BOLOGNA: PARCO DON BOSCO. BOLLETTINO E BILANCIO AL 7 MAGGIO 2025

Riceviamo e diffondiamo:

PARCO DON BOSCO: MR. SBATTI LEGALI NON FA PASSI DI LATO. BOLLETTINO E BILANCIO AL 7 MAGGIO 2025

03 aprile 2024.
Bologna, Parco Don Bosco. Mattina presto. Facce assonnate e tè caldo. Si parlotta e si scherza, tensione nell’aria, unx giovane ghirx sbadiglia su un pioppo. Arrivano le camionette, quante ce n’erano? La digos inizia già a filmare. Qualcunx ci parla, chi davvero, chi per scherzo… presto avrebbero invaso i confini del parco che proteggevamo. Le ore passano rapide scandite da grida: “Attenti! Sono entrati di là!”, “Facce schifose”, “Mi fai male!”, “Daje regaaa”. In quel prato verde le creature volevano ancora giocare a tiro alla fune, allo sparviero, all’arrampicata, a guardie e ladri. Vinsero lx ladrx mentre gridavano: “Fuori! Gli sbirri! Dal Don Bosco!”.

03 aprile 2025. La natura del Parco Don Bosco fiorisce per un’altra primavera ancora, ma un’ombra grigia si aggira tra condomini e cantieri, turbando il risveglio delle creature dopo il riposo invernale. Anche le indagini per i fatti relativi al 20 giugno sono state concluse, e la figura del Signor Sbatti Legali di cui abbiamo parlato qualche mese fa ha preso la sua forma definitiva, mostrandosi in tutta la sua arroganza: un decreto penale di condanna per il 29 gennaio, una condanna in primo grado a seguito del vergognoso pestaggio ad unx di noi da parte dei carabinieri la notte seguente al 3 aprile, due fogli di via da Bologna, tre daspo dagli eventi sportivi applicati “fuori contesto” con obbligo di firma in questura, 23 persone denunciate per le giornate di lotta del 3 aprile e del 20 giugno. Vengono contestati i reati di oltraggio, resistenza e aggressione a pubblico ufficiale, omesso preavviso di manifestazione pubblica, travisamento, rifiuto di identificarsi, lancio di oggetti, interruzione di pubblico servizio. Il tutto aggravato dal concorso con altre creature, perché non eravamo mica pochx, ma uno sciame a difesa degli alberi.

Eccoci, dunque, ancora qui. Nell’attesa che Mr. Sbatti Legali convochi tra qualche mese lx imputatx all’udienza preliminare, continuiamo a tracciare sul cemento di questa città una linea, la traccia di una storia che, seppure irregolare, tutt’oggi si scrive.
I ricordi di notti stellate tra i rami rimangono vividi, le cicatrici nei corpi e nei cuori bruciano ancora. È tempo che le creature si siedano attorno al fuoco per trarre un bilancio di quello che è stato il presidio a difesa del Parco Don Bosco.

Giocare è una cosa tremendamente seria, come la lotta; lo sapevamo allora e lo sappiamo ancora meglio adesso.

Per cosa ci battevamo il 20 Giugno? Per il parco? Certo. Per gli alberi? Ovviamente. Contro il tram? Forse. Il passaggio dal “No al progetto per le nuove scuole Besta” all’opposizione ai lavori per la tranvia non era scontato. Basti pensare a metà marzo 2024, quando la comunità del parco assistette inerme e confusa al primo taglio di alberi armato sul terrapieno di Via Serena, propedeutico al cantiere della linea rossa. Non c’è mai stata nei sei mesi del presidio permanente una riflessione condivisa sulla contestazione al progetto del tram, ma i tre mesi che hanno separato marzo e giugno sono stati sufficienti per rendersi conto che la favola di un trasporto pubblico più green non vale il taglio di un albero, né al Don Bosco né altrove. Ci pare che questo sia un aspetto positivo, che racconta di come una comunità in lotta si trasformi e maturi man mano che gli eventi procedono, e con essi cresca e prenda consapevolezza di sé e dei valori per cui battersi.

