Categoria: Salute
PER UN MONDO SENZA PSICHIATRIA, SENZA CARCERE E SENZA FRONTIERE
A luglio del 2021 è stata aperta una sezione ‘nido’ al femminile della Dozza proprio accanto alla sezione psichiatrica – la cosi detta ‘sezione articolazione salute mentale’, l’unica femminile in Emilia Romagna.
Il carcere che annienta gli adulti si è organizzato per l’infanzia: un nido dietro le sbarre accanto al repartino psichiatrico, due dispositivi che insieme esprimono tutta la ferocia del sistema carcerario.
Sabato 22 gennaio dalle 18:00 alle 18:30 su Mezz’ora d’aria, trasmissione radio anticarceraria bolognese sulle frequenze di Radio Città Fujiko, una puntata per parlare di carcere femminile, infanzia reclusa e psichiatria.
PER UN MONDO SENZA PSICHIATRIA, SENZA CARCERE E SENZA FRONTIERE
Il podcast della puntata
La puntata si troverà anche sul sito della trasmissione
https://www.autistici.org/mezzoradaria/
Il 15 febbraio 2021 muore Isabella P., 37 anni, ‘temporaneamente trasferita’ dall’articolazione femminile di Bologna in quella di Pozzuoli per il tempo dei lavori di ‘ristrutturazione’ nel repartino psichiatrico della Dozza.
Una crisi respiratoria.
Isabella è solo un nome in più nell’elenco dei tanti morti di carcere e di psichiatria.
Isabella non c’è più, l’articolazione ‘salute mentale’ c’è ancora, oggi con una sezione ‘nido’ accanto.
Diventare urgenza contro lo stato d’emergenza
Avevamo provato a dirlo che il green pass non era una misura sanitaria e che il criterio del doppio binario tra “vaccinati” e “non vaccinati” si sarebbe rivelato non solo eticamente inaccettabile, ma assolutamente inefficace e controproducente in termini epidemiologici, di profilassi, prevenzione e salute pubblica.
Con l’approssimarsi dell’inverno il riacutizzarsi della situazione e la possibilità di nuova pressione sul sistema sanitario era assolutamente prevedibile dal momento che la protezione relativa legata alla vaccinazione si sapeva coprire un raggio di tempo molto breve e richiedere oltretutto pluri-richiami molto ravvicinati (Israele è già alla quarta dose in un anno).
Ma nonostante il fallimento della campagna vaccinale presentata come unica soluzione sia sotto agli occhi di tuttx, si inaugura il nuovo anno con ulteriori provvedimenti e restrizioni che insisitono sulla linea della premialità e del ricatto, creando un solco nella società ancora maggiore utile soltanto a scaricare in basso costi e responsabilità, per tornare il più in fretta possibile allo sfruttamento di una normalità feroce.
L’istituzionalizzazione di un nuovo principio di discriminazione e la normalizzazione dell’estorsione del consenso informato stanno passando come prassi legittima e consolidando un modello di sanità sempre piu discrezionale che non ha niente a che vedere con quei principi di prossimità, gratuità e universalità, che, quanto meno sulla carta, muovevano l’assistenza sanitaria in Italia.
Non si tratta di negare il vantaggio che possono comportare le vaccinazioni per qualcunx, si tratta di non considerarle per forza l’unica possibilità per tuttx e l’unica risposta necessaria: se per molti i benefici superano i rischi, per altri i benefici sono discutibili e i rischi rimangono indefiniti: è importante non banalizzare scelte terapeutiche che dovrebbero essere valutate caso per caso e rimanere personali.
Se da una parte mascherine, tamponi e test diagnostici restano a carico delle persone (che non trovando accessibilità nel pubblico stanno ingrassando il privato) e gli individui possono essere sottoposti a ricatto vaccinale per il ‘bene comune’ vedendo scaricati su di sè spese e rischi, dall’altra le aziende farmaceutiche produttrici di vaccini che hanno beneficiato di ingenti finanziamenti pubblici, non solo per la ricerca ma anche per la copertura del rischio, possono continuare a negare la sospensione della proprietà intelettuale e a macinare profitti da capogiro.
Due pesi e due misure che parlano dello stesso ricatto.
Una ‘guerra al virus’, che, come ogni guerra, si sta rivelando un’occasione epocale per nuove speculazioni e ristrutturazioni del capitale sulla pelle degli ultimi.
Mentre aumenta il potere delle industrie farmaceutiche la maggior parte dell’insieme di attenzioni e cure necessarie per il sostentamento della vita rimane lavoro sfruttato, invisibilizzato, salariato al ribasso, ultra-proletarizzato e fortemente connotato in termini di genere e razza.
Quanto non è compreso dallo sfruttmento, dalla fabbrica della ‘cura’ e dai ‘servizi’, rimane tombato nelle case, schiacciato in quel privato alienato che esprime gli stessi meccanismi patriarcali di Stato.
L’istituzionalizzazione e la medicalizzazione dell’anzianità ad esempio è un fenomeno relativamente recente legato all’organizzazione capitalista della società e all’espropriazione dello spazio e del tempo ‘non produttivo’ che la sostiene.
Il buon vecchio, produci, consuma, crepa.
