Il collettivo Artaud sui recenti fatti del reparto di psichiatria di Livorno

Liberiamo nelle Brughiere un comunicato del collettivo Artaud di Pisa

Comunicato del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa sui recenti fatti del reparto di psichiatria a Livorno

” Le nostre strade sono sconnesse,
I nostri figli ridotti in schiavitù ,
i nostri cuori senza amore.
Ho paura di restare. ”

Terra de Bandidos  di Elena Casetto

Dopo aver appreso dalla stampa della morte di un paziente ricoverato nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno, il collettivo Antonin Artaud di Pisa, attivo da quindici anni nell’ascolto e nella vicinanza nei confronti di chi ha subito e vissuto lo stigma della malattia mentale, che troppo spesso si traduce in abusi anche durante il proprio percorso terapeutico, esprime cordoglio e vicinanza alla famiglia e agli affetti più cari. Il nostro augurio è quello che su questa vicenda, di cui alcuni aspetti non sono affatto chiari, si possa fare luce quanto prima.

Abbiamo deciso di aprire questo nostro intervento partendo da un componimento poetico, già premiato, di Elena Casetto. Il 13 agosto 2019, nel reparto psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è divampato un incendio di cui non si conoscono ancora le cause. Elena, che aveva 19 anni, è morta bruciata viva nel letto al quale era stata legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. Ad oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale. Un identico episodio era già accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l’incendio che l’aveva avvolta nel letto di contenzione al quale anche lei era stata legata ininterrottamente per 43 giorni. Il collettivo Antonin Artaud ha anche seguito la vicenda umana e giudiziaria del Maestro più alto del mondo: il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 4 giorni di contenzione, legato per più di 87 ore consecutive nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania in provincia di Salerno. Era ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio che si è scoperto poi essere stato effettuato in maniera illegale e senza il rispetto delle procedure previste dalla legge 180. Mastrogiovanni, sedato e legato con delle fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza che nessuno gli parlasse o si preoccupasse delle sue condizioni di salute per tutto il tempo del ricovero. Il medico del reparto ha negato perfino alla nipote il diritto di fargli visita in ospedale. La Sentenza della Corte di Cassazione sul caso Mastrogiovanni ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente.

Possiamo testimoniare che nei reparti psichiatrici ospedalieri o SPDC (Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura) continua a prevalere un atteggiamento custodialistico e un impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali come l’obbligo di cura, le porte chiuse e le grate alle finestre, il sequestro dei beni personali, la limitazione e il controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini, il ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica.
Dunque, oggi nei reparti psichiatrici si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).
La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica. Solo in 15 reparti viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.

Ricerche condotte in Europa hanno fatto emergere l’esistenza di un gran numero di reparti psichiatrici ospedalieri aperti, in contraddizione con quanto rilevato nel nostro Paese dove circa l’80% degli SPDC prevede porte d’ingresso chiuse a chiave e il ricorso quotidiano alla contenzione. Già nella metà dell’Ottocento lo psichiatra inglese Conolly sosteneva la necessità e la possibilità di una no restraint psychiatry, una psichiatria che non ricorre a mezzi di contenzione. Ancora oggi invece, contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente nei reparti psichiatrici e nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. Denunciamo inoltre come l’impossibilità di fare visita alle persone ricoverate in ospedale a causa dell’emergenza sanitaria in corso abbia reso complicato poter verificare le condizioni di chi si trova in stato di degenza. Difficoltà che riguarda non solo i familiari e gli amici ma anche gli operatori e le strutture sanitarie stesse. Questo avviene quando proprio, anche a causa di tale situazione emergenziale, il ricorso al ricovero in reparto psichiatrico si è fatto più frequente. Ma in nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Obbligare una persona al ricovero, limitarne la libertà personale per sottoporla a pratiche violente e dannose, costituisce, oltre che un intollerabile abuso, un’amara beffa: la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio, purtroppo ancora assai diffuso e duro a morire, di una potenziale pericolosità della persona sofferente psicologicamente.
Nell’aprile del 2016 la Regione Toscana ha approvato una mozione in merito al divieto della pratica della contenzione negli SPDC regionali, che impegnava la Giunta Regionale “a provvedere a emanare disposizioni puntuali alle aziende sanitarie per il divieto di pratiche di contenzione meccanica” e “a promuovere buone pratiche attivando la commissione per il monitoraggio e l’eliminazione della contenzione meccanica, farmacologica, ambientale e delle cattive pratiche assistenziali”. Visto il protrarsi ancor oggi in Toscana delle pratiche di contenzione meccanica, non ci sembra che tale mozione sia stata applicata, e tuttavia ci si appella ai protocolli che ancora la prevedono ignorando quanto già conquistato in ambito di riconoscimento della dignità delle persone ricoverate.

Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia ovvio sottoporre le persone diagnosticate come malate mentali a mezzi coercitivi, che ciò sia nell’ordine delle cose, che corrisponda al loro stesso interesse. Forse chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona. Valore tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento. Sappiamo, per le molte esperienze ormai fatte, che è possibile evitare la contenzione; occorre allora chiedersi perché la contenzione sia tuttora lecita, e soprattutto occorre superarla.

L’applicazione del TSO non autorizza in alcun modo il ricorso a pratiche di coercizione. C’è sempre un’alternativa, è possibile fare a meno della contenzione meccanica senza sostituirla con quella farmacologica o ambientale. Ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali e penitenziarie italiane. Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale coercitivo: TSO, obbligo di cura, elettroshock, contenzione. Il superamento e l’abolizione della contenzione e delle pratiche lesive della libertà personale è possibile.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.orgartaudpisa.noblogs.org/


Link:

**Psichiatria Livorno, la denuncia dell’ex direttore: “Pazienti legati ai letti, ormai è una procedura standard da quando c’è il Covid ” La lettera di Mario Serrano, ex responsabile dei servizi di Salute mentale di Livorno: “Malgrado la legge 180, sono tornate le contenzioni. E un paziente sarebbe addirittura morto dopo una settimana con le fascette”
https://www.livornotoday.it/attualita/morto-paziente-legato-psichiatria-livorno-denuncia.html

**Legati al letto in psichiatria, la replica di Asl: “Procedure corrette anche con il paziente deceduto. In un anno solo 14 contenzioni”
https://www.livornotoday.it/cronaca/morto-paziente-legato-ospedale-livorno-replica.html

**Livorno: “Paziente legato al letto muore dopo 7 giorni in psichiatria”. La denuncia di Mario Serrano, ex responsabile dei servizi di salute mentale, ora in pensione. La Asl: “La contenzione c’è stata, ma non continuativa”. Romano (Pd): “Il ministro ordini un’ispezione”
https://firenze.repubblica.it/cronaca/2021/04/16/news/livorno_psichiatria_paziente_legato_al_letto_muore_dopo_7_giorni_in_psichiatria_-296688342/

Opuscolo: Riappropriati della tua mente

Raccolta di scritti su disagio psichico e critica alla civilizzazione

All’interno dei movimenti che cercano di contrastare questo sistema pare quasi un tabù parlare del malessere o del disagio mentale come di qualcosa che ci riguarda o ci può riguardare da vicino, e conseguentemente di possibili modi di gestirlo che si differenzino da quelli offerti dalla medicina moderna. Un necessario pezzo di critica all’istituzione psichiatrica che non sia soltanto un attacco all’istituzione in sé e ai suoi precetti ma che esplori anche possibili percorsi differenti rispetto a come affrontare i propri demoni interiori e prendersi cura del proprio caos emotivo in autonomia o con il supporto delle persone amiche che si hanno attorno. I testi qui presentati vogliono essere un punto di partenza per iniziare ad affrontare questa discussione così necessaria.

Link: https://anarcoqueer.wordpress.com/2021/04/13/riappropriati-della-tua-mente/

Psichiatria e pandemia: stigmi, contagi e sindemie

Un articolo di Chiara Gazzola uscito sul numero di aprile 2021 di “Sicilia libertaria”

STIGMI, CONTAGI E SINDEMIE

“Salute mentale”, abuso concettuale in uno slalom di tesi utile a definirne la carenza: le condizioni esistenziali che si discostano da un ipotetico equilibrio psicofisico di adattamento alle difficoltà. Si evita così di scalfirne le cause, poiché significherebbe puntare il dito alle iniquità sociali. E così non si guarda il dito, né si considera cosa stia segnalando, ma lo si penalizza registrandolo come “indicatore” (sintomo) di patologia.

