AGGIORNAMENTO SULLA SITUAZIONE DI ALFREDO COSPITO E APPELLO ALLA SOLIDARIETÀ

Diffondiamo:

Abbiamo avuto notizia che Alfredo in carcere a bancali (Sassari) fisicamente sta bene e ha ripreso peso dopo i sei mesi di sciopero della fame. Purtroppo riceve pochissima posta, quasi niente, e anche quando il carcere trattiene lettere, cartoline o telegrammi, non sempre lui ne riceve comunicazione. Si trova così sottoposto a una censura ancora più alta e arbitraria di quella già durissima del 41 bis.
Facciamo quindi appello per non fargli mancare la nostra solidarietà e invitiamo tutte e tutti a scrivergli lettere o cartoline utilizzando la raccomandata con ricevuta di ritorno, per aumentare le possibilità che gli venga consegnata o se gli viene trattenuta, che ne abbia notizia.

Alfredo Cospito
Casa Circondariale di Sassari
Località Bancali
07100 Sassari SS
Italia

Contro tutte le galere!
Cassa Antirepressione delle Alpi Occidentali

BOLOGNA: GIOVANE DETENUTA MUORE AL CARCERE DELLA DOZZA

Dai media locali apprendiamo del decesso di una giovane detenuta al carcere della Dozza.

“Una giovane detenuta di 29 anni, che si trovava reclusa nel carcere bolognese della Dozza, è morta, mercoledì, all’ospedale Maggiore dove era ricoverata da qualche giorno dopo un malore accusato in carcere. La madre ha presentato una denuncia e la procura ha disposto l’autopsia per far luce sulla vicenda. Patricia Bonora Mos, nata in Romania nel 1994 e residente a Piacenza, era da qualche mese alla Dozza per piccoli reati. Il 12 agosto è stata ricoverata d’urgenza all’ospedale, a causa di un malore accusato dopo aver mangiato della carne.”

FIRENZE: SGOMBERO STUDENTATO AUTOGESTITO PDM27 + ASSEMBLEA PUBBLICA IN DIFESA DEGLI SPAZI OCCUPATI

Dopo l’occupazione Corsica della settimana scorsa un’altra esperienza di autogestione è stata sgomberata ieri mattina in via Ponte di Mezzo a Firenze: si tratta dello studentato autogestito dal 2016, PDM27.

Fin dalle prime ore del giorno un elicottero ha sorvolato la zona per impedire alle persone di salire sul tetto, mentre un ampio dispiegamento di uomini e mezzi ha nuovamente militarizzato il quartiere.

Dai media apprendiamo che, come per Corsica, anche in questo caso “il provvedimento di sgombero è stato emesso dal giudice per le indagini preliminari di Firenze su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia”, un’operazione che “si inquadra nella direttiva inviata dallo stesso ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a tutti i prefetti d’Italia, in cui si sollecita a procedere con forza contro le situazioni di illegalità.”

Un intervento che evidenzia come l’antimafia sia sempre più interessata e coinvolta nella repressione politica di movimenti e dissidenze.

Dal Viminale applaudono all’operazione sottolineando come si tratti di “interventi fondamentali per il ripristino della legalità, necessari a garantire migliori condizioni di sicurezza ai cittadini”.

Il solito mantra della sicurezza, quella stessa sicurezza che continua a sacrificare la vita di persone e territori sull’altare della speculazione e del profitto, costruendo città sempre più invivibili ed esclusive.

Lo Stato non si sta facendo scrupoli a strumentalizzare quanto avvenuto all’ex Hotel Astor per far fuori quelle esperienze che si oppongono ad una realtà fatta di solitudine e sfruttamento, e alla turistificazione selvaggia di interi quartieri.

L’immobile secondo la stampa sarebbe destinato ad un progetto di “housing sociale” per persone con vulnerabilità psichica, senza vergogna lo Stato non esita a manipolare l’opinione pubblica sbandierando progetti di interesse sociale per coprire la violenza con cui intanto reprime, sgombera e rade al suolo esperienze di riappropriazione, mutualismo e autogestione.

Solidali con chi resiste!


Intanto rilanciamo da La Polveriera:

ASSEMBLEA PUBBLICA IN DIFESA DEGLI SPAZI OCCUPATI

Vogliono fare il deserto ma non glielo permetteremo.

“Chiamiamo a raccolta tutti coloro che avranno voglia di mettersi in gioco per costruire una resistenza collettiva e cittadina agli sgomberi.”

Venerdì 18 agosto alle 18 in piazza Tasso assemblea pubblica in difesa degli spazi occupati.

