BOLOGNA, UN 270 TIRA L’ALTRO. AGGIORNAMENTI SU ALCUNI PROCEDIMENTI IN CORSO

Sull’inchiesta per 270bis in corso

A fronte dell’autorizzazione al prelievo coatto di DNA, firmata dalla GIP Roberta Malavasi, alle/i indagate/i è stato notificato un ordine a comparire per la fine di dicembre.

In questa prima fase, per coloro che si trovavano a Bologna, l’appuntamento si è svolto in modo pressoché identico. Giunti in caserma gli sbirri preposti al prelievo, verificato che non si fosse accompagnati dal proprio avvocato e che ci si rifiutava di attendere l’arrivo di un legale d’ufficio, hanno proceduto con una denuncia per “rifiuto di adempiere all’ordine dell’autorità” (art. 650)

Sulla base di un ulteriore decreto autorizzativo firmato dallo stesso giudice, alle/i indagate/i è stata notificata una nuova data per metà gennaio.

In questa seconda fase, la maggior parte delle/i indagate/i si è presentata all’appuntamento pur senza collaborare in alcun modo al prelievo. Quanti avevano invece scelto di disertare del tutto l’ “ordine a comparire”, a metà febbraio sono stati prelevati a casa o sul posto di lavoro, sulla base di un accompagnamento coattivo.

Ricordiamo che il pretesto per questa operazione di schedatura sarebbe il ritrovamento di materiale biologico su un accendino “rinvenuto in prossimità del luogo dei fatti [in riferimento all’incendio dei ripetitori di Monte Capra], risultato appartenere (il profilo) ad un soggetto ignoto di sesso maschile”. Per questo fatto sono indagati/e solo 5 tra i/le 19 compagni/e, coinvolte/i nell’indagine.

Riportiamo il testo di un breve volantino distribuito, tra gli altri, al presidio del 19 febbraio “Contro la guerra esterna, contro la guerra interna, contro la schedatura genetica”:

A Bologna la caccia dei carabinieri del ROS al DNA anarchico continua. A tutti gli effetti si tratta del tentativo di realizzare una vera e propria schedatura su base ideologica: più DNA a disposizione significa più possibilità di sfornare indagini e processi.

Si parte da un fatto, avvenuto nell’estate 2022, un attacco incendiario ai danni di alcuni ripetitori, in opposizione alla guerra in Ucraina e alla imposizione del 41bis al compagno anarchico Alfredo Cospito. Il fatto, contestato a cinque compagni/e, ha fatto da pretesto per una schedatura che coinvolge ben 19 persone, a loro volta fatte oggetto di sospetto perché, a vario titolo, coinvolte in lotte anarchiche o contro il 41bis.

Di fronte al ricatto del prelievo coatto ciascuna delle 19 persone ha dovuto scegliere, in base alle proprie possibilità e condizioni di vita, se cedere il proprio DNA o meno. Attualmente almeno tre persone hanno scelto di non collaborare in modo assoluto, di non subire il ricatto. Hanno scelto di non presentarsi all’appuntamento dato per il prelievo coatto, di non cedere quel microscopico pezzo di loro utile ad agevolare questa e successive sporche indagini. Verso di loro è quindi stato disposto un accompagnamento coatto. Volanti e sbirri sono stati sguinzagliati alla loro ricerca, prelevandoli/e da casa, o dal lavoro, trasportandoli/e in caserma, aprendone a forza la bocca alla presenza di ignoti avvocati di ufficio a far da garanzia legale a questa violenza.

Questi compagni/e hanno tutto il nostro sostegno. Nell’affermarlo ribadiamo la nostra opposizione:
– alla schedatura genetica, che sia o meno su base ideologica
– a pratiche ammantate di certezza scientifica, ma di fatto basate su calcoli di probabilità e il cui solo scopo è arrivare a condanne facili verso i soliti sospettati.
– a una tecno-scienza che ci identifica come codici parziali, usata come arma in mano a inquisitori tutt’altro che degni di fiducia.

Ancor più in questi tempi di guerra crediamo che la solidarietà e la lotta siano l’unico argine possibile contro chi uccide, sfrutta affama e reprime.

Solidali con chi ha subito il ricatto del prelievo forzato.
Complici con chi ha deciso di opporsi.

Chiusura indagini per i due cortei dello scorso inverno in solidarietà ad Alfredo e contro il 41 bis

In questi mesi abbiamo appreso della conclusione delle indagini per i due cortei che lo scorso inverno si erano svolti in città in solidarietà ad Alfredo e contro il 41bis e l’ergastolo ostativo.

Alfredo, tutt’ora detenuto in 41bis, era allora in sciopero della fame già da mesi, le sue condizioni fisiche si stavano deteriorando. All’interno della campagna internazionale che aveva coinvolto tantissime persone, non solo anarchiche/i, chi era in questa città aveva deciso di contribuire scendendo in strada in modo determinato, indicando alcuni dei responsabili della miseria quotidiana di questo mondo, portando solidarietà ai detenuti del carcere minorile del Pratello che in quel periodo avevano scelto di rivoltarsi contro le angherie subite.

Per il corteo del 21 dicembre 8 compagne/i, non solo di Bologna, sono accusati a vario titolo di corteo non autorizzato, imbrattamento, danneggiamento, resistenza, accensioni pericolose e porto di oggetti atti ad offendere.

Per il secondo del 19 gennaio 2023 le/i compagne/i coinvolti sono 16, la maggior parte della provincia di Bologna e Forlì. Le accuse sono di manifestazione non autorizzata, danneggiamento, imbrattamento, accensioni pericolose, porto di oggetti atti ad offendere, violenza privata, diffamazione, contraffazione e diffusione di notizie false.

Le parti offese sono lo Stato Italiano, il comune di Bologna, alcuni istituti di credito tra cui Intesa San Paolo, Eni Enjoy, TIM e il Resto del Carlino.

Entrambe queste indagini sono state condotte dalla DIGOS che, evidentemente, non poteva proprio rimanere a mani vuote.

Sull’udienza preliminare dell’Operazione Ritrovo

Il 21 febbraio 2024 si è tenuta presso il Tribunale di Bologna l’udienza preliminare dell’Operazione Ritrovo, avviata dai ROS nel 2018 e coronata nel 2020 da 7 arresti e 5 obblighi di dimora con rientro notturno con le accuse di 270 bis, istigazione a delinquere, incendio, danneggiamento e imbrattamento. In sede di riesame, a fine maggio 2020, l’accusa di “associazione sovversiva con finalità di terrorismo” era caduta, le misure
cautelari ridimensionate ad obblighi di dimora con rientro notturno per alcunx e, per altrx, venute meno. Nei mesi successivi erano state avanzate richieste di sorveglianza speciale per 7 compagnx coinvoltx in questa vicenda; solo una è poi andata in porto (per la durata di 2 anni e con obbligo di dimora nel comune di Bologna) a carico di un compagno accusato di essere stato l’autore dell’incendio di un ripetitore nel 2018, fatto inserito tra le cartacce dell’operazione Ritrovo.

I fatti qui riassunti, va ricordato, sono avvenuti nel periodo successivo al lockdown del 2020, alle rivolte nelle carceri e alla solidarietà che ad esse è seguita. Il PM Dambruoso, nella conferenza stampa successiva agli arresti, aveva apertamente sbandierato la natura preventiva delle misure cautelari attuate. Dopo mesi di restrizioni e divieti imposti a tutta la popolazione per l’emergenza COVID lo Stato dichiarava apertamente il timore che la rabbia sociale potesse deflagrare, non solo internamente alle galere (come avvenuto durante le rivolte) ma anche fuori. Se dentro le gabbie le guardie non si erano fatte scrupolo di reprimere a suon di botte e torture le legittime richieste e preoccupazioni delle persone detenute, arrivando ad ammazzare 14 persone, fuori lo Stato aveva la necessità di tenere sedate le coscienze instillando paura e minacciando con la repressione. In tal senso le misure cautelari richieste a Bologna a carico di 12 anarchicx dovevano essere un monito verso chi non accettava di buon grado le forme di controllo sociale sperimentate dallo Stato durante i lockdown, e ancor più verso chi ancora credeva che fosse quantomai necessario continuare a lottare.