I diversi approcci alla disciplina psichiatrica sembrano concordi nel definire la salute come il risultato fra stile di vita, condizioni socio-ambientali e capacità individuale di risposta a eventi esterni. Eppure non esiste protocollo sanitario che prenda in considerazione questa complessità di fattori. Se si rompe un tubo dell’acqua in una casa costruita su un terreno franoso, chi trae vantaggio nell’aggiustare il tubo? La salute, intesa come un insieme di risposte organiche, sensoriali e sociali, è quindi argomento di riflessioni filosofiche o antropologiche ma, se la politica le sovrasta, qualsiasi squilibrio rimane appannaggio esclusivo dell’industria farmacologica che non ha interesse a rimuovere i divari sociali causa di tanti malesseri. Nel frattempo la psichiatria si concentra sulla denominazione dei disturbi. Fatta la diagnosi, esclusivamente attraverso un’osservazione clinica soggettiva e non comprovata da test oggettivi, si passa alla cura. E quale occasione più ghiotta della pandemia per “scoprire” nuove sindromi?

Le prime pubblicazioni in era covid individuavano risposte patologiche come varianti del DSPT (disturbo da stress post traumatico). Lo scorso agosto la rivista scientifica Brain, behavior and Immunity informava che l’infiammazione da covid-19 è un fattore di rischio per la depressione. L’ampia gamma di molecole antidepressive e ansiolitiche è una voce prevalente del fatturato farmacologico: come avrebbe potuto l’invadenza del virus non andare a braccetto con una delle “malattie” più diffuse al mondo? Uno studio dell’Ospedale San Raffaele di Milano condotto su 402 pazienti guariti dal covid afferma che il 56% manifesta disturbi psichici multipli: DSPT 28%, depressione 31%, ansia 42%, insonnia 40%, sintomi ossessivo-compulsivi 20%; le sindromi depressive compaiono più facilmente nelle donne e si ipotizza che la maggiore vulnerabilità sia dovuta al “diverso funzionamento del sistema immunitario nelle sue componenti innate e adattive”. Il XII Congresso nazionale SINPF (società italiana di neuropsicofarmacologia), stando ai report recenti di vari quotidiani, rileva che l’aumento dei disagi psichici in era di pandemia stia attivando una vera e propria sindemia, un mix di pericolo clinico e sociale dovuto alla paura del contagio, allo stress da confinamento e alla crisi economica. Un contagio nel contagio? La probabilità di sviluppare sintomi depressivi nei soggetti colpiti dal virus, o da lutti in famiglia, aumenterebbe di 5 volte e così si legittima la previsione di 800mila nuove pazienti, con un’aspettativa di incidenza fino al 32%! L’incremento di vendite di psicofarmaci interesserebbe donne e adolescenti, in quanto categorie maggiormente colpite da perdita di lavoro e di socialità.

Per l’OMS (organizzazione mondiale di sanità) “la tutela della salute mentale è una priorità correlata alla pandemia in atto”, mostrandosi preoccupata per i nuovi disturbi “erroneamente inclusi nei DSPT”. Nasce quindi l’esigenza di nuove nomenclature per meglio definire uno “stress individuale/comunitario e non convenzionale, sospeso, subacuto, perdurante e perturbante che può evolvere in persistente”. Viene spiegato che le definizioni di “perturbante e non convenzionale” descrivono una sofferenza che va a dissestare il futuro: la percezione di furto del futuro come nuova condizione clinica! Uno stress che attraversa varie fasi: la prima, incredulità e sottovalutazione difensiva; la seconda, l’incredulità si trasforma in angoscia all’evidenza di malati e morti; la terza, perdite affettive e insicurezza economica, riducendo la plasticità adattiva e l’istinto di sopravvivenza, innescano la paura del fallimento. Ma l’OMS individua anche un nuovo agente patogeno: la infodemia. Trattasi dell’eccesso di informazioni e del rimbombo di commenti da cui siamo invasi. Altro contagio nel contagio: le notizie a contenuto angosciante e contraddittorio produrrebbero lesioni bisognose di cure da somministrare a chi ne soffre, non certamente a chi alimenta questo giornalismo! Uno studio condotto dall’Università di Oxford, e pubblicato da The lancet psychiatry, afferma che a 90 giorni dal contagio da covid nel 20% dei casi insorgono disturbi al sistema nervoso centrale e che i soggetti in cura psichiatrica sono più esposti (65% dei casi) a contrarre il virus. Se ne deduce: “queste evidenze stanno convincendo sempre di più i ricercatori che esiste una stretta correlazione fra le malattie psichiche e il virus”.