Se non ci fosse stata la resistenza del Comitato Besta, delle creature del parco, dei collettivi cittadini e di tutte quelle persone e figure leggendarie che animavano il presidio, non avremmo visto nessun passo di lato da parte del sindaco, nessuna ritirata da parte delle guardie il 3 aprile, ma solo una grossa colata di cemento sul parco. Chi oggi si trova imputatx, verrà giudicatx per azioni compiute per ragioni che hanno già vinto sul piano politico pubblico, dal momento in cui l’amministrazione ha compiuto il suo “passo di lato” bloccando un progetto di scuola ingiustificabile e insostenibile nonostante le sue stesse bugie. Invece i cantieri della tranvia proseguono, collassando la viabilità urbana e portando a un aumento di più del 50% il costo dei biglietti per il trasporto “pubblico”. Peccato che quella pista ciclabile green che avrebbe dovuto affiancare i binari di Via Aldo Moro, costata la vita ad alberi sani e adulti e qualche osso rotto ad indomite creature, non sia mai stata realizzata. Al suo posto… lo stesso marciapiede rinnovato e lo stesso terrapieno, su cui svettano oggi giovani alberi appena piantumati che impiegheranno decenni a ripristinare il ruolo ecosistemico che avevano i loro predecessori. Anche la logica ingannevole delle compensazioni si mostra nella sua ridicola limitatezza.

Il presidio al Don Bosco ha messo in seria crisi la governance cittadina. Non ha raggiunto potenzialità destituenti, ma in prospettiva ne ha avute: il moltiplicarsi dei comitati cittadini, la solidarietà proveniente da tutta Italia, gli strani e inattesi legami di complicità che si stringevano al parco. Tutto ciò ha aperto lo spiraglio di una contestazione non solo al progetto delle Nuove Scuole Besta, ma alle modalità della trasformazione urbanistica tout court. Ma anche oltre il piano locale, gli esempi di lotte territoriali sono innumerevoli e costellano tutto lo spazio nazionale. Dalla Val Susa allo Stretto di Messina, da Gallarate a Vicenza, che sia per la difesa del verde urbano o contro opere infrastrutturali e strategiche, dovunque si odono i sussurri o le grida di chi pretende e pratica modi diversi di abitare i territori. Sta a noi mettere in relazione queste esperienze e queste voci per inceppare il meccanismo di questa macchina in avaria.

La violenza subita al parco e la repressione che ne è seguita vanno comprese alla luce di questi ultimi aspetti, ma storicamente non rappresentano una novità o una variabile. Il tentativo è stato quello di disinnescare “l’effetto Besta”, scongiurare nuove “commistioni pericolose” e spezzare i legami di solidarietà attraverso il solito braccio forzuto di uno Stato sempre più armato, levatosi a difesa e con la complicità di un’inquietante amministrazione di sinistra, il cui consenso è sempre più fragile. Una debolezza di senso svelata nelle scioccanti scene in cui le forze dell’ordine si aggrappano alle gambe nude di persone arrampicate sugli alberi. Ecco la stupidità ingiustificabile di chi è cieco e sordo, in contrapposizione agli sguardi spaventati e i sussurri di incoraggiamento provenienti dallx bambinx delle scuole Besta, che ci guardavano incredulx attraverso il cortile.

A riprova di quanto fosse pericolosa la commistione che si era creata al parco (citazione letterale del preoccupato Questore), la mano della legge ha estratto dalle varie aree che formavano l’eterogenea composizione del presidio: tra le persone denunciate troviamo studentx delle superiori, dei vari collettivi politici, quasi tuttx giovanissimx e non riconducibili al volto pubblico del comitato. Un paio di persone per area sono state isolate, e poi colpite. Nonostante queste tattiche divisive, stiamo assistendo all’effetto opposto all’isolamento: la solidarietà come arma trasversale, orizzontale e universale.

Siamo consapevoli che i mesi trascorsi dalla fine del presidio abbiano lasciato in moltx un vuoto difficile da colmare. Ma crediamo anche che tante delle energie che avevano trovato nel parco un luogo in cui confluire scorrano ancora per le vie di Bologna: le occupazioni studentesche, le rivolte per Ramy, le manifestazioni contro il genocidio palestinese e tutte le guerre colonialiste, i movimenti contro la precarietà abitativa e salariale, le piazze contro la violenza di genere e il patriarcato o le politiche securitarie, sono i segni di un quadro che si stravolge. Forse quel vuoto non chiede di essere riempito con le risposte corrette, ma con le giuste domande.

L’esito del processo giudiziario dipenderà anche da quella variegata comunità e dalla sua capacità di ribaltare nuovamente i rapporti di forza e restare unita. Una lunga attesa ci si para davanti: anni di una lentezza giudiziaria inconciliabile con l’incalzare frenetico del sistema capitalista. Di questo ritmo rallentato vogliamo fare tesoro, calandoci nei ricordi e passandoli alla memoria collettiva, affinché possano ispirare futuri orizzonti di lotta.

