CPR DI MACOMER, UN LAGER MIGLIORE

Diffondiamo:

Venerdì 21 marzo, ancora una volta, c’è stata la visita istituzionale al CPR di Macomer. Non è la prima volta che delle così dette “cariche pubbliche” entrano lì dentro per osservare le condizioni dei detenuti (che loro chiamano “ospiti”).
Nei mesi scorsi diversi sopralluoghi sono stati fatti dalla deputata di Avs Francesca Ghirra. Anche lei sostiene che i CPR sono luoghi disumani che non dovrebbero esistere, ma poi nella pratica cosa fa? Un esposto alla Procura di Nuoro, per spingere la magistratura a verificare la corretta attuazione dell’appalto da parte dell’ente gestore. Una segnalazione inutile e diretta ad una magistratura funzionale al sistema. Inoltre, la deputata, ha fatto delle interrogazioni parlamentari assolutamente risibili, giusto per poter dire prima delle elezioni di aver fatto qualcosa.

Di stesse vedute sono l’assessore regionale alla sanità della Sardegna, Armando Bertolazzi, e la senatrice Sabrina Licheri, che due settimane fa hanno visitato il centro: apprezzano i “notevoli miglioramenti nella gestione degli ospiti, però segnalano delle criticità ancora da superare”.
L’assessore suggerisce di attivare un reparto di medicina specialistica e l’acquisizione di un defibrillatore.
Queste dichiarazioni faranno contenta la nuova direttrice, Elizabeth Rijo, responsabile di Officine Sociali in Sardegna. Nel suo sito di propaganda (https://elizabethrijo.org/), fatto al tempo in cui si candidò alle ultime regionali sarde, si legge: “Sostengo quelle persone che animano i comitati per la difesa della sanità, le lotte contro l’occupazione militare, le lotte per la valorizzazione del lavoro agricolo, le lotte per la difesa dei posti di lavoro ed i diritti, le proteste per i tagli dei servizi, le battaglie per le scuole e le università accessibili e tante altre lotte giuste e necessarie che riempiono la nostra quotidianità.” Nella trasmissione RAI “Presa Diretta” del 6/04/25, in cui le omissioni erano più delle rivelazioni appaiono sia la Ghirra che la Rijo. Per la Ghirra, incapace di intervenire di fronte a un tentativo di suicidio di un prigioniero che avviene durante la sua visita non sprechiamo parole, per la Rijo il cui progetto è organizzare corsi di ballo per i prigionieri, in perfetto stile nazista, osserviamo che se una persona come lei gestisce il cpr di Macomer possiamo essere sicuri (sic!) che qualcuno penserà a migliorare le condizioni degli ospiti tenendo conto delle LORO lotte quotidiane.

Le associazioni del terzo settore sedicenti antirazziste dovranno rispondere politicamente dei rapporti che eventualmente sceglieranno di intrattenere con questa kapó patetica. Che dire, infine di Rita Porcu, l’infermiera che stragiura che a Macomer gli psicofarmaci non vengono mescolati nel cibo ma vengono somministrati su richiesta dei detenuti che si sa magari li useranno per sopperire alla crisi di astinenza da corsi di ballo.
Noi sappiamo che i detenuti, reclusi perché privi di documenti, non hanno visto alcun miglioramento. Hanno 3 telefoni per più di 50 persone, non posseggono le schede adatte per chiamare in Africa, quindi sentire le famiglie (quelle che hanno, qualcuno le ha mandate da fuori). Non hanno acqua calda. C’è la storia di un ragazzo, che dopo aver scontato un anno e mezzo in carcere, è stato portato al CPR, con l’inganno che, se si fosse comportato bene, sarebbe uscito dopo pochi giorni. Poi il giudice dice di non essere riuscita a leggere dei documenti del suo avvocato; quindi, gli ha spostato l’udienza di tre mesi. Un altro recluso che ha avuto l’ennesimo rinvio dell’udienza, per protesta, ha tentato di uccidersi tagliandosi sul collo. Un ragazzo è riuscito a farsi fare una spesa alimentare, questa poi è sparita. È andato a reclamarla dagli operatori e uno di questi l’ha picchiato. Li perquisiscono. Dormono tanto, sono sempre stanchi (sarà effetto del cibo migliore?). Dicono: “ci stanno uccidendo lentamente”.
Alla faccia dei miglioramenti, alla faccia delle belle parole dei soliti politicanti di turno.

Condividiamo delle foto che uno dei detenuti vorrebbe divulgare. Questi tagli sul collo non sono di una vittima, ma di una persona che si sta ribellando alla sua reclusione. Pur di non stare lì dentro, alcuni, sono pronti a morire.
Quello che vuole fare Officine è cercare di cambiare volto indossano nuove maschere, quelle che piacciono alla sinistra istituzionale e al suo carrozzone associazionista.
I politici in visita al centro, volenti (sempre) o nolenti (mai), fanno il loro gioco. Così la destra può vantare l’efficacia dei CPR e la sinistra è sempre più tollerante, visti i miglioramenti delle condizioni degli “ospiti”, e si limita a lamentare l’inefficacia della politica dei rimpatri a fronte delle somme spese. Il risultato è che questo business, fatto sulla pelle dei reclusi, è sempre alimentato, e che questi lager non chiudono, ma vogliono apparire “lager migliori” (ricordate il lager di Terezin con le orchestrine di prigionieri organizzate dai nazisti in occasione delle visite della Croce Rossa?).

Ce l’hanno insegnato le stesse persone recluse come si migliorano i cpr: bruciandoli, e successo a Torino e speriamo che la pratica si diffonda, solo loro possono guadagnare la propria libertà.
Noi continuiamo a rafforzare il ponte di solidarietà che abbiamo costruito con loro, tornando lì davanti. L’abbiamo fatto domenica 30 marzo, nonostante il questore di Nuoro, Alfonso Polverino, cerca di intimorirci con avvisi orali, fogli di via e relative denunce per la violazione di questi.
Questa volta il livello dello scontro si è alzato, la risposta delle guardie è stata più forte e noi abbiamo comunicato con i detenuti per poco tempo, tentano di allontanarci per sempre con altre denunce, altri fogli di via.
Mantenere il contatto con i prigionieri sta diventando sempre più difficile, ma noi crediamo che si debba essere solidali con chi lotta per la propria libertà, è una nostra scelta ideologica, politica, etica.
Per questo ci vedremo di nuovo fuori da quel lager, solidali con chi è dentro, sino a quando non saranno tutti liberi.