 

NAPOLI: RIVOLTA NEL CARCERE DI POGGIOREALE

Massimo Altieri, un detenuto di 41 anni e in attesa della seconda fase di giudizio, è stato trovato morto in cella nel carcere di Poggioreale. Si sarebbe suicidato inalando del gas da una bombola. Tutto il padiglione Roma del carcere è adesso in rivolta per protestare soprattutto contro la mala gestione della sanità: “ci sentiamo abbandonati, non siamo abbastanza seguiti. Non si può morire così in carcere a 41 anni, serve fare qualcosa. Qui dentro c’è rabbia per quello che è successo. Non deve riaccadere più. In un istituto penitenziario così grande ci sono solo due medici, come possono seguire tante persone?” (Parole affidate all’avv. De Maio). I detenuti criticano inoltre la mancata assistenza sanitaria, affermando che chi soffre di disagi può essere curato adeguatamente solo fuori dal carcere, ma questo non accade: i casi di questo tipo sarebbero diversi.

Link: https://cronachedi.it/morto-in-cella-rivolta-nel-carcere-di-poggioreale-a-napoli/

CHIETI: LE FORZE DELL’ORDINE UCCIDONO

A Sambuceto di San Giovanni Teatino (Chieti) un 35enne in evidente stato di vulnerabilità e agitazione è morto dopo essere stato fermato dai carabinieri con l’uso della pistola a impulsi elettrici.

Morti e uccisioni a cui sembriamo ormai assueffatti, arresi, come se la licenza di uccidere di divise e forze dell’ordine sia sempre più normale, ineluttabile.

https://www.osservatoriorepressione.info/chieti-fermato-col-taser-muore-ospedale/

SECONDO SUICIDIO IN POCHE ORE A TORINO, DETENUTA SI IMPICCA IN CELLA

“A poche ore dalla morte di Susan John, la donna di 42 anni che si è lasciata morire di fame, un’altra detenuta si è tolta la vita nella sezione femminile del carcere di Torino. È una donna italiana che era stata trasferita a fine luglio da Genova, al carcere di Torino. Si chiama Azzurra Campari. Si è impiccata.”

https://torino.repubblica.it/cronaca/2023/08/11/news/suicidio_carcere_torino_impiccata-410796687/

TORINO: DETENUTA MORTA IN SCIOPERO DELLA FAME NEL PIÙ COMPLETO SILENZIO

Una donna nigeriana di 43 anni di nome Susan è morta in sciopero della fame nella così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (sezione psichiatrica) del carcere delle Vallette. Su Radio Blackout apprendiamo che le detenute della sezione femminile delle Vallette non hanno saputo nulla dello sciopero fin quando non hanno appreso della morte dai media. La stessa Garante dei detenuti di Torino non è stata avvisata dalla direzione della situazione. Sui media si parla di tre settimane di sciopero della fame e della sete, uccisa nel più completo silenzio. Proprio la settimana scorsa era stata diffusa la notizia della dimissione di massa di medici e sanitari dal carcere delle Vallette. Nessuno dei sanitari ha denunciato la situazione in corso, né le difficoltà che molte persone recluse vivono, ma solo, in linea con la penitenziaria, una generica lamentela rispetto eventi critici e aggressioni. Davanti a tutto questo si parla solo di facilitare le espulsioni e di riaprire gli OPG.

LA FRONTIERA HA UCCISO ANCORA!

Diffondiamo da Passamontagna:

È morta un’altra persona sul confine italo-francese del Monginevro. Un altro morto, un altro corpo senza vita è stato trovato sulla strada militare, che da Claviere (Valsusa, IT) arriva a Briancon (FR).

Lunedi 7 agosto l’ennesimo cadavere è stato trovato tra queste montagne, ucciso da una frontiera razzista dove strade carrabili sono attraversate quotidianamente da auto, bus e treni trasportano turisti, merci e militari mentre le persone migranti sono obbligate a passare a piedi tra i sentieri della montagna, scappando dai controlli della polizia francese che cerca di bloccare il loro viaggio anche tra i boschi a 1800 mt d’altezza.

Pare che sia stato trovato da un ciclista, da uno dei tanti turisti che si riversano tra queste montagne per le vacanze estive. Si divertono sulle stesse strade che di notte e giorno sono attraversate da persone costrette a nascondersi perché non in possesso del giusto documento. Dal 2018, almeno 10 persone hanno perso la vita provando ad attraversare il confine alto-valusino. Mentre i turisti si divertono a giocare su un prato impeccabile a firma della Lavazza e del comune di Monginevro, decine di persone in movimento muoiono o rischiano la vita a poca distanza sui sentieri che attraversano il confine.