Un modello di accentramento corporativo, di espropriazione e profitto che in tempi di pandemia ha evidenziato in ogni campo l’ipocrisia che lo muove e la sua potenziale e sempre maggiore spregiudicatezza e pericolosità.
Le assunzioni senza precedenti di sanitari interinali a tempo determinato e spesso alle prime esperienze che avevano ‘emozionato’ durante gli scorsi lockdown migliaia di cittadinx terrorizzati dalla narrazione strumentale e guerranfondaia dell’emergenza, poco hanno inciso a livello strutturale se non come forza lavoro sacrificabile usa e getta.
Gli ospedali già provati dal processo di aziendalizzazione, tra burnout, sospensioni e abbandoni spontanei, sono tornati a patire, mentre sanità, trasporti, scuola e lavoro hanno visto soltanto l’applicazione di misure volte unicamente a contenere la massa degli sfruttatx tra capitalismo predatorio, sfruttamento indiscriminato e negligenza verso le generazioni future.
Tantissime persone in questi giorni si sono trovate costrette da lunghe attese perchè il tracciamento pubblico è completamente saltato, mentre altre, spaventate dalla narrazione mediatica e disorientate dalle informazioni contrastanti, hanno assediato gli ospedali affaticandoli ulteriormente nella completa assenza di una medicina territoriale e di prossimità.
Diventa sempre più chiaro a moltx il carattere avventato e sconsiderato di scelte e provvedimenti arbitrari e a breve termine volti soltanto a tutelare gli interessi dei padroni nella totale assenza di cautela in termini di impatto sociale e salute pubblica.
Mentre si ignorano i guariti e i benefici che la loro situazione porta alla collettività, si glissa su una sorveglianza superficiale e opaca rispetto gli eventi avversi e su una sanità dove ad essere abbandonati sono, oggi come ieri, anche e sorpattutto tutti i malati cronici e chi soffre di altre patologie.
Ci troviamo oggi di fronte a quella che è divenuta una sindemia, una condizione in cui l’interazione tra diverse vulnerabilità/criticità rafforza e aggrava ciascuna di esse.
Emerge sempre più urgente la necessità di sviluppare un’epidemiologia dal basso che accanto a riflessioni etiche e filosofiche affianchi una scienza critica militante che sappia rielaborare i fatti alla luce delle tante connessioni possibili, facendo emergere abusi e omertà, poichè non si può considerare il covid senza considerare i differenti contesti in cui si diffonde e l’autodeterminazione di chi li attraversa.
Il rischio è quello di alimentare una guerra tra poverx e di trascurare gli effetti iatrogeni di provvedimenti presi unicamente dalla necessità di tutelare gli interessi dei padroni.
Mentre la deforestazione indiscriminata, l’annientamento della biodiversità e la dipendenza mondiale dai sistemi di sfruttamento/allevamento intensivo continuano a rappresentare un rischio non solo per lo sviluppo di ulteriori pandemie, ma per i già compromessi equilibri ecologici del pianeta, la ‘salute’ diventa sempre più una questione di ordine pubblico da gestire, normare e disciplinare con interventi di tipo securitario che non hanno nulla di ‘sanitario’, volti per lo più a disciplinare una ristrutturazione del capitale sempre più violenta e a contenere una crisi destinata a peggiorare, che non solo non riducono il danno ma non toccano assolutamente le determinanti strutturali che lo riproducono e alimentano.
Oggi piu che mai dobbiamo lavorare a comunità critiche che siano in grado di considerare i diversi rapporti di potere e oppressione in campo, che coinvolgono aspetti politici, economici, ambientali, sociali, culturali, quindi modelli di vita, di relazione, di produzione e riproduzione sociale e di fruizione della cultura.
Per questo è prioritario ritornare a fare attivamente inchiesta, confrontarsi, organizzarsi all’interno delle fratture che abitiamo, per le strade, dentro e fuori ai luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle fabbriche, per rimettere al centro le vulnerabilità che solchiamo, così che l’intersezione delle oppressioni che ci attraversano diventi una forza in grado di esprimere e liberare una più lungimirante urgenza, contro ciò che lo Stato si ostina a chiamare ancora ‘emergenza’.
Bologna, gennaio 2022
Opuscolo: Non nasciamo maschi
Cinque saggi per ripensare l’essere uomo nel patriarcato
Per parafrasare Audre Lorde:
“Quando ci si aspetta che le persone di colore educhino i bianchi alla loro umanità, quando ci si aspetta che le donne educhino gli uomini, le lesbiche e gli uomini gay educhino il mondo eterosessuale, gli oppressori mantengono la loro posizione ed eludono la responsabilità delle loro
azioni”.
BOLOGNA: GUERRA ALLA DROGA
Il Procuratore Amato annuncia un’ulteriore stretta autoritaria per quanto riguarda… la guerra alla DDDdroga, dice: ” Se non cessa la domanda, non può cessare l’offerta”.
“Dobbiamo occuparci non solo di chi spaccia, ma anche di chi consuma […] nel momento in cui al divieto di fare uso di sostanze venissero associate delle sanzioni, pecuniarie o interdittive, anche l’assuntore avrebbe consapevolezza della sua responsabilità. Un ragazzo, di fronte al rischio di una ‘punizione’, come ad esempio il divieto di frequentare locali per un determinato periodo o il sequestro della macchina, probabilmente ci penserebbe due volte prima di fumare uno spinello”.
