scuola, fortemente promosse e finanziate, insieme tutte le materie STEM (10), per rispondere alla domanda capitalista di forza lavoro in ambito scientifico, tecnologico, ingegneristico e matematico, testimoniando la progressiva e inesorabile penetrazione di interessi commerciali e speculativi a scuola.

Intanto sfruttamento, precarizzazione, atomizzazione e isolamento sono sempre più accettati come fatti naturali mentre passa assolutamente in secondo piano quanto l’esposizione a dispositivi, smartphone, piattaforme social commerciali, chat e schermi stia invadendo sempre più spazi e tempi di vita, alterando il sonno e la veglia e condizionando i processi affettivi e cognitivi – funzioni riflessive, attenzione, memoria – di moltx, indebolendo sempre più legami e relazioni, esasperando frustrazioni e producendo risentimento senza voce il più delle volte scaricato in basso, tra pari.

Mentre i corpi oppressi sono ridotti sempre più ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi sociali ed economici, e gli spazi di libertà si riducono, la rete si fa veicolo di nuove forme di dominio non solo inerenti al divario digitale e al capitalismo della sorveglianza ma anche e soprattutto relativamente a come questi dispositivi vengono implementati nella vita delle persone.

Le città – e con queste, le scuole – stanno diventando industrie di sfruttamento sempre più mediate da aziende private, interconnesse e digitalmente sorvegliate, disciplinate sempre più in senso autoritario e iper-razionale.

L’accelerazione in corso sta infatti consolidando forme sempre più specializzate di esclusione, potere e dominio: si punta sempre più sulla “sicurezza” per fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso.

L’obbiettivo è reprimere il conflitto con l’espulsione di tutte quelle persone  che con la loro presenza ed esistenza svelano i modelli dominanti spersonalizzanti in cui siamo inseritx.

La retorica del ‘decoro’ e del ‘degrado’, la gestione sempre più violenta e razionale dello spazio urbano, la pulizia di quanto imprevisto e non-normato, sta colpendo sempre più soggettività, anche l’infanzia è nel mirino: giovani e adolescenti diventano sempre più un problema di ordine pubblico da reprimere mentre rimangono intatti quei modelli che il sistema stesso riproduce ed esalta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli all’interno di realtà dove solo chi ha soldi e potere è preso in considerazione, e chi non accetta di essere un cavallino da corsa non è nessunx.

Una ‘sicurezza’ sempre più ‘preventiva’ volta ad asfaltare tutti gli spazi di fiducia, libertà, relazione, intersezione, prossimità, solidarietà dal basso.

Big Data e Intelligenza Artificiale sono le pietre angolari di queste trasformazioni.

L’interconnessione massiccia di banche dati permetterà sempre più di stabilire correlazioni, effettuare controlli incrociati, elaborare statistiche, rintracciare individui o amministrare luoghi, permettendo una sorta di ‘meteorologia delle masse’ rispetto abitudini, movimenti, consumi, costumi e comportamenti.

La scuola-azienda sta coadiuvando il Capitale nell’esasperare questo paradigma e questo processo, insistendo sull’ottimizzazione iper-razionale della prestazione in un contesto di alienazione esasperata, rabbia e affettività inespressa.

Neuroscienze e psichiatria sono pronte a raccogliere e i cortocircuiti di queste oppressioni e a colonizzare sempre più il quotidiano e l’individuo: la platea di ‘difetti’ e ’tare’ da curare e riparare è destinata ad aumentare proporzionalmente allo sfruttamento e all’oggettivazione che attraversano infanzia ed età adulta (11).

Non si tratta di assumere posizioni dogmatiche rispetto l’utilizzo o meno di media o tecnologie ma di evidenziare come le retoriche dell’innovazione tecnologica e l’agenda digitale a scuola siano su traiettorie che non hanno nulla a che vedere con i reali bisogni di studentx, famiglie, insegnanti ed operatori. 

Si va verso una “didattica del piccolo imprenditore di sè”, un modello che livella di fatto differenze culturali, economiche e sociali, fino a considerare il soggetto pura materia da manipolare.

 

Una ribaltamento semantico a sfondo organicista, comportamentista e interclassista, volto a dissimulare interessi antagonistici di classe e posizionamenti diversi all’interno dell’odierna società neoliberista.

Con la strumentalizzazione dell’educazione cooperativa ed inclusiva, della didattica laboratoriale e delle teorie costruttiviste il Capitale sta entrando sempre di più a scuola e a livello individuale ed estendendo il suo potere in un modo che non c’entra assolutamente nulla col ‘coinvolgere attivamente la persona nella costruzione del suo sapere’ e che sta sottraendo sempre più campo al rischio di qualsiasi relazione di fiducia, quindi di qualsiasi autonomia, sempre più affidata al dispositivo tecnico e alla sua discrezionalità binaria e iper-razionale al servizio di chi ne detiene il potere.

Il “media” in questo senso smette di “mediare” diventando vincolante per l’identità e determinante per la relazione. Una nuova tecno-ontologia come fondamento di ogni esperienza. Se la scuola e le città si fanno laboratorio, tocca capire chi è la cavia.

 


NOTE

1) Léo Favier, regia (2019)
https://www.arte.tv/it/videos/RC-017841/dopamina/

2) Ippolita (2012) “Nell’acquario di Facebook“ https://brughiere.noblogs.org/biblioteca/#TECNOLOGIEDELDOMINIO

– Ippolita (2019)  “Etica hacker e anarco-capitalismo. Scritti scelti”

– Agnese Trocchi (2019), “Internet, Mon Amour. Cronache prima del crollo di ieri“
https://brughiere.noblogs.org/biblioteca/#INTERNETMONAMOUR

3) https://ape.agenas.it/ecm/ecm.aspx

4) http://www.tsrm.org/

5) https://www.educazionedigitale.it/

6) https://www.classdojo.com/

7) https://it.wikipedia.org/wiki/Raymond_Kurzweil

8) https://it.wikipedia.org/wiki/Human_Brain_Project

9) https://it.wikipedia.org/wiki/Costruzionismo_(teoria_dell’apprendimento)

https://it.wikipedia.org/wiki/Seymour_Papert

10) https://it.wikipedia.org/wiki/STEM

11) STRAPPI. Riflessioni antipsichiatriche
https://brughiere.noblogs.org/post/2022/03/21/strappi-riflessioni-antipsichiatriche/

MILANO: PRESENTAZIONE “OMBRE DIGITALI SUL LAVORO SOCIALE”

OMBRE DIGITALI SUL LAVORO SOCIALE,
SOCIOANALISI NARRATIVA SULLE DERIVE DEL TERZO SETTORE a cura di Renato Curcio.