Anarchic* contro carcere e repressione.

TRAPANI: RABI È STATO AMMAZZATO DAL CPR A MILO

Diffondiamo da Sicilia No Border:

Durante il saluto della scorsa settimana, sono state registrate le voci dei prigionieri, che hanno risposto con calore e rabbia alla presenza dellx solidalx. Parlano della situazione dentro come di “guerra” e raccontano di star portando avanti lo sciopero della fame, della sete e dei medicinali da oltre una settimana. Come si sente dalle voci, qualcuno grida l’assenza di cibo e telefono, da qualcun altro si sente chiaramente urlare la frase terribile e angosciante: “sono morte due persone qui”.

Parole che ci avevano lasciato sgomentx ed esitanti. L’avevamo già visto che chi governa là dentro, seppur si faccia refertare l’inverosimile quando riguarda i loro corpi, se si tratta di quelli dei reclusi cerca di non chiamare le ambulanze o lo fa sempre troppo tardi. Eppure ci siamo ritrovatx col bisogno di cercare altri riscontri prima di diffondere una verità di quel tipo: se invece non sono morte? Compagni in pessime condizioni, massacrati dagli sbirri e dalla violenza atroce di questo lager, i reclusi ne vedono molti partire. Se non sempre li vedono poi tornare in CPR non vuole dire che sono necessariamente morti.

Riconosciamo che questo nostro smarrimento è un prodotto della pervasività della repressione che si esercita in quel luogo. Ma, senza nasconderci, nei fatti non siamo riuscitx ad affidarci totalmente a chi da lì dentro ci affidava la sua verità e abbiamo partecipato anche noi all’isolamento di chi è detenuto. Realizzazione lacerante in queste ore. Ancora una volta a conferma del fatto che abbiamo tanto da imparare.

Da dentro hanno provato a farlo sapere, e purtroppo non è bastato.

E adesso è solo la sconfinata determinazione di chi vive sull’altra sponda di questo mare, e che ora si trova a farsi carico dell’ennesima perdita, che sta rendendo possibile dire che Rabi, un giovane ragazzo tunisino, è morto il 16 marzo al Cpr di Trapani Milo. Rabi è stato ammazzato e la notizia della sua morte insabbiata per 20 giorni da forze dell’ordine, ente gestore e medici. Solo quando il suo corpo è arrivato in Tunisia, la famiglia ha dato notizia della sua morte. A quanto racconta un esponente dell’opposizione tunisina in Italia, fino all’ultimo momento prima del rimpatrio della salma non è stato comunicato l’aereo sul quale avrebbe viaggiato, l’orario di partenza e quello di arrivo. Un’ulteriore violenza di stato sul corpo di Rabi, nei confronti della sua famiglia e delle sue amicizie.

Mentre diffondiamo questa notizia, non abbiamo idea di cosa possa essere successo alla seconda persona. Sappiamo però che ancora in queste notti le rivolte e le proteste dei detenuti sono continue, vengono represse dalla celere e dagli idranti. Sappiamo che stanno deportando in fretta e furia i testimoni via nave in Tunisia, con le navi della GNV dal porto di Palermo (di proprietà di MSC, che continua a rifornire Israele di armi per il suo genocidio). Sappiamo che una dozzina di persone è stata trasferita al Cpr di Brindisi per essere probabilmente trasferita in Albania questa settimana.

Sappiamo che i cosiddetti atti di autolesionismo o i tentativi di farsi fuori sono coraggiosi gesti di liberazione ed evasione da questa insostenibile tortura. E che di vittime lo stato ne ha fatte tantissime, tra cui Ousmane Sylla morto l’anno scorso al Cpr di Roma poco dopo essere stato trasferito proprio da Milo, che i prigionieri avevano reso inagibile con il coraggio delle loro rivolte. Non ce le dimentichiamo queste morti perche’ ci bruciano dentro. Trapani, per altro, è dove sono iniziati in Italia gli omicidi di stato tramite detenzione amministrativa: nel 1999 sei giovani tunisini sono stati bloccati dentro la cella e bruciati così vivi nell’allora CPT.

E mentre il potere sforna l’ennesima legge sicurezza con l’obiettivo di seppellire in carcere chi, detenutx, osa ancora difendersi e di farci desistere dal manifestare solidarieta’, di farci rinunciare ad esprimere tutta la nostra rabbia, noi non possiamo che ribadire tutto il nostro odio verso questo mondo che ci vuole zittx, obbedientx, in riga e riprometterci di continuare a manifestarlo verso ogni sbirro, ogni frontiera, ogni galera. Davanti alle carceri, davanti ai cpr, nelle strade.

VENDETTA PER RABI

FUOCO AI CPR

SOLIDALX CON CHI LOTTA CONTRO QUESTO MONDO DI MERDA

PARMA: STREET PARADE 24 MAGGIO 2025

Riceviamo e diffondiamo

Si muore in guerra, a lavoro e in alternanza.
Si muore nel Mediterraneo e nelle rotte migratorie, si muore di freddo per le strade, si muore in galera, si muore per le alluvioni e per gli incendi, si muore di patriarcato e polizia.
Si muore, poco a poco, tutti i giorni, scambiando il nostro tempo e le nostre vite per merce e denaro.
Siamo sempre più irregimentatx in un sistema votato al profitto e alla morte.
Disertare questa realtà diventa una necessità. Confluiamo allora per le strade e abbandoniamo i nostri ruoli mortiferi.
Una street non crea solamente un momento di svago, ma di lotta, in cui tentare di creare spazi di socialità liberi da sfruttamento e mercificazione.
Vogliamo raccogliere sotto le casse tuttx coloro che desiderano disertare questo sistema a favore di un cambiamento radicale anticapitalista, ecologista e transfemminista.
Anche quest’anno, un insieme eterogeneo di realtà e individualità cittadine si interseca e fonde per creare un momento catartico di riflessione e diserzione. Unisciti a noi nella sovversione con il tuo contributo artistico, qualunque esso sia.

La vita quotidiana è una guerra, disertiamola insieme.

Riteniamo fondamentale la partecipazione almeno a una delle riunioni di organizzazione.