Tutto questo servirebbe – come no – per “sensibilizzare sugli ‘effetti collaterali’ connessi all’uso di sostanze”.
Una ‘salute’ e una ‘prevenzione’ che fanno sempre più rima con repressione. Ci si abitua sempre più ai ‘cani antidroga’ nelle scuole, a controlli polizieschi su adolescenti nei parchi, a vessazioni e abusi da parte delle forze dell’ordine.
“Il popolo è minorenne, la repressione è il nostro vaccino, repressione e civiltà.”
Si pensa anche alla possibilità di una sanzione ‘retroattiva’: non solo per chi è sorpreso in flagranza a consumare ma anche per chi risulta aver assunto sostanze, a seguito di analisi.
Facendo leva su una ‘responsabilità personale’ che vede nell’uso/abuso di sostanze psicotrope un comportamento “pericoloso” da punire attivamente, si propongono sanzioni pecuniarie o interdittive da applicare soprattutto in un’ottica “preventiva”, come non allontanarsi dall’abitazione prima o dopo un certo orario, il divieto di frequentare determinati locali pubblici, l’obbligo di presentarsi in orari precisi agli uffici di polizia.
Nonostante i laboratori antiproibizionisti da oltre 20 anni indichino come l’unico modo per stroncare alla radice i narcotraffici sia la depenalizzazione della coltivazione di cannabis per uso personale e il commercio legale delle foglie di coca – come chiedono le popolazioni indigene sudamericane da decenni – le politiche repressive e la caccia alle streghe su categorie sociali già marginalizzate e stigmatizzate non si arresta, anzi, li arresta.
Oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato ‘recupero sociale’).
Questo è accaduto grazie a leggi repressive come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini.
La Fini Giovanardi è stata stracciata dalla corte costituzionale nel 2014, esiste ancora la 309/90, che il referendum nel 2022 potrebbe ‘migliorare’ – ma solo in parte – depenalizzando uso personale e coltivazione.
La proposta medioevale del procuratore Amato mette in luce tutta l’ipocrisia di un sistema fatto per rimanere tale: tabacco 70mila morti l’anno, alcool 40 mila, eroina circa 168, cocaina 63 , cannabis zero, ma sulle sostanze ‘legali’ si può lucrare accettando tangenti dagli spacciatori autorizzati.
Sebbene enti come le Nazioni Unite abbiano già dichiarato sulla carta diversi anni fa il fallimento della ‘Guerra alla Droga’ – il consumo zero è fantasia – continuare a fare ‘la guerra ‘a chi usa sostanze non solo lede i più fondamentali diritti umani ma toglie la possibilità di contrastare le narcomafie che hanno proprio bisogno del proibizionismo per alzare i prezzi.
Mentre si incarcerano i piccoli spacciatori, si perseguono i consumatori e le morti per overdose passano inosservate, si lascia intaccato un giro miliardario che evidentemente fa comodo così.
Lo stato di emergenza non perdona, la stretta autoritaria non solo continua ma minaccia di amplificarsi a dismisura senza trovare argine alcuno.
Nessunx è al sicuro. Lo Stato è la vera ‘droga’, l’autodeterminazione è la risposta!
Piu info: Lab57 https://lab57.indivia.net/
(Laboratorio Antiproibizionista bolognese)
PRESIDIO A LIVORNO: BASTA MORIRE DI CONTENZIONE
Due giorni antipsichiatrica a Livorno
Sono ancora scarse le informazioni riguardanti la morte della persona, originaria della Val di Cornia, ricoverata nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno deceduta a inizio aprile di quest’anno dopo essere stato legata al letto per oltre una settimana. Le generalità non sono ancora state rese pubbliche. Non sappiamo se è stata fatta un’autopsia e se c’è un indagine della magistratura in corso. Non sappiamo quante contenzioni vengono fatte nel reparto di Livorno.
Di sicuro nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.
Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.
Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l’incendio che l’aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.
Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.
Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.
Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.
Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.
Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.
Sappiamo che questi dispositivi sono strutturali ai luoghi di reclusione e abbandono, ma ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali, penitenziarie italiane e in tutti i luoghi di reclusione.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.
BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!
Sabato 6 Novembre:
– PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16
– alle ore 20 PIZZATA + MUSICA all’ Ex Caserma Occupata in via Adriana 16
Domenica 7 novembre:
– ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica
– ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi
nel pomeriggio proseguimento assemblea
Green pass: l’unica “sicurezza” è di essere sfruttatx
Il codice QR fu sviluppato nel 1994 dalla compagnia giapponese Denso Wave, per tracciare i pezzi di automobili nelle fabbriche di Toyota. Vista la capacità del codice di contenere più dati di un codice a barre, fu in seguito utilizzato da diverse industrie per la gestione delle scorte. […]
Stato e Confindustria hanno individuato nel green pass lo strumento per scaricare le proprie responsabilità su milioni di individux, lavoratrici e lavoratori.
Dove la ‘salute’ è ipocrisia la “sicurezza” diventa “decoro” che libera i padroni consegnandogli ulteriori strumenti di controllo e vessazione: il lasciapassare verde è un documento discriminatorio e classista che nulla c’entra con la tutela della salute e con qualsiasi concetto di prevenzione.