Mercoledì 29 giugno, COX18, via Conchetta 18 Milano

Sensibili alle foglie, 2022

ASCOLTA LA REGISTRAZIONE

L’utilizzo di piattaforme digitali per la gestione del lavoro in un settore cruciale come quello del sociale ha prodotto e sta producendo cambiamenti significativi sia per chi vi opera sia per chi ne usufruisce. Questo libro, frutto di un cantiere socioanalitico autogestito, mette in evidenza alcuni nodi decisivi per un ripensamento del Terzo settore e per aprire una discussione in merito. Le esperienze raccolte, la documentazione e le riflessioni analitiche qui proposte individuano numerose criticità. La voracità di dati e numeri, propria degli strumenti digitali di cui gli operatori sono ormai obbligati a servirsi, toglie spazio e valore alle relazioni interpersonali, caratteristica costitutiva del settore dei servizi alla persona, modificando perciò la natura stessa di questi ultimi. L’entrata in campo dell’intelligenza artificiale, con la sua arroganza organizzativa, esautora l’intelligenza relazionale e ancor più la sua linfa empatica sia nei processi di organizzazione del lavoro che nelle rendicontazioni dei loro risultati. Il “lavoro sociale a distanza”, ossimoro implementato durante il confinamento da pandemia, ha inoltre comportato per gli utenti e per gli operatori un’invasione dei propri spazi personali, vanificando talvolta l’erogazione stessa dei servizi. La formazione interamente orientata all’uso dei dispositivi tecnologici e la perdita di anonimato per gli utenti di alcuni servizi costituiscono il definitivo superamento del mito della cooperazione sociale.

Hanno partecipato attivamente al cantiere: Massimo Angelilli, Diego Baldini, Paolo Bellati, Susanna Bontempi, Francesco Mainieri, Sara Manzoli, Natalia Mendez, Luca Lusiardi, Lucia, Enrico Riboni, Lorena Rondena, Giulia Spada, Valentina Trabucchi

RENATO CURCIO, su questi temi e nell’ambito del suo lavoro di socioanalista, ha pubblicato in questa collana: La trappola etica, 2006; Respinti sulla strada, 2009; La rivolta del riso, 2014; L’egemonia digitale, 2016.

Niente da spartire

Di seguito diffondiamo un volantino distribuito ieri a Bologna:

NIENTE DA SPARTIRE

– Niente da spartire nè col machismo omofobo, transfobico, misogino e assassino di Putin, nè con la chiamata alle armi del buon padre di famiglia Draghi e dei suoi alleati Nato pronti a dividersi il mondo a costo di un bagno di sangue.

– Niente da spartire con le analisi geopolitiche, non è affar nostro scegliere sull’altare di quale stato e a quali interessi si può sacrificare la vita delle persone.

– Niente da spartire con i mercanti e produttori di armi, prestigioso comparto dell’export Made in Italy che fanno soldi a palate e non hanno cessato i loro sporchi traffici neanche un giorno in piena pandemia, attività essenziali, dicevano, mentre milioni di persone vivevano confinate nelle loro case senza deroghe a costo di sofferenze mentali e fisiche.

– Niente da spartire con l’economia della guerra su cui il capitalismo strutturalmente si regge.

– Niente da spartire con lo spettacolo della guerra. I media sciacalli vanno in cerca instancabilmente di immagini e storie tragiche da dare in pasto all’opinione pubblica al servizio della propaganda guerrafondaia dell’Occidente.

– Niente da spartire con il pietismo sulle badanti ucraine che fino a quando non sono diventate funzionali alla narrazione dei governati di casa nostra erano invisibili, democraticamente sfruttate e ricattatte col cappio al collo dei permessi di soggiorno.

– Niente da spartire con il razzismo dell’accoglienza per cui sulla linea del colore si decide chi far passare e chi far inseguire coi cani alle frontiere e far morire in mare.

– Niente da spartire con i signori del nucleare e della guerra (che sono gli stessi, fatalmente) quelli che di mestiere producono devastazione ambientale e morte.
Sono il problema e non la soluzione.

– Niente da spartire con chi ha fatto dei nostri territori una polveriera disseminando basi Nato massicciamente nel sud dell’italia e nelle isole,e reprimendo duramente chi vi si oppone. In queste periferie dell’impero, a Taranto, in Sardegna e in Sicilia le acciaierie e l’industria pesante avvelena e fa ammalare ad ogni respiro e uno dei motivi per cui non si può dismettere è la natura “strategica” della produzione per l’autarchia dell’industria bellica.

Sappiamo di vivere in un mondo che si regge sulle stragi in mare, al lavoro, nelle carceri, nelle case, nei campi di concentramento ai confini dell’Occidente in cui milioni di persone vengono usate come strumenti di pressione e merce di scambio, una guerra a bassa intensità in cui, come per la pandemia, il problema dei governanti è stabilire quante morti e quanta sofferenza è “tollerabile” dalla società civile come danno collaterale procurando di spostare il limite sempre un po’ più in là.
Sappiamo altresì che la rimozione collettiva di questa ferocia serve allo Stato per conservare saldamente il primato della violenza.