L’IEUD (istituto europeo per il trattamento delle dipendenze) ha registrato, nel primo semestre 2020, un aumento del 4% del consumo di benzodiazepine. L’AIFA (agenzia italiana del farmaco) riporta che nel 2020 la vendita di ansiolitici si è incrementata del 12%, dati definiti “allarmanti” in quanto non corrispondono alle diagnosi stilate: gli psicofarmaci vengono definiti “pericolosi se presi senza prescrizione medica”. Si individuano le cause dei nuovi malesseri nel telelavoro, nella didattica a distanza, nelle restrizioni agli spostamenti, nella paura del contagio, nella precarietà economica, nel rischio di essere considerati “untori”.

Ecco innescata una spirale velenosa affinché la psichiatria possa continuare a mettere le sue toppe mediche a problematiche sociali e ad accaparrarsi la facoltà di diagnosi/cura/controllo, di produrre stigmi (questi sì, reali e persistenti!), di annullare le dignità individuali e di farsi paladina di una salute mentale tanto millantata, quanto svilita: uscire dal labirinto le sarebbe controproducente!

Di Chiara Gazzola

Manifestino: il carcere uccide

Liberiamo nelle brughiere un manifestino da diffondere.

IL CARCERE UCCIDE

Cure negate
Contenzione psicologica, farmacologica, meccanica e fisica
Deprivazione, spersonalizzazione e pestaggi
SONO TORTURA

Dove non arrivano ad ammazzare il sistema giudiziario e le guardie,
arrivano la psichiatria e l’omertà degli operatori sanitari.

DENTRO LE CARCERI ESISTONO ANCORA ‘REPARTINI’ E CELLE LISCE
Trattamenti sanitari obbligatori
A DISCREZIONE DI GUARDIE E DIREZIONE

(nella foto: la ‘stanza 150’, cella liscia, carcere di Torino)

STATO ASSASSINO

Carcere: “articolazioni salute mentale”

Ma Opg e ‘repartini’ nelle carceri esistono ancora?

Alla Dozza, carcere bolognese, è presente una sezione ‘FEMMINILE ARTICOLAZIONE SALUTE MENTALE’

Si parla di salute mentale, ma è di psichiatria in mano ai carcerieri che si tratta.

A Bologna per altro solo femminile, perchè alla donna è sempre riservato un posto d’onore nella persecuzione e nella stigmatizzazione psichiatrica: nei luoghi di reclusione, nei reparti femminili degli istituti manicomiali, le donne sono sempre state oggetto di un maggior accanimento da parte di medici, infermieri, e del potere costituito.

Ma cosa sono?

Le ‘Articolazioni salute mentale’ sono sezioni speciali per quelle detenute e quei detenuti definiti “rei folli”, cioè con una valutazione psichiatrica sopravvenuta (successiva) alla detenzione.

In sintesi il carcere crea la menomazione, produce sofferenza, esaspera la tenuta psichica di chi vive la reclusione sulla pelle, e poi vuole contenere i ‘comportamenti problema’ (definizione amata da psichiatri ed educatori) reprimendoli ancora di più in ‘speciali repartini’.

Bisogna sapere che gli Opg contenevano tutte le autrici e gli autori di reato con diagnosi psichiatrica, sia quelli dichiarati non imputabili per ‘vizio di mente al momento del fatto’, e perciò prosciolti e rinchiusi in OPG in quanto ‘socialmente pericolosi’, sia quelli condannati a pena detentiva e ‘colpiti’ da ‘disturbi mentali gravi’ durante la permanenza in carcere.

Con la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari in Italia (31 marzo 2015) l’istituzione totale dell’ospedale psichiatrico giudiziario veniva sostituita da più piccole istituzioni di reclusione non molto diverse nella sostanza, le cosiddette «residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza» (Rems), luoghi destinati a recluse e reclusi giudicati incapaci di intendere e volere al momento del giudizio e non successivamente.

Le ‘articolazioni salute mentale’ riguardano perciò  detenute e detenuti che non possono essere accolti nelle residenze sanitarie per l’esecuzione delle misure di sicurezza istituite dopo la chiusura degli Opg.