Il covid per qualcuno può essere peggio che per qualcun’altrx e vaccinarsi per qualcunx può essere la scelta migliore, ciò non toglie che la protezione relativa legata alla vaccinazione dura pochi mesi – alcuni Stati sono già al terzo richiamo – e non esclude dalla possibilità di contagiarsi e contagiare: prevenzione vorrebbe che ‘vaccinati’ e ‘non vaccinati’ siano trattatx in modo uguale dal momento che i vaccinatx dopo pochi mesi non sono più protetti da infezioni, e neppure da forme sintomatiche.
Resta inoltre vero che ogni situazione rimane a sé, che si richiede un consenso informato, e che imporre una cura farmacologica in modo indiscriminato – sperimentale o meno – con ricatto, obbligo e coercizione, dovrebbe porre importanti dubbi etici da non liquidare in modo tanto superficiale come sta avvenendo.
Le statistiche da sole non bastano a leggere la realtà e i diversi contesti di oppressione.
Un religioso scientismo torna a contrapporsi ad un antiscientismo di stampo autoritario livellando ogni contraddizione: mentre Stato e padroni strumentalizzano dati e statistiche presentando la scienza come un monolite neutro e perfetto, l’abdicare dei movimenti a qualsiasi confronto circa le possibilità di autodeterminazione e critica dal basso rispetto le misure messe in campo sta lasciando campo libero a contro-letture di derivazione reazionaria e fascista.
Si parla di “senso di comunità” ma tre quarti del mondo subisce le conseguenze del neoliberismo senza nè scelta nè accesso a livelli di benessere minimi: i profitti sulla pelle di chi è sfruttatx non sono mai stati messi in discussione, ‘restare a casa’ in caso di contatto con positivo resta un privilegio per pochx e tamponi e test diagnostici rimangono a carico delle persone.
Il green pass tutela soltanto gli interessi dei soliti noti: liberi si, ma di tornare a sfruttare, mentre le disuguaglianze che hanno segnato la pandemia sin dall’inizio continueranno a farlo.
Stato e padroni per evitare qualsiasi tipo di redistribuzione e cambiamento strutturale stanno cavalcando in ogni ambito un soluzionismo tecnoscientifico che avrà solo l’effetto di rendere invisibili le contraddizioni strutturali dell’organizzazione capitalista all’interno delle città e nei luoghi dello sfruttamento di massa.
La retorica militare della “guerra” al virus, trasversale a tutte le forze politiche ed economiche destre e sinistre, sta trasformando il confronto in censura, il discorso sulla salute in ipocrisia e decoro e il green pass in una sorta di daspo sociale: chi per qualunque motivo non ha le carte in regola, chi non è conforme, chi si ribella ad un ulteriore strumento classista e discriminatorio diventa automaticamente un nemico interno.
Puntare sulla “sicurezza” è utile a fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso, le norme messe in campo appaiono infatti più legate ad una ‘decenza’ formale che libera i padroni da ogni responsabilità scaricandole sui lavoratorx, che alla reale salute delle persone che le subiscono.
Ciò che è grave è la legittimazione di un ulteriore estensione del potere datoriale sul corpo dei lavoratorx (di fatto, già consegnato a stato e padroni) sulle condizioni di salute e le scelte di natura sanitaria, sfere che fino a prima di questa emergenza trovavano dei limiti quanto meno formali. Si tratta di un’ulteriore stretta autoritaria nel mondo del lavoro e più in generale nella società, un pericoloso precedente, che non riguarda esclusivamente la minoranza relativa di chi non vuole/non può vaccinarsi.
Salute oggi non è ascolto dei corpi, non è stare bene ed essere felici. Non è vivere in un ambiente, naturale e sociale, sano. Non è realizzare i propri desideri, avere ciò di cui si ha bisogno, buon cibo, buona vita, buone relazioni. Non è invecchiare e morire con serenità e dignità.
Mentre lo spostamento di risorse dal pubblico al privato procede spedito, tagliando sulla sanità pubblica a scapito dell’assistenza primaria, l’indifferenza dilaga e la solidarietà viene strumentalizzata alimentando una guerra tra poverx e creando sempre nuovi ‘mostri’ su cui scaricare insicurezza e timori: la tensione viene scaricata tra oppressx, sospetto e delazione diventano i nuovi paradigmi su cui fondare relazioni e legami in una sempre piu ampia disumanizzazione delle relazioni sociali.
La gestione securitaria della pandemia sta creando una nuova dottrina perbenista della “tolleranza zero”: mentre le relazioni di prossimità e la solidarietà collassano, neoliberismo e salute si stringono la mano procedendo per ricatti economici e sociali sempre più esasperati.
Normare in senso discriminatorio e punitivo è utile a garantire la necessità capitalista di manodopera salariata sottopagata e obbediente, ma la sicurezza sul lavoro oggi è sicurezza di essere sfruttatx!