Guerra alla vostra guerra e Guerra alla vostra pace

Niente da spartire – pdf

Diventare urgenza contro lo stato d’emergenza

Avevamo provato a dirlo che il green pass non era una misura sanitaria e che il criterio del doppio binario tra “vaccinati” e “non vaccinati” si sarebbe rivelato non solo eticamente inaccettabile, ma assolutamente inefficace e controproducente in termini epidemiologici, di profilassi, prevenzione e salute pubblica.

Con l’approssimarsi dell’inverno il riacutizzarsi della situazione e la possibilità di nuova pressione sul sistema sanitario era assolutamente prevedibile dal momento che la protezione relativa legata alla vaccinazione si sapeva coprire un raggio di tempo molto breve e richiedere oltretutto pluri-richiami molto ravvicinati (Israele è già alla quarta dose in un anno).

Ma nonostante il fallimento della campagna vaccinale presentata come unica soluzione sia sotto agli occhi di tuttx, si inaugura il nuovo anno con ulteriori provvedimenti e restrizioni che insisitono sulla linea della premialità e del ricatto, creando un solco nella società ancora maggiore utile soltanto a scaricare in basso costi e responsabilità, per tornare il più in fretta possibile allo sfruttamento di una normalità feroce.

L’istituzionalizzazione di un nuovo principio di discriminazione e la normalizzazione dell’estorsione del consenso informato stanno passando come prassi legittima e consolidando un modello di sanità sempre piu discrezionale che non ha niente a che vedere con quei principi di prossimità, gratuità e universalità, che, quanto meno sulla carta, muovevano l’assistenza sanitaria in Italia.

Non si tratta di negare il vantaggio che possono comportare le vaccinazioni per qualcunx, si tratta di non considerarle per forza l’unica possibilità per tuttx e l’unica risposta necessaria: se per molti i benefici superano i rischi, per altri i benefici sono discutibili e i rischi rimangono indefiniti: è importante non banalizzare scelte terapeutiche che dovrebbero essere valutate caso per caso e rimanere personali.

Se da una parte mascherine, tamponi e test diagnostici restano a carico delle persone (che non trovando accessibilità nel pubblico stanno ingrassando il privato) e gli individui possono essere sottoposti a ricatto vaccinale per il ‘bene comune’ vedendo scaricati su di sè spese e rischi, dall’altra le aziende farmaceutiche produttrici di vaccini che hanno beneficiato di ingenti finanziamenti pubblici, non solo per la ricerca ma anche per la copertura del rischio, possono continuare a negare la sospensione della proprietà intelettuale e a macinare profitti da capogiro.

Due pesi e due misure che parlano dello stesso ricatto.

Una ‘guerra al virus’, che, come ogni guerra, si sta rivelando un’occasione epocale per nuove speculazioni e ristrutturazioni del capitale sulla pelle degli ultimi.

Mentre aumenta il potere delle industrie farmaceutiche la maggior parte dell’insieme di attenzioni e cure necessarie per il sostentamento della vita rimane lavoro sfruttato, invisibilizzato, salariato al ribasso, ultra-proletarizzato e fortemente connotato in termini di genere e razza.

Quanto non è compreso dallo sfruttmento, dalla fabbrica della ‘cura’ e dai ‘servizi’, rimane tombato nelle case, schiacciato in quel privato alienato che esprime gli stessi meccanismi patriarcali di Stato.

L’istituzionalizzazione e la medicalizzazione dell’anzianità ad esempio è un fenomeno relativamente recente legato all’organizzazione capitalista della società e all’espropriazione dello spazio e del tempo ‘non produttivo’ che la sostiene.

Il buon vecchio, produci, consuma, crepa.

Un modello di accentramento corporativo, di espropriazione e profitto che  in tempi di pandemia ha evidenziato in ogni campo l’ipocrisia che lo muove e la sua potenziale e sempre maggiore spregiudicatezza e pericolosità.

Le assunzioni senza precedenti di sanitari interinali a tempo determinato e spesso alle prime esperienze che avevano ‘emozionato’ durante gli scorsi lockdown migliaia di cittadinx terrorizzati dalla narrazione strumentale e guerranfondaia dell’emergenza, poco hanno inciso a livello strutturale se non come forza lavoro sacrificabile usa e getta.

Gli ospedali già provati dal processo di aziendalizzazione, tra burnout, sospensioni e abbandoni spontanei, sono tornati a patire, mentre sanità, trasporti, scuola e lavoro hanno visto soltanto l’applicazione di misure volte unicamente a contenere la massa degli sfruttatx tra capitalismo predatorio, sfruttamento indiscriminato e negligenza verso le generazioni future.

Tantissime persone in questi giorni si sono trovate costrette da lunghe attese perchè il tracciamento pubblico è completamente saltato, mentre altre, spaventate dalla narrazione mediatica e disorientate dalle informazioni contrastanti, hanno assediato gli ospedali affaticandoli ulteriormente nella completa assenza di una medicina territoriale e di prossimità.

Diventa sempre più chiaro a moltx il carattere avventato e sconsiderato di scelte e provvedimenti arbitrari e a breve termine volti soltanto a tutelare gli interessi dei padroni nella totale assenza di cautela in termini di impatto sociale e salute pubblica.

Mentre si ignorano i guariti e i benefici che la loro situazione porta alla collettività, si glissa su una sorveglianza superficiale e opaca rispetto gli eventi avversi e su una sanità dove ad essere abbandonati sono, oggi come ieri, anche e sorpattutto tutti i malati cronici e chi soffre di altre patologie.

Ci troviamo oggi di fronte a quella che è divenuta una sindemia, una condizione in cui l’interazione tra diverse vulnerabilità/criticità rafforza e aggrava ciascuna di esse.

Emerge sempre più urgente la necessità di sviluppare un’epidemiologia dal basso che accanto a riflessioni etiche e filosofiche affianchi una scienza critica militante che sappia rielaborare i fatti alla luce delle tante connessioni possibili, facendo emergere abusi e omertà, poichè non si può considerare il covid senza considerare i differenti contesti in cui si diffonde e l’autodeterminazione di chi li attraversa.

Il rischio è quello di alimentare una guerra tra poverx e di trascurare gli effetti iatrogeni di provvedimenti presi unicamente dalla necessità di tutelare gli interessi dei padroni.