A distanza di quasi 4 anni si è tenuta l’udienza preliminare. Un’operazione partita con il roboante 270 bis vede ora il rinvio a giudizio di 10 compagni per i soli capi d’imputazione di imbrattamento e danneggiamento. Per l’ istigazione a delinquere (manifesti e scritti) e il danneggiamento mezzo incendio (un ripetitore incendiato affiancato dalla scritta
“Spegnere le antenne risvegliare le coscienze”) è stato dichiarato il “non luogo a procedere”. Quattro compagnx sono statx proscioltx da ogni accusa.

I 14 detenuti ammazzati nelle carceri nel marzo 2020 e quelli torturati nel carcere di Santa Maria Capua Vetere nell’aprile dello stesso anno, invece, continuano a gridare vendetta. Mai come ora, mentre si consuma in diretta mondiale il genocidio della popolazione palestinese per mano dello Stato di Israele con la complicità delle democrazie occidentali, è chiaro quanto la violenza assuma nella narrazione del potere un valore differente a seconda di chi la attua: viene chiamata terrorismo quando parte dal basso, quando è diretta contro gli autori di stragi, torture e devastazioni perpetrate dall’alto; viene chiamata democrazia quando è il massacro degli ultimi, così nelle carceri nel 2020 così come oggi nei territori di Gaza.

A FIANCO DEL POPOLO PALESTINESE E DI CHI CONTINUA A LOTTARE CONTRO LA VIOLENZA DEL POTERE, A OGNI LATITUDINE, DENTRO E FUORI LE GABBIE.

A FIANCO DI ANAN YAEESH, PRIGIONIERO PALESTINESE NELLE CARCERI
ITALIANE PER CUI ISRAELE CHIEDE L’ESTRADIZIONE E DI TUTTX LX PRIGIONIERX PALESTINESI.

A FIANCO DI ILARIA, TOBIA, MAJA, GABRIELE E TUTTX LX ANTIFASCISTX IN CARCERE IN UNGHERIA O CON RICHIESTA DI ESTRADIZIONE.

A FIANCO DEX COMPAGNX ANARCHICX RINCHIUSI IN CARCERE O CON MISURE RESTRITTIVE IN OGNI PARTE DEL MONDO.

CON ALFREDO NEL CUORE E CONTRO LA TORTURA DEL 41 BIS

Bologna, febbraio 2024
Anarchiche e Anarchici

QUALCHE NOTIZIA SULLA FORESTA DI HAMBACH

Riceviamo e diffondiamo questa preziosa chiacchiera con due compagnx che da molti anni vivono nella foresta di Hambach.

La miniera di Hambach è una voragine profonda fino a 500 metri, la maggiore depressione d’europa, che raggiunge i 300 metri sotto il livello del mare e che si estende per 85 km2 (il doppio del centro storico di Bologna, la metà dell’intera città di Milano, 30 km2 in meno di Napoli). Una parte della terra scavata dalla miniera è stata usata per erigere la più alta collina artificiale del mondo, alta 300 metri. Vi si estrae lignite, un combustibile fossile di bassa qualità con un contenuto di carbone attorno al 30%. Dal 1978, anno di apertura della miniera, le comunità locali si battono contro la privatizzazione e la devastazione del territorio. Dal 2012, con l’occupazione della foresta, è stata creata una zona autonoma in cui si sperimentano forme di vita basate sull’autogestione, l’antispecismo, il superamento del binarismo di genere e la liberazione dal patriarcato, dove si lotta contro il capitalismo e ogni forma di dominio dell’essere umano, sui viventi e sul pianeta. Da allora vari sgomberi della foresta sono stati eseguiti in modo violento dalla polizia tedesca. A questi è sempre seguita la rioccupazione della foresta, con la costruzione di strutture e case sugli alberi. Gli sgomberi spesso avvengono in concomitanza con la “stagione di taglio”, alcune settimane durante l’autunno, in cui è legale in Germania procedere con gli abbattimenti di foreste. La RWE, compagnia tedesca che gestisce la miniera, negli ultimi anni ha cambiato strategia, interrompendo il taglio della foresta, ma continuando comunque ad espandersi intorno ad essa. Inoltre per evitare che la miniera si inondi, viene costantemente pompata via l’acqua del sottosuolo, cosa che rende il terreno sempre più secco, portando verso la morte quel che rimane della foresta. Sotto l’illusione della svolta “verde”, la compagnia porta avanti un nuovo progetto che riguarda la trasformazione di una parte della miniera in un lago con parchi solari ed eolici, nuove aree protette, creando nuovi posti di lavoro nel capitalismo green. Con estrema arroganza, chi si è arricchito devastando quest’area, ora si vanta di voler dare nuova vita alla distruzione causata da loro stessi senza alcun riguardo per le vite che vi si svolgevano. Una lotta, quindi, che non è vinta, né conclusa. E che porta con sé una memoria densa e ricca. All’interno della foresta si trova il memoriale, un luogo in cui vengono ricordate le persone che hanno partecipato alla lotta nella foresta e che ora non ci sono più. Nel 2018, durante uno dei tanti violenti sgomberi, viene ucciso il compagno Stephen per mano della repressione da parte dello stato e dei suoi alleati, così come Lobo e Shain compagnx internazionalistx che tanto della loro passione e rabbia avevano dedicato alla foresta per poi scegliere di continuare la lotta a fianco del popolo kurdo, cadendo martirx in Kurdistan. Oltre all’occupazione della foresta, nella zona ci sono vari spazi occupati, in cui le diverse anime di un movimento vario e multiforme trovano espressione con spirito di mutuo aiuto e solidarietà, contro il mondo capitalista. Queste zone autonome vanno difese e vissute, perché è qui che si sperimenta l’utopia di libertà che è slancio e destinazione del nostro agire politico.

Nella carta: in blu ciò che resta della foresta di hambach, in rosso il progetto di espansione della miniera (che è in grigio), in arancione la collina artificiale.

1° gennaio 2024, campo di Hambi.

La prima domanda che vorremmo farvi è: quando è iniziata la lotta di Hambach e perché. Potete raccontarci quale è il ruolo della compagnia mineraria nella regione e quali sono i suoi obiettivi?

In questa zona c’è la compagnia RWE, che è una compagnia di estrazione del carbone, costruisce miniere a cielo aperto per estrarre la lignite dal terreno e portarla alle fabbriche o alle centrali elettriche per produrre elettricità. Qui, hanno iniziato ad estrarre lignite nel ’78. Stanno costruendo una miniera a cielo aperto, quindi non scavano nel sottosuolo ma il terreno viene aperto dalla superficie per estrarre il carbone; la miniera deve essere molto grande e profonda perché il carbone si trova in profondità. Un sacco di terra viene distrutta. La miniera è stata aperta nel ’78 e anche qui la resistenza è iniziata presto, perché le persone si sono viste togliere la terra e anche dove c’erano i villaggi la compagnia ha iniziato a scavare. Così la gente è stata, ed è tuttora, costretta a spostarsi, ad andarsene, in modo che la compagnia possa ottenere terra per distruggerla e continuare ad allargare questa enorme miniera. C’è stata una forte resistenza locale e la gente ha cercato di protestare contro la compagnia, poi nel 2012 è iniziata la prima occupazione della foresta. Ci sono diverse miniere in quest’area, ma questa, la miniera di Hambach, è la più grande, prima quasi tutto il terreno era foresta, e c’erano anche alcuni villaggi. L’occupazione della foresta rappresenta solo un decimo della foresta originale, quindi è davvero molto piccola. Dal 2012 nonostante i continui sgomberi e le conseguenti nuove occupazioni, le persone continuano ad esserci.

Cosa ci dite invece del fatto che la compagnia vuole trasformare la miniera in un lago mentre quel che rimane della foresta sta morendo?