NON È LA DITTATURA SANITARIA, È LO STATO NEOLIBERISTA! LA SALUTE SI CONQUISTA INSIEME CON LA SOLIDARIETÀ E CON LA LOTTA NON CON UN DISPOSITIVO CHE RICATTA, CONTROLLA, ESCLUDE E DISCRIMINA
Bologna, ottobre 2021
PS. Qual’ora ci fosse bisogno di dirlo, e a scanso di equivoci: strumentalizzare olocausto e camere a gas in funzione anti green pass è una merda.
ALCUNE CONSIDERAZIONI SU ATTUALITÀ E PANDEMIA
Questo scritto prova a raccogliere alcune riflessioni emerse nel contesto pandemico attuale. Non ha la pretesa di essere esaustivo ma solo di tracciare qualche considerazione che tenga conto di alcune complessità.
(PDF)
UNA PREMESSA NECESSARIA
Il consumo di immagini, emozioni forzate, informazioni e disinformazioni alimentato dai media mainstream è ormai talmente accelerato, quasi parossistico, che ogni notizia che può fare scalpore diventa pervasiva, spingendo la gente a prendere partito (quale che sia), ad esprimere opinioni (quali che siano), consensi, applausi o dissensi ed indignazioni. In un brevissimo lasso di tempo la “notizia” scivola via, slegata dalla vita reale, facendosi sfondo, rappresentazione, teatro a cui si può assistere, vetrina per l’ego atomizzato di ognunx, aliena ad elaborazioni complesse, come da social network.
E’ stato relativamente difficile non rincorrere l’instant-book del momento, ma non abbiamo mai smesso di dire in modo fermo e determinato quanto l’attualità sia solo quella dei soggetti e non quella del tempo preconfezionato, cello-phanato e distribuito dallo Stato. Per questo abbiamo rifuggito dal farci anche noi attrici e attorx di un triste teatrino sulla pelle deglx ultimx, che è la nostra, e piuttosto che alimentare un dibattito infruttoso, ci siamo preoccupate di non abbandonare le strade e di lottare accanto a chi scelta e voce non è ha, contro chi sfrutta e opprime, come abbiamo sempre fatto.
Come prima cosa ci siamo postx delle domande su come autogestirci e autotutelarci dal virus oltre la burocrazia statale, da un punto di vista pratico e antiautoritario, individuando aspetti da considerare e alcunx possibili criteri basati sul consenso.
Dall’inizio della pandemia in troppx hanno rinunciato ad una riflessione critica che tenesse conto delle complessità legate al contesto emergenziale che si è venuto a creare. Questo ha lasciato campo libero a fratture che si sono insidiate nei gruppi, spianando la strada a sterili dicotomie (salute, cura – sorveglianza, sicurezza / si vax – no vax…) che ricalcano la propaganda di Stato e fanno solo il gioco delle destre e dei padroni.
Se da una parte è emersa una tendenza diffusa ad esasperare gli aspetti allarmisitico-distopici legati alla pandemia senza il minimo discernimento, dall’altra si è evidenziata invece una generalizzata minimizzazione degli effetti drammatici dei cambiamenti che stiamo vivendo che riflette un attendismo che non rassicura.
Questo processo di polarizzazione è legato a doppio filo con la pervasività di una comunicazione interpersonale sempre più tecnologicamente mediata: le relazioni faccia a faccia diminuiscono sempre più, la conoscenza e le relazioni diventano sempre più filtrate da piattaforme digitali commerciali che influenzano la percezione delle informazioni e dei messaggi, ostacolando rielaborazioni critiche.
In molti contesti ‘compagni’ la componente dei vissuti, delle esperienze, la componente affettiva ed emotiva della vita e delle relazioni che ci animano è stata trascurata generando conflitto e ulteriore sofferenza, facendo sentire le persone ancora più isolate.
E’ emersa una certa indifferenza diffusa per quanto riguarda il prendersi cura di sè e dell’altrx anche nei contesti antiautoritari e di lotta, colonizzati ancora da dinamiche di esclusione, produttività o consumo, e sono sempre meno gli spazi in cui ricercare reciproca soggettivazione nella ricerca comune di liberazioni che siano anche ‘pratiche’.
È UNA GUERRA TRA POVERX QUELLA CHE CI ASPETTA?
Stato, destre e padroni stanno cavalcando la pandemia riducendo le complessità e le relazioni tra le diverse oppressioni per separarle, renderle inoffensive, manipolabili e sfruttabili ai fini produttivo-capitalistici.
Mentre sinistra e Confindustria speculano sulle nostre vite, da oltre un anno assistiamo all’estendersi di derive razziste, abiliste, xenofobe e sessiste, che dal regno del pregiudizio tornano ad affermarsi attraverso un principio di determinazione aspecifico che strizza l’occhio ad uno spietato darwinismo sociale travestito da libertà, volto a naturalizzare le ingiustizie sociali.
Intimamente convintx che in un sistema che genera morte, malattia, disuguaglianza e alienazione come il capitalismo, una malattia non sia solo un’etichetta diagnostica ma sia frutto di interazioni e connessioni tra cultura, società, umanità e ambiente, crediamo sia necessario non smettere di interrogarci sulle contraddizioni, sui dubbi, sugli interessi, sulle oppressioni in campo legate al nuovo contesto che stiamo vivendo.