Mentre la deforestazione indiscriminata, l’annientamento della biodiversità e la dipendenza mondiale dai sistemi di sfruttamento/allevamento intensivo continuano a rappresentare un rischio non solo per lo sviluppo di ulteriori pandemie, ma per i già compromessi equilibri ecologici del pianeta, la ‘salute’ diventa sempre più una questione di ordine pubblico da gestire, normare e disciplinare con interventi di tipo securitario che non hanno nulla di ‘sanitario’, volti per lo più a disciplinare una ristrutturazione del capitale sempre più violenta e a contenere una crisi destinata a peggiorare, che non solo non riducono il danno ma non toccano assolutamente le determinanti strutturali che lo riproducono e alimentano.

Oggi piu che mai dobbiamo lavorare a comunità critiche che siano in grado di considerare i diversi rapporti di potere e oppressione in campo, che coinvolgono aspetti politici, economici, ambientali, sociali, culturali, quindi modelli di vita, di relazione, di produzione e riproduzione sociale e di fruizione della cultura.

Per questo è prioritario ritornare a fare attivamente inchiesta, confrontarsi, organizzarsi all’interno delle fratture che abitiamo, per le strade, dentro e fuori ai luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle fabbriche, per rimettere al centro le vulnerabilità che solchiamo, così che l’intersezione delle oppressioni che ci attraversano diventi una forza in grado di esprimere e liberare una più lungimirante urgenza, contro ciò che lo Stato si ostina a chiamare ancora ‘emergenza’.

Bologna, gennaio 2022

Green pass: l’unica “sicurezza” è di essere sfruttatx

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Il codice QR fu sviluppato nel 1994 dalla compagnia giapponese Denso Wave, per tracciare i pezzi di automobili nelle fabbriche di Toyota. Vista la capacità del codice di contenere più dati di un codice a barre, fu in seguito utilizzato da diverse industrie per la gestione delle scorte. […]

Stato e Confindustria hanno individuato nel green pass lo strumento per scaricare le proprie responsabilità su milioni di individux, lavoratrici e lavoratori.

Dove la ‘salute’ è ipocrisia la “sicurezza” diventa “decoro” che libera i padroni consegnandogli ulteriori strumenti di controllo e vessazione: il lasciapassare verde è un documento discriminatorio e classista che nulla c’entra con la tutela della salute e con qualsiasi concetto di prevenzione.

Il covid per qualcuno può essere peggio che per qualcun’altrx e vaccinarsi per qualcunx può essere la scelta migliore, ciò non toglie che la protezione relativa legata alla vaccinazione dura pochi mesi – alcuni Stati sono già al terzo richiamo – e non esclude dalla possibilità di contagiarsi e contagiare: prevenzione vorrebbe che ‘vaccinati’ e ‘non vaccinati’ siano trattatx in modo uguale dal momento che i vaccinatx dopo pochi mesi non sono più protetti da infezioni, e neppure da forme sintomatiche.

Resta inoltre vero che ogni situazione rimane a sé, che si richiede un consenso informato, e che imporre una cura farmacologica in modo indiscriminato – sperimentale o meno – con ricatto, obbligo e coercizione, dovrebbe porre importanti dubbi etici da non liquidare in modo tanto superficiale come sta avvenendo.

Le statistiche da sole non bastano a leggere la realtà e i diversi contesti di oppressione.

Un religioso scientismo torna a contrapporsi ad un antiscientismo di stampo autoritario livellando ogni contraddizione: mentre Stato e padroni strumentalizzano dati e statistiche presentando la scienza come un monolite neutro e perfetto, l’abdicare dei movimenti a qualsiasi confronto circa le possibilità di autodeterminazione e critica dal basso rispetto le misure messe in campo sta lasciando campo libero a contro-letture di derivazione reazionaria e fascista.

Si parla di “senso di comunità” ma tre quarti del mondo subisce le conseguenze del neoliberismo senza nè scelta nè accesso a livelli di benessere minimi: i profitti sulla pelle di chi è sfruttatx non sono mai stati messi in discussione, ‘restare a casa’ in caso di contatto con positivo resta un privilegio per pochx e tamponi e test diagnostici rimangono a carico delle persone.

Il green pass tutela soltanto gli interessi dei soliti noti: liberi si, ma di tornare a sfruttare, mentre le disuguaglianze che hanno segnato la pandemia sin dall’inizio continueranno a farlo.

Stato e padroni per evitare qualsiasi tipo di redistribuzione e cambiamento strutturale stanno cavalcando in ogni ambito un soluzionismo tecnoscientifico che avrà solo l’effetto di rendere invisibili le contraddizioni strutturali dell’organizzazione capitalista all’interno delle città e nei luoghi dello sfruttamento di massa.

La retorica militare della “guerra” al virus, trasversale a tutte le forze politiche ed economiche destre e sinistre, sta trasformando il confronto in censura, il discorso sulla salute in ipocrisia e decoro e il green pass in una sorta di daspo sociale: chi per qualunque motivo non ha le carte in regola, chi non è conforme, chi si ribella ad un ulteriore strumento classista e discriminatorio diventa automaticamente un nemico interno.

Puntare sulla “sicurezza” è utile a fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso, le norme messe in campo appaiono infatti più legate ad una ‘decenza’ formale che libera i padroni da ogni responsabilità scaricandole sui lavoratorx, che alla reale salute delle persone che le subiscono.

Ciò che è grave è la legittimazione di un ulteriore estensione del potere datoriale sul corpo dei lavoratorx (di fatto, già consegnato a stato e padroni) sulle condizioni di salute e le scelte di natura sanitaria, sfere che fino a prima di questa emergenza trovavano dei limiti quanto meno formali. Si tratta di un’ulteriore stretta autoritaria nel mondo del lavoro e più in generale nella società, un pericoloso precedente, che non riguarda esclusivamente la minoranza relativa di chi non vuole/non può vaccinarsi.

