TORINO: DETENUTA MORTA IN SCIOPERO DELLA FAME NEL PIÙ COMPLETO SILENZIO

Una donna nigeriana di 43 anni di nome Susan è morta in sciopero della fame nella così detta “Articolazione Tutela Salute Mentale” (sezione psichiatrica) del carcere delle Vallette. Su Radio Blackout apprendiamo che le detenute della sezione femminile delle Vallette non hanno saputo nulla dello sciopero fin quando non hanno appreso della morte dai media. La stessa Garante dei detenuti di Torino non è stata avvisata dalla direzione della situazione. Sui media si parla di tre settimane di sciopero della fame e della sete, uccisa nel più completo silenzio. Proprio la settimana scorsa era stata diffusa la notizia della dimissione di massa di medici e sanitari dal carcere delle Vallette. Nessuno dei sanitari ha denunciato la situazione in corso, né le difficoltà che molte persone recluse vivono, ma solo, in linea con la penitenziaria, una generica lamentela rispetto eventi critici e aggressioni. Davanti a tutto questo si parla solo di facilitare le espulsioni e di riaprire gli OPG.

LA FRONTIERA HA UCCISO ANCORA!

Diffondiamo da Passamontagna:

È morta un’altra persona sul confine italo-francese del Monginevro. Un altro morto, un altro corpo senza vita è stato trovato sulla strada militare, che da Claviere (Valsusa, IT) arriva a Briancon (FR).

Lunedi 7 agosto l’ennesimo cadavere è stato trovato tra queste montagne, ucciso da una frontiera razzista dove strade carrabili sono attraversate quotidianamente da auto, bus e treni trasportano turisti, merci e militari mentre le persone migranti sono obbligate a passare a piedi tra i sentieri della montagna, scappando dai controlli della polizia francese che cerca di bloccare il loro viaggio anche tra i boschi a 1800 mt d’altezza.

Pare che sia stato trovato da un ciclista, da uno dei tanti turisti che si riversano tra queste montagne per le vacanze estive. Si divertono sulle stesse strade che di notte e giorno sono attraversate da persone costrette a nascondersi perché non in possesso del giusto documento. Dal 2018, almeno 10 persone hanno perso la vita provando ad attraversare il confine alto-valusino. Mentre i turisti si divertono a giocare su un prato impeccabile a firma della Lavazza e del comune di Monginevro, decine di persone in movimento muoiono o rischiano la vita a poca distanza sui sentieri che attraversano il confine.

Non abbiamo molte informazioni su quello che è accaduto, ma sappiamo con certezza che chi ha ucciso ancora è stato il braccio armato dello stato: la polizia, la gendarmeria, la polizia di frontiera (PAF). Braccio armato che munito di jeep, droni e visori notturni cerca di proteggere gli interessi nazionali di uno stato neocoloniale e razzista, allargando e restringendo la maglia di questa frontiera interna all’Europa che continua a separare, reprimere e uccidere. Come il deserto del Niger, come le carceri in Libia e Tunisia, come il mar Mediterraneo, il canale della Manica, come tutte le frontiere esterne all’Europa dalla Turchia alla Polonia al Marocco, come i centri di detenzione amministrativa sparsi in numerose città, anche le montagne valsusine sono da anni una frontiera dove le persone continuano a morire.

E a uccidere ancora una volta non è la montagna, la neve, il freddo o la fatica. A uccidere è lo stato, la fortezza europa, è il sistema frontiera che si incarna in uomini e donne in divisa che battono i sentieri facendo una caccia all’uomo, a uccidere sono tutte quelle persone indifferenti che si girano dall’altra parte per non mettere in discussione i propri privilegi da bianchi borghesi, mentre affianco a loro chi è nato dalla parte di mondo “sbagliato”, soffre e muore nell’omertoso silenzio generale.

Questo week end c’è stato un campeggio chiamato contro le frontiere, con l’idea di attraversare collettivamente quel confine assassino, con l’idea che l’unione fa la forza e che per una volta le persone non avrebbero dovuto essere esposte alla violenza poliziesca; la polizia ha impedito il passaggio, schierandosi con tutti i loro armamenti tra i boschi e sentieri della montagna, muniti di lacrimogeni, scudi, bombe al tritolo, flashball. Non siamo riuscitx a passare. Due giorni dopo quella camminata finita male, viene ritrovato un cadavere.