SU CURA E SALUTE NEL CONTESTO CAPITALISTA
La pandemia ha messo in luce quanto siamo disabituatx a considerare i concetti di ‘salute’, ‘malattia’, ‘cura’, in modo critico, quindi in relazione all’attuale organizzazione socio-economica.
Mentre gli ambienti di vita e di lavoro diventano sempre più piccoli, ristretti e atomizzati, aumenta e si amplifica a dismisura la varietà della divisione del lavoro e dello sfruttamento. La drastica riduzione degli spazi fisici di soggettivazione ha spostato l’alienazione dei Tempi moderni di Chaplin, dalle fabbriche all’individuo.
Si tratta di nuovi paradigmi produttivi meno fondati sulla fabbrica e più sui servizi: la merce sei tu.
Anche la salute è sempre più individualizzata. Divenuta di pertinenza esclusiva di una medicina organizzata definitivamente come corpo separato, la dimensione della ‘cura’ riflette l’organizzazione del corpo sociale a partire dalla divisione del lavoro e dalla divisione in sfere sempre più isolate e mercificate di tutti i fenomeni umani.
Di quel ‘sistema sanitario’ tanto celebrato eredità delle lotte e delle agitazioni dei movimenti degli anni ’70, rimane poco e niente, un’azienda tra le aziende annientata dalle violente privatizzazioni.
Mentre aumenta il potere delle industrie farmaceutiche, la maggior parte dell’insieme di attenzioni e cure necessarie per il sostentamento della vita è lavoro salariato al ribasso, ultra-proletarizzato e fortemente connotato in termini di genere e razza. Quanto non è compreso dai ‘servizi’ rimane tombato nelle case, schiacciato in quel privato alienato che esprime gli stessi meccanismi patriarcali di Stato.
Da controaltare a questo isolamento dei corpi sempre più stringente, un sistema di sfruttamento capillarizzato e in costante crescita.
L’assenza di culture dal basso in merito ai temi della ‘salute’, della ‘malattia’ e della ‘cura’ ha determinato la delega ai tecnici, totale e assoluta, e lasciato campo libero agli interessi del Capitale di espropriare le fasce oppresse della popolazione da scelte e da possibili processi di autodeterminazione in merito.
L’infantilizzazione che lo Stato sta attuando sul corpo sociale è lo specchio del livello di delega che il corpo sociale ha concesso allo Stato e al Capitale.
Irrompono nel dibattito collettivo le problematicità legate alle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, al capitalismo della sorveglienza, al mercato delle tecnologie legate alla salute, al corpo e alle relazioni in mano a grandi multinazionali, nonchè l’ambiguità di una scienza mercificata e subordinata al profitto. Emerge come la tecnologia industriale si sia servita del lavoro di milioni di lavoratrici e lavoratorx per creare la ricchezza della ‘classe dirigente’ che aliena, sfrutta e tortura, mentre i corpi oppressi sono ridotti ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi sociali ed economici.
Ma una riflessione critica alla scienza e alla cura nel contesto capitalista che sia realmente antiautoritaria non può sedersi sul proprio privilegio e ridursi ad un’amputazione ideologica della realtà, la trama complessa dei contesti di sfruttamento è infatti composta da molteplici oppressioni che altrimenti rischiano di essere invisibilizzate.
Si tratta quindi di impegnarsi nello svelare le interellazioni tra le diverse oppressioni che stanno attraversando la vita di milioni di persone in un contesto di sfruttamento sistemico, globalizzato e interconnesso.
QUALCHE RIFLESSIONE SU OBBLIGO VACCINALE E TUTELA DAL VIRUS
E’ la prima volta che vaccini basati sulla tecnologia a mRNA vengono sperimentati e non ci sono garanzie sul comportamento a lungo termine: già solo questo dovrebbe bastare nel considerare qualsiasi obbligo, ricatto o pressione, moralmente sbagliato.
Per questa campagna vaccinale il dubbio, che pure costituisce il motore dello stesso metodo scientifico, non è ammesso. La medicina, intesa nella sua applicazione tecnico-farmacologica, si erge a scienza esatta rinnegando le stesse basi filosofiche che la animano. Lo stesso Stato che ha compiuto impunemente stragi, cerca di costruire un nemico unico e perfetto, scaricando l’emergenza su chi non risponde prontamente ad una scelta che ha tutto il diritto di essere ponderata.
Oscillare tra carità e punizione, polarizzare le posizioni, serve a scaricare le responsabilità, ad individualizzare le colpe, a livellare le contraddizioni e ad abbattere tutto ciò che non si conforma al ritmo stabilito dal Capitale.
Se da una parte è necessario lottare per l’accesso a possibilità di cura per tutti e tutte, contro i brevetti e i profitti delle multinazionali sulla pelle di chi soffre, dall’altra legittimare l’imposizione di una vaccinazione sperimentale con coercizione e ricatto rappresenta un pericoloso precedente che non riguarda esclusivamente la minoranza relativa di coloro che non vogliono/non possono vaccinarsi.
E’ importante considerare che il rifiuto dei farmaci o dei vaccini non si configura solo come privilegio, rimane aperto il tema del rapporto tra medicina e culture, tra medicina occidentale e colonialismo medico, fermo restando le disparità di accesso alla salute in un sistema globalizzato di sfruttamento dove le diseguaglianze hanno stretti legami di interdipendenza.