Non abbiamo molte informazioni su quello che è accaduto, ma sappiamo con certezza che chi ha ucciso ancora è stato il braccio armato dello stato: la polizia, la gendarmeria, la polizia di frontiera (PAF). Braccio armato che munito di jeep, droni e visori notturni cerca di proteggere gli interessi nazionali di uno stato neocoloniale e razzista, allargando e restringendo la maglia di questa frontiera interna all’Europa che continua a separare, reprimere e uccidere. Come il deserto del Niger, come le carceri in Libia e Tunisia, come il mar Mediterraneo, il canale della Manica, come tutte le frontiere esterne all’Europa dalla Turchia alla Polonia al Marocco, come i centri di detenzione amministrativa sparsi in numerose città, anche le montagne valsusine sono da anni una frontiera dove le persone continuano a morire.

E a uccidere ancora una volta non è la montagna, la neve, il freddo o la fatica. A uccidere è lo stato, la fortezza europa, è il sistema frontiera che si incarna in uomini e donne in divisa che battono i sentieri facendo una caccia all’uomo, a uccidere sono tutte quelle persone indifferenti che si girano dall’altra parte per non mettere in discussione i propri privilegi da bianchi borghesi, mentre affianco a loro chi è nato dalla parte di mondo “sbagliato”, soffre e muore nell’omertoso silenzio generale.

Questo week end c’è stato un campeggio chiamato contro le frontiere, con l’idea di attraversare collettivamente quel confine assassino, con l’idea che l’unione fa la forza e che per una volta le persone non avrebbero dovuto essere esposte alla violenza poliziesca; la polizia ha impedito il passaggio, schierandosi con tutti i loro armamenti tra i boschi e sentieri della montagna, muniti di lacrimogeni, scudi, bombe al tritolo, flashball. Non siamo riuscitx a passare. Due giorni dopo quella camminata finita male, viene ritrovato un cadavere.

Se non esistessero le frontiere, non ci sarebbero persone che continuano a morire per attraversarle.
Seguiranno aggiornamenti, seguiranno appuntamenti. Non rimaniamo indifferenti, facciamo qualcosa per impedire altri omicidi su queste montagne!

Polizia assassina! All Cops Are Borders. Smash the borders!

CONTRO OGNI FRONTIERA, GLI STATI CHE LE CREANO, E LE DIVISE CHE LE PROTEGGONO

BORGO MEZZANONE: BRACCIANTI IN SCIOPERO

Diffondiamo dalla pagina del Comitato Lavoratori delle Campagne:

Oggi il ghetto di Borgo Mezzanone, il più grande d’Italia, è stato bloccato da uno sciopero dei braccianti! Nessuno è andato a lavorare e i lavoratori gridano che vogliono documenti, case, contratti! Solo la lotta paga!

Comunicato dei braccianti in sciopero il 10 agosto: Vogliamo le case, non ci danno neanche i containers!

Siamo le persone che abitano nel “ghetto” di Borgo Mezzanone. Alcuni di noi vivono qui da tempo, altri sono arrivati da poco. Molti di noi lavorano in agricoltura, e da anni ci organizziamo in autonomia per avere una vita migliore. Siamo scesi in strada tante volte, abbiamo alzato la voce e trovato il modo per farci ascoltare, perché non accettiamo che la nostra vita dipenda da un documento, perché non è giusto essere sfruttati mentre molti fanno i loro interessi e si arricchiscono alle nostre spalle: i padroni, chi costruisce i campi dove viviamo, chi li gestisce, chi decide le politiche migratorie e spesso anche le organizzazioni che dovrebbero difenderci, come i sindacati.

Oggi 10 agosto manifestiamo davanti ai cancelli del CARA, il centro per richiedenti asilo costruito qui a Borgo Mezzanone nel 2005, nel quale si trova anche la sede della Commissione Territoriale per il diritto di asilo: un luogo importante per molti motivi. In questo campo nel 2021 sono stati installati decine di nuovi containers con i fondi della regione Puglia, che dichiarava di voler combattere lo sfruttamento e dare un posto migliore in cui vivere a chi stava nel ghetto. Oltre al danno, la beffa: quei container, che altro non sono che un nuovo ghetto, sono pronti all’uso, ma sono vuoti da due anni, mentre nelle scorse settimane decine di persone hanno perso la casa per gli ennesimi incendi divampati nel ghetto. Tutto questo proprio nel periodo di massimo affollamento dell’anno, quando sta per iniziare la raccolta del pomodoro.

Come ripetiamo da sempre, la vita nei centri di accoglienza e nei campi di lavoro non è la vita che vogliamo, tantomeno se dobbiamo vivere nelle tende o nei container, che non sono case vere, ma solo strutture precarie che arricchiscono che le costruisce e chi le gestisce, dove non siamo liberi e veniamo isolati. Lo sanno bene tanti di noi che vivono dentro il campo: il cibo è estremamente scadente, ci sono pochi posti e i container sono sovraffollati, ci sono pochissimi bagni e le condizioni igieniche, soprattutto d’estate, sono pessime. Abbiamo già protestato in prefettura e con la cooperativa che gestisce il campo molte volte per denunciare queste condizioni, ma poco o nulla è stato fatto. Nel frattempo, ci sono circa 130 nuovi container chiusi da anni, che potrebbero, nell’immediato, migliorare le condizioni soprattutto di chi ha perso la casa. Ma anche aprirli a fine agosto, come ha promesso il Prefetto di Foggia, sarebbe comunque troppo tardi. Non vi sembra assurdo? A noi sembra un’ingiustizia che non possiamo accettare.