Salute oggi non è ascolto dei corpi, non è stare bene ed essere felici. Non è vivere in un ambiente, naturale e sociale, sano. Non è realizzare i propri desideri, avere ciò di cui si ha bisogno, buon cibo, buona vita, buone relazioni. Non è invecchiare e morire con serenità e dignità.

Mentre lo spostamento di risorse dal pubblico al privato procede spedito, tagliando sulla sanità pubblica a scapito dell’assistenza primaria, l’indifferenza dilaga e la solidarietà viene strumentalizzata alimentando una guerra tra poverx e creando sempre nuovi ‘mostri’ su cui scaricare insicurezza e timori: la tensione viene scaricata tra oppressx, sospetto e delazione diventano i nuovi paradigmi su cui fondare relazioni e legami in una sempre piu ampia disumanizzazione delle relazioni sociali.

La gestione securitaria della pandemia sta creando una nuova dottrina perbenista della “tolleranza zero”: mentre le relazioni di prossimità e la solidarietà collassano, neoliberismo e salute si stringono la mano procedendo per ricatti economici e sociali sempre più esasperati.

Normare in senso discriminatorio e punitivo è utile a garantire la necessità capitalista di manodopera salariata sottopagata e obbediente, ma la sicurezza sul lavoro oggi è sicurezza di essere sfruttatx!

NON È LA DITTATURA SANITARIA, È LO STATO NEOLIBERISTA! LA SALUTE SI CONQUISTA INSIEME CON LA SOLIDARIETÀ E CON LA LOTTA NON CON UN DISPOSITIVO CHE RICATTA, CONTROLLA, ESCLUDE E DISCRIMINA

Bologna, ottobre 2021


PS. Qual’ora ci fosse bisogno di dirlo, e a scanso di equivoci: strumentalizzare olocausto e camere a gas in funzione anti green pass è una merda.

ALCUNE CONSIDERAZIONI SU ATTUALITÀ E PANDEMIA

Questo scritto prova a raccogliere alcune riflessioni emerse nel contesto pandemico attuale. Non ha la pretesa di essere esaustivo ma solo di tracciare qualche considerazione che tenga conto di alcune complessità.

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UNA PREMESSA NECESSARIA

Il consumo di immagini, emozioni forzate, informazioni e disinformazioni alimentato dai media mainstream è ormai talmente accelerato, quasi parossistico, che ogni notizia che può fare scalpore diventa pervasiva, spingendo la gente a prendere partito (quale che sia), ad esprimere opinioni (quali che siano), consensi, applausi o dissensi ed indignazioni. In un brevissimo lasso di tempo la “notizia” scivola via, slegata dalla vita reale, facendosi sfondo, rappresentazione, teatro a cui si può assistere, vetrina per l’ego atomizzato di ognunx, aliena ad elaborazioni  complesse, come da social network.

E’ stato relativamente difficile non rincorrere l’instant-book del momento, ma non abbiamo mai smesso di dire in modo fermo e determinato quanto l’attualità sia solo quella dei soggetti e non quella del tempo preconfezionato, cello-phanato e distribuito dallo Stato. Per questo abbiamo rifuggito dal farci anche noi attrici e attorx di un triste teatrino sulla pelle deglx ultimx, che è la nostra, e piuttosto che alimentare un dibattito infruttoso, ci siamo preoccupate di non abbandonare le strade e di lottare accanto a chi scelta e voce non è ha, contro chi sfrutta e opprime, come abbiamo sempre fatto.

Come prima cosa ci siamo postx delle domande su come autogestirci e autotutelarci dal virus oltre la burocrazia statale, da un punto di vista pratico e antiautoritario, individuando aspetti da considerare e alcunx possibili criteri basati sul consenso.

Dall’inizio della pandemia in troppx hanno rinunciato ad una riflessione critica  che tenesse conto delle complessità legate al contesto emergenziale che si è venuto a creare. Questo ha lasciato campo libero a fratture che si sono insidiate nei gruppi, spianando la strada a sterili dicotomie (salute, cura – sorveglianza, sicurezza / si vax – no vax…) che ricalcano la propaganda di Stato e fanno solo il gioco delle destre e dei padroni.

Se da una parte è emersa una tendenza diffusa ad esasperare gli aspetti allarmisitico-distopici legati alla pandemia senza il minimo discernimento, dall’altra si è evidenziata invece una generalizzata minimizzazione degli effetti drammatici dei cambiamenti che stiamo vivendo che riflette un attendismo che non rassicura.
Questo processo di polarizzazione è legato a doppio filo con la pervasività di una comunicazione interpersonale sempre più tecnologicamente mediata: le relazioni faccia a faccia diminuiscono sempre più, la conoscenza e le relazioni diventano sempre più filtrate da piattaforme digitali commerciali che influenzano la percezione delle informazioni e dei messaggi, ostacolando rielaborazioni critiche.

In molti contesti ‘compagni’ la componente dei vissuti, delle esperienze, la componente affettiva ed emotiva della vita e delle relazioni che ci animano è stata trascurata generando conflitto e ulteriore sofferenza, facendo sentire le persone ancora più isolate.

E’ emersa una certa indifferenza diffusa per quanto riguarda il prendersi cura di sè e dell’altrx anche nei contesti antiautoritari e di lotta, colonizzati ancora da dinamiche di esclusione, produttività o consumo, e sono sempre meno gli spazi in cui ricercare reciproca soggettivazione nella ricerca comune di liberazioni che siano anche ‘pratiche’.

È UNA GUERRA TRA POVERX QUELLA CHE CI ASPETTA?

Stato, destre e padroni stanno cavalcando la pandemia riducendo le complessità e le relazioni tra le diverse oppressioni per separarle, renderle inoffensive, manipolabili e sfruttabili ai fini produttivo-capitalistici.

Mentre sinistra e Confindustria speculano sulle nostre vite, da oltre un anno assistiamo all’estendersi di derive razziste, abiliste, xenofobe e sessiste, che dal regno del pregiudizio tornano ad affermarsi attraverso un principio di determinazione aspecifico che strizza l’occhio ad uno spietato darwinismo sociale travestito da libertà, volto a naturalizzare le ingiustizie sociali.