In Italia ci sono 47 Atsm in 36 penitenziari per un totale di 303 celle in cui a inizio 2019 erano presenti 318 detenuti (Fonte Relazione del ministero sull’amministrazione della giustizia 2018).

Come sono e cosa si sa?

Queste sezioni carcerarie sono sotto la responsabilità dell’Amministrazione Penitenziaria ma ‘a prevalente gestione sanitaria’, che non si capisce cosa significhi.

A quanto emerge non presentano nè una reale copertura giuridica, nè un qualsiasi tipo di chiarezza circa la ‘gestione’ delle articolazioni stesse e che tipo di aspetti ‘sanitari’ siano tenuti in considerazione e in che termini.  ‘Chiarezza’ poi, sappiamo non ce ne sarà mai finchè esisteranno quelle mura, ma se già ciò che avviene nelle sezioni non deve essere detto, ciò che avviene dentro i repartini, non deve essere detto ancora di più. Che cosa si intende con ‘a prevalente gestione sanitaria’?

La Magistratura di sorveglianza è stata chiamata a pronunciarsi su un caso di differimento pena, inviato nell’articolazione psichiatrica della Dozza di Bologna dopo la chiusura dell’OPG. Il responso è stato che la persona non poteva stare lì perché l’articolazione non aveva niente di sanitario.

Nel 2016 a Bologna sindacati e compagnia bella si opponevano all’apertura del repartino femminile per la sempre vittimistica carenza di organico e per le condizioni strutturali del luogo.

Quanto tempo vengono trattenute le persone nell’articolazione femminile della Dozza? Quale tipo di regolamentazione e ‘gestione’ vige e in che tipo di condizione?

Il garante nel 2018 dice che le tre donne detenute nell’articolazione salute mentale del carcere di Bologna  sono tenute in estremo isolamento.
“I numeri esigui, però, e la collocazione fisica di questi ambienti detentivi, collocati al piano terra, comportano un significativo stato di isolamento per queste donne detenute.”

“All’interno delle articolazioni si trovano infatti le persone che non possono essere curate e assistite nelle sezioni ordinarie, la maggior parte delle quali, giuridicamente, in “osservazione psichiatrica” (un periodo di 30 giorni prorogabile, in cui viene valutata la compatibilità dello stato di salute psicofisico e la detenzione). L’ingresso e l’uscita avvengono su decisione interna dell’amministrazione sanitaria e penitenziaria, ed è ‘prorogabile’ senza alcuna previsione di un controllo giurisdizionale (che avviene invece nel caso di ricovero in luogo esterno al carcere).”

Significa che direzione e guardie possono usare questo strumento e relative proroghe discrezionalmente e che la reclusa e il recluso non hanno gli stessi ‘diritti sanitari’ dei liberi come si millanta nelle varie norme e riforme.

L’ultimo rapporto di Antigone riporta la raccapriciante storia di M. presso l’articolazione salute mentale “Il Sestante” della Casa Circondariale di Torino.

La stanza 150 : “Il rispetto dei diritti della persona è spesso violato. Si segnalano casi di contenzione e si è rilevata (nella Casa Circondariale di Torino, anche filmata, l’esistenza di ‘celle lisce’ spoglie e senza suppellettili.”

“nonostante infatti formalmente venga dichiarato che la permanenza nella stessa dura generalmente qualche ora, in realtà vengono registrati in alcuni casi la permanenza di soggetti per periodi superiori a venti giorni.”

Eppure la Sentenza della Corte  Costituzionale  n.99/2019 ha stabilito  che,  se  durante  la  carcerazione  sopravviene  una  grave  ‘infermità psichica’,  si  potrà  disporre  che  la  persona  detenuta  venga  ‘curata’  fuori  dal carcere,  applicando  la  misura  alternativa  della  detenzione  domiciliare o in luogo di ‘cura’, così come già dovrebbe accadere per le gravi malattie di tipo fisico.