Inoltre, come è ormai noto, il governo ha destinato più di 53 milioni dei fondi del PNRR al comune di Manfredonia per l’eliminazione del ghetto di Borgo Mezzanone e per trovare soluzioni abitative alternative per i lavoratori agricoli. A gennaio è stato firmato l’accordo per il progetto, che però ripete il solito copione e propone soluzioni inaccettabili: da un lato realizzare “foresterie” (cioè nuovi “campi”), dall’altro riadattare le borgate della bonifica o della riforma agraria, facendo una distinzione tra lavoratori stagionali e stanziali, come se la precarietà di vita e di lavoro a cui siamo costretti fosse una nostra scelta. Ignorando gli innumerevoli fallimenti di esperienze simili nel passato, si intende usare ingenti quantità di denaro pubblico (e quindi anche i nostri) per questioni che competerebbero ai datori di lavoro. Come se non bastasse, il governo non ha dato alcun segnale sull’approvazione di questo e degli altri progetti presentati dai comuni della provincia, e la scadenza era il 30 giugno: che fine faranno tutti questi soldi?

Già lo scorso 6 marzo eravamo scesi in strada a Foggia per chiedere chiarezza immediata alla prefettura sull’utilizzo di questi fondi e sottolineare l’inefficacia delle soluzioni proposte, e ci era stato risposto che era ancora tutto fermo. Quel giorno abbiamo protestato anche contro i ritardi e i dinieghi della commissione territoriale, ricevendo la promessa di velocizzare i tempi delle risposte e di favorire la regolarizzazione. Ma oggi abbiamo anche nuovi motivi per protestare: con l’approvazione del decreto “Cutro”, le possibilità di avere riconosciuto un permesso di soggiorno si sono ulteriormente ristrette, mentre si parla di fare entrare 400 mila lavoratori con i decreti flussi nei prossimi 3 anni. E per chi è già in Italia e magari è costretta a lavorare “in nero” perchè irregolare, solo silenzio e baracche, rischiando ogni giorno la vita sul lavoro, per strada e anche nei luoghi in cui viviamo.

Vogliamo un cambio di rotta immediato da parte della commissione territoriale, delle questure e del governo: non possiamo continuare ad attendere mesi e mesi per un documento o un appuntamento, ed è impressionante la gran quantità di esiti negativi alle domande presentate, anche quando soddisfano i già ristrettissimi criteri della legge. Contribuiamo in maniera decisiva all’economia di questa provincia e del paese ma non ci è concesso avere case normali in cu vivere. L’unico vero modo per farla finita con ghetti e caporalato, come dicono istituzioni e giornali, è darci un documento e rispettare i contratti collettivi che prevedono casa e trasporto per gli stagionali.

Per questo siamo qui davanti oggi: pretendiamo risposte precise e urgenti dal presidente della Regione, dal Prefetto e quindi dal Governo per quel che riguarda le case e i documenti.

Chiediamo quindi:

– Apertura immediata dei nuovi container per le persone che ne hanno necessità, a prescindere dal loro status giuridico e dal possesso di un documento. Nel frattempo, continuiamo a pretendere case per tutti;

– Che la commissione territoriale riduca i tempi di attesa e che rilasci pareri positivi a chi fa richiesta di protezione, considerando le condizioni di vita e di lavoro che da anni siamo costretti a sopportare;
– Un riscontro urgente, da parte dell’ente gestore, a seguito della denuncia della situazione all’interno del CARA.

Infine vogliamo chiarezza dalla Prefettura e dal Governo sui tempi e le modalità di realizzazione del progetto PNRR. Non accetteremo l’ennesima speculazione, siamo noi a dover decidere cosa farne. Le soluzioni di cui si parla in nessun modo possono essere costituite, ancora una volta, da centri di accoglienza, tendopoli o campi container. Nessuna persona dovrebbe vivere per strada, in un ghetto ma neanche in una tenda o in un container.

Tutt dobbiamo essere liberi di circolare liberamente, di scegliere la vita che vogliamo, liber da sfruttamento e violenza in tutte le sue forme, compresa quella istituzionale.

Per questo, oggi come ieri, non ci stanchiamo di ripetere che pretendiamo documenti e case per tutt subito e condizioni di lavoro che ci facciano vivere bene.