FIRENZE: SGOMBERO STUDENTATO AUTOGESTITO PDM27 + ASSEMBLEA PUBBLICA IN DIFESA DEGLI SPAZI OCCUPATI

Dopo l’occupazione Corsica della settimana scorsa un’altra esperienza di autogestione è stata sgomberata ieri mattina in via Ponte di Mezzo a Firenze: si tratta dello studentato autogestito dal 2016, PDM27.

Fin dalle prime ore del giorno un elicottero ha sorvolato la zona per impedire alle persone di salire sul tetto, mentre un ampio dispiegamento di uomini e mezzi ha nuovamente militarizzato il quartiere.

Dai media apprendiamo che, come per Corsica, anche in questo caso “il provvedimento di sgombero è stato emesso dal giudice per le indagini preliminari di Firenze su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia”, un’operazione che “si inquadra nella direttiva inviata dallo stesso ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a tutti i prefetti d’Italia, in cui si sollecita a procedere con forza contro le situazioni di illegalità.”

Un intervento che evidenzia come l’antimafia sia sempre più interessata e coinvolta nella repressione politica di movimenti e dissidenze.

Dal Viminale applaudono all’operazione sottolineando come si tratti di “interventi fondamentali per il ripristino della legalità, necessari a garantire migliori condizioni di sicurezza ai cittadini”.

Il solito mantra della sicurezza, quella stessa sicurezza che continua a sacrificare la vita di persone e territori sull’altare della speculazione e del profitto, costruendo città sempre più invivibili ed esclusive.

Lo Stato non si sta facendo scrupoli a strumentalizzare quanto avvenuto all’ex Hotel Astor per far fuori quelle esperienze che si oppongono ad una realtà fatta di solitudine e sfruttamento, e alla turistificazione selvaggia di interi quartieri.

L’immobile secondo la stampa sarebbe destinato ad un progetto di “housing sociale” per persone con vulnerabilità psichica, senza vergogna lo Stato non esita a manipolare l’opinione pubblica sbandierando progetti di interesse sociale per coprire la violenza con cui intanto reprime, sgombera e rade al suolo esperienze di riappropriazione, mutualismo e autogestione.

Solidali con chi resiste!


Intanto rilanciamo da La Polveriera:

ASSEMBLEA PUBBLICA IN DIFESA DEGLI SPAZI OCCUPATI

Vogliono fare il deserto ma non glielo permetteremo.

“Chiamiamo a raccolta tutti coloro che avranno voglia di mettersi in gioco per costruire una resistenza collettiva e cittadina agli sgomberi.”

Venerdì 18 agosto alle 18 in piazza Tasso assemblea pubblica in difesa degli spazi occupati.

 

OPERAZIONE REPRESSIVA CONTRO IL GIORNALE ANARCHICO BEZMOTIVNY

Diffondiamo:

All’alba di oggi, 8 agosto, lo Stato, per mano della procura di Genova (nella figura del pubblico ministero Federico Manotti) e della DIGOS di La Spezia, ha attuato l’ennesima operazione repressiva contro il movimento anarchico, con cui si vorrebbe mettere a tacere – come accadeva già oltre cent’anni fa con le “leggi antianarchiche” – ogni anelito e aspirazione rivoluzionaria.
In questa indagine sono accusati dieci compagni anarchici, tra cui cinque compagni di Carrara, per cui il pubblico ministero aveva originariamente chiesto l’arresto in carcere: un’ordinanza che il giudice per le indagini preliminari Riccardo Ghio ha mutato in quattro arresti domiciliari con tutte le restrizioni, cinque obblighi di dimora con rientro notturno, e un compagno senza alcuna restrizione. Per uno dei quattro compagni destinatari degli arresti domiciliari è stata disposta dal GIP la traduzione in carcere in quanto privo di una residenza formale: Luigi è stato quindi trasferito nel carcere di La Spezia.
Oltre alle perquisizioni domiciliari è stato perquisito il Circolo Culturale Anarchico “Gogliardo Fiaschi”, storica sede anarchica carrarina. Riviste, libri, volantini, manifesti e i supporti informatici sono stati sottoposti a sequestro.
I compagni sono accusati di associazione sovversiva con finalità di terrorismo (art.270 bis c. p.) e di istigazione a delinquere (art. 424 c. p.) aggravata dalla finalità di terrorismo, in relazione alla pubblicazione, a partire dal 2020, del quindicinale
anarchico internazionalista “Bezmotivny”, oltre che di offesa all’onore e al prestigio del presidente della repubblica e di stampa clandestina.
Seguiranno aggiornamenti sulle iniziative che verranno intraprese in solidarietà con i compagni.