Una cosa importante da sapere è che dal 14 giugno 2008 le prestazioni/funzioni sanitarie fino ad allora svolte dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dal Dipartimento della Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia sono state assimilate integralmente al Servizio Sanitario Nazionale. Assieme alle funzioni, sono state trasferite al Fondo sanitario nazionale e ai Fondi sanitari regionali le risorse, le attrezzature, il personale, gli arredi e i beni strumentali afferenti alle attività sanitarie nelle carceri. Il personale sanitario che ad oggi opera nelle carceri italiane è dunque inquadrato contrattualmente quale dipendente dell’usl e non più del DAP.
Questa riforma poneva il principio  della  parità  tra detenuti e soggetti liberi, soprattutto nella tutela del diritto alla salute e, quindi, del diritto  a  godere  di  prestazioni  sanitarie  celeri  ed  efficienti,  in  ottemperanza  al ‘problema  medico  che  si  presenta  nel  caso  concreto’.

Sappiamo invece come questo non sia assolutamente vero, le persone muoiono in carcere e di carcere, con o senza ‘patologie’, oggi come ieri, ne parliamo inoltre ad un anno dalla strage di Stato nelle carceri e dall’esplosione dell’emergenza sanitaria, che ha messo in evidenza l’omertà degli operatori sanitari e come la reclusione sia strutturalmente in antitesi con qualsiasi concetto di salute.

Suicidi in carcere

Le statistiche mostrano che i suicidi sono in continuo aumento, e tra i piu giovani. Emerge inoltre che la popolazione detenuta muore per suicidio esponezialmente di più rispetto la popolazione libera.

Nel 2020 sono stati 61 i suicidi, dall’inizio dell’anno 2021 già 6.


La sofferenza si traduce in isolamento, contenzione fisica, farmacologica e psicologica,
aggravata dall’annientamento, dalla violenza e dalla repressione carceraria.

La reclusione genera disturbi e menomazione (da problemi psichici, a problemi cardiovascolari e metabolici sino a malattie infettive), patologie e fragilità che spesso esordiscono in carcere e si protraggono anche dopo la scarcerazione.

La riflessione sulla contenzione della sofferenza mentale e della dissidenza ci deve mettere in guardia, la strumentalizzazione del disagio si traduce in termini ancora piu repressivi: dove non arriva il sistema giudiziario e il carcere, arriva la psichiatria,.

Oggi, oltre al profondo buio che circonda queste ‘articolazioni salute mentale’,  sindacati e guardie tornano a chiedere anche ‘particolari sezioni agitati’  per stringere una morsa repressiva ancora maggiore intorno a chi è reclusa e recluso in carcere e si ribella.

Il carcere è intrinsecamente non solo la negazione di qualsiasi concetto di salute, ma della vita e dell’esistenza stessa.

Rompere l’omertà che avvolge quelle mura e abbattere ogni prigione, qualsasi prigione, è una responsabilità di tutte e tutti.

Appunti sulla psichiatrizzazione e sulla contenzione della dissidenza

Qualcuno volo sul nido del cuculo di Milos Forman 1975
Foto di scena della Fantasy Film and United Artists Corporation USA


“Quadro di personalità allarmante”
“Inclinazione alla violenza”
“Sintomatico di una personalità incapace di controllare l’impulso criminale”

Queste sono le parole usate di recente dal Gip per descrivere i fatti di Torino.

Lo Stato risponde alle sollevazioni di malcontento prospettando anni di carcere e guai per qualche vetrina del lusso in frantumi confermando il suo cieco ruolo di tutore dell’ordine e garante dei privilegi: i poveri devono rimanere poveri, chi è ai margini deve rimanere ai margini a guardare le scintillanti vetrine.

Si parla di ‘punire’ le famiglie delle persone coinvolte con la sospensione del reddito di cittadinanza e non si esita a psichiatrizzare il comportamento individuale.

Rompere una vetrina diventa “Sintomatico di una personalità incapace di controllare l’impulso criminale”.

La psichiatrizzazione del comportamento considerato ‘oppositivo’ ha origini lontanissime, l’estensione capillare che oggi viene fatta del paradigma psichiatrico in  ogni ambito della vita – vedi la medicalizzazione dell’infanzia nelle istituzioni scolastiche – viene ad assumere una valenza enorme che riporta al centro del discorso collettivo la contenzione, la medicalizzazione e la stigmatizzazione psichiatrica dei comportamenti, paradigmi e pratiche coercitive e spersonalizzanti che vanno  a sostenere ‘profili criminosi’ e ‘quadri di personalità’ usati come arma per togliere di mezzo il dissenso.