Ora abbiamo una situazione dove la miniera si sta estendendo da un lato, quindi la miniera è ancora in funzione e le scavatrici ancora funzionano, ma il piano della compagnia sta cambiando. In base a questo cambiamento forse la miniera potrebbe fermarsi. In Germania il governo dice che nel 2030 usciranno dal carbone fossile, quindi lo sfruttamento di quest’area dovrà cambiare. I vecchi progetti della miniera risalgono agli anni ’80, quindi devono escogitare un altro fine per quando la miniera non sarà più utilizzata. Vogliono fare un grande lago: immaginate un buco enorme che sarà riempito d’acqua prendendola dai fiumi che già, dopo tutti questi anni di siccità, di acqua non ne hanno abbastanza. Il progetto è enorme, vogliono costruire grandi tubi per portare l’acqua e anche in questo caso la conca non sarebbe piena, ma l’acqua sarebbe qualche decina di metri più bassa del margine, quindi non sarebbe proprio come un lago, anche se accadesse. Con l’uscita dal carbone, non verrà più prodotta energia carbonfossile, quindi la miniera non sarà più utilizzata e a questo punto vorranno sviluppare la regione incrementando posti di lavoro per la gente in altro modo. Inoltre, se prima dicevano che il villaggio dove ci troviamo ora doveva essere distrutto, ora hanno cambiato idea e il villaggio può rimanere, e questo è parte dei nuovi piani che hanno deciso, cioè investimenti per nuovi progetti di capitalismo green. La miniera si sta ancora espandendo da un lato, anche se non sul lato dove c’è la foresta. Però quando la foresta finisce inizia la miniera, e pompano via le acque sotterranee dalla miniera perché devono scavare molto in profondità per il carbone. Quindi abbiamo un problema enorme con l’acqua nella foresta e anche il microclima sta cambiando, ci sono molte tempeste, fa molto caldo in estate, e la foresta è una piccola isola non collegata a nessun’altra foresta; da un lato c’è questo buco molto grande e dall’altro c’è un villaggio e alcuni campi dove vogliono ancora scavare: la foresta è ancora in pericolo.

Vogliono tagliare anche una nuova parte della foresta di Hambach, vicino al villaggio di Manheim. Questa, supponiamo, verrà tagliata la prossima stagione perché si trova vicina al punto dove ora si sta scavando. In quel punto c’è un’altra parte della foresta che ora non è collegata al resto e sarebbe importante collegarle di nuovo un giorno, ma la compagnia vuole continuare a scavare.

Quanti anni ha la foresta?

Dodicimila anni. Parte di questa foresta non è mai stata utilizzata dall’uomo, quindi è un ecosistema super antico e prezioso.

Come è cambiata la lotta nel tempo? Quali sono stati i momenti più significativi chiave della lotta?

Sicuramente quando è iniziata l’occupazione della foresta, quello è stato un momento chiave, credo.

L’occupazione della foresta è stata un momento di incontro fra tutte le forme di resistenza che c’erano nella zona, perché tutte le altre forme di protesta avevano fallito, e non erano riuscite a bloccare il progetto. C’erano stati tentativi tramite cause in tribunale contro la miniera. Era una novità che la gente andasse nella foresta e la occupasse, così tutti coloro che erano contrari alla miniera parteciparono a questa occupazione. Questo è stato uno dei momenti chiave. Un altro momento è stato nel 2014/15 quando ci sono state azioni violente contro l’azienda, contro le pompe ecc. e il personale dell’azienda non voleva più entrare nella foresta. È stato un momento importante perché c’è stato il tempo per creare uno spazio sicuro nella foresta, quella che è diventata poi una zona autonoma. Prima, la sicurezza della compagnia e i poliziotti entravano nella foresta e la gente non riusciva a proteggerla. Poi in questo periodo ci sono stati più sabotaggi e attacchi violenti, quindi le guardie della compagnia non volevano più ad entrare nella foresta. Questo ha significato anche una maggiore costruzione di strutture sugli alberi e una maggiore organizzazione, le persone si sentivano un po’ più sicure e meno minacciate dall’esterno. Poi, nel 2017 c’è stato uno stop alla stagione dei tagli. Ogni anno, per un paio di mesi in autunno-inverno, c’è la “stagione di taglio” dove è permesso tagliare gli alberi, anche grosse superfici di foresta. Nel 2017, un tribunale ha fermato la stagione dei tagli e questo ha permesso alle persone di costruire più strutture sugli alberi e di essere più rilassate, in quanto gli alberi non venivano tagliati e le persone hanno avuto tempo per organizzarsi. In questo modo le persone potevano prepararsi per gli anni successivi e questo era davvero importante per avanzare nella lotta e costruire più strutture. Ovviamente nel 2018, un anno dopo, c’è stato il più grande sgombero e la più grande operazione di polizia che è avvenuta nell’area, portando alla distruzione di tutto ciò che era stato costruito nella foresta, come reazione c’è stata anche una grande mobilitazione di persone e i media hanno iniziato a parlarne portando molte persone a unirsi alla lotta. Questo grazie al periodo precedente in cui le persone hanno potuto prepararsi. Durante lo sgombero di Hambach del 2018 moltissime persone sono arrivate in supporto e c’è stato un corteo di 500mila persone. È stato un momento in cui tante persone sono state coinvolte, c’è stato tanto sostegno dall’esterno e molte persone sono venute nella foresta. E hanno aiutato a rioccupare la foresta!

Quanto era grande, prima dello sgombero, l’area occupata?

C’erano quasi 90 alberi con case e strutture nella foresta, e hanno distrutto tutto. Lo sgombero è durato poco più di tre settimane, in totale. In un barrio1 addirittura ci vivevano diverse centinaia di persone, era davvero grande. Così, mentre loro continuavano a sgomberare e a distruggere una parte della foresta, in un’altra parte la gente rioccupava e ricominciava a costruire.

Come ha funzionato la repressione in questa lotta? Quali sono stati e quali sono gli effetti della repressione prima e ora?

Penso che la repressione sia aumentata. Le persone sono state criminalizzate molto e sono state mandate in prigione con pene sempre più dure. Nel 2017 e nel 2018 c’è stata molta repressione e questo ha portato le persone a stare più attente e a non fare più molte cose. Nel 2015-16 ci sono state diverse persone finite in carcere o in custodia cautelare per mesi, senza che ci fosse una accusa concreta. In molti casi ciò che le persone facevano era rifiutarsi di fornire la propria identità. In molti casi questo funzionava abbastanza bene, e anche se talvolta ciò significava che le persone dovevano rimanere più a lungo in prigione o in custodia mentre cercavano di scoprire l’identità della persona, alla fine si riusciva ad evitare le condanne.

Qual è l’accusa che hanno usato maggiormente? C’è stata qualche costruzione mediatica sulle persone che vivono qui e sull’occupazione della foresta nella propaganda dei media mainstream?

All’inizio, durante il primo sgombero degli alberi, hanno cambiato la strategia mediatica. C’è stato un programma, sul canale ufficiale, che in Germania è governativo, in cui i giornalisti in tv erano vicini agli alberi e non parlavano di uno sgombero ma di un’operazione di salvataggio. È stato molto interessante perché il reporter era ripreso davanti ad un’ambulanza, con le luci blu nell’immagine, come a dire: “Dobbiamo salvare questa persona che si trova nel tunnel sotto terra e la polizia sta facendo di tutto per lui”. Prima eravamo i terroristi, le scimmie e tutto il resto. Hanno sempre cercato di criminalizzarci. C’erano incursioni della polizia nell’accampamento che sta ai margini della foresta per cercare armi, spezzare la solidarietà, sequestravano materiale con cui si immaginavano che le persone costruissero molotov e portavano via carta igienica, plastica e quant’altro. Un posto a Durrin (villaggio nelle vicinanze), una struttura di supporto, è stato oggetto di diverse perquisizioni. L’accusa che addossavano era soprattutto di resistenza contro i poliziotti, resistenza aggravata, invasione.

In questo periodo Negli ultimi tempi ci sono stati diversi attacchi alla foresta, come sono collegati alla repressione?

Ci sono sempre stati attacchi di questo tipo, cioè persone che non ci amano, a volte non sappiamo chi siano, spesso supponiamo siano persone che sostengono RWE, lavoratori della miniera, quindi non vogliono persone contrarie a questa attività mineraria. Vengono di giorno per insultaci, e a volte anche di notte. Ci sono attacchi notturni, probabilmente sono anche nazisti, abbiamo avuto auto bruciate nel villaggio. Un piccolo campo vicino alla foresta è stato attaccato con molotov e bruciato, l’anno scorso abbiamo avuto molti incendi di strutture vuote, sei più o meno. Ci sono sempre stati attacchi da parte dei nazi, solo la prima occupazione della foresta non è stata attaccata.

Riguardo alla solidarietà che avete ricevuto: che reazioni e quali azioni ci sono state da parte delle persone del territorio? In che modo le persone vi hanno dato solidarietà e in che modo continuano a darla?

La solidarietà è stata dimostrata in molti modi diversi, c’è stato e c’è un grande sostegno da parte delle persone, alcune persone son venute per vedere la foresta, altre sono semplicemente interessate a venire, conoscere e parlare con chi vive qui. Alcunx vengono una prima volta e poi continuano a tornare. Alcun magari non ci sono mai stati prima e poi tornano a visitarla. Le persone ci aiutano con i materiali, portando molte cose, chiedendo cosa ci serve, offrendo posti per dormire o per riposare, donazioni di ogni tipo, cibo. Le persone ci supportano anche organizzando cose al di fuori della foresta, tramite manifestazioni, facendo controinformazione, raccontando alla gente quello che succede qui, facendo azioni da qualche parte, non solo nella zona, ma anche in altre città. C’è un’enorme rete di supporto, anche in altre città. La gente fa un sacco di cose diverse!