Quindi se un discorso pro o contro la vaccinazione in astratto è un cortocircuito costruito e fasullo buono solo a coprire le falle di un sistema che inizia a fare acqua da tutte le parti e in modo evidente, è chiaro come il nemico rimanga uno Stato paternalista che ha bisogno di infantilizzare il corpo sociale per tutelare esclusivamente i propri interessi economici.
Essere contro la coercizione e l’obbligo vaccinale non ci ha impedisce di interrogarci sulla necessità di tutela di contagio dal virus, soprattutto per quanto riguarda chi è piu esposto e vulnerabile nei luoghi di reclusione e dello sfruttamento di massa, dove le relazioni sono imposte e non volute. E’ evidente che dove non c’è spazio per la soggettivazione e la cura reciproca, per la relazione e il consenso, si fa strada la burocrazia e la coercizione, e che a pagarne il prezzo, oggi come ieri, saranno sempre e comunque tutte quelle vite già discriminate, considerate di scarso valore o ritenute ‘improduttive’.
Se è vero che la vaccinazione stia risultando efficace nell’abbassare i ricoveri, le morti e la pressione sul sistema sanitario, è vero anche che la campagna vaccinale portata avanti dal governo a reti unificate ha spinto moltx a non tenere nessuna precauzione circa reazioni avverse anche gravi che potevano essere evitate.
É importante considerare che la ‘protezione’ al momento si riferisce ad un minore rischio di infettarsi, quindi di contrarre la malattia in modo grave e di trasmettere il virus. Non tutela davvero dalla possibilità di contagiarsi e contagiare, ma diminuisce la probabilità che soggetti fragili contraggano la malattia, o la contraggano in modo grave.
Mentre tuttx fuori, rassicurati dai proclami di Stato, si sono completamente disinibitx per quanto riguarda qualsiasi misura di prevenzione di base – perchè è arrivato il vaccino e basta il green pass – è evidente invece che il dispositivo tecnico della vaccinazione non basterà.
Appellarsi ad un senso di ‘comunità’ nella società neoliberista assume caratteri farseschi quando tre quarti del mondo non ha accesso a livelli di salute minimi.
Prevenzione, riduzione del danno, redistribuzione delle risorse non se ne vedono, rapporti di forza per mettere in discussione un sistema al collasso che si ostina a tirare dritto nonostante tutto e tutti, nemmeno.
Intanto le case farmaceutiche produttrici di vaccini a mRNA – quelli che si stanno rivelando statisticamente più efficaci – alzano il prezzo dei farmaci.
Si procede per ricatti, e saranno sempre di più.
SU GREEN PASS
Ed è così che si arriva al green pass, un’escamotage che lo Stato sta trovando per scaricare di nuovo su gli individux le proprie responsabilità: si ricattano le persone con un documento che le metterà all’angolo per poter accedere a molte attività al chiuso, esasperando ulteriormente differenze e certificando nuove discriminazioni.
Una misura che non ha niente a che vedere con la tutela della salute e con qualsiasi concetto di prevenzione. Chi diventerà lo sbirro di chi?
Potrebbe diventare obbligatorio per trasporti a lunga percorrenza, per la scuola e per il lavoro. Opporsi a questo ricatto non solo è giusto, ma necessario.
Scegliendo deliberatamente di lavarsi la coscienza, lo Stato sta sancendo un’ulteriore frattura tra un’umanità di serie A e un’umanità di serie B per tutelare gli interessi dei soliti noti, liberi si, ma di tornare a sfruttare, mentre le disuguaglianze che hanno segnato la pandemia sin dall’inizio continueranno a farlo.
CHI HA PAGATO FIN’ORA E CHI PAGHERÀ?
A ogni latitudine sono state le fasce della popolazione più svantaggiate – all’interno delle quali si trovano la maggior parte dei migrantx e dei non bianchx – a essere colpite dalla pandemia.
Le frontiere hanno mostrato tutta la loro violenza evidenziando come a questo mondo muri e confini esistano sempre e soltanto contro i poveri, mentre merci ed economie assassine possono girare indisturbate.
La diffusione globale del virus ha viaggiato infatti in business class alla stessa velocità dei numeri in borsa, non annegando sui barconi nel mediterraneo. Ma le morti contano solo se hanno effetto sui mercati, le vite valgono soltanto se è possibile metterle a profitto.
L’ultimo anno ha messo in luce tutta la ferocia che sottende al mantenimento di questo sistema di sfruttamento:
La strage nelle carceri ha svelato la violenza strutturale su cui si fondano tutti i luoghi di reclusione, oltre che l’omertà dell’intervento sanitario nelle galere italiane, dove l’eccezione non è la ‘malasanità’, ma trovare un medico non connivente con le guardie. Il silenzio di medici e infermieri è stato assordante rispetto gli abusi compiuti in quei giorni e rispetto agli abusi che si perpetuano ogni giorno in tutte le carceri: la salute nei luoghi di reclusione è isolamento, annientamento, deprivazione, contenzione fisica, farmacologica, psicologica, violenza e repressione sistemica. La reclusione genera disturbi e menomazione, patologie e fragilità che spesso esordiscono in carcere e si protraggono anche dopo la scarcerazione. A questo si aggiungono la fatiscenza strutturale degli ambienti, l’insalubrità del cibo, l’assenza di docce, e il trito e ritrito affollamento, buono soltanto come scusa per mantenere intatto il meccanismo.