Intimamente convintx che in un sistema che genera morte, malattia, disuguaglianza e alienazione come il capitalismo, una malattia non sia solo un’etichetta diagnostica ma sia frutto di interazioni e connessioni tra cultura, società, umanità e ambiente, crediamo sia necessario non smettere di interrogarci sulle contraddizioni, sui dubbi, sugli interessi, sulle oppressioni in campo legate al nuovo contesto che stiamo vivendo.

SU CURA E SALUTE NEL CONTESTO CAPITALISTA


La pandemia ha messo in luce quanto siamo disabituatx a considerare i concetti di ‘salute’, ‘malattia’, ‘cura’, in modo critico, quindi in relazione all’attuale organizzazione socio-economica.

Mentre gli ambienti di vita e di lavoro diventano sempre più piccoli, ristretti e atomizzati, aumenta e si amplifica a dismisura la varietà della divisione del lavoro e dello sfruttamento. La drastica riduzione degli spazi fisici di soggettivazione ha spostato l’alienazione dei Tempi moderni di Chaplin, dalle fabbriche all’individuo.

Si tratta di nuovi paradigmi produttivi meno fondati sulla fabbrica e più sui servizi: la merce sei tu.

Anche la salute è sempre più individualizzata. Divenuta di pertinenza esclusiva di una medicina organizzata definitivamente come corpo separato, la dimensione della ‘cura’ riflette l’organizzazione del corpo sociale a partire dalla divisione del lavoro e dalla divisione in sfere sempre più isolate e mercificate di tutti i fenomeni umani.

Di quel ‘sistema sanitario’ tanto celebrato eredità delle lotte e delle agitazioni dei movimenti degli anni ’70, rimane poco e niente, un’azienda tra le aziende annientata dalle violente privatizzazioni.

Mentre aumenta il potere delle industrie farmaceutiche, la maggior parte dell’insieme di attenzioni e cure necessarie per il sostentamento della vita è lavoro salariato al ribasso, ultra-proletarizzato e fortemente connotato in termini di genere e razza. Quanto non è compreso dai ‘servizi’ rimane tombato nelle case, schiacciato in quel privato alienato che esprime gli stessi meccanismi patriarcali di Stato.

Da controaltare a questo isolamento dei corpi sempre più stringente, un sistema di sfruttamento capillarizzato e in costante crescita.

L’assenza di culture dal basso in merito ai temi della ‘salute’, della ‘malattia’ e della ‘cura’ ha determinato la delega ai tecnici, totale e assoluta, e lasciato campo libero agli interessi del Capitale di espropriare le fasce oppresse della popolazione da scelte e da possibili processi di autodeterminazione in merito.

L’infantilizzazione che lo Stato sta attuando sul corpo sociale è lo specchio del livello di delega che il corpo sociale ha concesso allo Stato e al Capitale.

Irrompono nel dibattito collettivo le problematicità legate alle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, al capitalismo della sorveglienza, al mercato delle tecnologie legate alla salute, al corpo e alle relazioni in mano a grandi multinazionali, nonchè l’ambiguità di una scienza mercificata e subordinata al profitto. Emerge come la tecnologia industriale si sia servita del lavoro di milioni di lavoratrici e lavoratorx per creare la ricchezza della ‘classe dirigente’ che aliena, sfrutta e tortura, mentre i corpi oppressi sono ridotti ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi sociali ed economici.

Ma una riflessione critica alla scienza e alla cura nel contesto capitalista che sia realmente antiautoritaria non può sedersi sul proprio privilegio e ridursi ad un’amputazione ideologica della realtà, la trama complessa dei contesti di sfruttamento è infatti composta da molteplici oppressioni che altrimenti rischiano di essere invisibilizzate.

Si tratta quindi di impegnarsi nello svelare le interellazioni tra le diverse oppressioni che stanno attraversando la vita di milioni di persone in un contesto di sfruttamento sistemico, globalizzato e interconnesso.


QUALCHE RIFLESSIONE SU OBBLIGO VACCINALE E TUTELA DAL VIRUS


E’ la prima volta che vaccini basati sulla tecnologia a mRNA vengono sperimentati e non ci sono garanzie sul comportamento a lungo termine: già solo questo dovrebbe bastare nel considerare qualsiasi obbligo, ricatto o pressione, moralmente sbagliato.

Per questa campagna vaccinale il dubbio, che pure costituisce il motore dello stesso metodo scientifico, non è ammesso. La medicina, intesa nella sua applicazione tecnico-farmacologica, si erge a scienza esatta rinnegando le stesse basi filosofiche che la animano. 

Lo stesso Stato che ha compiuto impunemente stragi, cerca di costruire un nemico unico e perfetto, scaricando l’emergenza su chi non risponde prontamente ad una scelta che ha tutto il diritto di essere ponderata.

Oscillare tra carità e punizione, polarizzare le posizioni, serve a scaricare le responsabilità, ad individualizzare le colpe, a livellare le contraddizioni e ad abbattere tutto ciò che non si conforma al ritmo stabilito dal Capitale.

Se da una parte è necessario lottare per l’accesso a possibilità di cura per tutti e tutte, contro i brevetti e i profitti delle multinazionali sulla pelle di chi soffre, dall’altra legittimare l’imposizione di una vaccinazione sperimentale con coercizione e ricatto rappresenta un pericoloso precedente che non riguarda esclusivamente la minoranza relativa di coloro che non vogliono/non possono vaccinarsi.

E’ importante considerare che il rifiuto dei farmaci o dei vaccini non si configura solo come privilegio, rimane aperto il tema del rapporto tra medicina e culture, tra medicina occidentale e colonialismo medico, fermo restando le disparità di accesso alla salute in un sistema globalizzato di sfruttamento dove le diseguaglianze hanno stretti legami di interdipendenza.