Per quanto riguarda il luogo in cui ci troviamo, l’accampamento di Hambi, anche questo è stato un segno di sostegno da parte di una persona del villaggio, vuoi dirci qualcosa di più a riguardo?

Innanzitutto, questo è collegato, c’era e c’è ancora il campo di Mado. C è una persona solidale della zona che possiede questo campo, una persona che sin dall’inizio, da quando è iniziata l’occupazione della foresta ci ha dato il suo campo da usare, e nel mentre aveva anche delle cause giudiziarie, per cercare di mantenere la sua terra e non doverla vendere a RWE. Era davvero molto coinvolta, e poi anche più tardi ha continuato a provare ad aprire molte cause legali contro la miniera.

Poi, quando nel 2018 c’è stato lo sgombero nella foresta, è iniziato il primo campo di hamby nell’altro villaggio per sostenere lo sgombero e la rioccupazione, per avere un luogo sicuro da dove le persone potessero entrare ed uscire dalla foresta. Quando non è stato più possibile rimanere lì, la gente ha iniziato a chiedere in giro per il villaggio e abbiamo trovato una donna molto gentile che ha dato il suo giardino per l’accampamento di hamby, quello dove siamo ora, dove abbiamo acqua ed elettricità e un sacco di strutture che possono stare indisturbate in questo giardino per sostenere l’occupazione della foresta.

In questi anni, ad Hambach, è stata costruita un’enorme zona autonoma. Cosa significa per voi? Come funziona? Quali sono gli aspetti positivi? Perché è ancora importante mantenere questa zona autonoma?

Perché, come hai detto tu, è una zona autonoma molto grande e penso che sia stata e sia tuttora importante perché c’è molto scambio tra persone provenienti da diverse aree e paesi e da diverse lotte che possono trovarsi qui per imparare a vicenda, per aiutarsi e sostenersi. Inoltre, poiché questo luogo è al di fuori della civiltà, si può imparare molto dalla vita nella foresta, che è davvero molto diversa dalla vita della maggior parte delle persone. Unirsi e imparare l’uno dall’altro e fare rete è importantissimo. Dopo 10 anni di lotta per mantenere questo luogo, penso che valga la pena lottare per mantenerlo. È uno spazio aperto, il che è davvero significativo? perché le persone possono venire liberamente senza annunciarsi, si può semplicemente venire e trovare il proprio posto, ma d’altra parte il fatto che sia così aperto crea anche molti problemi e molto lavoro. Tutto questo funziona grazie a chi contribuisce al progetto, attraverso le persone che vengono. E’ davvero importante che le persone vivano in questa zona autonoma per qualche tempo e la rendano vivibile.

Hambach è stata la prima foresta occupata, dopo però sono state occupate altre foreste, come ad esempio Tumbletown. Cosa pensi della diffusione di questa pratica?

È davvero bello vedere che queste tattiche funzionano, le occupazioni sugli alberi, non solo come forma di azione diretta, le persone cercano di creare più zone autonome, anche temporanee in altre foreste e cercano di vivere l’anarchismo insieme, lottando contro ciò che succede e proteggendo la foresta. C’erano e ci sono ancora connessioni tra le occupazioni delle foreste, le persone si visitano e si sostengono a vicenda. Durante questo periodo ci sono state molte occupazioni di foreste ma non tutte hanno avuto successo. Le persone però hanno imparato molte cose, sono cresciute e si sono spostate in altre occupazioni. A volte questa occupazione diventa un punto di ritrovo, abbiamo cercato di condividere conoscenze sull’ arrampicata, abbiamo organizzato eventi in modo che le persone potessero andare via da qui e ricreare questo tipo di lotta anche in altri luoghi, in modo che ci siano diversi scambi di conoscenze e per accrescere le strategie e le conoscenze pratiche.

Che tipo di solidarietà possono portare le persone a questa lotta, e cosa possono fare qui e da altre parti da cui provengono?

Penso che la cosa migliore sia lo scambio di conoscenze ed esperienze o la condivisione di come funzionano altri luoghi, cosa è andato bene e cosa no, come fare le cose, che tipo di problemi ci sono. In questo modo possiamo scoprire e conoscere altri modi diversi di fare le cose. Questo credo sia davvero importante! Anche conoscere altri progetti in altri Paesi, quali sono quelli simili, come sono collegati tra loro e come renderli pubblici. Tutti possono aiutare se c’è più rete.

Ultima domanda… cosa pensi in generale delle lotte ambientali? Che percezioni hai riguardo a queste? Come è cambiata in questi anni, sia dal punto di vista interno sia dal punto di vista del nemico?

Non sono molto positivx riguardo gli ultimi sviluppi che stanno avvenendo perché non vedo grandi cambiamenti in nulla e penso che il governo e le aziende stiano cercando di dipingere il tutto di verde ma continuando con il capitalismo, quindi non vedo grandi cambiamenti in atto.

1 Le diverse strutture costruite nella foresta sono suddivise in diverse zone, chiamate “Barrio”, ovvero quartiere.

 

CONTESTI DI CURA O LUOGHI DI TORTURA? UN DOSSIER SULLA FONDAZIONE STELLA MARIS

Riceviamo e diffondiamo un dossier sulla fondazione “Stella Maris”- Istituto scientifico, Ospedale specializzato e Centro di assistenza – che di fatto gestisce, in appalto da Università e Asl nella provincia di Pisa, l’assistenza e la cura dei disturbi e delle disabilità dell’infanzia e dell’adolescenza.

Una fondazione dalla fortissima impronta cattolica  in prima linea nel crescente e preoccupante fenomeno della medicalizzazione e della psichiatrizzazione dell’infanzia. Vediamo infatti le giovani generazioni sottoposte da un lato al fuoco incrociato di una catalogazione in categorie mediche che spieghino in termini “scientifici” il loro distacco dal feticcio della normalità e, dall’altro, al conseguente uso dilagante e in crescita esponenziale di psicofarmaci che attaccano e minano la salute psicofisica con effetti devastanti per la vita futura.

Non solo, nell’utimo anno il Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud ha rotto il silenzio intorno agli abusi avvenuti nella struttura di Montalto di Fauglia: si parla di aggressioni fisiche e verbali, trattamenti degradanti quotidiani, spintoni, schiaffi, minacce e vessazioni costanti. Tra gli ospiti della struttura ricordiamo Mattia, morto nel 2018 per soffocamento in seguito al blocco della glottide dovuto alla somministrazione prolungata ed eccessiva di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la famiglia – in lotta per la verità contro l’omertà e gli interessi che proteggono questa mega istituzione – non era mai stata informata.

Nonostante ciò la Stella Maris continua a ricevere  abbondanti finanziamenti e onorificenze dalla Regione Toscana e ad essere considerata un’eccellenza a livello nazionale. Il 20 gennaio 2022 il Comune di Pisa ha rilasciato alla Fondazione il permesso per costruire un nuovo enorme centro, in prossimità dell’Ospedale Cisanello, nella periferia pisana.

All’interno del Dossier due testi:
– “Che cos’è Stella Maris”
– “Generazioni da sedare – il ‘caso’ ADHD – Ritalin – Progetto Prisma”

Qui il testo PDF Dossier Stella Maris
Qui un opuscolo a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud sulla storia di Mattia La storia di Mattia

Qui il comunicato diffuso dalla Rete Antipsichiatrica  al presidio che si è tenuto di recente a Brescia contro la violenza che regola la vita all’interno di moltissimi centri residenziali “di cura” per persone con disabilità o fragilità psichica. Luoghi dove la contenzione fisica e farmacologica è consuetudine e dove le prepotenze sono ordinarie e strutturali: dai maltrattamenti nella struttura di Montalto di Fauglia gestita dalla Stella Maris, agli abusi all’interno delle strutture della Cooperativa Dolce di Bologna, fino agli orrori della Comunità Shalom, nel bresciano. Riteniamo sia importante non spegnere i riflettori su una violenza così estesa, capillare, non episodica, accettata e sostenuta quotidianamente dal silenzio di tanta società “civile”.