Negli ospedali, nelle residenze per anziani, nelle strutture sociosanitarie si é consumata una strage silenziosa e taciuta: operatrici e operatori sbattuti in reparti covid senza formazione e protezioni adeguate, lavoratorx ‘usa e getta’ obbligatx a lavorare pure se positivx fino alla comparsa dei sintomi, protocolli fatti di tachipirina e vigile attesa e persone murate in casa senza alcuna cura o visita medica e condannata alla morte. Mentre il numero dei morti saliva il ricatto salute/lavoro ha visto tutelati i profitti dei padroni prima ancora della salute delle persone, come osservato drammaticamente in Lombardia, dove ospedali e luoghi di lavoro hanno continuato ad alimentare inesauribili il serbatoio dei positivi.
Deroga su deroga si sono continuate a tenere aperte le grandi fabbriche per volere di Confindustria costringendo le persone ad andare a lavoro sui mezzi pubblici, mentre si chiedeva in parlamento uno scudo penale bipartisan per proteggere imprenditori e manager delle aziende pubbliche.
Anche l’istituzione scolastica ha mostrato tutta la sua ipocrisia: milioni di euro per l’acquisto di banchi a rotelle per la didattica digitale ‘a seduta innovativa’ spacciati come misura anticovid, mentre la sofferenza di bambini e bambine è scomparsa per decreto.
La morte è stata rimossa, strumentalizzata, spettacolarizzata, per essere piegata ad una propaganda del terrore che ha impedito qualsiasi processo collettivo di socializzazione del lutto e di condivisione del dolore.
Lo stesso Stato che ha sempre tutelato solo e soltanto gli interessi dei padroni, tenta oggi d’un sol colpo di pulirsi la coscienza sbandierando un’ipocrita volontà di proteggere i più fragili, quando l’eccezionalità della pandemia nel contesto capitalista ha reso evidente quanto i profitti legati alle merci siano sempre venutx prima delle persone.
Tutto questo è sempre stato vero, non è arrivato oggi col covid e non andrà via con un vaccino.
CONCLUSIONI
L’isolamento imposto durante il lockdown si è insediato su una condizione di profonda miseria umana e materiale che ha sterilizzato rapporti e legami e impedito elaborazioni critiche dei vissuti e della realtà, mostrando come questo sistema capitalista sia il vero responsabile dell’alineazione e della povertà che solca a tutti i livelli le nostre relazioni e le nostre possibilità di autodeterminazione e riappropriazione, oltre che il principale attore della frammentazione/atomizzazione che ci attraversa.
CHE FARE?
Intanto ricostruire un tessuto umano in grado di rimettere in campo rapporti di forza, riappropriarsi dei quartieri, di bisogni e desideri, tessere alleanze e intersezioni, costruire solidarietà, riprendersi zone autonome e indipendenti dal potere statale, farla pagare a chi sfrutta e opprime.
Non sappiamo bene “che fare”, domanda antica, forse ci sono tante cose da fare, vediamo bene però, un passo alla volta, dove tutto sta andando.
Agosto 2021, Bologna
Psichiatria: basta morti in contenzione
Il collettivo Artaud invita ad un volantinaggio antipsichiatrico
Sabato 29 maggio a LIVORNO in PIAZZA DAMIANO CHIESA
dalle ore 10:30 alle ore 12:30.
BASTA MORTI IN CONTENZIONE NEL REPARTO PSICHIATRIA!!
ABOLIAMO LA CONTENZIONE!!
Non si sa ancora niente del paziente originario della Val di Cornia ricoverato nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno e morto a inizio aprile di questo anno dopo essere stato legato al letto per una settimana. Ciò che sappiamo è che nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.
Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.
Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l’incendio che l’aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.
Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.
Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.
Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.
Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.
Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.
Ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e penitenziarie italiane.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org – artaudpisa.noblogs.org
Fano: tso su studente
A Fano è stato fatto un Tso ad un ragazzo di diciotto anni per una protesta contro l’obbligo di mascherina.
Link qui
In una società frenetica e senza respiro, non ci può essere spazio per la relazione e una sincera messa in discussione del quotidiano.
La violenza è ammessa come istituzione e prassi irrununucabile, la sorveglianza si sostituisce all’ascolto, la sicurezza all’apertura, l’assistenza alla compagnia, la terapia alla vita.
La contenzione e il ricovero obbligatorio diventano la risposta. La psichiatria arriva dove lo Stato non può, spacciandosi per ‘terapia’, ‘cura’.
Non esistono prove che l’abuso del ricovero coatto porti benefici a chi lo subisce, è certo invece che tale coerzione risulti traumatica e lesiva, e tenda ad avviare un processo vizioso che conduce la persona verso la completa dipendenza assistenziale dal servizio psichiatrico, creandole problematiche ulteriori che possono aggravare il suo stato.
Ricoverare obbligatoriamente una persona è una pratica crudele e disumanizzante, doppiamente crudele in quanto inutile.
Che sia stato fatto a scuola, è un fatto ancora più aberrante.