NO LOCALI
NO CLUB
STAY FREE

Per info: deportati@insiberia.net

BARI: SALUTO AL CPR

Riceviamo e diffondiamo

Da fonti indirette sappiamo che Giovedì 27 c’è stata una rivolta nel Cpr di Bari in seguito a un tentativo di fuga. Il ragazzo che ha provato a fuggire, dopo essere stato preso è stato brutalmente picchiato e rimandato in cella. Una volta tornato i suoi compagni, vedendo le chiare violenze subite, hanno iniziato una piccola rivolta, salendo anche sui tetti e lanciando frutta alle guardie, il tutto sedato dalle forze dell’ordine.

Anche per questo:
Domenica 30 in poch3 compagn3 ci siamo ritrovate sotto le mura del Cpr per portare solidarietà ai detenuti e mostrare che le loro lotte non rimangono isolate come le istituzioni vorrebbero. Ci siamo ritrovate di pomeriggio, con solo fischietti e la nostra voce, urlando cori e cercando di fare più rumore possibile, a posteriori sappiamo che ci hanno sentito ma sul momento non abbiamo ricevuto risposta. Il tutto è durato una ventina di minuti, senza risposta da dentro e senza l’intervento delle guardie.
Non contente del risultato e col dubbio che non ci avessero sentitɜ, altr3 compagn3 sono tornate Martedì 1 Aprile con qualche strumento in più che ci rendesse più rumorosɜ. Ad oggi abbiamo la certezza che ci hanno sentitɜ e adesso loro sanno che quei saluti, quelle urla e quel calore erano per loro e chissà se dalla prossima volta grideremo insieme contro quelle mura infami!

L’ultima visita al Cpr prima di domenica è stata il giorno del presidio
autorizzato fuori dal Cpr di Bari il 22 Febbraio. Abbiamo scelto di comunicare alla questura il presidio e, nonostante sapessimo che la Digos di Bari non permette più di avvicinarsi tanto alle mura, abbiamo comunque comunicato l’intento di avvicinarci il più possibile, specificando il luogo esatto che avrebbe dovuto essere sotto le celle. La Digos non ha rigettato la comunicazione né inviato prescrizioni, rimandando la contrattazione del punto al momento di arrivo in piazza.

La decisione di comunicare il presidio è stata mossa principalmente da 3
ragioni:
– Rendere la giornata inclusiva e accessibile a chiunque volesse portare
solidarietà ai detenuti.
– Poter stare più tempo sotto le mura e poter portare strumentazione
provando a comunicare e non solo a farsi sentire.
– Avevamo pubblicizzato in larga scala la giornata, probabilmente la Digos
e la celere sarebbero state lì ugualmente.
Arrivate in piazza 15 minuti prima del concentramento, la Digos non presenta le prescrizioni ma ci dice che avrebbero dovuto mettere in sicurezza l’area, poiché c’era troppa spazzatura in giro e che l’Amiu (servizio raccolta spazzatura) non era venuta a svuotare i bidoni.Tutte
menzogne perché di spazzatura non ce n’era neanche l’ombra.

Questo dura almeno 1 ora e più, tempo in cui la Digos mostra le prescrizioni rimanendo vaga sulla posizione, rimandando sempre a quando avranno finito di pulire, ma rassicurandoci che una soluzione l’avremmo trovata. Ovviamente una volta “pulito”, le guardie si sono schierate, mentre si schierava la celere la Digos continuava a fingere, continuava a prenderci in giro. Questa è la polizia, queste sono le istituzioni, nonostante i tentativi di isolare il presidio, quel giorno c’è stata una risposta da dentro dopo ore di cori, musica e interventi in inglese, francese e arabo. Per questo abbiamo deciso di continuare a portare solidarietà ai fratelli rinchiusi, ma senza comunicare né chiedere il permesso a nessuno.

Speriamo di aver rovinato il sonno all’allievi finanzieri, ma ancora di più speriamo che una notte non troppo lontana sarà il fuoco del Cpr a svegliarli, e magari le urla di qualche collega.
Morte alla Digos, morte a tutte le forze dell’ordine. Fuoco ai Cpr.

Anarchic* contro le frontiere

UN SALUTO AL CPR DI TRAPANI MILO. SCIOPERI DELLA FAME, DELLA SETE E DEI MEDICINALI, RIVOLTE E VENDETTA DI STATO

Diffondiamo da Sicilia NoBorder:

Lunedì sera, un gruppo di solidali ha deciso di recarsi sotto le mura del CPR di Milo per mostrare solidarietà ai prigionieri in sciopero della fame, della sete e dei medicinali da più di una settimana.

Le ultime informazioni circolate da dentro parlavano di tentativi di suicidio. Di una rivolta, la notte di venerdi 28, che avrebbe comportato un danneggiamento alla struttura.

Di sequestro degli ultimi telefoni personali rimasti in mano diretta ai detenuti e del blocco delle comunicazioni con l’esterno anche tramite i telefoni del CPR, finora utilizzabili a pagamento, sorvegliati e con lungo tempo di attesa. Questi sono ora fuori uso e non si sa se e quando li aggiusteranno e renderanno di nuovo funzionanti.

Isolare definitivamente sembra essere la punizione scelta dallo stato di fronte al fatto che, nei giorni scorsi, è stato diffuso su alcuni media un video in cui si sentono chiaramente le aggressioni poliziesche e le invocazioni di aiuto da parte dei prigionieri, le loro grida. È chiaro il bisogno di chi tortura di non lasciar passare informazioni su come le persone recluse vengono maltrattate e disumanizzate.

Di fronte a tutto questo e al tremendo isolamento dei prigionieri, si è sentita forte l’esigenza di andare sotto quelle mura, per portare solidarietà e calore e provare ad ascoltare quello che succede lì dentro dalle stesse voci dei reclusi e poterlo così diffondere fuori.

Appena le solidali son arrivatx, è bastato qualche coro per sentire da subito i detenuti rispondere con battiture, urla e canti che invocavano libertà, ripetuti più volte nei minuti trascorsi insieme.

Nonostante il calore della solidarietà che questi scambi hanno suscitato, si percepiva chiaramente la stanchezza di chi non solo è sottoposto a una guerra quotidiana (“qui dentro è guerra”, continuavano a gridare), ma ha anche la forza di scioperare e resistere organizzandosi con i compagni.

E nel frattempo, le condizioni dentro continuano a peggiorare. Manca il cibo e addirittura la carta igienica.