Sul sito del collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud altri riferimenti utili https://artaudpisa.noblogs.org/post/category/dossier-stella-maris/

ORA COME ALLORA

Riceviamo e diffondiamo un testo in solidarietà ai condannati/e del Brennero da Udine.

Il 7 maggio del 2016 un corteo di diverse centinaia di persone si batte per diverse ore al passo del Brennero bloccando autostrada e ferrovia per più di mezza giornata, in risposta alla proclamata intenzione del governo austriaco di costruire un muro anti-immigrati alla frontiera italo-austriaca con la complicità dell’Italia.
Lo Stato decise di processare per quella giornata in totale più di 120 compagni e compagne. La sentenza d’appello ha alla fine condannato 63 di loro a più di 125 anni di carcere. Qualora le condanne fossero confermate in Cassazione, il 5 marzo prossimo, una trentina tra compagne e compagni potrebbero finire in carcere, molti altri e altre ai domiciliari.

Erano gli anni in cui il governo italiano di centro-sinistra iniziava a pagare i signori della guerra libici e le loro milizie di assassini per il blocco e l’internamento nei lager libici di centinaia di migliaia di donne e uomini in fuga da comunità e territori devastati dal colonialismo occidentale e il Mediterraneo diventava un cimitero sempre più vasto; in cui i Balcani ridiventavano costante luogo di transito verso l’Europa, con quella che venne definita rotta balcanica; in cui, all’interno dei confini nazionali, con i “pacchetti sicurezza” Minniti e Salvini lo Stato e il capitale nostrano imprimevano un’ulteriore accelerata – all’interno di una generale continuità inaugurata già molti anni prima – alla guerra ai poveri, ai marginali, ai devianti, ai ribelli, a chi non può o non vuole piegarsi ai ricatti dello sfruttamento, del decoro, del lavoro salariato, della repressione.
Da quei giorni le cose non sono certo migliorate, anzi. Chi cerca di fare ingresso nella fortezza Europa dopo aver affrontato il deserto e i lager libici, o i campi, le deportazioni e i pestaggi delle polizie balcaniche, francesi o ungheresi viene lasciato deliberatamente affogare in mare o morire di freddo in montagna o per strada.
Il genocidio portato avanti (col fondamentale supporto degli alleati occidentali) dallo Stato sionista di Israele verso la popolazione palestinese a Gaza e in Cisgiordania, la guerra tra la Nato e la Federazione Russa in Ucraina generano profitti enormi per l’industria militare e per il comparto della ricerca al servizio dello sviluppo e del rinnovamento del sistema bellico-industriale, la quale è la prima complice e responsabile della morte, del ferimento, della tortura e dello stupro di milioni di oppressi e oppresse.

Sui fronti interni, solo per considerare il nostro, il lascito della gestione militare dell’“emergenza” Covid-19 – oltre ad un riuscito esperimento di mobilitazione generale della popolazione in un simulato scenario di guerra – è un deciso avanzamento del controllo dello Stato e delle sue polizie in ogni ambito della vita, reso possibile non solo dalla presenza fisica di sempre più sbirri e militari nelle strade, ma soprattutto dalla digitalizzazione che tritura quasi ogni anfratto della quotidianità.
Un avanzamento che prefigura e prepara – tanto nel discorso pubblico e quanto nelle realtà dei territori – a conflitti che potrebbero estendersi ben oltre le loro dimensioni attuali.
La guerra di Stato e padroni a sfruttati e sfruttate si fa ogni anno, ogni mese, sempre più aperta e brutale; basti citare l’ultimo pacchetto sicurezza del 2023, i decreti “Piantedosi”, “Cutro” e “Caivano”. Quest’ultimo nato a seguito di due fatti di violenza di genere, che però non è affatto centrale nel decreto ma funge da mera giustificazione per la repressione autoritaria dei minorenni delle periferie. Tutti questi decreti sono volti ad aumentare il carico di sfruttamento e repressione per lavoratori e studenti in lotta, occupanti di case, migranti, per chi si rivolta in carcere o nei CPR, per tutti gli esclusi e le escluse da un ordine in via di lento disfacimento e per questo sempre più aggressivo nel portare avanti i propri progetti di ristrutturazione – in senso tecnico, economico,
sociale, ed in definitiva autoritario – nel tentativo di sopravvivere al tracollo innescato dalle sue stesse incessanti attività distruttive.
Ogni giorno che passa il legame tra frontiere e guerra è sempre più lampante anche nel territorio del Friuli Venezia Giulia, “ultima tappa” della rotta attraverso i Balcani percorsa da coloro che abbandonano luoghi devastati dalle guerre presenti e passate condotte dell’Occidente nel continente asiatico per il saccheggio di materie prime e il controllo dei territori dove vengono estratte; dove il fiume Isonzo, il CPR ed il CARA di Gradisca offrono, a pochi metri di distanza uno dall’altro, un ottimo esempio dei diversi gradi di selezione delle “eccedenze umane” di cui il sistema dell’“accoglienza” è complice; dove si fanno enormi profitti con le commesse per regimi democratici e dittatoriali in guerra permanente, negli stabilimenti Leonardo di Ronchi dei Legionari, di Fincantieri e Goriziane Spa; dove ci si prepara pian piano alla guerra all’interno dei patrii confini, con ben quattro progetti di cosiddette caserme verdi, ossia il concetto di integrazione civile-militare applicato direttamente alla vita quotidiana dei territori intorno agli avamposti delle forze armate.

Ora come allora siamo dalla parte di chi, con l’azione diretta, decide di attaccare le strutture e i responsabili di questo sistema di annientamento e devastazione, anche perchè “abbattere le frontiere non può essere solo uno slogan con cui reclamare il ritorno a Schengen o una diversa politica di “accoglienza” da parte delle istituzioni e nemmeno una mera espressione di solidarietà nei confronti dei profughi. Significa battersi autonomamente – con quelli che ci stanno – per sconvolgere un ordine sociale marcio fino al midollo”.

Solidali e complici con i condannati/e per il corteo del Brennero

Udine, febbraio 2024

ESITO UDIENZA PER GABRIELE

Il 13 febbraio si è tenuta un’udienza per decidere in merito alla possibile estradizione di Gabriele in Ungheria. L’udienza è terminata con un ulteriore rinvio al 28 marzo.
Nonostante il giudice si fosse ritirato in camera di consiglio per prendere una decisione a fine udienza la scelta finale è stata quella di un nuovo rinvio.
Il giudice italiano ha infatti deciso che venga chiesta all’Ungheria la possibilità di una misura detentiva alternativa al carcere, quindi i domiciliari in Ungheria o in Italia. Questo perché sono state riconosciute delle criticità nelle condizioni di detenzione in carcere in Ungheria.
L’Ungheria dovrà rispondere entro i 15 giorni antecedenti all’udienza del 28 marzo.
Nel frattempo Gabri resta ai domiciliari con tutte le restrizioni.

UNA GRAVE STORIA DI VIOLENZA MEDICA AL CARCERE DI PARMA

Riceviamo e diffondiamo la storia di Sereno Quirino, detenuto da sedici anni nella casa circondariale di Parma.

Mi chiamo Luca Sereno e scrivo per denunciare il trattamento a cui è sottoposto mio padre, Sereno Quirino, detenuto da 16 anni nella casa circondariale di Parma. Negli ultimi anni, ha affrontato gravi problemi di salute, tra cui dischi intervertebrali schiacciati lungo la spina dorsale, calcificazione delle rotule della gamba destra e sinistra, 6 tumori benigni rimossi tra intestino e colon, macchie nere nei polmoni e varie altre patologie.

All’arresto, 16 anni fa, mio padre non presentava alcuno di questi problemi, ma ora è costretto a utilizzare stampelle e, in alcuni giorni, una sedia a rotelle. Durante i processi, viene trasportato in ambulanza e giunge in tribunale sdraiato su un lettino a causa dei suoi gravi problemi di salute.

Dopo molte lotte e richieste con il mio avvocato, siamo riusciti a ottenere visite più complete e specializzate per le sue patologie presso il Centro dei Dolori. Prima di queste visite, a mio padre venivano somministrati diversi medicinali, tra cui Seroquel da 200 mg (tre pastiglie al giorno, quindi 600 mg), Irika, Stinox, Contromal e molti altri. La sua cartella clinica è estremamente complessa, e anche ricordare tutti i farmaci a memoria risulta impossibile.