Quindi se un discorso pro o contro la vaccinazione in astratto è un cortocircuito costruito e fasullo buono solo a coprire le falle di un sistema che inizia a fare acqua da tutte le parti e in modo evidente, è chiaro come il nemico rimanga uno Stato paternalista che ha bisogno di infantilizzare il corpo sociale per tutelare esclusivamente i propri interessi economici.

Essere contro la coercizione e l’obbligo vaccinale non ci ha impedisce di interrogarci sulla necessità di tutela di contagio dal virus, soprattutto per quanto riguarda chi è piu esposto e vulnerabile nei luoghi di reclusione e dello sfruttamento di massa, dove le relazioni sono imposte e non volute. E’ evidente che dove non c’è spazio per la soggettivazione e la cura reciproca, per la relazione e il consenso, si fa strada la burocrazia e la coercizione, e che a pagarne il prezzo, oggi come ieri, saranno sempre e comunque tutte quelle vite già discriminate, considerate di scarso valore o ritenute ‘improduttive’.

Se è vero che la vaccinazione stia risultando efficace nell’abbassare i ricoveri, le morti e la pressione sul sistema sanitario, è vero anche che la campagna vaccinale portata avanti dal governo a reti unificate ha spinto moltx a non tenere nessuna precauzione circa reazioni avverse anche gravi che potevano essere evitate.

É importante considerare che la ‘protezione’ al momento si riferisce ad un minore rischio di infettarsi, quindi di contrarre la malattia in modo grave e di trasmettere il virus. Non tutela davvero dalla possibilità di contagiarsi e contagiare, ma diminuisce la probabilità che soggetti fragili contraggano la malattia, o la contraggano in modo grave.

Mentre tuttx fuori, rassicurati dai proclami di Stato, si sono completamente disinibitx per quanto riguarda qualsiasi misura di prevenzione di base – perchè è arrivato il vaccino e basta il green pass – è evidente invece che il dispositivo tecnico della vaccinazione non basterà.

Appellarsi ad un senso di ‘comunità’ nella società neoliberista assume caratteri farseschi quando tre quarti del mondo non ha accesso a livelli di salute minimi.

Prevenzione, riduzione del danno, redistribuzione delle risorse non se ne vedono, rapporti di forza per mettere in discussione un sistema al collasso che si ostina a tirare dritto nonostante tutto e tutti, nemmeno.

Intanto le case farmaceutiche produttrici di vaccini a mRNA – quelli che si stanno rivelando statisticamente più efficaci  – alzano il prezzo dei farmaci.

Si procede per ricatti, e saranno sempre di più.

SU GREEN PASS

Ed è così che si arriva al green pass, un’escamotage che lo Stato sta trovando per scaricare di nuovo su gli individux le proprie responsabilità: si ricattano le persone con un documento che le metterà all’angolo per poter accedere a molte attività al chiuso, esasperando ulteriormente differenze e certificando nuove discriminazioni.

Una misura che non ha niente a che vedere con la tutela della salute e con qualsiasi concetto di prevenzione. Chi diventerà lo sbirro di chi?

Potrebbe diventare obbligatorio per trasporti a lunga percorrenza, per la scuola e per il lavoro. Opporsi a questo ricatto non solo è giusto, ma necessario.

Scegliendo deliberatamente di lavarsi la coscienza, lo Stato sta sancendo un’ulteriore frattura tra un’umanità di serie A e un’umanità di serie B per tutelare gli interessi dei soliti noti, liberi si, ma di tornare a sfruttare, mentre le disuguaglianze che hanno segnato la pandemia sin dall’inizio continueranno a farlo.

CHI HA PAGATO FIN’ORA E CHI PAGHERÀ?

A ogni latitudine sono state le fasce della popolazione più svantaggiate – all’interno delle quali si trovano la maggior parte dei migrantx e dei non bianchx – a essere colpite dalla pandemia.

Le frontiere hanno mostrato tutta la loro violenza evidenziando come a questo mondo muri e confini esistano sempre e soltanto contro i poveri, mentre merci ed economie assassine possono girare indisturbate.

La diffusione globale del virus ha viaggiato infatti in business class alla stessa velocità dei numeri in borsa, non annegando sui barconi nel mediterraneo. Ma le morti contano solo se hanno effetto sui mercati, le vite valgono soltanto se è possibile metterle a profitto.

L’ultimo anno ha messo in luce tutta la ferocia che sottende al mantenimento di questo sistema di sfruttamento:

La strage nelle carceri ha svelato la violenza strutturale su cui si fondano tutti  i luoghi di reclusione, oltre che l’omertà dell’intervento sanitario nelle galere italiane, dove l’eccezione non è la ‘malasanità’, ma trovare un medico non connivente con le guardie. Il silenzio di medici e infermieri è stato assordante rispetto gli abusi compiuti in quei giorni e rispetto agli abusi che si perpetuano ogni giorno in tutte le carceri: la salute nei luoghi di reclusione è isolamento, annientamento, deprivazione, contenzione fisica, farmacologica, psicologica, violenza e repressione sistemica. La reclusione genera disturbi e menomazione, patologie e fragilità che spesso esordiscono in carcere e si protraggono anche dopo la scarcerazione. A questo si aggiungono la fatiscenza strutturale degli ambienti, l’insalubrità del cibo, l’assenza di docce, e il trito e ritrito affollamento, buono soltanto come scusa per mantenere intatto il meccanismo.

Negli ospedali, nelle residenze per anziani, nelle strutture sociosanitarie si é consumata una strage silenziosa e taciuta: operatrici e operatori sbattuti in reparti covid senza formazione e protezioni adeguate, lavoratorx ‘usa e getta’ obbligatx a lavorare pure se positivx fino alla comparsa dei sintomi, protocolli fatti di tachipirina e vigile attesa e persone murate in casa senza alcuna cura o visita medica e condannata alla morte. Mentre il numero dei morti saliva il ricatto salute/lavoro ha visto tutelati i profitti dei padroni prima ancora della salute delle persone, come osservato drammaticamente in Lombardia, dove ospedali e luoghi di lavoro hanno continuato ad alimentare inesauribili il serbatoio dei positivi.