Abbiamo sentito anche del silenzio nella sezione più vicina ai solidali: probabilmente si tratta della parte della struttura che è stata resa inagibile dalla rivolta di venerdi 28 e dalla repressione poliziesca che ne è seguita. Alcuni detenuti hanno dovuto dormire a terra nei giorni seguenti. Alcuni sono stati trasferiti al CPR di Brindisi. Facile chiedersi se da lì non passeranno invece presto in Albania, dove potranno diventare nuovamente merce fresca.

Hanno voluto riempire Milo per metterlo a pieno regime, per il loro profitto. Ci hanno portato anche persone che venivano da altri CPR del nord Italia in cui il telefono in sessione è conservabile. Le persone si sono ribellate al fatto che qui viene invece sottratto. E ora lo stato si scontra con questa nuova ingovernabilità. Infame, la vuole far pagare a chi è detenuto. I reclusi hanno confermato che le sette persone punite per le ultime rivolte sono state trasferite in carcere. I giornali parlano di resistenza a pubblico ufficiale, minacce e danneggiamento. Non lo si sa. Intanto stanno al carcere di Trapani. Un’altra persona è stata deportata direttamente via mare in Tunisia. Di nuovo, deportazione e anni di galera sono la vendetta di stato per chi prova a difendersi dalle torture.

Ricordiamo che la macchina della deportazione intanto continua incessante. Oltre ai voli settimanali per la Tunisia del martedi e del giovedì, sempre venerdì 28 è partito il solito volo mensile da Palermo verso l’Egitto. A differenza delle ultime volte in cui è stata l’italiana Aeroitalia a effettuare la deportazione, che ne effettua anche per la Tunisia, questo mese la compagnia è stata la croata Trade Air.

Dopo mezz’ora di dialogo, con l’interno gli scambi sono stati interrotti dalle sirene delle volanti della polizia che hanno iniziato a seguirci lungo la recinzione.

Ad aspettarci all’uscita c’era una macchina della digos a bloccare la stradina di campagna, pochi metri dopo sono arrivate altre volanti a chiuderci dai due lati della strada che stavamo percorrendo per raggiungere le macchine. Siamo rimastx bloccatx per un po’ ma dopo qualche coro e canzoncina, rigorosamente ripreso, si sono accontentati di identificare 5 persone e annotare le targhe delle macchine. Non sono mancati manganelli sguainati. Un carabiniere che proveniva da dentro il CPR aveva con sé un taser, confermando che è un’altra arma che hanno a disposizione lì dentro.

In quel momento a Milo, oltre a detenuti, guardie e solidali, c’erano solo le persone che vanno a giocare al Circolo del Tennis, ignare, indifferenti o complici del fatto che accanto a loro ci sia un carcere razzista dove si tortura (questo circolo si trova al civico n. 40/B di Contrada Milo Errante). Una vicina si è affacciata preoccupata, ma poi è tornata a chiudersi dentro casa.

Il silenzio di Milo è stato rotto solo dalle urla di chi si ribella e dellx solidali. Le sirene delle volanti e i manganelli degli sbirri sono un ennesimo tentativo di provare a isolare ancora di più i prigionieri reprimendo chi porta solidarietà diretta fuori dalle mura di questi luoghi infami. Manco a farlo apposta, qualche ora prima del saluto una parlamentare siciliana del PD ha visitato il CPR, accompagnata da un presidio della CGIL all’esterno (e portandosi dietro una maggiore presenza poliziesca intorno alla struttura che è rimasta anche nelle ore successive al suo passaggio.) Ci era già entrata nel gennaio 2024, sollecitata dal mondo dell’associazionismo. Aveva scelto di farsi accompagnare da una collega di partito che lavora per Badia Grande, la cooperativa sociale che si occupa di integrazione, “disabili e immigrati” e per anni ha avuto tra le mani la gestione del CPR di Milo. Ora la parlamentare si è detta scioccata dal fatto che le persone in questi luoghi siano detenute e non accolte. I giornali hanno ripreso queste dichiarazioni e dato il là all’ennesimo processo di mistificazione della realtà.

Per scrupolo, ci teniamo a ribadirlo: i CPR non hanno mai accolto, ma solo torturato e ucciso. Non c’è mai stato un parlamentare che li abbia fatti chiudere, sono piuttosto loro ad aprirli. Solo la rabbia dei reclusi, le loro rivolte e le fiamme da loro appiccate hanno reso inagibili queste strutture. Lo stato non accoglie, né in CPR, né in altri luoghi chiamati con nomi diversi (centri d’accoglienza, hotspot e via dicendo). Lo stato reprime e uccide, prova a tagliare e spezzare le catene della solidarietà tra oppressx.

E noi a tutto questo ci opponiamo.

Torneremo sotto quelle mura infami, chi lotta e si ribella dentro le patrie galere non verrà lasciato solo.

La liberté c’est d’abord dans nos cœurs

La liberté, la liberté

La liberté nous, ça nous fait pas peur

La libertà è in cima ai nostri cuori

La libertà, la libertà

La libertà a noi non fa paura

Ogni sbirro è una frontiera

Acab sempre e fuoco ai Cpr

Liberx Tuttx

NO ALLO SFRATTO DI CASA GALEONE!

Diffondiamo

IL GALEONE IN TEMPESTA

Nel 2022, venuti a conoscenza delle intenzioni di sfratto della proprietà nonostante non fossimo mai stati morosi e sussistessero noti accordi con il legittimo proprietario Arnaldo Natali, spalle al muro abbiamo deciso di opporci agli sfratti in sede processuale, forti delle nostre ragioni e delle evidenze che credevamo incontestabili.

Ci siamo imbarcati in un’impresa costosa, lunga e complicata su un terreno ostile che non è mai stato il nostro. In tribunale ci siamo sempre andati o perchè trascinati dalle guardie o per sostenere compagni/e inguaiati/e con la legge. Mai volontariamente a cercare “giustizia”. E così doveva rimanere.

Una volta saliti su questo carrozzone siamo stati travolti da schemi che ci hanno obbligato a contrarre la nostra attitudine al conflitto, sovradeterminando le nostre pratiche e sottraendo energia alle lotte e ai progetti per dedicarci alla raccolta fondi perché, a differenza della proprietà che ha a disposizione fondi illimitati piovuti dal cielo, noi possiamo contare solo sulle nostre forze e sulla solidarietà dei nostri compagni e delle nostre compagne.