Questo per evidenziare la difficile situazione di salute di mio padre, che necessita di cure adeguate e di un’attenzione particolare da parte delle autorità penitenziarie. Riusciamo a farlo visitare al Centro dei Dolori, dove dopo esami specializzati per i suoi dolori, gli viene prescritto il cerotto di Fentanil. Questo cerotto rilascia il principio attivo nel corpo per tre giorni, successivamente viene cambiato. Inizia con il dosaggio da 25, poi passa a quello da 50 e infine a quello da 100. A ciò si aggiungono i suoi medicinali “di sempre”, con l’eccezione del Contromal, che viene sostituito dal Fentanil in cerotto.

Circa 3-4 mesi fa, mio padre viene sottoposto a un controllo al Centro dei Dolori. Durante questo controllo, la dottoressa, senza spiegazioni, decide di interrompere tutti i medicinali, compreso il cerotto di Fentanil, in un periodo di soli 9 giorni. Questo avviene dopo anni di assunzione regolare, e la rapida diminuzione delle dosi, senza alcun adeguato scalaggio, solleva interrogativi sulla motivazione di una scelta così drastica. È evidente che una persona che ha assunto dosi così elevate di medicinali derivati dalla morfina e oppiacei per molti anni potrebbe reagire in modo significativo a una interruzione così improvvisa e completa del trattamento. Restiamo perplessi e ci chiediamo quale possa essere il motivo dietro una decisione così radicale, specialmente considerando gli anni di somministrazione di questi farmaci. Mio padre non ha certo guarito miracolosamente da un giorno all’altro; al contrario, la sua situazione è peggiorata. È come se andaste dal medico con la febbre e, anziché prescrivervi una normale tachipirina o effettuare esami specialistici, vi privasse improvvisamente del trattamento. Questo esempio, seppur semplice, mira a illustrare la gravità della situazione. Una dottoressa ha compiuto un gesto simile, togliendo tutto senza apparente motivo. Benché conoscessimo il motivo, senza prove non possiamo dichiararlo apertamente. È evidente che si tratti di qualcosa di più, poiché anche un bambino comprenderebbe che un’azione del genere equivale a tortura.

Dopo quel giorno, mio padre ha subito un intervento per rimuovere polipi e tumori (sei in totale, tra colon e stomaco). Sorprendentemente, dopo l’operazione, non gli è stato somministrato alcun antidolorifico o sollievo. Abbiamo presentato denunce, ma le risposte sono state deludenti, come il commento della dottoressa che ha dichiarato di pensare di aver aumentato il cerotto. Questo è solo un esempio delle risposte ricevute.

Ho deciso di condividere questa storia su una pagina Facebook dedicata ai diritti dei detenuti, accompagnata da foto che documentano quanto accaduto. La trasformazione di mio padre da prima di quel tragico giorno a ora è evidente durante le videochiamate, quando lo vedo in una sedia a rotelle, senza parlare e soffrendo visibilmente. La sensazione di impotenza di fronte a questa situazione mi distrugge, e il dolore che sto vivendo è straziante. Mio padre sta morendo lentamente davanti ai miei occhi, e mi sento totalmente impotente. Dopo questo articolo pubblicato su Facebook, una ragazza dell’Associazione Yairaiha ETS, contatta la garante dei detenuti di Parma, che visita immediatamente il carcere per comprendere la situazione. Nonostante le rassicurazioni iniziali, viene promesso a mio padre un sostituto del cerotto con lo stesso principio attivo come antidolorifico. Tuttavia, questa promessa si rivela una presa in giro, poiché dopo diverse settimane, mio padre è ancora nella stessa situazione.

La garante, chiedendo aggiornamenti, riceve risposte ingannevoli, affermando che tutto è a posto. In realtà, a mio padre è stato somministrato solo uno psicofarmaco che, anziché alleviare il dolore, lo ha reso quasi catatonico. È vergognoso vedere come invece di fornire un antidolorifico di cui mio padre ha estremo bisogno, venga somministrato un farmaco che lo sta trasformando in uno stato quasi vegetativo. Fortunatamente, mio padre ha rifiutato questo psicofarmaco, dimostrando una lucidità che sembra mancare nelle decisioni della struttura penitenziaria. La situazione che mio padre sta vivendo è un chiaro caso di tortura, una pratica inaccettabile. Nonostante gli sforzi della garante dei detenuti, la presa in giro continua, e nemmeno le informazioni sui medicinali somministrati vengono fornite chiaramente.

Chiedo a chiunque legga questo testo di aiutarmi. Non sto cercando la liberazione di mio padre né sconti di pena; è responsabile delle sue azioni e deve affrontare le conseguenze. Tuttavia, non merita di essere sottoposto ad una simile tortura. Non sto chiedendo l’impossibile, solo giustizia e un trattamento umano. La sua salute è in serio pericolo, e non posso rimanere inerte, aspettando che la situazione peggiori.

Vi prego, chiunque possa aiutare, chiunque possa fare qualcosa, vi chiedo aiuto. Non so più a chi rivolgermi, mi sento impotente. Questa non è solo una questione di diritti umani, ma di umanità. Spero che la vostra solidarietà possa portare a un cambiamento positivo per mio padre.

Di Luca Sereno, ( figlio di Quirino Sereno)

BOLOGNA: MICROZAD AL PARCO DON BOSCO

Cosa ci fanno delle casette sull’albero al Parco Don Bosco? Perché c’è sempre gente, iniziative e socialità? Cosa succede a Bologna accanto alle Scuole Besta? Di seguito un piccolo racconto, sicuramente parziale e non esaustivo, dell’inedita resistenza che sta vedendo protagonista un parco e i suoi abitanti, nel contesto del cemento bolognese.

Da diversi mesi un comitato di cittadinx è riuscito a rompere il silenzio intorno al progetto di “riqualificazione” delle scuole Besta. Parliamo di oltre 18 milioni di euro per abbattere decine di alberi ad alto fusto, distruggere la fauna presente, non ristrutturare e demolire la scuola esistente, e ricostruirne una nuova accanto – “green” – asfaltando il parco. Un vero capolavoro.

Il 16 dicembre 2023 circa duecento persone tra abitanti e giovani del quartiere, collettivi e realtà ecologiste, cittadine e cittadini in lotta contro il Passante di mezzo, e un’idea di città escludente ed esclusiva, hanno attraversato il quartiere San Donato in corteo per dire no alla devastazione del Parco Don Bosco. Sono state organizzate iniziative, momenti di incontro e confronto, oltre che costanti presidi per impedire l’inibizione dell’accesso al parco.

Il 29 gennaio, quando operai e municipale si sono presentati per recintare definitivamente l’area in vista degli abbattimenti, un gruppo di cittadinx si legato agli alberi, mentre le abitanti del quartiere hanno divelto le recinzioni per impedire l’allestimento del cantiere. Da quel giorno il Parco Don Bosco è presidiato costantemente, animato da iniziative, momenti di incontro e libera socialità, colazioni, pranzi, cene, merende, bricolage, sculture in legno, casette sull’albero, tende, tessuti, trapezi, musica e discussioni!

Una situazione assolutamente inedita e singolare per le nostre latitudini, soprattutto all’interno di contesti iper-urbanizzati, una vera e propria micro ZAD in città – Zone a Defendre, Zona da difendere – inserita come un cuneo tra i palazzi della fiera e i progetti dell’amministrazione, in cui abitanti del quartiere, di età e generazioni diverse, si stanno incontrando, vincendo pregiudizi e paure, non solo per difendere un parco, ma contro un modello di sviluppo insensato che annienta la vita di individui, territori e comunità, e un’idea di città “green” come il colore dei soldi. In barba a chi avrebbe già voluto vederlo distrutto, il Parco Don Bosco oggi è più vivo che mai!

ZAD – Zone a Defendre, Zona da Difendere – è un neologismo francese che indica quelle occupazioni che hanno lo scopo di bloccare progetti dannosi e nocivi per comunità e ambienti, rendendo possibile, qui e ora, la riappropriazione collettiva da parte delle comunità dei territori che abitano, oltre le logiche del consumo e del profitto.

Qualcuno non aveva fatto i conti con una comunità ostinata!
Siamo tuttx invitatx a presidiare il Parco!

IL PARCO DON BOSCO NON SI TOCCA!

Alcunx abitanti in lotta


Testo in PDF: MICROZAD AL PARCO DON BOSCO

AGGIORNAMENTO SUL PROCESSO RONDENBARG – AMBURGO G20 2017

Riceviamo e diffondiamo un aggiornamento sul processo Rondenbarg,  Amburgo G20 2017.