Solidarietà rivoluzionaria con i compagni arrestati e sottoposti alle misure restrittive!

Né dio, né Stato, né servi, né padroni!

Circolo Culturale Anarchico “Gogliardo Fiaschi”
Carrara, 8 agosto 2023

L’indirizzo per scrivere a Luigi:

Luigi Palli
Casa circondariale di La Spezia
Piazza G. Falcone e P. Borsellino n. 1
CAP 19125
La Spezia (SP)

Testo PDF

GENOVA, LA SPEZIA, MASSA CARRARA: OPERAZIONE ANTI-ANARCHICA E MISURE CAUTELARI

Ennesima operazione anti-anarchica questa mattina. Si parla di 9 misure cautelari: un compagno di 27 anni in carcere, tre compagni tra i 35 e i 56 anni agli arresti domiciliari e altri cinque tra compagni e compagne con l’obbligo di dimora nelle rispettive città. Sotto accusa la redazione di testi “con finalità di terrorismo”, in particolare del quindicinale anarchico “Bezmotivny”.

https://www.agi.it/cronaca/news/2023-08-08/terrorismo-polizia-genova-arresta-nove-anarchici-22549513/

In attesa di aggiornamenti diretti, esprimiamo la nostra solidarietà senza se e senza ma ai compagni e alle compagne colpite!


AGGIORNAMENTI

Il compagno arrestato questa mattina 8 Agosto a Carrara nel corso dell’operazione antianarchica avviata dalla procura di Genova è Gigi che è stato tradotto nel carcere di La Spezia.

Per scrivergli: Luigi Palli Casa circondariale di La Spezia Via Fontevivo 43  Cap 19125 La Spezia(SP)

FIRENZE: SGOMBERO CORSICA IN CORSO

ATTENZIONE!! Stanno sgomberando Corsica! Chi può accorra!!


AGGIORNAMENTI

Da qualche ora è in corso lo sgombero dell’occupazione Corsica in via del Ponte di mezzo 32. Meschini come al solito hanno aspettato le settimane centrali di agosto in modo da poter fare le loro porcate sotto meno sguardi possibili. Sin dai primi minuti gli sbirri si sono mostrati subito molto aggressivi, in linea con la mano libera che si sentono da quando gli amici fascisti sono al governo, hanno provato a rubare quanto più equipaggiamento possibile ai compagni sul tetto e si sono mostrati molto violenti verso il presidio solidale per allontanarlo dalle vie adiacenti all’occupazione.

Tutto questo invece che fiaccare la nostra voglia di resistere, l’ha alimentata!

Ai giardini di via Mariti è già presente un presidio solidale con gli occupanti del tetto. La giornata sarà lunga e non finirà certo oggi, raggiungeteci sin da subito.

Alle 13h sarà allestito un pranzo sociale collettivo. Portate idee e materiale da campeggio per allestire il presidio permanente: tende, amache e gazebi sono benvenuti.

H 17 ASSEMBLEA PUBBLICA SU COME PROSEGUIRE LA MOBILITAZIONE

Non è il momento dello sconforto, ma della rabbia. La temperatura è gradevole, è una fantastica giornata estiva: un ottimo giorno per resistere.

Ennesima inchiesta per 270 bis in Trentino: richieste (e non concesse) 12 misure cautelari

Diffondiamo da Il Rovescio:

Nel mese di aprile scorso, i PM Raimondi e Ognibene avevano chiesto 9 misure cautelari in carcere e 3 divieti di dimora a Trento e a Rovereto per altrettanti compagni e compagne. Dal momento che il GIP ha rigettato le richieste, la Procura ha fatto ricorso: di qui la notifica ad alcuni indagati e indagate dell’udienza del riesame, fissata per il 1° agosto e rinviata al 12 settembre per difetto di notifica agli altri indagati. Questa ennesima inchiesta per «associazione sovversiva con finalità di terrorismo» – chiamata, per quel che si capisce, «Diana» – è stata aperta nel 2019, ma prende le mosse da un procedimento per «apologia del terrorismo» avviato dalla Procura di Brescia (in merito a un testo uscito sulla pubblicazione anarchica “Beznachalie”) e passato alla Procura di Trento. L’inchiesta trentina si è estesa poi a ritroso fino al 2013, anno in cui è uscito il primo numero di “Beznachalie”.

Procedendo in una direzione che assomiglia sempre di più a quella delle “leggi scellerate” con cui a fine Ottocento il governo francese aveva dichiarato “malfattori” gli anarchici in quanto tali, questa nuova inchiesta mira innanzitutto a considerare espressione di un «sodalizio terroristico» «l’ideazione, la predisposizione, la redazione, la stampa e la diffusione, anche con strumenti informatici e telematici, delle pubblicazioni denominate “Beznachalie”, “I giorni e le notti”, “Dietro le quinte”, nonché del sito web www.ilrovescio.info». I «luoghi di concertazione del programma criminoso, di raccolta e gestione fondi, di appoggio logistico e ricovero dei sodali» sarebbero gli spazi anarchici “El Tavan” di Trento e “La nave dei folli” di Rovereto, nonché alcune case private.

I «reati-scopo» di tale «sodalizio» sarebbero la contraffazione di documenti per favorire la «clandestinità ovvero la latitanza dei compartecipi», la realizzazione di attentati, l’organizzazione di manifestazioni non autorizzate e violente, la «imposizione e diffusione delle proprie idee politiche di destabilizzazione con violenza e intimidazione anche nei confronti di aziende private».

Nello specifico, si tratta dei documenti falsi per cui Agnese e Stecco sono stati condannati a 2 anni e Rupert a 1 anno e 10 mesi nel processo «Renata»; di quelli trovati a Juan in occasione del suo arresto (per cui Agnese è stata condannata a 2 anni nel primo grado della “operazione senza nome”); del «sostegno operativo» alla latitanza di Juan (per cui Manu è stato condannato a 10 mesi dopo esser stato detenuto per oltre un anno); delle azioni dirette contro il tribunale di sorveglianza di Trento (avvenuta nel 2014 e per cui Juan è stato condannato a 3 anni e 6 mesi nel primo grado dell’“operazione senza nome”), contro la sede della Lega di Villorba (Treviso) del 2018 (per cui Juan è stato condannato a 28 anni in primo grado e a 14 in secondo grado) e contro un Frecciargento a Bolzano nel 2015 (un tentato incendio che i PM vorrebbero attribuire a un compagno in base alle tracce di DNA rinvenute sull’ordigno incendiario, e per cui si indaga per «atto con finalità di terrorismo»); la manifestazione al Brennero del 2016 contro le frontiere (per la quale, in due diversi tronconi processuali, sono stati distribuiti in appello oltre 130 anni di carcere); il tentativo di leggere in una radio commerciale un comunicato contro la strage avvenuta nelle carceri nella primavera del 2020 (per cui Massimo è stato condannato a 1 anno e 1 mese nel primo grado dell’“operazione senza nome”); il tentativo di bloccare una trivella del TAV a Trento nel gennaio del 2022 (per cui esiste un altro procedimento penale in corso). A parte l’episodio del Frecciargento, quindi, si tratta di fatti già oggetto di altri processi o procedimenti. L’intento della Procura è quello di riutilizzare gli stessi episodi per giustificare quel 270 bis sempre caduto nelle inchieste precedenti. Intento che raggiunge i contorni di una vera e propria metafisica della repressione: i reati-scopo esprimono e sostanziano l’associazione sovversiva, la quale, però, nella sua dimensione «ontologica» (proprio così), prescinde dai singoli atti. Puro intelletto terroristico (per questo la centralità delle pubblicazioni), il quale, anche quando non si traduce in atti di eversione, comunque li istiga o ne fa l’apologia.

L’aspetto più pericoloso – oltre all’attacco alle pubblicazioni in quanto tali – è senz’altro la definizione di «terrorismo» impiegata da DIGOS e PM: «intimidire la popolazione e costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto». Si tratta dell’ormai noto art. 270 sexies, introdotto dal “pacchetto Pisanu” nel 2005. Come è già stato detto e ridetto, «intimidire la popolazione» è un’attività che caratterizza lo Stato e non certo gli anarchici, mentre «costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto» è quello che si prefigge ogni lotta. Fermare il TAV non è forse costringere governo e RFI ad astenersi dal realizzare l’opera? Bloccare un porto non è forse voler costringere il governo a ritirare il green pass oppure a non inviare armi in Ucraina? L’eventuale esplosione di rabbia sociale contro l’abolizione del reddito di cittadinanza non avrebbe lo scopo di costringere il governo ad astenersi dall’applicare dei provvedimenti già presi? E pretendere che un compagno esca dal 41 bis?

Benché questa definizione di «terrorismo» recepisca – con una formulazione ancora più generica e più adattabile – una definizione-quadro adottata in ambito europeo, l’Italia è l’unico Paese in cui essa viene sistematicamente usata contro il movimento anarchico (e non solo, come vedremo). L’estensione quantitativa e qualitativa del suo uso è un chiaro indicatore di ciò da cui non si può più prescindere: siamo in guerra.

Sul piano generale

Solo negli ultimi due mesi, ci sono state notifiche d’inchieste, anche con perquisizioni e talvolta misure cautelari, a Milano, Trieste, Bologna, Potenza, Torino, Palermo e Perugia. Al di là dei singoli episodi contestati, è evidente che la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo sta facendo il giro delle Procure con un messaggio esplicito: «Toglieteli di torno, con qualsiasi pretesto». Ma altrettanto evidente è il salto qualitativo: per un compagno è stata chiesta la misura cautelare in carcere per un intervento fatto durante un corteo contro il 41 bis a Torino; le inchieste di Bologna e di Potenza dicono chiaro e tondo che la campagna in solidarietà con Alfredo è di per sé «terroristica» in quanto vuole costringere lo Stato a compiere un atto che non vuole compiere: revocargli il 41 bis. Che tale intento venga perseguìto scrivendo sui muri, affiggendo striscioni, danneggiando una qualche multinazionale, interrompendo una messa, salendo su di una gru, incendiando dei cassonetti in mezzo alla strada o dei furgoni di una ditta implicata nel business penitenziario è in fondo secondario. Infatti a Perugia si è di recente aperta un’indagine per «istigazione alla violenza e apologia del terrorismo» per un lenzuolo con una scritta in solidarietà ad Alfredo e contro il 41 bis. La stessa logica viene applicata ben al di là dell’ambito anarchico. Infatti un paio di settimane fa alcuni militanti di “Antudo” sono stati perquisiti e indagati per «apologia del terrorismo» e per «atto con finalità di terrorismo» per aver pubblicato sul loro sito un video e un comunicato di rivendicazione relativi ad un’azione contro Leonardo-Finmeccanica. Colpire il maggior produttore di armi italiano non significa forse voler costringere lo Stato ad astenersi dal portare avanti le sue politiche di guerra? E chi diffonde le ragioni di tali pratiche di lotta non compie, per ciò stesso, apologia del terrorismo? Non serve certo un disegno per capire dove porta una tale logica inquisitoriale.

Sul piano locale

Si tratta almeno della quinta inchiesta per «associazione sovversiva con finalità di terrorismo» contro compagne e compagni in Trentino in meno di vent’anni, parlando di quelle di cui siamo a conoscenza in quanto notificate agli indagati. Se a questo aggiungiamo lo stillicidio di processi e condanne per altri reati, i compagni in carcere, ai domiciliari o uccel di bosco, le sorveglianze speciali e il fatto che alcuni compagni e compagne passano da una misura all’altra senza soluzione di continuità praticamente dal 2019, l’operazione «Diana» persegue e prosegue una strategia specifica: farla finita con la presenza anarchica in Trentino, le sue idee, le lotte che esprime o di cui è parte, i suoi spazi, le sue pubblicazioni. E non ci sembra un caso, ad esempio, che mentre sono cominciati a Trento sia i lavori per il TAV sia blocchi e contestazioni, in un’inchiesta per «terrorismo» venga inserita un’iniziativa pubblica di contrasto a una trivella e si vada a ripescare, grazie all’uso poliziesco-giudiziario della genetica, il tentato incendio di un Frecciargento avvenuto il 25 aprile del 2015. (Visto che a DIGOS e PM dà così fastidio che si pubblichino i comunicati di rivendicazione, queste le parole diffuse all’epoca dagli anonimi sabotatori: «In ricordo dei sabotaggi partigiani. Libertà per i compagni in carcere. Ciao Guccio. Non sempre la fortuna aiuta gli audaci»). Tra l’altro, il primo tentativo (fallito) di applicare il 270 sexies è stato quello della Procura di Torino nei confronti dei compagni e della compagna arrestati e condannati per l’azione incendiaria contro il cantiere chiomontino del TAV nel 2014 (il cosiddetto processo del «compressore»).

La morale dell’obbedienza

Negli stessi giorni in cui veniva notificata l’inchiesta «Diana» (con cui volevano sequestrare in carcere e togliere dalle lotte ben 12 compagni e compagne), i PM Raimondi e Ognibene ponevano sotto sequestro giudiziario una porzione del cantiere TAV a Trento Nord (senza che questo fermasse il prosieguo dei lavori complessivi). Un provvedimento interno a un’indagine per «disastro ambientale» – per ora nei confronti dell’amministratore delegato e di un altro responsabile di RFI – aperta in seguito all’esposto fatto da alcuni No Tav. Benché i lavori del TAV continuino tutt’attorno, il sequestro di alcune aree inquinate dall’ex Sloi e dall’ex Carbochimica (in particolare a causa del piombo tetraetile e di vari solventi chimici) e la realtà di un possibile avvelenamento di massa che diventa «ipotesi di reato» hanno sbugiardato le continue rassicurazioni di RFI e le palesi complicità di Provincia e Comune di Trento. Gli stessi magistrati che riconoscono formalmente la fondatezza degli allarmi contro il TAV, colpiscono chi da quegli allarmi trae la logica conseguenza sul piano etico e pratico: costringere con l’azione governo e imprese a non realizzare l’opera. Qual è la morale della storia? A noi sembra questa: se di fronte a un disastro ambientale si fa appello alla magistratura si è dei «cittadini»; se ci si organizza per bloccare o peggio ancora sabotare i mezzi del disastro si è «terroristi» – di più: si è «terroristi» anche se si difendono o soltanto si diffondono le ragioni dell’azione diretta. Si chiama morale dell’obbedienza.

Dal nostro lato della barricata, ogni giorno di obbedienza, ogni giorno di pace sociale è un giorno in più di guerra e di repressione.

anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto

MOUSTAFÀ FANNANE, ENNESIMA VITTIMA DEL SISTEMA CPR

 

Riceviamo e diffondiamo la vicenda di Moustafà Fannane, ennesima vittima del sistema CPR. Per noi non ci sono né ombre né dubbi, sappiamo chi è stato.

Moustafà Fannane: ennesima vittima del sistema CPR

Ovvero una morte sospetta per abuso di psicofarmaci dopo la detenzione in un Centro Per il Rimpatrio

Il 19 Dicembre 2022 a Roma è venuto a mancare Moustafà Fannane, classe 84, originario della città marocchina di Fqih Ben Salah. Ennesima morte sospetta per abuso di psicofarmaci.

Moustafà era giunto in Italia nel 2007, come molti suoi conterranei alla ricerca di un futuro migliore, e per un periodo di tempo aveva svolto una vita regolare fatta di lavoro al fine di aiutare la famiglia in Marocco in grave difficoltà economica. Descritto dai suoi conoscenti come persona gentile e educata, nel 2014 comincia ad avere delle difficoltà, perde il lavoro e l’alloggio. Come se non bastasse in questa situazione drammatica e precaria nel 2015 viene raggiunto da un decreto di espulsione, circostanza che non sarebbe mai stato in grado di affrontare dal punto di vista legale viste le condizioni in cui versava.

Nel 2019 viene trattenuto per sei mesi presso i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Roma e Torino. Nell’estate 2020 nonostante la sua condizione di disagio psicologico e socio-economico verrà nuovamente condotto nel CPR. Molti residenti, nel quartiere Torpignattara a Roma dove viveva, hanno giudicato tale misura del tutto ingiusta e inappropriata nei confronti di una persona che aveva bisogno di cure e sostegno. Nell’agosto 2022 viene nuovamente arrestato e condotto nuovamente nel CPR. Verrà ritenuto idoneo a rimanere recluso. Durante questo ultimo trattenimento, in contatto con una sua conoscenza lamenterà di essere affetto da un gonfiore a carico del volto di cui non sa spiegare il motivo, circostanza notata poi da molte altre persone una volta uscito le quali sono rimaste molto sorprese dalle sue condizioni definite come qualcosa di simile a un abuso di psicofarmaci, apatia, pallore. Nella documentazione rilasciata dal centro ai legali dei familiari non risultano fogli di dimissioni, pertanto dopo 3 mesi di terapia basata sulle 25 – 50 gocce giornaliere di Diazepam, Moustafà viene rilasciato senza nessuna indicazione terapeutica o prescrizione di visita specialistica. Verrà rinvenuto in strada privo di sensi e troverà la morte nell’ospedale Vannini a sole tre settimane dal rilascio dal CPR.

Sappiamo bene che sono gli psicofarmaci lo strumento principale di gestione delle persone recluse nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio dei migranti. Antiepilettici, antipsicotici, antidepressivi e metadone: “servono per stordire donne e uomini in modo che mangino di meno, restino più tranquilli e resistano di più al sovraffollamento, nelle gabbie in cui vengono stipati. All’ente gestore gli psicofarmaci costano meno del cibo e permettono di riempire maggiormente i CPR e allungare il tempo di permanenza di ciascun migrante nella struttura, in modo da aumentare i guadagni”. Presso i CPR “non sono previste attività, le giornate sono tutte uguali; un operatore ci ha raccontato che gli psicofarmaci sono usati per stordire le persone così “mangiano di meno, fanno meno casino, rivendicano di meno i loro diritti”. La spesa per gli psicofarmaci è altissima mentre la tutela della salute all’interno dei CPR non è affidata a figure specialistiche che lavorano per il Ssn bensì da assunti da enti gestori che mirano a risparmiare”. Sui numeri: rispetto all’esterno, su una popolazione di riferimento simile, la spesa in antidepressivi, antipsicotici e antiepilettici nella struttura di via Corelli a Milano è di 160 volte più alta, al CPR di via Brunelleschi a Torino 110, a Roma 127,5, a Caltanissetta 30 e a Macomer 25. Addirittura a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo ‘normale’ ne prevede al massimo 15. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. Anche a Milano il Rivotril rappresenta la metà del totale della spesa in psicofarmaci con 196 scatole acquistate in soli cinque mesi.1

Questa triste vicenda dai molti punti ancora oscuri ci invita a interrogarci come sia stato possibile che una persona in difficoltà come Moustafà sia potuto essere stato soggetto a numerosi arresti e trattenimenti presso dei CPR; se le Istituzioni abbiano mai realmente provato a fare qualcosa per questa persona. Ci domandiamo anche se il rispetto e la tutela della salute dei reclusi dentro i CPR siano garantiti a partire dalle visite mediche.

Per il momento per la morte di Moustafà è stato aperto un procedimento presso la Procura di Roma. Ci auguriamo che venga fatta chiarezza sulle reali cause del decesso di Moustafà che cercava solo una vita migliore.

Da: https://artaudpisa.noblogs.org/post/2023/07/30/moustafa-fannane-ennesima-vittima-del-sistema-cpr/

https://www.osservatoriorepressione.info/ombre-dubbi-sulla-morte-moustafa-fannane/


1https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani/

TRIESTE: E VENNERO A METTERCI LE SPIE IN AUTO

Riceviamo e diffondiamo esprimendo la nostra solidarietà e complicità alle compagnx, consapevoli che la solidarietà attiva può trasformare la realtà più cupa e aprire varchi insospettabili nei muri della repressione e dell’isolamento. 

Sabato mattina unə nostrə compagnə è statə svegliatə dai vicini perché qualcunə le aveva rotto il vetro dell’auto. Un furto strano: cd masterizzati, l’adattatore del gpl, un bicchiere, una borsina regalo con erbe dell’orto e... un sambuco fatto in casa contro la repressione (calza proprio a pennello, vedi sotto l’etichetta!). Ogni città è paese, e qualche vicinə aveva infatti visto 4 uomini, con fare discreto e indisturbato, entrare e uscire da quell’auto la notte prima alle 23:30, subito dopo un rumore di vetri rotti: uno entrava dalla parte del passeggero e trabiccolava sporgendosi fino al lato dell’autista, gli altri tre stavano sotto il lampione. Tanto incuranti dei passanti che sembrava fosse la loro auto. Chissà se loro stessi o dei colleghi hanno poi lasciato il bigliettino della questura trovato sul tergicristalli che suggeriva di presentarsi per denunciare il fatto.

Nel rimediare al danno pulendo la macchina un pezzo sotto il volante
, vicino ai pedali, era fuori posto e seguendo un filo si è trovata la microspia.

Ma perché è stata messa? Non lo sappiamo. Sarà per la solidarietà mostrata verso le persone rinchiuse nel CPR di Gradisca per non avere documenti regolari? Sarà per l’appoggio mostrato alla battaglia di Alfredo Cospito contro il 41 bis? Sarà per l’opposizione all’ovovia, proprio in questo sprint estivo in cui i tecnici si stanno presentando alle porte con le planimetrie per l’esproprio?

L’essere sensibili, e non indifferenti, all’orrore dei CPR, all’atrocità del 41 bis e alla devastazione ambientale per noi non è una colpa, è piuttosto la nostra unica maniera di vivere umanamente, nonostante l’atrofia che spesso percepiamo attorno.

Preoccupa però, per l’ennesima volta quest’anno, la sproporzione delle azioni di procure e questure. Sembra il tentativo non sia tanto di reprimere episodi specifici, quanto di affogare chi prova a rimanere a galla in quella melma di individualismo e controllo che ci circonda.

Qualcuno diceva che una società ingiusta ha sempre bisogno di reprimere dei criminali per legittimarsi. La soglia sopra la quale qualcunə diventa tale la determina però la società stessa: nei periodi di maggior paura a reagire anche solo l’avere una certa idea può diventare sufficiente. La mente ci corre veloce a Perugia e a Potenza, dove negli ultimi mesi sono state aperte delle indagini per 270 bis (associazione terroristica!) per aver mostrato pubblicamente appoggio alla lotta intrapresa da Alfredo Cospito contro il 41 bis (in un caso per uno striscione), o a Bologna e Rovereto, dove è stata aperta un’indagine analoga nella quale un cassonetto in fiamme è considerato come un “attentato”. Allora, l’unico rimedio che ci pare necessario venga messo in campo è quello che esiste già: reagire collettivamente all’intollerabile sensazione di avere un lager per persone migranti a Gradisca; al pensiero che mentre guardiamo il cielo qualcuno boccheggia sotto tortura bianca, in 41 bis, a Tolmezzo; all’imposizione vorace e prepotente di una maxi opera nel bosco Bovedo. Reagire colletivamente alla chiusura dei consultori a Trieste, all’espansione della SIOT a Paluzza, alla violenza di genere e al clima di guerra che avanza. Reagire, e in questo modo, non avranno abbastanza microspie e orecchie per tenerci sotto controllo, e, tuttə, saremo più felici e un po’ più umanə.

Link: https://laburjana.noblogs.org/post/2023/08/02/e-vennero-a-metterci-le-spie-in-auto/ Canale telegram https://t.me/sullabreccia


PERQUISIZIONI A TRIESTE

OPUSCOLO: LA TRANSIZIONE ALLA GUERRA IN CASA

Riceviamo e diffondiamo questi appunti sulla ristrutturazione energetica e digitale delle forze armate, il suo contesto e il mondo che prepara.


Introduzione

Che il complesso militare nostrano si sia mosso con crescente determinazione nella direzione di una sempre più accentuata penetrazione nella cosiddetta “società civile” è un fatto che si è reso sempre più evidente negli ultimi decenni, con una più marcata accelerazione in tempi recenti dettata dalle esigenze della ristrutturazione capitalistica in corso e dagli equilibri politico-militari globali in via di ridefinizione.

La società e la sua cultura sono sempre più penetrare e irradiate dei valori e dei modelli del bellicismo, in funzione dei vecchi e nuovi interessi del complesso tecno-industriale e finanziario. Come ha notato qualcuno, “la logistica della guerra” segue (e anticipa) le velocità, le maniere e, aggiungiamo, le necessità dello Stato capitalista, ne mutua il paradigma di produzione just in time come adeguamento quasi in tempo reale ai mutamenti e ai bisogni del momento.

Dalla firma nell’ormai lontano dicembre 2017 di un protocollo di collaborazione nei progetti di alternanza scuola-lavoro tra il Ministero della Difesa e quelli di Lavoro, Istruzione e Università e Ricerca, alla stipula, il 24 febbraio 2022, di un accordo tra i rappresentanti della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI) e la Fondazione Leonardo Med-Or di Marco Minniti, al fine di “promuovere attività culturali, di ricerca e formazione scientifica”; dall’istituzione, nel febbraio 2023, di un “Comitato per lo sviluppo e la valorizzazione della cultura della difesa” che dovrebbe, nelle parole del ministro guerrafondaio Guido Crosetto, spostare l’attenzione “anche sull’impatto che la difesa nel suo complesso ha sulla vita di tutti i giorni” grazie all’aiuto di una schiera di servi volontari economisti, giornalisti, intellettuali, accademici, dirigenti d’azienda, all’ormai strutturale penetrazione del comparto bellico industriale in tutte le università italiane, centri di ricerca e laboratori, dipartimenti e consorzi interuniversitari, la lista delle brecce aperte in quasi tutti gli ambiti appare già ampissima e in continua e inarrestabile espansione.

Si assiste alla stretta relazione tra l’evolvere di nuovi scenari bellici a scala globale e l’aumento esponenziale della militarizzazione interna, non solo in termini di sempre più pervasiva presenza militare e poliziesca nei territori, ma anche e non secondariamente, in termini sociali e culturali, per non parlare delle ormai dilaganti strette repressive.

Un tema passato forse un po’ sottotraccia, di cui si è parlato meno, è quello legato al processo di ristrutturazione energetica e logistica che le forze armate, non solo nostrane, stanno intraprendendo e agli obiettivi ad essa strettamente connessi. Ad eccezione infatti di alcuni grandi contesti metropolitani o comunque locali, sembra che la questione degli smart military district e delle caserme verdi dell’Esercito, degli aeroporti azzurri dell’Aeronautica e delle basi blu della Marina militare, di cui si inizia a parlare intorno al 2019, raggiunga raramente gli onori delle cronache nazionali. Ed è proprio a partire da una situazione locale interessata da uno di questi progetti che si è sentita la necessità di iniziare una ricerca sul tema, nel proposito di fornire un primo contributo alla conoscenza dei mutamenti in atto e in procinto di essere attuati all’interno del comparto bellico nostrano nella prospettiva di scenari di conflitto futuri.

Questo contributo, molto lungi, come si vedrà, sia dall’essere esaustivo sia dal voler affrontare la grande complessità della materia oggetto di indagine nella sua interezza, i cambiamenti in atto nel settore militar-industriale – tanto nostrano quanto globale – e la complessità delle sue sempre più strette relazioni dual use con l’ambito civile, si propone di gettare un po’ di luce sui progetti che la difesa sta avviando nella direzione di una generale preparazione a futuri scenari bellici sul fronte interno, nascosti, manco a dirlo, dietro le tende della transizione green e digitale.

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Transizione alla guerra in casa_stampa