Creature contro la repressione
7 maggio 2025

DENY, DEFEND, DON BOSCO!

Puoi continuare a sostenerci nelle spese legali con un bonifico da inviare a:

IBAN: IT75 G050 1802 4000 0002 0000 431
Intestatario: Rete Ecologista Solidale Emilia Romagna
Causale: “Sostegno spese legali vertenza ecologista
parco Don Bosco”


Pdf per stampa e diffusione:
Parco Don Bosco_bollettino_7_maggio

TORINO: AGGIORNAMENTI DA UN CPR IN COSTANTE RICOSTRUZIONE

Diffondiamo

A Torino, in seguito all’ultima rivolta al cpr di corso Brunelleschi di venerdì 16 maggio, i tre quarti del cpr sono inagibili. L’area bianca, da cui la rivolta è partita, è bruciata interamente. Le persone che vi erano recluse hanno dovuto dormire fuori per due giorni, e sono successivamente state quasi tutte trasferite. La maggior parte, come spesso accade, è stata deportata nei cpr punitivi del sud Italia: Palazzo San Gervasio, Bari e Brindisi. Spostati come pacchi, anche chi aveva affetti e famiglia vicini, rendendogli oltretutto estremamente più difficile tenere il filo della propria difesa, e obbligandoli a cambiare avvocato da un giorno all’altro e a dover ricostruire tutto daccapo, in un nuovo lager. C’è anche chi dopo varie peripezie e un tentativo fallito di deportazione in Tunisia si trova ora al cpr di Caltanissetta. Il giovane che quella sera aveva tentato di arrampicarsi sulla rete di recinzione ed era caduto, facendosi molto male, è stato portato in ospedale solo dopo ore e ore di insistenze congiunte da parte dei reclusi e dei solidali presenti fuori dalle mura, per poi essere nuovamente recluso. Il suo tentativo di evasione e il conseguente pestaggio da parte delle guardie erano stati le scintille che avevano portato l’insofferenza dei reclusi a manifestarsi nella rivolta.

Ad oggi, nell’area blu, l’unica superstite, sono recluse 30 persone. I lavori vanno avanti nelle adiacenti aree rossa e verde e, da oggi, anche nella bianca, che potrebbero presto essere pronte. Distrutta un’area se ne appronta un’altra, un’affannosa ricostruzione ad ogni costo. Di fronte all’ormai innegabile evidenza del fallimento della gestione del centro, Sanitalia cerca di placare gli animi con vaghe promesse di miglioramenti nelle condizioni di detenzione, come quella di non trattenere più di 30 persone per area, e di portare un dentista a visitare i reclusi nelle loro celle. Ci sono però almeno quattro persone con infezioni gravi in bocca, che avrebbero bisogno di cure urgenti, e non di un dentista a domicilio. Quattro altre persone sono costrette a dormire nella mensa perché con gravi fragilità psichiche, e sono totalmente abbandonate a loro stesse, senza alcun supporto medico. C’è chi non riesce nemmeno a parlare o a fare una doccia; chi chiaramente, anche secondo i parametri di un cpr, dovrebbe essere considerato non idoneo al trattenimento.

Nelle ultime settimane non sono poi mancate le passerelle di parlamentari del PD e di figure istituzionali varie, venute a costatare che i lager funzionino ancora come dovrebbero; come se facessero un giro allo zoo, tra commiserazione e compiacimento. Proprio stamattina dei consiglieri comunali del PD in visita, preannunciati da pulizie frettolose e sguardi minacciosi atti a redarguire da eventuali lamentele, si sono permessi di chiedere ai reclusi perché non volessero tornare nel loro paese. Non si sono meritati risposta, ma si meritano invece di essere menzionati come fautori di questo infame sistema razzista che permette che le persone vengano criminalizzate, imprigionate e deportate per la mancanza di un documento in tasca, e come complici di tutte le torture che in questi lager avvengono.

E’ solo grazie al coraggio dei detenuti che emerge la verità di ciò che accade dietro alle mura di corso Brunelleschi.
Solo grazie alla solidarietà, se queste voci non vengono soffocate.

CPR MACOMER: TRASFERIMENTI AL CPR IN ALBANIA

Diffondiamo

Ieri alle 7 del mattino sono entrati una ventina di agenti in antisommossa dentro il blocco destro e sinistro del CPR di Macomer. Hanno preso con la forza 8 persone, per trasferirle in Albania.