Deroga su deroga si sono continuate a tenere aperte le grandi fabbriche per volere di Confindustria costringendo le persone ad andare a lavoro sui mezzi pubblici,  mentre si chiedeva in parlamento uno scudo penale bipartisan per proteggere imprenditori e manager delle aziende pubbliche.

Anche l’istituzione scolastica ha mostrato tutta la sua ipocrisia: milioni di euro per l’acquisto di banchi a rotelle per la didattica digitale ‘a seduta innovativa’ spacciati come misura anticovid, mentre la sofferenza di bambini e bambine è scomparsa per decreto.

La morte è stata rimossa, strumentalizzata, spettacolarizzata, per essere piegata ad una propaganda del terrore che ha impedito qualsiasi processo collettivo di socializzazione del lutto e di condivisione del dolore.

Lo stesso Stato che ha sempre tutelato solo e soltanto gli interessi dei padroni, tenta oggi d’un sol colpo di pulirsi la coscienza sbandierando un’ipocrita volontà di proteggere i più fragili, quando l’eccezionalità della pandemia nel contesto capitalista ha reso evidente quanto i profitti legati alle merci siano sempre venutx prima delle persone.

Tutto questo è sempre stato vero, non è arrivato oggi col covid e non andrà via con un vaccino.

CONCLUSIONI

L’isolamento imposto durante il lockdown si è insediato su una condizione di profonda miseria umana e materiale che ha sterilizzato rapporti e legami e impedito elaborazioni critiche dei vissuti e della realtà, mostrando come questo sistema capitalista sia il vero responsabile dell’alineazione e della povertà che solca a tutti i livelli le nostre relazioni e le nostre possibilità di autodeterminazione e riappropriazione, oltre che il principale attore della frammentazione/atomizzazione che ci attraversa.

CHE FARE?

Intanto ricostruire un tessuto umano in grado di rimettere in campo rapporti di forza, riappropriarsi dei quartieri, di bisogni e desideri, tessere alleanze e intersezioni, costruire solidarietà, riprendersi zone autonome e indipendenti dal potere statale, farla pagare a chi sfrutta e opprime.

Non sappiamo bene “che fare”, domanda antica, forse ci sono tante cose da fare, vediamo bene però, un passo alla volta, dove tutto sta andando.

 Agosto 2021, Bologna

 


Link: Considerazioni sull’autogestione della salute

Di carcere e di accoglienza si muore. Solidarietà con gli imputati dell’ex caserma Serena

Dalla pagina fb del Comitato lavoratori delle campagne,(qui)


Il 17 giugno, nel tribunale di Treviso, si è tenuta l’udienza preliminare del processo contro Amadou, Abdourahmane e Mohammed, accusati di “aver guidato” a giugno 2020 la protesta dentro al centro di accoglienza ex caserma Serena di Treviso (1). Le accuse sono pesanti: devastazione e saccheggio e sequestro di persona, reati che prevedono pene che vanno fino a 15 anni di prigione.
Devastazione e saccheggio è un reato di stampo fascista, nato per reprimere chi si ribella e chi sceglie di lottare, da sempre utilizzato in questo senso. Un reato, questo, che ha già strappato la libertà a moltissime persone, in importanti momenti di piazza, alle frontiere (non ultimo il processo per il corteo contro le frontiere al Brennero), nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (ad esempio la rivolta del 29 dicembre 2015 nel CARA di Mineo, quella nel CARA di Borgo Mezzanone nel 2017, quella a Bari nel 2014) e nei centri di permanenza per il rimpatrio (come le rivolte che distrussero il CIE di Crotone nel 2012 o quello di Caltanissetta nel 2017) (2). E non stupisce infatti che sia stato usato anche nell’ultimo anno contro gli immigrati che hanno lottato nel centro di accoglienza di Treviso, ma anche contro chi ha partecipato alle coraggiose rivolte nelle carceri di tutta italia a partire da marzo 2020. Decine e decine di detenuti di diverse carceri, come quelle di Milano, Pavia, Roma, Frosinone, per citarne alcune, sono indagate con queste accuse. Di qualche giorno fa è la notizia che i 21 detenuti accusati di devastazione e saccheggio per la rivolta nel carcere di Frosinone l’8 marzo 2020 sono stati assolti. I rivoltosi di Rebibbia avranno l’udienza invece il prossimo 30 giugno. La stessa accusa è rivolta anche contro ragazzi giovanissimi per le proteste inerenti la mancanza di reddito (come quelle a Torino nell’ottobre del 2020) (3). Un reato utilizzato contro tanti e tante che lottano, screditandone ogni forma di rivendicazione politica, come se dietro delle carceri o dei centri di accoglienza danneggiati non ci fosse un rifiuto delle proprie condizioni di vita e detenzione e la volontà di tutelare la propria vita e la propria salute da una quotidianità fatta di segregazione e soprusi.
E di pari passo con la dura rappresaglia contro chi lotta, tutte le responsabilità dei massacri che lo Stato e i suoi apparati hanno compiuto vengono negate e nascoste. Messo in isolamento nel carcere di Verona, Chaka Ouattara, uno dei quattro arrestati dell’ex caserma Serena di Treviso, viene trovato morto nella sua cella. Si parlerà di suicidio e poi più niente. Così come per gli 8 morti, tutti immigrati, nel carcere di Sant’Anna. Nonostante le numerose testimonianze di pestaggi, di violenze, della strage avvenuta, il 17 giugno scorso le indagini su queste morti sono state archiviate. Un massacro mascherato da suicidio di massa per impedire che sia fatta verità.
Al coraggio di chi, in un campo o in un carcere, ha lottato contro le leggi razziste, contro lo sfruttamento, contro la detenzione, deve corrispondere la nostra solidarietà concreta. Di fronte a tutte queste morti e davanti alla repressione che in tanti e tante devono affrontare, non possiamo restare in silenzio.

Contro la repressione e il razzismo, solidarietà agli imputati!


Link: