Diffondiamo:
Venerdì 19 gennaio 2024 a Trieste presenza solidale per Stecco: presidio al carcere e cena benefit!
Liberx tuttx!
Cresciamo nei terreni incolti, nelle zone asciutte e sassose, ai bordi dei viottoli
Diffondiamo:
Venerdì 19 gennaio 2024 a Trieste presenza solidale per Stecco: presidio al carcere e cena benefit!
Liberx tuttx!
Da: Il Rovescio
Venerdì 26 gennaio alle ore 10, a Roma, si terrà l’udienza di Cassazione contro il nostro compagno Juan per l’attacco alla sede della Lega di Villorba (TV)
Ritirata già durante il dibattimento l’accusa di strage, la procura chiede alla Cassazione di riconoscere nuovamente la messa in pericolo della vita delle persone come era accaduto in primo grado. In appello l’attacco era stato considerato potenzialmente pericoloso per “l’incolumità” ma non per la vita delle persone, cosa che ha portato ad una sensibile riduzione della pena (da 28 anni a 14 anni e 10 mesi di carcere).
Solidarietà a Juan e a tutti i compagni e le compagne imprigionati! Tutti liberi, tutte libere!
Riceviamo e diffondiamo un aggiornamento sulla situazione di Zac + un testo distribuito ad alcune iniziative.
Il tribunale di sorveglianza di Napoli, su richiesta firmata dal questore di Napoli Maurizio Agricola, ha disposto l’applicazione della sorveglianza speciale per Zac di due anni e sei mesi con le seguenti restrizioni: di non allontanarsi dall’abitazione senza preventivo avviso dell’autorità di sorveglianza, di non uscire prima delle 7 e non rientrare dopo le 20, di non associarsi “abitualmente” a persone condannate o preposte a misura di prevenzione o sicurezza, di non accedere a esercizi pubblici e di pubblico trattenimento, vivere onestamente rispettando le leggi, non detenere né portare armi, darsi alla ricerca di un lavoro, non partecipare a pubbliche riunioni, di portare sempre con sé la carta di permanenza, di presentarsi ogni domenica, o comunque a ogni invito, all’autorità preposta alla sorveglianza. A ciò si aggiunga una cauzione di 3000.00 euro da versare come garanzia, ma frazionabile in cinque comode rate.
È stato fatto ricorso. La misura sarà eseguita non appena Zac uscirà dal carcere, a prescindere dall’esito del processo per 280 bis e 270 quinques, che intanto continua con udienze calendarizzate per ora fino alla fine di febbraio (9 gennaio, 31 gennaio, 12 febbraio e 21 febbraio). Seguiranno aggiornamenti e riflessioni più approfondite.
Per scrivere a Zac:
Marco Marino
C.c. di Terni
Via delle Campore, 32
05100 Terni (TR)
Sorvegliati sempre, vigilati mai
ZAC LIBERO!
Di seguito il testo distribuito in alcune iniziative:
CONTRO LO STATO CHE REPRIME E FA LA GUERRA… RADICALIZZARSI è NECESSARIO
Solidali con Zac, a tuttx lx prigionierx e oppressx della terra
“Radicalizzazione” nell’uso comune che ne è fatto dallo Stato, dalle scuole e dal diritto è un termine diventato ormai sinonimo di “follia”, “pericolosità”, “cieco fanatismo”, che il mondo dei media o della televisione rappresenta con persone urlanti, inneggianti un dio, in preda a delìri o a persone con lo sguardo vitreo che da dietro le sbarre idolatrano un capo o un’ideologia.
Ma il significato di radicale è tutt’altro, profondo come le radici di un albero avvinghiate ai bassifondi terreni. Radicalizzarci, che significa prima di tutto riuscire a farsi una coscienza più ampia sulle cose, è rimasto il nostro unico spiraglio, in un mondo che ci ha tolto tutto o quasi e di fronte a uno Stato che ormai ha il potere di dire tutto il contrario della realtà, come se nulla fosse.
Ad esempio, proprio mentre è in atto l’estremo apice della barbarie colonialista occidentale, con l’occupazione israeliana della Palestina e il genocidio del popolo palestinese, il ministro Piantedosi ha la faccia tosta di affermare serenamente su tutte le reti televisive che in questo momento è sotto attacco il diritto dello Stato di Israele a esistere e che l’Italia deve difendere questo diritto.
Ancora, in scala più piccola, mentre affama e devasta i territori del sud Italia, criminalizza i ragazzi di 14 anni dei quartieri che non vanno a scuola e fanno lavori illegali per contribuire al mantenimento delle famiglie. E infine, mentre si macchia delle peggiori stragi nel mare, nelle carceri, nelle guerre a cui prende parte, accusa di stragismo gli anarchici.
Repressione della coscienza, repressione su larga scala
Le ultime svolte repressive puntano sempre di più a prevenire la possibilità che ci si possa rendere coscienti delle cause e dei responsabili del proprio malessere; puntano a spaventare con pene esemplari o dissuasive chi, prendendo coscienza, agisce e lotta contro stato e padroni; puntano, infine, a rappresentare come un fanatico chi persevera nella sua ostilità allo stato delle cose.
Così, i contatti tra la popolazione reclusa (fatta perlopiù di proletari e migranti) e l’esterno viene impedita laddove portatrice di sostegno agli atti di ribellione, di pensiero critico e radicale, di informazioni. Infatti, se già prima ogni intervento al megafono, volantino o opuscolo era punito con istigazione a delinquere, ora con il nuovo pacchetto sicurezza vorrebbero introdurre uno specifico reato di rivolta per chi si ribella dentro le mura e il corrispettivo reato di istigazione alla rivolta per chi dall’esterno rivolge scritti ai detenuti. Così, fuori nella società, mentre nelle scuole e università si diffondono e finanziano progetti di “prevenzione alla radicalizzazione” tra gli studenti, tenuti da forze dell’ordine e magistrati manettari, così con il decreto Caivano per i giovani ragazzi dei quartieri e delle periferie, rappresentati come pericolosi nuclei di violenza organizzata in versione adolescente, la soluzione è il carcere o l’isolamento punitivo dentro casa .
Con i decreti in approvazione a fine anno, chi per necessità di un tetto sopra la testa, espulso da orde di turisti statunitensi o nordeuropei che conquistano il centro storico a botte di bnb e ‘rbnb, occupa un appartamento o una casa sarà più duramente punito, salvo che non decida di collaborare al momento dello sgombero, così da spegnere ogni forma di conflittualità e incentivare invece la logica collaborazionista. Per disoccupati e lavoratori che scendono in strada contro lo sfruttamento dei padroni e la mancanza di un salario sono previste pene più alte per i blocchi stradali.
Infine (si fa per dire!) chi continua a difendere le proprie pratiche e pensiero contro lo Stato è per forza terrorista, di cui l’equazione anarchico/radicale=terrorista non rappresenta che l’apice, in un sistema repressivo già molto avanzato per chiunque agisca secondo coscienza.
I soliti anarchici. A chi dovrebbero interessare le vicende di questi terroristi?
Se ci siamo accomodati sull’idea che tanto la repressione antimafia riguarda i “mafiosi” e quella antiterrorismo riguarda anarchici e jihadisti, siamo perduti per due ragioni.
La prima, è che vorrebbe dire che ci stiamo fidando dello stato e dei significati e delle etichette che dà a persone, pensieri e azioni, che la totale delega di noi stessi è compiuta.
La seconda è che se la repressione delle minoranze conflittuali non diventa interesse di tutti, lo Stato avrà sempre più gioco facile nell’estendere repressione a pratiche e realtà anche meno conflittuali, così come a ogni aspetto della vita di ciascuno, dal guadagnarsi il pane illegalmente al difendersi da uno sfratto e così via. E a chi pensa che il calcolo preventivo di come evitare la repressione possa servire a escluderla, forse la risposta è che questo sia utile soltanto all’arretramento delle lotte.
Guardandola più da vicino.
L’equazione anarchici/terroristi ha origini risalenti nel tempo, ma soltanto negli ultimi 3 anni post-pandemici si è arrivati per la prima volta nella storia a condannare degli anarchici per “strage politica” e associazione con finalità di terrorismo, a mettere il primo anarchico al 41bis, ad accusare per la prima volta un compagno di autoaddestramento, reato che fu introdotto dalla normativa contro il cosiddetto terrorismo islamico. Le inchieste antianarchiche si susseguono per ogni azione o parola espressa in solidarietà a prigionierx di tutto il mondo, il giudizio di essere socialmente pericolosx verso la popolazione tutta (nonostante a essere colpite siano personalità e strutture dello Stato con ben precise responsabilità) e la repressione a titolo preventivo, cioè prima che si sia materializzata una qualche azione offensiva, è oramai la normalità. Sulla base del “curriculum” militante, si incasella l’anarchico secondo un profilo più simile al boss mafioso o al kamikaze. Arriverà un punto, dove dire “anarchico” sarà sufficiente nella società ad affermare “pericoloso”, cosa che con la censura in atto alla stampa anarchica già si sta verificando.
Solidali con Zac sotto processo, contro le galere
A marzo di quest’anno arrestano il compagno anarchico Zac, mentre Alfredo era ancora in sciopero della fame contro ergastolo e 41bis. Lo accusano, con i reati di attentato con la finalità di terrorismo e autoaddestramento, di aver lanciato un ordigno fuori al consolato greco nel 2021, che il teorema accusatorio ricollegherebbe alla campagna di solidarietà con Dimitris Koufoundinas, prigioniero all’epoca in sciopero della fame nelle carceri greche. Visto che lo Stato ce ne dà l’occasione con questo processo, ricordiamo che lo sciopero della fame che Koufoundinas stava portando avanti nelle carceri greche era la sua lotta contro una riforma penitenziaria epocale in Grecia, che avrebbe istituito la massima sicurezza per i detenuti politici. E ricordiamo anche che questo avveniva mentre contemporaneamente lo stato greco istituiva la polizia dentro le università per reprimere dai suoi primi afflati, ogni cenno di ribellione, in una situazione di ampio fermento contro le riforme carcerarie ed educative, e nel contesto della repressione sociale e politica scaturita dal lockdown e le altre misure anti-pandemiche. L’anno successivo, la svolta epocale arriva in Italia, quando Alfredo è portato in 41bis, dove ancora oggi, più di un anno e mezzo dopo e pur dopo uno sciopero della fame con cui ha messo a repentaglio la sua vita, si trova rinchiuso. A Zac, viene contestato per la prima volta nella storia della repressione antianarchica il reato di autoaddestramento, all’art. 270-quinquies c.p. che si inserisce nel quadro normativo del decreto Pisanu nel 2005, poi modificato nel 2015, nella cornice della legislazione antiterrorismo cosiddetto islamico, introdotta all’indomani dell’11 settembre e dei successivi attentati di matrice islamica di Londra e Madrid. Questo reato doveva essere utile a colpire quelli che sono stati definiti semplicisticamente e opportunisticamente “lupi solitari”, chi si radicalizza da solo, ad avere insomma nuovi strumenti per colpire ogni “terrorista” senza ricorrere all’impianto associativo. Fino a questo momento, questa accusa è stata utilizzata solo nei confronti dei cosiddetti terroristi islamici, persone finite in cella per il solo fatto di aver scritto un post su facebook. Nei decreti sicurezza di prossima introduzione, si prevede l’inserimento del reato di “detenzione di materiale con finalità di terrorismo”: in parole povere, uno stesso materiale letto da una persona qualunque e letto da un anarchico, diventa reato nel secondo caso. Riuscirà willy il coyote (proprio il cartone animato) guardato da un anarchico, a sfuggire alla finalità di terrorismo?
Queste considerazioni non fanno che rafforzare quello già visto fino a qui con tutte le ultime operazioni, cioè che la principale ragione per processare e rinchiudere questo compagno è il fatto che sia anarchico; è la solidarietà ai detenuti che protestavano nelle galere nel 2020, mentre lo stato li massacrava compiendo una strage di 14 persone, e ad Alfredo, mentre portava avanti uno sciopero della fame durato oltre 6 mesi contro il 41bis. Se lo accusano di solidarietà con i prigionieri in lotta e contro i potenti del mondo, non possiamo che trovarci ancor di più al suo fianco.
Su Radio Ondarossa aggiornamenti sull’operazione di schedatura genetica su base ideologica nell’ambito dell’indagine per 270bis che ha coinvolto compagne e compagni di Bologna e del Trentino a seguito della mobilitazione contro il 41-bis e in solidarietà ad Alfredo.
http://www.ondarossa.info/redazionali/2023/12/contro-schedatura-genetica-base
Diffondiamo:
Dopo la chiusura delle indagini per i fatti di Budapest e l’emanazione di 14 Mandati d’Arresto Europei, ad ottobre 2023, con l’arresto di Gabriele in Italia e di Maja in Germania tra novembre e inizio dicembre il lavoro congiunto delle polizie Europee stringe la sua morsa repressiva attorno ai compagni.
Ci troviamo di fronte a questo grave attacco con un tempo molto ridotto per immaginarci e organizzare la nostra solidarietà prima della decisione per l’estradizione del nostro compagno Grabri e di Maja. Altri arresti potrebbero avvenire nel prossimo periodo.
L’inizio del 2024, ed in particolare gennaio, saranno momenti cruciali per i compagni e le compagne colpiti/e. Invitiamo tutti e tutte a condividere e diffondere le informazioni e gli aggiornamenti relativi a questa vicenda, a mobilitarsi ed esprimere in qualsiasi modo la solidarietà!
Per mille motivi. Presenza solidale con gli anarchici accusati per la pubblicazione di “Bezmotivny” (Massa, 9 gennaio 2024)
L’8 agosto scorso un’operazione di polizia ha coinvolto dieci anarchici, indagati per associazione sovversiva con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere con l’aggravante della finalità di terrorismo, in riferimento alla pubblicazione del quindicinale anarchico internazionalista “Bezmotivny”. A fronte di un’originaria richiesta di arresto in carcere per i dieci indagati, la magistratura ha definito nove misure cautelari: quattro sono pertanto finiti agli arresti domiciliari restrittivi, mentre altri cinque all’obbligo di dimora con rientro notturno. Dopo i primi mesi, nel corso dei quali – tra carcere e domiciliari – si sono verificati alcuni temporanei aggravamenti nelle misure cautelari, per la compagna e i compagni agli arresti domiciliari restrittivi – Gaia, Gino, Luigi e Paolo – è stata fissata un’udienza processuale di giudizio immediato, presso il tribunale di Massa, il 9 gennaio 2024.
Quella di “Bezmotivny” è storia di solidarietà, internazionalismo, sostegno alla prospettiva rivoluzionaria, mentre l’operazione Scripta Scelera, volta a rendere prassi le misure cautelari in riferimento alle accuse di istigazione a delinquere aggravata, è un altro “capitolo” nelle politiche di guerra dello Stato italiano.
Dopo il processo Scripta Manent, il procedimento Sibilla contro “Vetriolo” e il trasferimento in 41 bis di Alfredo Cospito, l’operazione Scripta Scelera ha inteso “smantellare” un giornale anarchico, tentando – vanamente – di dare ancora un monito repressivo, di silenziare l’urgenza della critica sociale, le ragioni della rivolta, la necessità della rivoluzione.
Continuiamo a batterci, vanifichiamo i tentativi di attaccare il principio teorico e pratico della solidarietà rivoluzionaria: sia quella internazionalista con gli sfruttati di tutto il mondo – contro tutte le guerre dei padroni e contro ogni Stato, a partire dal “nostro” –, sia quella con gli anarchici prigionieri.
Per mille motivi, non restiamo inermi: perseveriamo nell’agitazione, nella propaganda, nella lotta rivoluzionaria contro lo Stato e il capitale.
Presenza solidale: martedì 9 gennaio, tribunale di Massa, piazza De Gasperi, ore 08:00.
Diffondiamo
Il nostro compagno Saverio stava scontando da due settimane i domiciliari presso la sua residenza per un definitivo di 14 mesi legato alla lotta NoTap. La questura di Milano, nonostante il pronunciamento positivo del tribunale di Lecce e la relazione del UEPE, non ha reputato idoneo il domicilio e venerdì 15 dicembre lo hanno arrestato.
Ora si trova a San Vittore, un nuovo domicilio è stato indicato al magistrato di sorveglianza. Seguiranno aggiornamenti appena li si avrà.
Per scrivergli:
Saverio Pellegrino
C.C. Francesco Di Cataldo
Via Filangeri 2
20123 Milano
Il 25 giugno a MIlano scatta un’operazione di Polizia che vede emesse sei misure cautelari (obblighi di dimora, divieti e firme) per il corteo dell’11 febbraio scorso in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito. All’oggi di quelle misure non resta più nulla. Il 14 dicembre infatti il gip, su richiesta del pm, ha deciso di revocare tutte le misure cautelari. Al momento le indagini risultano chiuse, il numero delle persone coinvolte è però salito a 13, imputati a vario titolo di resistenza aggravata, travisamento e danneggiamento.
Oltre a dare aggiornamenti ed esprimere la nostra solidarietà alle persone coinvolte in questa operazione repressiva, vorremmo spendere due parole in più su quella giornata e sulla mobilitazione a sostegno dello sciopero della fame di Alfredo contro il regime di 41 bis e l’ergastolo ostativo. La giornata dell’11 febbraio si inseriva all’interno delle numerose iniziative messe in campo di fronte alle menzogne statali, alla violenza mascherata dietro la freddezza della burocrazia e all’aggravarsi delle condizioni di salute di Alfredo, oramai in sciopero della fame da oltre 100 giorni.
In tutta Italia e all’estero si moltiplicavano cortei, blocchi e iniziative informative o di disturbo, attacchi verso le istituzioni e i loro rappresentanti.
A Milano, all’interno di un percorso cittadino nato e cresciuto intorno alla lotta di Alfredo, centinaia di persone decidono di partecipare al corteo chiamato in Piazza XXIV Maggio. Durante il percorso si susseguono interventi, cori, scritte e danneggiamenti ad alcune vetrine, fino a quando la polizia decide che il corteo non può proseguire oltre. Iniziano le cariche e i lanci di lacrimogeni per disperdere i partecipanti che insieme cercano un’altra strada sicura attraverso la quale muoversi per terminare il corteo.
Al di là del piano giudiziario di questa vicenda, ci pare importante ribadire cosa quel giorno e nelle settimane precedenti, aveva animato la testa e il cuore dei tanti che sono scesi in piazza. La determinazione della lotta di Alfredo è riuscita a rompere il silenzio attorno alla tortura di Stato costituita dal regime di 41bis, fatto di isolamento pressoché totale, deprivazione sensoriale e che ha come unico fine l’annullamento fisico e mentale della persona che lo subisce e che lo Stato continua a legittimare e perpetuare attraverso lo spauracchio della mafia.
Da fuori, tante sono state le parole spese per riportare, far emergere le condizioni e la natura violenta e strutturale di quel regime e del carcere tutto. Un’occasione di lotta che tanti e tante hanno condiviso e che in diverse forme aveva trovato una propria agibilità. Non vogliamo qui addentrarci in analisi riguardo la mobilitazione, saremmo sbrigativi e poco chiari, ma crediamo sia importante guardare a quello che è stato e a ciò che resta per poter continuare a creare terreni di lotta. Ci pare che assieme si è riusciti a prenderci dello spazio nel manifestare in strada, e se i numeri hanno sicuramente favorito, fino a un certo punto, un rapporto di forza con chi gestiva l’ordine pubblico, l’eterogeneità nella partecipazione e composizione pensiamo sia stati dei tasselli fondamentali in quei mesi. Essere riusciti a stare in strada, poi senza interfacciarsi con la polizia per contrattare lo spazio ma provando a prendercelo ci sembra un buon auspicio di ciò che potrebbero essere i cortei nella nostra città. Tentare di creare momenti autorganizzati di protesta in cui si cerca di non dialogare con la polizia, tutelando chiunque voglia partecipare con i propri metodi e pratiche, cercando per quanto possibile di stare assieme durante i momenti concitati e di carica. Abbiamo ancora molta strada da fare, di confronti da avere e riflessioni da condividere per mantenere viva la critica al 41bis e all’ergastolo ostativo, ancora più oggi che lo sciopero della fame di Alfredo è giunto al termine.
Il sistema giudiziario e il carcere sono cristallizzatori di una società sempre più diseguale e frammentata, volti a reprimere e disciplinare tutti coloro che non vi si allineano o chi tenta di trasformarlo per una vita all’altezza dei propri desideri. Nella convinzione che sia necessario lottare contro questo stato di cose, continueremo a dare voce e a portare solidarietà a chi si trova ancora rinchiuso ed organizzarci nonostante la repressione continua a colpire e minacciare chiunque non abbassa la testa di fronte alle torture e alle innumerevoli morti nelle carceri, allo sfruttamento nei luoghi di lavoro e dell’istruzione, alla devastazione dell’ambiente, al saccheggio dei territori, alla guerra e al razzismo di stato.
Diffondiamo:
La procura di Bologna avanza nell’inchiesta per 270bis contro 19 compagne e compagni anarchici di Bologna e del Trentino, procedendo questa volta con la richiesta coatta di DNA firmata dalla GIP Roberta Malavasi.
A metà novembre 2023 le abitazioni delle stesse 19 persone erano state perquisite ed era stato richiesto a tutti di sottoporsi a prelievo volontario del DNA. Al rifiuto di (quasi) tutti e tutte le indagate di rilasciare il proprio DNA, la procura ha celermente provveduto con una richiesta di prelievo coattivo di campioni biologici.
Brevemente ricordiamo che tra i/le 19 compagni/e sotto indagine, 11 sono accusati/e di associazione con finalità di eversione dell’ordine democratico (270bis), e vari fatti specifici, ovvero: il tentato danneggiamento di alcuni mezzi della MARR, l’ incendio di alcuni ripetitori, l’interruzione di una messa, l’occupazione di una gru e il blocco di una via con dei cassonetti incendiati; su di essi non ha senso entrare nel merito, se non per dire che sono gesti che riteniamo giusti e assolutamente comprensibili all’interno del clima di lotta in cui si sono espressi, ovvero nell’ambito della mobilitazione di solidarietà al fianco di Alfredo Cospito contro il 41 bis.
Altre 8 persone tra i/le perquisiti/e risultano indagati/e unicamente per la partecipazione al presidio solidale svoltosi in occasione dell’occupazione di una gru nel centro di Bologna, dalla quale venne calato un lungo striscione con la scritta “IL 41 BIS UCCIDE, ALFREDO LIBERO, TUTTXLIBERX.
MORTE ALLO STATO”.
In seguito alla repertazione da parte del ROS di alcuni materiali in corso di indagini, nel mese di luglio erano stati eseguiti sugli stessi degli accertamenti (irripetibili e non) dai RIS di Parma, in cerca di tracce biologiche e impronte digitali. Ad accertamenti conclusi, né i/le indagati/e né gli avvocati né il perito di parte (presente durante gli accertamenti) sono stati informati degli esiti di queste operazioni. Solo attraverso l’ordinanza di prelievo coatto siglata dalla GIP ne siamo venuti/e a conoscenza, scoprendo che le uniche tracce di qualche interesse investigativo sono state trovate “su di un accendino rinvenuto in prossimità del luogo dei fatti [in riferimento all’incendio dei ripetitori di Monte Capra], risultato appartenere (il profilo) ad un soggetto ignoto di sesso maschile”. Per questo fatto specifico sono indagati/e solo 5 tra i/le 19 compagni/e, ma il prelievo viene imposto per tutti/e poiché, sostiene la giudice, è assolutamente necessario verificare “se l’accendino rinvenuto sul luogo dell’attentato incendiario sia riconducibile direttamente o indirettamente (per le donne) agli attuali indagati o agli altri soggetti appartenenti alla galassia anarco-insurrezionalista che ha rivendicato l’attentato”.
Crediamo non serva essere esperti di diritto per capire che in questa vicenda il prelievo coattivo del DNA abbia solo in parte a che fare con la costruzione del “colpevole”, ma rappresenti piuttosto un pericoloso precedente nel normalizzare l’opera di schedatura genetica su base ideologica.
Se nella repressione anarchica e non solo questo tipo di modalità risulta tutt’altro che innovativa (con rocamboleschi furti di spazzolino e caccia tra mozziconi di sigarette), crediamo che questo caso rappresenti un ulteriore, grave, avanzamento della repressione del dissenso tutto.
Il dato è chiaro, ovvero: “appartenere alla galassia anarco-insurrezionalista” è motivo sufficiente per essere indagati o comunque sospettati di ogni espressione manifesta di dissenso, e per esser ricondotti a questa galassia è elemento sufficiente partecipare ad una qualsiasi iniziativa pubblica.
Questo fatto non è un problema solo per noi anarchici/che, che di repressione ne abbiamo già subita tanta, ma è un problema per chiunque senta di dovere esprimere il suo disaccordo con delle monolitiche decisioni statali. Il cerchio in cui la repressione vuole rinchiudere i/le anarchici/che è da anni sempre più stretto. Non ce ne lamentiamo, semmai ci preoccupa molto constatare che il potere stia indiscriminatamente infilando in questa tenaglia repressiva non solo i pochi soliti sospetti, ma tutta una serie di persone che in qualche momento hanno sostenuto, ciascuna secondo il proprio sentire, un’istanza concreta.
Questa volta si tratta della permanenza o meno di un anarchico in un regime di tortura bianca, ma domani che altro?
In tempi di pandemia abbiamo assistito alla gestione autoritaria di ogni aspetto della nostra esistenza fin anche se e come curarci o tutelarci da un virus; quotidianamente vediamo dispiegarsi gli effetti più estremi della violenza patriarcale sistemica; dallo scoppio della guerra in Ucraina subiamo gli effetti indiretti del pericoloso vortice militarista in cui l’Italia è attivamente coinvolta e che in questi ultimi mesi, in Palestina, ha mostrato l’essenza cruda e semplice di ogni guerra: il genocidio di un intero popolo.
Di fronte a tutto ciò è davvero possibile continuare a sentirsi in salvo semplicemente perché ci si accontenta di vivere silenti le proprie sempre più misere vite?
Alcunx indigatx
Testo pdf AGGIORNAMENTI-Bologna