Il 12/02/2025 nel giudizio n.r.g. 225/2024 la Sezione specializzata agraria del tribunale di Macerata ha emesso la sentenza in merito al procedimento sulla supposta finita locazione dell’immobile abitativo decretando l’obbligo del rilascio non oltre il 31 Maggio 2025.

Con la stessa ci condannano, inoltre, al pagamento delle spese legali sostenute dalla proprietà e al pagamento degli affitti non versati dal 2023 ad oggi.

Tutte le nostre richieste in merito alla natura del contratto, di fatto agrario e non di civile abitazione, e soprattutto a quelle relative a un importante controcredito che vanteremmo in seguito ai numerosi e dettagliati lavori di ristrutturazione sono state rigettate malamente.

Il 22/11/2024 nel giudizio 1119/2022-535/2023 r. g. vertenti, la corte d’appello d’ Ancona respinge il nostro ricorso condannandoci al rilascio della terra liberandola tempestivamente di ogni soprassuolo e ovviamente siamo stati anche condannati a rifondere spese legali e canoni. Abbiamo infine ricorso in cassazione sperando che, non essendo ancora andato in giudicato, avrebbe “puntellato” l’impianto delle nostre istanze in merito alla questione abitativa.

Un disastro.

Abbiamo infine offerto in extremis, per l’acquisto della casa, una cifra spropositata. Molto più alta del reale valore dell’immobile. Una cifra a cui, solo una manciata di mesi prima, la proprietà ci aveva chiesto di arrivare per la sua cessione e alla quale abbiamo ricevuto come risposta un laconico: “non esistono i presupposti per improntare una qualsivoglia trattativa”. Che tradotto probabilmente significa: “piuttosto la bruciamo”.

Che vi fosse un problema ideologico di fondo lo aveva candidamente confessato il loro avvocato, tale Michelangelo Seri di Civitanova Marche, dobbiamo dire a tratti più realista del re, che probabilmente dietro mandato della Luna srl ha cercato, nelle varie udienze, di inserire la questione politica e morale nel dibattimento. In particolare, durante le mobilitazioni in solidarietà dell’anarchico Alfredo Cospito ha millantato la nostra “pericolosità sociale” perché protagonisti di un’esperienza agricola comunitaria di stampo libertario, arrivando poi a ridicolizzarsi nel tentativo di stigmatizzare come esotico e ambiguo il nostro modello di vita in comune, e definendo inoltre “fantasie agresti” le nostre pratiche contadine.

Probabilmente il problema nasce quando, la non ancora erede Miriam Natali, durante una visita a Casa Galeone accompagnata dal fido Lino Sopranzi, commercialista con delega di amministratore di sostegno del vecchio Arnaldo oramai infermo, si imbatté nel nostro frigorifero a doppia anta. Sicuramente l’elettrodomestico che più di tutti gli altri manifesta il suo Antifascismo. Secondo il loro terzista pare che alla vista di tutti quegli adesivi colorati e inequivocabili, ne sia uscita particolarmente turbata… Il famoso problema ideologico di fondo.

Non vogliamo negare né la profonda tristezza, né la grande rabbia per questo sopruso, né l’oggettiva difficoltà a coprire le spese legali.

Sappiamo che difficilmente gli spazi di casa nostra saranno nuovamente abitati perché sull’immobile pendono una serie di vincoli oltre che una frana attiva che dovrebbero dissuadere anche il più sprovveduto acquirente, e quindi questi spazi così pieni vita, progetti, disagio, ricordi sono destinati all’abbandono, al silenzio.

Sappiamo che a breve la nostra terra che abbiamo trasformato da un campo arido e avvelenato in luogo fertile e ricco di biodiversità verrà riconsegnata all’agroindustria che in una sola stagione procederà allo sterminio dei micro-ecosistemi che vi erano rinati.

In questi giorni stiamo cercando disperatamente un altro posto dove continuare il progetto di casa galeone ma non è semplice. Per niente. Non è semplice immaginare un altro luogo dove ricominciare, organizzare un trasloco in odore di esodo, asportare tutti gli impianti e le migliorie approntate in questi anni, immaginare che una nuova bimba possa nascere proprio nei giorni dello sfratto e pensare di abbandonare un luogo a cui abbiamo dato così tanto e che così tanto ci ha dato. Non è semplice.

Noi comunque non molliamo e i conti non si chiuderanno di certo così.
Non riusciamo ad immaginare un altro modo di vivere e di lottare.

Vorremmo concludere citando testualmente il presidente della commissione speciale agraria del tribunale di Macerata quando per richiamare a gran voce gli avvocati e i suoi colleghi alla lettura dell’ultima sentenza dice:

ADESSO TOCCA AGLI ANARCHICI

CATALOGNA: NUOVO CASO DI INFILTRAZIONE POLIZIESCA NEI MOVIMENTI SOCIALI

Diffondiamo

È di oggi la scoperta dell’undicesimo caso di infiltrazione poliziesca nei movimenti sociali in Spagna: Álvaro Gaztelu Alcaire, sotto la falsa identità di Joan LLobet Garcia, dal 2019 al 2021 ha portato avanti un’attività di spionaggio a Lleida (Catalogna) all’interno del SEPC (Sindacato di studenti dei paesi catalani), Endavant (sezione ecologista) e Ateneo la Baula. Ha anche partecipato agli eventi della PAP (Piattaforma antirepressiva di ponente), e alle mobilitazioni contro l’incarcerazione del rapper Pablo Hesel.

«Con le ultime infiltrazioni, ci chiediamo: quanti ancora? Non abbiamo una risposta, ma abbiamo chiaro che già sono troppi! (…) Le infiltrazioni sono una pratica abituale: gli ultimi casi riconfermano l’idea che si passano il testimone l’un l’altro, condividono informazioni e utilizzano alibi e infrastrutture comuni. Uno va quando un altro, o più, sono già sul posto e la loro infiltrazione ha iniziato a consolidarsi. Vogliamo chiarire che questa pratica dello Stato riguarda tutti noi: non è qualcosa di nuovo o isolato, è il modo in cui lo Stato lavora per distruggere i movimenti sociali e politici, un ulteriore meccanismo di repressione e controllo poliziesco. Non permettiamo che l’infiltrazione della polizia e le violazioni della vita di così tante persone si normalizzino a un livello così grave. Non normalizziamo la TORTURA come strumento repressivo dello Stato, né la brutale repressione della dissidenza politica. Continueremo a lottare e a denunciare queste pratiche fino all’ultimo, fino a quando non le avremo trovate tutte. Perché, se abbiamo imparato una cosa, è che fanno degli errori e sappiamo già come sbrogliare la matassa per scoprire le loro montature e le loro bugie. UNITX CONTRO LO SPIONAGGIO DI STATO»