La macchina razzista dello Stato continua il suo sporco lavoro di deportazione. Il nuovo lager sorto in Albania, gestito dalla cooperativa Medihospes, può recludere fino a 144 persone destinate al rimpatrio.

Le deportazioni fanno ingrassare anche le pance di compagnie aeree come Aeroitalia, AirMediterranean, AlbaStar e Smartwings che organizzano appositi voli charter, lucrando sulle espulsioni e sui trasferimenti da un CPR all’altro. Per compiere quest’operazione vengono usati anche aeri di linea. Sappiamo di voli interrotti grazie alla lotta degli stessi detenuti, che sono riusciti a far bloccare la partenza una volta a bordo. Infatti, spesso, le persone oggetto di espulsione o trasferimento vengono sedate. Quindi è nostra responsabilità cercare di inceppare questo tassello della macchina razzista, nel caso dovessimo trovare degli indizi di una deportazione in atto. Di seguito alcune info utili a riguardo:

“Un aereo non può decollare se ogni passeggero non è seduto con le cinture di sicurezza allacciate.
Un modo per ritardare la partenza, chiedendo lo sbarco della persona in stato di trattenimento coatto, è rimanendo in piedi nell’aeromobile, impedendo così la partenza fino all’ottenimento della richiesta di discesa!

Se quando sali su un aereo vedi:
– Pattuglie delle forze dell’ordine fuori (affianco o difronte) dall’aereo;
– Una persona razzializzata, nera o est-europea, seduta nell’aeromobile con affianco 2 brutti ceffi;
Sappi che è altamente probabile che sia in corso una deportazione.”

RESISTERE ALLE DEPORTAZIONI: racconto in messaggistica istantanea di una deportazione bloccata

CONTRO I MILLE VOLTI DEL RAZZISMO DI STATO, BLOCCARE LA MACCHINA DELLE ESPULSIONI È POSSIBILE.

TORINO: HAMID È STATO UCCISO

Diffondiamo

Nel primo pomeriggio di sabato 17 Maggio – mentre la città di Torino si svegliava con un’area del CPR totalmente distrutta dal fuoco dei ribelliHamid veniva aggredito, umiliato, sottoposto a violenza e arrestato da un branco indistinto e numeroso di poliziotti in Barriera di Milano: il quartiere più militarizzato e mediatizzato di Torino.

Non si conoscono con certezza i momenti che hanno preceduto il suo fermo brutale, quello che si sa – senza ombra di dubbio e senza possibile edulcorazione da parte di Procura e giornalisti- è che Hamid è stato ammanettato mentre urlava disperato: inginocchiato e schiacciato a terra con violenza da vari poliziotti. Che è stato sbattuto dalla Polizia contro la volante dove volevano farlo entrare mentre lui si dimenava terrorizzato. E che gambe e testa sono state colpite, spinte e schiacciate contro le portiere da vari poliziotti in contemporanea mentre lui lottava, urlava e chiedeva aiuto a squarciagola. Chi ha provato ad aiutarlo e a inserirsi in quella dinamica di sopraffazione ha preso insulti, spintoni, colpi e minacce da parte dei poliziotti. E porta oggi in tasca una denuncia – appena stampata – di resistenza a pubblico ufficiale e, in certi casi, tentata procurata evasione.

Un intero angolo di quartiere ha visto, nessuna riscrittura mediatica o giudiziaria della narrazione potrà coprire la verità. Tutti sanno che la Polizia ha ucciso Hamid.

Poche decine di ore dopo il suo corpo senza vita viene trovato – con il collo stretto da lacci delle scarpe – nella decima sezione del Blocco B del carcere Lorusso e Cotugno di Torino. Nessuno in quartiere, né dei suoi amici, crede che si sia ucciso per scelta. E se anche fosse: Hamid è morto di un pestaggio della Polizia nel quartiere di Barriera di Milano a Torino e poi è anche morto, come tanti, di carcere. In entrambi i casi un omicidio di Stato.

Ma Hamid non è morto “solo” di questo. Era appena stato liberato dalla detenzione in due CPR: Brindisi e poi Gjader in Albania, la nuova struttura coloniale fuori dai confini nazionali.
Sappiamo quanto piaccia alla sinistra moderata sferrare colpi retorici indignati contro il nuovo lager in terra albanese e prevediamo come – per coprire il pestaggio, la violenza del carcere e la tortura in tutti i CPR – l’attenzione verrà indirizzata verso l’inumanità del CPR oltre confine. Tocca a noi ripetere piuttosto l’ovvio: seppur un pezzo della morte di Hamid possa essere attribuita a quel lager, lui non è morto unicamente di quello. E’ stato sottoposto alla tortura sia dei lager nostrani che di quelli di forma coloniale.