Il 18 gennaio ad Amburgo si è aperto il processo Rondenbarg, legato al corteo della mattina del 7 luglio 2017, in occasione del G20. 73 persone di diverse nazionalità (tra cui due italianx) sono accusatx di “grave violazione della quiete pubblica, violenza contro pubblici ufficiali con un caso particolarmente grave, nonché tentate lesioni personali gravi, formazione di gruppi armati e danni alle cose” per aver preso parte ad un corteo di circa 200 persone che fu violentemente represso dalle forze dell’ordine pochi minuti dopo la partenza. Il bilancio dell’operazione fu di un numero imprecisato di feriti tra cui 14 gravi, alcunx con danni permanenti, e 59 arresti, alcunx rilasciatx tre giorni dopo alla fine del vertice, altrx rimastx per settimane o mesi in custodia cautelare in carcere.
Si tratta di un processo politico, nel quale la Procura di Amburgo vuole dimostrare che la sola presenza ad una manifestazione sia sufficiente per condannare per “supporto morale”, reato depenalizzato nel 1970 e reinserito poco prima del G20 appositamente per colpire x manifestantx.
Per ora sono state fissate 25 udienze fino ad agosto. Durante le prime udienze sono stati visionati dei filmati del corteo e si è discusso sulla natura di esso per capire se l’accusa fosse applicabile applicabile o meno. La prossima udienza si terrà l’8 febbraio, seguiranno aggiornamenti.

Segue una traduzione di un quadro di quanto accaduto dal 2017 ad oggi, dal sito https://gemeinschaftlich.noblogs.org/ su cui sono disponibili ulteriori aggiornamenti e informazioni in tedesco.

Qui un aggiornamento a cura di osservatorio repressione https://www.osservatoriorepressione.info/riprendono-processi-g20-del-2017-ad-amburgo/

Informazioni di base sul processo Rondenbarg

Nel luglio 2017 si è svolto ad Amburgo il vertice annuale del G20, in cui si incontrano i capi di Stato e di governo dei venti paesi più potenti del mondo. In quell’occasione decine di migliaia di persone si sono recate ad Amburgo per scendere in piazza contro i negoziati capitalisti e per un mondo più giusto senza sfruttamento e oppressione. Già prima dell’inizio del vertice la città di Amburgo era blindata da forze dell’ordine e da restrizioni alla libertà di aggregazione come il divieto di manifestazioni in un’area di oltre 30 chilometri quadrati dal centro e il divieto di accampamento.
La prima manifestazione “Welcome to hell” della sera del 6 luglio fu brutalmente caricata e dispersa dalla polizia. Il 7 luglio, primo giorno del vertice, migliaia di attivistx erano in giro fin dalle prime ore del mattino per manifestare e bloccare le vie di accesso ai partecipanti al vertice. Dal campeggio autorizzato nel parco di Altona (fuori dall’area oggetto di restrizioni) sono partite diverse manifestazioni che dovevano congiungersi al corteo principale. Sulla strada per il centro della città, in via Rondenbarg, un gruppo di circa 200 persone è stato bloccato da diverse unità di polizia con idranti che hanno chiuso il corteo davanti e dietro e hanno brutalmente caricato la manifestazione da entrambi i lati costringendo le persone a disperdersi. I manifestanti sono stati violentemente buttati a terra, picchiati ed insultati, ci sono state numerose persone ferite che hanno riportato lacerazioni, contusioni, vertebre compresse e fratture ossee anche esposte. I vigili del fuoco sono arrivati sul posto con 12 ambulanze e 5 veicoli sanitari di emergenza e in un comunicato stampa hanno parlato di “incidente con vittime in massa”.[1]
Ferite particolarmente gravi sono state causate tra l’altro da una ringhiera che si è staccata quando i manifestanti hanno tentato di scappare scavalcandola, venendovi spinti contro dalla polizia. La ringhiera si ruppe e alcunx attivistx caddero con essa da un altezza di circa quattro metri. L’episodio venne così commentato alla radio della polizia: “li hanno proprio fatti a pezzi!”.[2] Il dispiegamento di polizia per l’operazione prevedeva oltre a un centinaio di guardie e due idranti, anche l’unità di arresto e conservazione delle prove (BFE) “Blumberg” della polizia federale, nota per i suoi comportamenti violenti, e l’unità speciale di supporto bavarese (USK).
In totale a Rondenbarg sono state fermate 73 persone, di queste, 59 sono state arrestate e portate al centro di raccolta carcerario (GeSa), le altre 14 sono state trasportate in ospedale con ferite gravi e alcune hanno riportato danni permanenti. Alcunx arrestatx sono rimastx per più di 24 ore nelle celle del GeSa costantemente illuminate, strette e soffocanti e sono stati poi trasferitx in vari istituti penitenziari, anche durante la notte, dopo essere statx condannatx dai “Tribunali accelerati” istituiti appositamente per il vertice del G20. Delle 59 persone arrestate, 42 sono state rilasciate solo domenica 9 luglio dopo la conclusione del vertice. Per altre 12 persone invece è stata disposta la custodia cautelare in carcere, che è caduta solamente dopo settimane, o in alcuni casi mesi, di detenzione.[3]

Fabio, italiano, ha trascorso quasi cinque mesi in custodia ad Amburgo dopo il suo arresto a Rondenbarg. Il suo processo è stato sospeso nel febbraio 2018 perché la giudice è andata in maternità. Nel processo di Fabio, la volontà incondizionata della magistratura di perseguire si è espressa non solo nella durata della custodia cautelare in carcere, ma anche nelle dichiarazioni rese dal giudice regionale Tully durante le udienze per la richiesta di revoca della custodia cautelare. Senza nemmeno aver mai visto Fabio e senza avere nemmeno un rapporto a disposizione, il giudice Tully ha ipotizzato che il diciannovenne avesse “un’inclinazione alla violenza” e “significative carenze caratteriali e educative”. Il concetto di “inclinazione alla violenza” fu introdotto nel diritto penale minorile tedesco dai nazisti nel 1941 e venne mantenuto anche durante la revisione della legge nel 1953. [NdT il processo di Fabio è stato archiviato senza ulteriori richieste nell’autunno 2023]

Le indagini sono state seguite dal SOKO Black Block, unità speciale appositamente costituita, che ha successivamente identificato altrx attivistx tramite fotografie e ha effettuato decine di perquisizioni domiciliari. Finora il Tribunale distrettuale ha presentato accuse contro un totale di 73 imputatx divisx in otto gruppi procedurali.[4] Tuttavia, le indagini sono state notificate ad un totale di 85 persone.
Tra questi vi sono tre cittadinx svizzerx che sono stati giudicati dal Tribunale di Zurigo per il procedimento Rondenbarg. Il loro processo, inizialmente rinviato a causa del Covid, si è svolto solamente il 16 aprile 2021 presso il Tribunale distrettuale di Zurigo. In questo processo il giudice aveva già emesso il verdetto in anticipo. Nel fascicolo del Tribunale messo a disposizione per l’ispezione prima del processo c’era infatti un documento con una sentenza già completamente formulata contenente le motivazioni del giudice Vogel, datato autunno 2020. Gli imputati hanno lasciato l’aula durante il processo per protesta contro questa farsa. Il verdetto è arrivato per iscritto il 21 aprile 2021: due compagnx sono statx giudicatx colpevoli e condannatx al pagamento di multe per violenza e minacce contro pubblici ufficiali e per violazione della quiete pubblica,[5] mentre il terzo è stato assolto.
Il 3 dicembre 2020 presso la Camera penale minorile 27 del Tribunale regionale di Amburgo, è iniziato il processo contro x cinque imputatx più giovani, che nel luglio 2017 erano ancora minorenni. L’imputazione, per queste cinque persone come per le altre, è quella di “grave violazione della quiete pubblica, violenza contro pubblico ufficiale con un caso particolarmente grave, nonché tentate lesioni personali gravi, formazione di gruppi armati e danni alle cose”, il processo avrebbe dovuto svolgersi a porte chiuse. Il giudice Halbach, che ha in carico il processo, è noto per le sue dure condanne contro gli occupanti abusivi e per le condanne lievi o sospese contro gli stupratori di gruppo. Tuttavia, solo le prime due udienze hanno avuto luogo il 3 e il 9 dicembre 2020.[6] Il 27 gennaio 2021 il processo è stato annullato a causa del Covid.[7]
Un nuovo tentativo da parte del tribunale nel procedimento Rondenbarg avrà luogo nel gennaio 2024. Il processo contro sei imputatx inizierà il 18 gennaio 2024 ad Amburgo, finora sono state fissate 25 udienze. La procura non accusa lx imputatx di alcuna azione personale: con l’ausilio della formula “azione collettiva” si mira ad emettere condanne senza avere prove concrete e individuali delle accuse, ma basandosi solamente sulla presenza ad una manifestazione. L’obiettivo è criminalizzare chiunque prenda parte ad una manifestazione. Se il Tribunale desse seguito alle richieste del pubblico ministero e condannasse le persone coinvolte nel procedimento Rondenbarg, la libertà di riunione, il mezzo più importante del dibattito politico negli spazi pubblici, sarebbe fortemente messa a rischio.
L’intento della Procura della Repubblica è annullare la riforma sulla violazione della pace del 1970, paragrafo 125: prima del 1970, la semplice presenza in una “assemblea non pacifica” era un reato penale.[8] Oggi, il cosiddetto “supporto morale” viene talvolta utilizzato per condannare le persone come “complici”: questa interpretazione è già stata utilizzata nel processo Elbchausee sempre per fatti accaduti nel contesto del G20, sebbene la Corte federale di giustizia (BGH) abbia più volte sottolineato in passato che la semplice presenza in una “folla violenta” non è sufficiente per una condanna per violazione della pace. Nel 2017, tuttavia, la Corte federale di giustizia ha deciso che le “marce ostentate” [“ostentative Mitmarschieren” NdT] potevano essere punite per violazione della pace, sebbene questa norma dovrebbe applicarsi ai gruppi di hooligan e non alle manifestazioni politiche.[9]