Fonti:

ACCIÓ contra l’espionatge d’estat

La Directa

CATANIA: APPELLO PER UNA MOBILITAZIONE UNITARIA CONTRO LEGGI REPRESSIVE E STATO DI GUERRA

Assemblea regionale per una mobilitazione unitaria contro leggi repressive e stato di guerra
6 aprile ore 15.30
Palestra Lupo (Catania)


Di seguito il testo dell’appello:

La repressione nel territorio

La repressione in Sicilia si snoda tra una cinquantina di nodi nevralgici sparsi su tutto il territorio: carceri, CPR, CPA e basi militari. L’isola, ospitando 23 carceri sulle 94 presenti nel territorio italiano e 4 istituti penali per minorenni su 17, detiene il triste primato del maggior numero di detenuti per abitante. Solamente nel 2022 in Sicilia, ci sono stati 5 tentativi di suicidio negli istituti penali per minorenni (su un totale nazionale di 12); nelle carceri, nello stesso anno, sono “state suicidate” dallo stato 11 persone (su 85 totali in Italia); 8 i morti nel 2023. Le carceri siciliane si distinguono per la violenza sistematica utilizzata contro i detenuti, oltre che per l’inumano sovraffollamento. Nel 2025 sono stati imposti dei nuovi divieti che proibiscono l’ingresso di alcune tipologie di abiti e di alimenti.(1)

Questo ha provocato una serie di proteste come battiture e scioperi del carrello che hanno visto picchi di partecipazioni altissimi, soprattutto a Siracusa e Palermo (700 al Cavadonna e 400 al Pagliarelli). Il nostro territorio è in prima linea nella guerra ai migranti ospitando 3 CPR su 8(2), 5 Hotspot su 6(3) e 2 CPA su 9(4). A completare il complesso mosaico repressivo sono le strutture militari segno tangibile della natura coloniale dell’isola, in prima linea nella sempre più vicina guerra “guerreggiata”. Sono presenti nel territorio, oltre ai presidi militari dell’Esercito Italiano anche la Stazione aeronavale dell’esercito statunitense a Sigonella; il MUOS presso la Sughereta di Niscemi(5); l’Aeroporto Militare di Trapani Birgi(6); il Porto di Augusta(7); RADAR a Lampedusa, Noto, Marsala(8)

La corsa al riarmo

L’accelerazione della morsa repressiva dello Stato è ancora più tangibile in questi ultimi mesi. La comunità internazionale assiste complice del genocidio in Palestina, lo Stato Italiano e l’Unione Europea continuano ad appoggiare il criminale governo di Israele e si lanciano in una sfrenata corsa agli armamenti a livello globale. Attraverso ReArm Europe sono previsti 800 miliardi di investimenti per l’ampliamento delle spese belliche a discapito delle spese sociali, trasformando il welfare europeo in un warfare. Oggi l’Italia spende per la difesa 33 miliardi di euro (sono evidenti gli aumenti nell’ultima finanziaria); con il piano
europeo il nostro Paese, entro quattro anni dovrebbe spendere circa 70 miliardi, intorno al 3% del Pil che spingerebbe il disavanzo pubblico dal 3,4% registrato nel 2024 al 5%. Queste risorse andranno drenate da altre voci di spesa (pubblica amministrazione, aiuti allo sviluppo, sostegno della cooperazione e delle fragilità, sanità e istruzione) contribuendo a demolire le ultime tracce di welfare.

Il fronte interno

Il conflitto tra Russia e Ucraina dimostra come sia essenziale la capacità di controllo, la manipolazione delle coscienze, la pacificazione di ogni forma di conflitto interno. Lo strumento strategico ideato dal governo per neutralizzare ogni forma di dissenso è il ddl 1236 (ex ddl 1660), ormai di fatto approvato al Senato che a breve sarà legge dello stato. Include una serie di provvedimenti che colpiscono penalmente ogni forma di lotta; segna una nuova fase nel processo di invisibilizzazione dei migranti e peggiora i luoghi di detenzione amministrativa, trasformandoli in lager fuori dal diritto penale; rende ancora più critica la situazione nelle carceri; criminalizza ulteriormente i salvataggi in mare equiparando navi della guardia Costiera a navi da guerra; favorisce l’aumento delle armi possedute dagli agenti di pubblica sicurezza, creando di fatto attorno a loro uno scudo legale e penale. Il disegno di legge contiene la “norma anti-No ponte” integrato nell’art. 19, un emendamento che introduce aggravanti per tutti gli atti finalizzati all’impedimento della realizzazione di infrastrutture ritenute strategiche tra cui il TAV e il Ponte sullo Stretto. Il Ponte, presentato dal governo come un’opera strategica necessaria alla vita dex sicilianx, è una devastante truffa sociale e ambientale. Andrebbe edificato in un’area ad alto rischio sismico costantemente instabile. Costerebbe più di 14 miliardi di euro, fondi che andrebbero destinati a reti ferroviarie, strade e porti. Fino ad ora è già costato centinaia di migliaia di euro, prelevati dai Fondi di Coesione e Sviluppo di Calabria e Sicilia, originariamente pensati per ridurre divari socio-economici che avrebbero dovuto supportare la micro impresa e finanziare la tutela dell’ambiente, la promozione della cultura, dell’istruzione, della formazione e il miglioramento della salute. Di contro, sono stati il salvadanaio del malaffare siciliano. L’opera determinerebbe un irrimediabile impatto ambientale, modificando irreversibilmente l’ecosistema, distruggendo la bellezza paesaggistica. Andrebbero demoliti interi paesi, con relativo spostamento coatto dei residenti e chiusure delle attività economiche esistenti. Nonostante ci siano, ormai da decenni, possibili alternative alla promozione della mobilità (dal potenziamento dei porti all’apertura di nuovi aeroporti), il governo insiste nel progetto eco-mostro, ai danni della popolazione di Sicilia e Calabria.