La morte di Hamid ci urla e indica molti dei responsabili del razzismo strutturale e quotidiano. Racconta le sorti di chi arriva in Italia senza documenti europei e scoperchia nitidamente l’evidenza del razzismo nella quotidianità nel capitalismo contemporaneo.

Hamid è stato ucciso dai CPR, dal carcere e dai pestaggi della Polizia in strada.
Hamid è stato ucciso dal razzismo nei suoi mille volti.

ALTRO CHE GIUSTIZIA, QUI SERVE SOLO VENDETTA!

nocprtorino.noblogs.org

CAGLIARI: NOI LA CHIAMIAMO TORTURA – AGGIORNAMENTI DAI PRIGIONIERI DEL CARCERE DI UTA

Diffondiamo da rifiuti.noblogs:

Poco importa se uno combatte da solo o se combattono in centomila; se uno s’accorge di dover combattere, combatte, e poco importa che abbia o no compagni di lotta. Io dovevo combattere e tornerei a farlo. (H. Fallada)

Il 25 aprile scorso i prigionieri del carcere di Uta hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare per le condizioni di vita nel carcere, vere e proprie forme neppure tanto sottili di tortura. Tra le tante ragioni della protesta saltava subito all’occhio quella per l’acqua dei rubinetti del carcere, tanto piena di colibatteri fecali da rendere rischioso persino utilizzarla per lavarsi.
I solidali hanno subito iniziato una campagna di supporto alla lotta, sia tra i familiari dei detenuti all’esterno della prigione (che l’amministrazione carceraria ha dimostrato con modi “fisici” di non gradire), che nelle piazze di Cagliari, tanto da riuscire a far uscire la notizia dello sciopero nel maggiore quotidiano locale sardo.

Per evitare ulteriori danni all’immagine dell’amministrazione sono intervenuti immediatamente Gianni Loy, garante della città metropolitana, e Irene Testa, garante regionale (chiamati in causa nel documento dei prigionieri per la loro totale assenza), che hanno incontrato alcuni prigionieri, hanno misurato le dimensioni delle celle e hanno dichiarato alla stampa, come sempre, di essere a conoscenza da tempo della grave situazione che promettevano di risolvere nel giro di una settimana. I prigionieri hanno interrotto lo sciopero in attesa dei risultati promessi e mentre Irene Testa è tornata alla sua occupazione abituale (convegni, dichiarazioni alla stampa e totale indifferenza verso le richieste dei prigionieri), Gianni Loy è giunto addirittura (sic!) a chiedere il ripristino del reparto ospedaliero nel carcere aprendovi però finestre (sinora assenti), naturalmente chiuse da sbarre.

Ha completato l’opera l’amministrazione penitenziaria “risolvendo” il problema dell’acqua non potabile mescolandola a tanto cloro da renderla inutilizzabile anche per cucinare. Questa mossa, che ha come conseguenza principale che i detenuti con meno disponibilità economica abbiano difficoltà anche per cucinare. Noi la chiamiamo TORTURA, una tortura moderna di quelle che non lascia segni visibili, quella che alcuni sociologi chiamano “autoinflitta” perché le vittime possono pensare di esserne la causa diretta e non attribuirla a coloro che la praticano.

L’amministrazione penitenziaria supportata dai garanti (che nei giorni scorsi hanno espresso alla stampa “vivo apprezzamento” per la recente nomina di Pietro Borrutto che sostituisce Marco Porcu, di cui non sentiremo la mancanza, come direttore di Uta) ha agito tentando di dividere e scoraggiare i prigionieri in lotta ma, nonostante questo, alcuni di loro hanno ripreso e continuano lo sciopero della fame mettendo a rischio la loro vita.

Da parte nostra, oltre a ribadire la nostra solidarietà ed il nostro impegno a portare la lotta oltre le sbarre, convinti che sino a quando anche un solo prigioniero continua la lotta l’amministrazione non dovrà e non potrà avere pace, ricordiamo ai solerti garanti, corresponsabili con i loro silenzi e mediazioni della situazione attuale, che, se ad un solo prigioniero in sciopero dovesse accadere qualcosa, dovranno assumersene responsabilità ed oneri.