La campagna “Gemeinschaftlicher Widerstand” [resistenza comunitaria NdT] è stata lanciata alla fine del 2019 con l’obiettivo di portare sostegno politico alle persone imputate nel cosiddetto procedimento Rondenbarg del G20 e prevede presidi, manifestazioni, eventi e altre azioni di solidarietà, l’appello alla solidarietà è stato firmato da più di 100 realtà. Sosteniamo le persone colpite attraverso una rete di relazioni e azioni di protesta. La nostra solidarietà va a tuttx x compagnx colpitx dalla repressione dello Stato.

Per la chiusura del procedimento e la liberazione dei prigionieri!

 


NOTE

1 Comunicato stampa dei vigili del fuoco di Amburgo, 7 luglio 2017 https://web.archive.org/web/20171201032002/https://www.presseportal.de/blaulicht/pm/82522/3679470
2 “Die haben sie ja schön platt gemacht, alter Schwede” Dal giornale serale ARD, 10 agosto 2017 https://www.youtube.com/watch?v=EdJKWGVd5jg
3 Risposta del Senato a un’interrogazione della sinistra sulle misure che comportarono la privazione della libertà durante il vertice del G20, 12 giugno 2018 https://kleineanfragen.de/hamburg/21/13300-freiheitsentziehende-massnahmen-bei-dem-g20-gipfel
4 Comunicato stampa del Tribunale regionale superiore anseatico, 27 novembre 2020 https://web.archive.org/web/20201127171600/https://justiz.hamburg.de/pressemitteilungen/14681614/pressemitteilung-2020-11-27-olg-01/
5 Comunicato sulla sentenza della Rote Hilfe Schweiz, 22 aprile 2021 https://rotehilfech.noblogs.org/post/2021/04/22/urteil-im-zurcher-g20-prozess/
6 Rapporti sul processo di Rondenbarg sul blog della Rote Hilfe Rondenbarg https://rondenbarg-prozess.rote-hilfe.de/category/prozessberichte/ e su United we Stand https://unitedwestand.blackblogs.org/category/rondenbarg/
7 Avviso di chiusura del processo sul blog Rondenbarg della Rote Hilfe https://rondenbarg-prozess.rote-hilfe.de/category/prozessberichte/
8 Articolo al CILIP sulla storia del diritto di manifestare, 7 agosto 2002 https://www.cilip.de/2002/08/07/per-gesetz-gegen-ein-grundrecht-eine-kurze-geschichte-des-demonstrationsrechts/
9 Sentenza della Corte Federale di Giustizia (BGH) del 24 maggio 2017 https://www.hrr-strafrecht.de/hrr/2/16/2-414-16.php

 

TESTI IN SOLIDARIETÀ A JUAN

Diffondiamo due testi in solidarietà a Juan Sorroche, in vista del presidio solidale davanti alla corte di cassazione del 26 gennaio 2024, giorno in cui si terrà un’udienza a carico del compagno. Juan, in carcere dal maggio 2019, è stato condannato a 14 anni e 7 mesi in appello per un attacco alla sede della Lega di Villorba (TV) avvenuto nel 2018.

NUOVA EDIZIONE ANARCOQUEER “COME STORMI DEL CAOS. Un progetto queer nichilista e insurrezionale”

Diffondiamo:

“COME STORMI DEL CAOS. Un progetto queer nichilista e insurrezionale”

Una rivisitazione in chiave anarchica delle teorie queer antisociali, per un progetto insurrezionale e nichilista di attacco all’esistente.

128 pagine, 8 euro a singola copia, 5 euro da cinque copie in su Collana Le Affinità Elettive.

Per ordinare il libro: anarcoqueer@riseup.net

Dalla prefazione:

[…] “Come stormi del caos” trae ispirazione da un filone particolare delle teorie queer, quello cosiddetto “antisociale”, pescando in particolare da autori e collettivi come Lee Edelman, Jack Halberstam, Guy Hocquenghem e il FHAR, ma anche da autori e autrici già riconosciutx per la validità della loro critica sociale, anche se non ascrivibili a un ambito anarchico, come Silvia Federici, Jacques Camatte e Walter Benjamin, in particolare per quanto riguarda le loro riflessioni più riuscite sul capitalismo, la domesticazione, il corpo e la storia; non facendo, in questa operazione, distinzioni tra analisi prodotte in ambito accademico e analisi provenienti da ambienti militanti, ma saccheggiando apertamente quegli aspetti della teoria che possono essere declinati in una prospettiva anarchica e scartando quello che invece è ritenuto superfluo o non condivisibile.
La prospettiva insurrezionale dell’attacco, in contrapposizione con una visione attendista che investe energie nella crescita del movimento in vista di una futura ipotetica “rivoluzione sociale”, si accompagna qui a un approccio nichilista di critica a tutti quei progetti “positivi” di riformismo, inclusività o creazione di alternative alle storture sociali, in quanto facilmente recuperabili dal potere e, anzi, materiale utile per la ristrutturazione in chiave “progressista” (e quindi ancora più totalizzante) del sistema capitalista e dello Stato.
Da qui l’idea di una queerness che, per esprimere al meglio il suo potenziale, rivendica la propria negatività, trasformando in una promessa quell’accusa reazionaria che la vede come prodromo e sintomo del disfacimento dell’ordine sociale. Una queerness che dev’essere quindi anti-politica, perché proprio la politica, nel suo progettare il futuro per garantire la sopravvivenza dell’ordine sociale, è il luogo principale della riproduzione di quell’ordine. Nel suo incrinare l’ideologia del “futurismo riproduttivo”, una queerness che si rivendica come puramente negativa va a spezzare quelle norme che rendono possibile l’assetto sociale assieme a tutti i suoi ruoli, non solo quelli di genere ma anche quelli militanti e rivoluzionari, che nella loro astrazione tentano di rendere intelligibile il soggetto del rifiuto, mantenendolo nell’alienazione e censurando la sua ricerca di gioia immediata, di conflitto, di godimento. Il futuro come ideologia, come luogo-trappola, che secondo le parole di Bædan “assicura il sacrificio di ogni energia vitale per la pura astrazione del proseguimento idealizzato della società”. […]


Ricordiamo che sono ancora disponibili le uscite precedenti delle
edizioni Anarcoqueer:

* “STREGHE ISTERICHE UNTRICI. Il ruolo della medicina nella repressione delle donne”. 172 pagine, 10 euro a singola copia, 7 euro da cinque
copie in su

* “Guerriglia Frocia. Testi di Ed Mead e Rita “Bo” Brown sulla George Jackson Brigade e il collettivo gay anticarcerario Men Against Sexism
(1975-1978)”. 112 pagine, 8 euro a singola copia, 5 euro da cinque copie
in su

* “DECOLONIZZARE LA PALESTINA. La Palestina attraverso la storia e il
rainbow washing di Israele”. 164 pagine, 9 euro a singola copia, 6 euro
da cinque copie in su