STUDENTƏ REPRESSƏ

Secondo il nuovo art 31 del ddl, se studentx o docente dovessero partecipare a un movimento politico o fossero attivistx di una associazione, l’Università dovrebbe comunicarlo su richiesta dei Servizi Segreti. Lo stesso avverrà se un professore insegna in aula argomenti ritenuti “pericolosi” o sovversivi. Purtroppo già è stato eclatante il caso del professor Raimo, sanzionato e sospeso, per aver criticato il ministro Valditara. Il governo vuole limitare le possibilità degli studenti di apprendere di più su temi di attualità, di sviluppare un pensiero critico e soprattutto di esprimere il proprio dissenso e ribellarsi. Per gli studenti, come per tutte le altre soggettività, sarà più difficile manifestare visto il rafforzamento dei controlli e l’aumento del potere garantito alle forze di polizia, ormai legittimate a intervenire sempre. Chi partecipa a manifestazioni non autorizzate, rischia multe che possono variare da 2.000 a 10.000 euro; queste sanzioni sono applicabili alle proteste che vengono giudicate “minacciose” per l’ordine pubblico, anche senza episodi di violenza diretta. Se la manifestazione sfocia in episodi di violenza o danneggiamenti a persone o cose, le pene possono essere la reclusione da 1 a 4 anni. L’intento è di intimorire i giovani, che spesso sono protagonistx di proteste su temi come l’ambiente, l’istruzione, i diritti civili o le strutture scolastiche fatiscenti nelle quali quotidianamente si tengono le lezioni senza alcuna sicurezza. Ciò solleva una domanda cruciale: fino a che punto un governo può limitare il diritto di protestare per garantire “l’ordine pubblico”? Il ddl sicurezza propone una serie di modifiche giuridiche liberticide per punire i soggetti che non abbassano la testa di fronte alle ingiustizie e protestano per chiedere giustizia climatica, contro le “grandi opere” o che si oppongono al PCTO. A Catania, ad esempio, all’istituto tecnico aeronautico Arturo Ferrarin è OBBLIGATORIO partecipare alle attività tenute nella base NATO di Sigonella(9). Chi prende posizione contro le ingiustizie sociali e politiche, rischia di essere privato della propria libertà di espressione e penalizzato.

La Rete No DDL Sicurezza Catania

In continuità con i lavori del ddl al Senato, il Ministro degli Interni, quale segno tangibile della nuova politica di governo, ha promosso anche l’istituzione delle “Zone Rosse”, aree sottoposte a controlli intensificati di pubblica sicurezza, in tantissime città italiane, anticipando i dispositivi e le logiche del ddl. La prefetta di Catania ha subito risposto alla sollecitazione decretandone sei. L’opposizione alle Zone Rosse è stata un tratto fondante della neo costituita Rete No DDL Sicurezza Catania, un soggetto politico eterogeneo, autoconvocato, animato da militanti e attivisti di gruppi organizzati e soggettività autonome, nato lo scorso novembre, attraverso una prassi di organizzazione orizzontale ben definita: le assemblee cittadine pubbliche itineranti sono state unico luogo di discussione e decisione politica; settimanalmente sono state costruite iniziative informative, supportate da volantinaggi e affissioni. Ogni evento ha segnato un momento di riappropriazione temporanea di uno spazio pubblico (piazza, strada, giardino, ville). Sono stati numerosi i momenti di lotta, per allargare la partecipazione alla mobilitazione, non solo in modo quantitativo ma anche qualitativo. I cortei e le azioni dirette, unite ad una massiccia opera di contro informazione che ha coinvolto le strade e le piazze oltre che i canali social, hanno permesso alla mobilitazione di crescere e di porsi nuovi obiettivi come il contrasto del modello Caivano che dovrebbe essere applicato nel centrale quartiere di San Cristoforo; la mobilitazione del fronte cittadino in difesa di produzione, distribuzione e uso della Canapa light; il contrasto di logiche di gentrificazione e turistificazione selvaggia, imposte alla popolazione come unico modello di sviluppo economico possibile, difese attraverso misure di controllo poliziesco e retorica del decoro.

L’appello

Il carattere marcatamente repressivo presente nel ddl 1236, ma anche nel dl “Caivano” della direttiva “Zone Rosse” e persino nelle modifiche al codice della strada tende, non solo, a risolvere ogni questione sociale attraverso misure penali(10), ma sposta il soggetto del diritto: dalla tutela della collettività verso la tutela dell’autorità pubblica scivolando in direzione della legge marziale. Legge emergenziale d’eccellenza, che qui, presuppone l’intento specifico di colpire, anche preventivamente, là dove le lotte si intersecano con il disagio e lo organizzano proponendo soluzioni militanti. Perseguendo un’alleanza con le forze di polizia, protagoniste dell’avvitamento repressivo e destinatarie di robuste politiche di sostegno. Crediamo che un aspetto della lotta, fondamentale per sbaragliare i piani del nemico, sia la solidarietà, bersaglio principe del disegno di legge 1236. In quanto ricorrono nel testo veri e propri tentativi di colpire individui e disarticolare reti sociali, sanzionando chi supporta gli occupanti di edifici pubblici a scopo abitativo, cercando di spezzare la solidarietà all’interno delle carceri tra i detenuti (e con chi sta fuori) e attraverso il neonato “reato di parola”, volto a colpire lo scambio e la diffusione d’informazioni. Per rilanciare la complicità e la solidarietà tra sfruttatx/oppressx, pensiamo sia necessario provare a costruire insieme in Sicilia una mobilitazione unitaria, che possa affinare legami e pratiche, utili a combattere la repressione nel nostro specifico territorio. Vogliamo ribaltare la narrazione di una Sicilia disomogeneamente abitata e vissuta, una terra d’emigrazione, talvolta deserta, arretrata, abbandonata, perfetta unicamente per edificare basi militari e strutture detentive, come cattedrali nel deserto, isolate, mute ed occultate alla vista.

Riteniamo necessario che proprio dalla Sicilia si alzi una voce contraria, forte ed unita per contrastare i progetti repressivi e guerrafondai previsti dallo Stato Italiano per quella che considera una debole colonia periferica e silenziosa. Sappiamo quanto sia necessario che la mobilitazione esondi fuori dai circuiti militanti cittadini. Crediamo non si possa più indugiare. Ci appelliamo pubblicamente a organizzazioni, realtà politiche, individualità che condividono le analisi trattate in questo appello a partecipare alla costruzione di una mobilitazione regionale contro leggi repressive e stato di guerra.

Con il nostro cuore rivolto al genocidio palestinese, forma repressiva più estrema ed
espressione massima di brutalità e annichilimento di una intera popolazione. Stop Genocide! Free Palestine!