Ai prigionieri in lotta vanno il nostro appoggio, solidarietà e complicità.
TUTTE LIBERE, TUTTI LIBERI
CHIUDERE UTA, CHIUDERE TUTTE LE GALERE

Anarchicx contro carcere e repressione

CILE: RIVENDICAZIONE DELL’ATTACCO ESPLOSIVO AI LABORATORI ABOTT – RECALCINE, MAGGIO NERO 2025 – CELLULE RIVOLUZIONARIE BELÉN NAVARRETE

Traduciamo e diffondiamo

Rivendicazione dell’attacco esplosivo ai laboratori Abbott-Recalcine, maggio nero 2025.

“I poveri si lamentano, nessuno li ascolta. Usando le armi, adesso li sentono.”

Le donne formano bande! Questa azione non è un atto di protesta né tanto meno di clemenza, è deliberatamente un atto vendicativo. Qualche anno fa la distribuzione di pillole contraccettive difettose da parte dei laboratori Abbott – Recalcine ha causato centinaia di gravidanze indesiderate, di fronte a questa situazione le aziende responsabili hanno proposto un risarcimento di 38.900 pesos, una somma nemmeno vicina alla metà di quanto ci è costato assemblare questo ordigno esplosivo, e anche se moltx non sono d’accordo con il metodo di azione, almeno siamo d’accordo che la somma offerta è una beffa, un’altra ancora da parte della dittatura democratica-aziendale.

I laboratori Andrómaco, Silesia e Abbott continuano a fare di queste pratiche una politica aziendale: continuare a distribuire contraccettivi difettosi. Niente di nuovo comunque. C’era da aspettarsi che, tanto i gruppi di impresari come lo Stato amministrato dal governo pluri-poliziesco-femminista di Boric e dello stupratore Monsalve, rimarranno in silenzio. Gli interessa solo la riproduzione del ciclo della povertà perché, in sostanza, il capitalismo amministra la vita e la morte per la generazione sistematica di ricchezza, indipendentemente dai danni che possono causare.

Unitx dall’affinità e dall’interesse comune per l’azione, organizziamo le nostre volontà nel campo pratico dell’informalità, lontano da tutti i discorsi vittimistici e pacificatori che posizionano l’azione insurrezionale al di fuori delle possibilità della lotta anarchica. È necessario prendere parte all’offensiva antiautoritaria con gli strumenti necessari per rafforzare il nostro progetto di liberazione.

Le nostre bombe sono state realizzate e trasportate anche con l’imperversare della tormenta e nell’oscurità del cielo. Gli attacchi infiammano l’orizzonte e allora, improvvisamente, cade la maschera della società… chi di voi può giudicare il sabotaggio? I valori dell’offensiva anarchica e l’azione rivoluzionaria si scontrano, con convinzione e coraggio, con l’alienazione capitalistica e con coloro che si coprono il volto con il velo della miseria.

Con questo attacco ricordiamo il compagno Mauricio Morales che a 16 anni dalla sua morte continua ad essere presente nell’avanzata della guerriglia urbana anarchica. In questo Maggio Nero, memoria e azione si intrecciano affinché né il tempo né le distanze cedano il passo alla rassegnazione e alla negazione della storia di lotta dei nostri morti.

Marianna, che il dolce profumo della dinamite passi attraverso i muri. Saremo con te fino alla fine!

Onore, memoria e azione per il compagno anarchico Kyriakos Xymitiris.

In solidarietà con i prigionieri anarchici e antispecisti, abbattiamo le mura delle prigioni!

Creiamo 1, 10, 100 cellule d’azione, continuiamo a scrivere con i fatti la nostra storia di lotta!

Per l’attacco in tutte le direzioni, puntiamo le nostre forze sulla creazione di un progetto internazionale!

“Potete distruggere la vita delle persone, non riuscirete a spegnere il pensiero e le pratiche antiautoritarie. Non riuscirete a spezzare la tensione rivoluzionaria, non riuscirete a spegnere l’anarchia.”– Anna Beniamino.

Cellule rivoluzionarie Belén Navarrete – Nuova sovversione


Testo originale: https://lazarzamora.cl/celulas-revolucionarias-belen-navarrete-reivindican-ataque-explosivo-a-laboratorios-abbott-recalcine/

PIEMONTE: INIZIATIVE PER LE STRADE E SOTTO LE CARCERI. CONTRO IL 41 BIS, L’ERGASTOLO E TUTTE LE FORME DI DETENZIONE

Diffondiamo

In un clima di guerra sempre più dispiegata e di repressione che affina i suoi strumenti, il processo per la manifestazione del 4 marzo 2023 a Torino in solidarietà al compagno Alfredo Cospito e contro il 41 bis sta per iniziare.

Durante i mesi di mobilitazione in solidarietà ad Alfredo, il vero volto della democrazia si è mostrato e qualche crepa si è aperta, mostrando il 41 bis come uno strumento repressivo utilizzato per rimettere in riga i recalcitranti, una tortura a norma di legge.

Solidarietà e lotta sono gli strumenti che abbiamo per ribaltare l’esistente e per questo, alle porte dell’inizio del processo, vogliamo continuare a urlare la nostra solidarietà a chi lotta nelle galere e la nostra opposizione al 41 bis.

Contro il 41 bis, contro l’ergastolo e contro tutte le forme di detenzione.

Solidarietà ad Alfredo, Chiudere il 41 bis!

Tutti e tutte libere


24 MAGGIO
Corteo città – carcere – città
Partenza dalla stazione di Cuneo ore 15.00

1 GIUGNO
Presidio solidale al carcere di Quarto d’Asti ore 17.00

7 GIUGNO
Presidio al carcere delle Vallette
Ritrovo al capolinea del tram 3 – Torino
ore 17.00

PER VAKHTANG E TUTTI GLI ALTRI: CHIUDIAMO TUTTI I CPR – PRESIDIO A GORIZIA E GRADISCA

Diffondiamo

VENERDÌ 23 MAGGIO

ore 14 – PRESIDIO AL TRIBUNALE DI GORIZIA – Via Nazario Sauro 1

ore 18 – PRESIDIO AL CPR DI GRADISCA D’ISONZO – davanti al CARA

Il prossimo venerdì 23 maggio si terrà al tribunale di Gorizia una nuova udienza del processo per la morte, nel gennaio 2020, di Vakhtang Enukidze, trentasettene di origine georgiana allora prigioniero nel cpr di Gradisca. Come già ricordato, il processo vede giudicati per omicidio colposo Simone Borile, allora capo della cooperativa Ekene (che gestisce tuttora il CPR di Gradisca) e l’allora centralinista del centro, Roberto Maria La Rosa.

Indipendentemente dai suoi esiti, nessun processo in nessun aula di tribunale potrà fare alcuna “giustizia” né stabilire alcuna altra verità o “versione dei fatti”, come piace scrivere a chi è pagato per fare da megafono alla voce degli amministratori dell’ordine.

La vicenda di Vakhtang è paradigmatica del normale funzionamento dei lager di stato, come anche di tutte le carceri del circuito penale.

Il 14 gennaio del 2020 Vakhtang litiga con un suo compagno di cella, una decina di agenti in tenuta antisommosa entra e si accanisce su di lui. Vakthang verrà violentamente pestato, includendo almeno un colpo sulla nuca e una ginocchiata sulla schiena. Subito dopo viene trascinato dai piedi e portato in prigione da dove, due giorni dopo, viene riportato nel CPR e, come racconteranno più tardi i suoi compagni di prigionia, il suo stato in quel momento è critico, riuscendo a malapena a tenersi in piedi. Disperato, grida dalla cella chiedendo un medico, rimanendo completamente inascoltato, come dal resto avviene quotidianamente nei CPR – ed esaurisce man mano le sue energie. A un certo punto smette di lamentarsi. Durante la notte, cade dal letto, senza alzarsi più. La mattina dopo, i suoi compagni di cella lo trovano incosciente. Viene allora portato in ospedale – per la prima volta dal pestaggio – dove morirà poche ore dopo.

Dal primo momento, nonostante i tentativi di depistaggio e insabbiamento, le testimonianze uscite dal CPR sono state chiare: Vakhtang è morto di stato, per mano dello stato. Così è stato rinaugurato il CPR di Gradisca d’Isonzo e ha continuato a produrre morte e tortura.

I campi per le deportazioni, come le carceri, costituiscono l’apice della piramide del sistema di oppressione e monito nei confronti dei cosiddetti liberi. Ma guardare alle singole prigioni come strutture a sé stanti, come più evidenti manifestazioni della brutalità dell’impianto razzista statale, restituirebbe solo un orizzonte parziale rispetto alla complessità dell’intero sistema di dominio in cui esse stesse si inscrivono. I sopracitati Borile e La Rosa, le cosiddette “mele marce”, sono in realtà due dei tanti ingranaggi della macchina di sfruttamento, oppressione, ricatto e controllo che sulla vita degli ultimi e dei marginali  – ma anche di fasce man mano più ampie di popolazione – genera lauti profitti, consenso elettorale e merce di scambio per accordi politici, economici e sindacali.

La macchina che ogni giorno spezza le vite migranti attraverso il sequestro di persona istituzionalizzato (ufficialmente “detenzione amministrativa”) e il trasferimento coatto in Paesi dove, molto spesso, le persone deportate devono riaffrontare la miseria da cui erano scappati, è anche un grande business che frutta milioni pubblici alle cooperative della “accoglienza”, alle compagnie aeree e a tutta la molteplicità di attori complici del suo funzionamento (ognuno col suo ruolo e funzione) e che contribuisce a convogliare sempre più risorse all’apparato poliziesco-militare.

A questo proposito, in questi giorni alcuni partiti locali, risvegliati dalla necessità di fare campagna elettorale sulla pelle (e sulla morte) dei prigionieri nei CPR – e nelle carceri – chiedono ipocritamente la chiusura del CPR di Gradisca (non di tutti gli altri). E lo fanno sedendosi a convegno e marciando a fianco di chi i CPR li ha aperti con la Legge Turco-Napolitano del 1998 e dei rappresentanti di chi al loro interno manganella e gasa a piacimento i reclusi, contribuendo nel tempo – gli uni e gli altri – a tutte le svolte repressive degli ultimi anni.

Da Torino a Brindisi, da Macomer a a Trapani, i CPR vengono percorsi dalle continue rivolte autonome dei prigionieri nel tentativo di riguadagnare la libertà, opporsi alle deportazioni, ribellarsi alla brutalità delle guardie e al trattamento loro imposto dagli enti gestori, rivolte che spesso portano alla devastazione e chiusura di intere aree.

Solo guardando alle rovine di questi lager – e di tutti coloro che ne permettono l’esistenza – si potrà pensare che giustizia è stata fatta, per Vakhtang Enukidze e per tutte le altre centinaia di persone torturate e ammazzate là dentro.

I CPR li hanno chiusi i fuochi e le rivolte dei prigionieri, li hanno chiusi in passato e li chiuderanno ancora. A noi il compito della solidarietà attiva e complice a chi si rivolta.

Per un mondo senza frontiere e galere!

Tutti liberi, tutte libere

Assemblea NO CPR fvg

https://nofrontierefvg.noblogs.org/post/2025/05/17/per-vakhtang-e-tutti-gli-altri-chiudiamo-tutti-i-cpr-23-maggio-2025-doppio-presidio-a-gorizia-e-gradisca/

BOLOGNA: SENTENZA PRIMO GRADO OPERAZIONE RITROVO

Diffondiamo

Nel maggio del 2020, con l’Op. Ritrovo, sono statx arrestatx 7 compagnx di Bologna e ad altrx 5 sono state date misure minori (obbligo di dimora e firme). Con l’udienza di riesame è caduto l’impianto accusatorio del 270 bis e sono rimaste in vigore quelle più lievi di danneggiamento mezzo incendio, danneggiamento, imbrattamento e istigazione a delinquere, tutte legate a differenti episodi solidali verso detenuti e compagnx sottopostx a misure repressive. Questo esito ha portato all’annullamento delle misure cautelari per qualcuno e all’obbligo di dimora con rientro notturno per qualcun altro, misure poi protratte per 6 mesi. È stata successivamente chiesta la sorveglianza speciale per 8 compagnx coinvolti nell’Op. Ritrovo, poi affibbiata ad un solo compagno per la durata di 2 anni.
L’Op Ritrovo ha preso il via nel periodo del lockdown, anche a seguito della forte solidarietà espressa dallx compagnx allx detenutx del carcere bolognese della Dozza. Il PM Dambruoso in conferenza stampa aveva ammesso senza pudore la natura  preventiva degli arresti nel quadro delle strette adottate con il lockdown e a seguito delle rivolte nelle carceri, durante le quali erano state uccise 14 persone.

Dopo 5 anni dall’inizio di quella vicenda siamo arrivatx alla sentenza di primo grado con una sola condanna ad 1 mese (pena sospesa) per imbrattamento, per una scritta. Per il resto è stata una sentenza di assoluzione piena per tuttx.

Proviamo rabbia per la libertà che ci è stata strappata, per le menzogne del tritacarne della giustizia italiana, per la violazione delle nostre vite avvenuta con anni di intercettazioni e pedinamenti. Ma soprattutto proviamo rabbia perché i responsabili delle morti avvenute nelle carceri in quei mesi del 2020, a partire dalla strage di Modena fino al massacro di Santamaria Capua Vetere, non hanno mai pagato.
Le carceri sono luoghi di privazione e morte e non ci stancheremo mai di ripeterlo.
Contro tutte le galere!