No ddl Sicurezza Catania.


1 come salumi, pesce, formaggi (solo se stagionati), farina, lievito, vino e birra.
2 Centri di detenzione per le persone senza permesso di soggiorno, quindi deportabili nei paesi detti
“di origine”.
3 Centri di identificazione e confinamento per coloro che sono appena sbarcatx.
4 Centri Governativi di Prima Accoglienza di trattenimento coatto, per coloro che riescono a
presentare una domanda di protezione internazionale.
5 Mobile User Objective System è un sistema di comunicazioni satellitari (SATCOM) militari ad alta
frequenza(UHF).
6 stazione di rifornimento delle Forze di Mobilità Aerea statunitensi che ospita gli aerei-radar AWACS
e i caccia della NATO.
7 stazione di rifornimento della marina militare italiana e statunitense.
8 avamposti dell’aeronautica militare italiana in cui sono installati dispositivi di ultima generazione,
fabbricati dalla Leonardo SPA, presente con varie dislocazioni sul territorio.
9 pensate per indurre a scegliere un percorso di addestramento militare piuttosto che un percorso di
studi civile, svolte e finanziate dalla Leonardo, azienda leader nella produzione di armi.
10 cd. panpenalismo già ampiamente utilizzato nei cd. Pacchetti di sicurezza degli ultimi 25 anni.

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CPR DI MACOMER: PERQUISIZIONI, DENUNCE E FOGLI DI VIA

Diffondiamo

Oggi alcuni solidali si sono presentati di fronte al cpr di Macomer per portare un po’ di vicinanza ai reclusi. Al loro arrivo hanno trovato una jeep dei carabinieri e, ai tentativi di comunicazione con i reclusi, c’è stata una risposta, subito silenziata da una camionetta della celere già presente dentro.
Le forze dell’ordine hanno immediatamente bloccato i solidali, pretendendo di portarli in caserma per effettuare foto segnalazioni  e delle perquisizioni personali più accurate delle compagne presenti, nella ricerca di armi.
I solidali si sono negati di spostarsi in caserma e, dopo aver minacciato di trattenerli sino a notte,gli sbirri hanno proceduto alle perquisizioni personali e delle auto sequestrando diverso materiale, sono stati notificati fogli di via e diverse denunce.

Nel lager di Macomer sono al momento recluse una cinquantina di persone, la maggior parte portati da altri cpr per motivi punitivi. Si trova in un posto isolato, difficile da raggiungere e costantemente presidiato dalle forze dell’ordine, che impediscono a chiunque di avvicinarsi a meno di 500 metri. Alle persone recluse viene costantemente impedito di contattare avvocati, accedere al telefono, ricevere pacchi. Ad ogni saluto, la repressione e il tentativo di silenziare la solidarietà aumenta. Ma i legami si rafforzano, i cpr continuano a bruciare, e noi restiamo al fianco di chi lotta per la libertà.

INTIMIDAZIONI POLIZIESCHE A BUSTO ARSIZIO

Diffondiamo

Volantini e locandine sequestrati, minacce e gomme dell’auto tagliate: cronaca di un fermo di Polizia a Busto Arsizio.

Nella notte di venerdì 28 marzo, intorno alle 01:15, tre compagni sono stati fermati nel centro di Busto Arsizio da una pattuglia della Polizia di Stato. Gli agenti sono arrivati in modo irruento, urlando dal finestrino prima ancora di scendere dall’auto e chiedere immediatamente i documenti.
Uno dei fermati non aveva con sé la carta d’identità, che si trovava all’interno di un’auto parcheggiata poco distante. Dopo l’arrivo di altre due pattuglie, due dei compagni (quello senza documenti e il conducente) sono stati accompagnati all’auto, mentre il terzo è stato portato al commissariato all’insaputa degli altri, non prima di essere perquisito corporalmente.
Raggiunta l’auto, i documenti sono stati consegnati, ma è seguita una perquisizione del veicolo e il sequestro di volantini e locandine inerenti al corteo contro la guerra del 5 aprile, oltre ad altro materiale informativo.
Terminata la perquisizione, alla quale hanno assistito quattro agenti, i due compagni sono stati fatti salire su una delle pattuglie presenti e portati al commissariato, dove hanno raggiunto il terzo compagno già trasferito in precedenza. Sono rimasti chiusi in una celletta per oltre un’ora, prima di essere rilasciati con verbali di sequestro del materiale e una denuncia per “porto di armi od oggetti atti ad offendere” a causa di un coltellino svizzero consegnato durante la perquisizione.
Ci teniamo a sottolineare come il semplice coltellino svizzero sia stato classificato nel verbale come un coltello con lama a scatto.

Dopo il rilascio, intorno alle 03:30, una volta tornati all’auto, ironia della sorte, si potevano notare le due gomme posteriori completamente a terra.
La mattina, il gommista al quale è stata portata l’auto ha confermato che le gomme presentavano tagli netti, compatibili anche con il taglio di un coltello con la lama piccola, simile a quella dei coltellini svizzeri multiuso.
Nonostante ciò, non ci faremo intimidire. Vogliamo rendere pubblico quanto accaduto, senza vittimismo, per evitare che questi fatti restino confinati tra chi li compie e chi li subisce.
Quanto accaduto è solo un tassello di un quadro più ampio, in cui le forze dell’ordine esercitano il monopolio della violenza con sempre maggiore impunità. Siamo immersi in un delirio securitario, dove ogni pretesto è buono per restringere le libertà, soffocare il dissenso e normalizzare l’abuso di potere. Il controllo capillare, la repressione crescente e questo tipo di intimidazioni non sono eccezioni, ma il sintomo evidente di un sistema che punta a limitare il più possibile ogni forma di dissenso e protesta.

Anche per questo rilanciamo il corteo del 5 aprile a Busto Arsizio e invitiamo tutti e tutte a partecipare per dimostrare che, nonostante minacce e intimidazioni, continueremo a scendere in piazza e a lottare per un mondo libero da guerre, disuguaglianze sociali, sfruttamento e oppressione.

Contro la guerra e ciò che la rende possibile
NO REARM EUROPE – NO all’ECONOMIA di GUERRA – NO DDL1660 – NO alla NATO –
PALESTINA LIBERA!

Sabato 5 Aprile
ore 15:00
Piazza Garibaldi
CORTEO

Assemblea contro la guerra