Se non esistessero le frontiere, non ci sarebbero persone che continuano a morire per attraversarle.
Seguiranno aggiornamenti, seguiranno appuntamenti. Non rimaniamo indifferenti, facciamo qualcosa per impedire altri omicidi su queste montagne!

Polizia assassina! All Cops Are Borders. Smash the borders!

CONTRO OGNI FRONTIERA, GLI STATI CHE LE CREANO, E LE DIVISE CHE LE PROTEGGONO

BORGO MEZZANONE: BRACCIANTI IN SCIOPERO

Diffondiamo dalla pagina del Comitato Lavoratori delle Campagne:

Oggi il ghetto di Borgo Mezzanone, il più grande d’Italia, è stato bloccato da uno sciopero dei braccianti! Nessuno è andato a lavorare e i lavoratori gridano che vogliono documenti, case, contratti! Solo la lotta paga!

Comunicato dei braccianti in sciopero il 10 agosto: Vogliamo le case, non ci danno neanche i containers!

Siamo le persone che abitano nel “ghetto” di Borgo Mezzanone. Alcuni di noi vivono qui da tempo, altri sono arrivati da poco. Molti di noi lavorano in agricoltura, e da anni ci organizziamo in autonomia per avere una vita migliore. Siamo scesi in strada tante volte, abbiamo alzato la voce e trovato il modo per farci ascoltare, perché non accettiamo che la nostra vita dipenda da un documento, perché non è giusto essere sfruttati mentre molti fanno i loro interessi e si arricchiscono alle nostre spalle: i padroni, chi costruisce i campi dove viviamo, chi li gestisce, chi decide le politiche migratorie e spesso anche le organizzazioni che dovrebbero difenderci, come i sindacati.

Oggi 10 agosto manifestiamo davanti ai cancelli del CARA, il centro per richiedenti asilo costruito qui a Borgo Mezzanone nel 2005, nel quale si trova anche la sede della Commissione Territoriale per il diritto di asilo: un luogo importante per molti motivi. In questo campo nel 2021 sono stati installati decine di nuovi containers con i fondi della regione Puglia, che dichiarava di voler combattere lo sfruttamento e dare un posto migliore in cui vivere a chi stava nel ghetto. Oltre al danno, la beffa: quei container, che altro non sono che un nuovo ghetto, sono pronti all’uso, ma sono vuoti da due anni, mentre nelle scorse settimane decine di persone hanno perso la casa per gli ennesimi incendi divampati nel ghetto. Tutto questo proprio nel periodo di massimo affollamento dell’anno, quando sta per iniziare la raccolta del pomodoro.

Come ripetiamo da sempre, la vita nei centri di accoglienza e nei campi di lavoro non è la vita che vogliamo, tantomeno se dobbiamo vivere nelle tende o nei container, che non sono case vere, ma solo strutture precarie che arricchiscono che le costruisce e chi le gestisce, dove non siamo liberi e veniamo isolati. Lo sanno bene tanti di noi che vivono dentro il campo: il cibo è estremamente scadente, ci sono pochi posti e i container sono sovraffollati, ci sono pochissimi bagni e le condizioni igieniche, soprattutto d’estate, sono pessime. Abbiamo già protestato in prefettura e con la cooperativa che gestisce il campo molte volte per denunciare queste condizioni, ma poco o nulla è stato fatto. Nel frattempo, ci sono circa 130 nuovi container chiusi da anni, che potrebbero, nell’immediato, migliorare le condizioni soprattutto di chi ha perso la casa. Ma anche aprirli a fine agosto, come ha promesso il Prefetto di Foggia, sarebbe comunque troppo tardi. Non vi sembra assurdo? A noi sembra un’ingiustizia che non possiamo accettare.

Inoltre, come è ormai noto, il governo ha destinato più di 53 milioni dei fondi del PNRR al comune di Manfredonia per l’eliminazione del ghetto di Borgo Mezzanone e per trovare soluzioni abitative alternative per i lavoratori agricoli. A gennaio è stato firmato l’accordo per il progetto, che però ripete il solito copione e propone soluzioni inaccettabili: da un lato realizzare “foresterie” (cioè nuovi “campi”), dall’altro riadattare le borgate della bonifica o della riforma agraria, facendo una distinzione tra lavoratori stagionali e stanziali, come se la precarietà di vita e di lavoro a cui siamo costretti fosse una nostra scelta. Ignorando gli innumerevoli fallimenti di esperienze simili nel passato, si intende usare ingenti quantità di denaro pubblico (e quindi anche i nostri) per questioni che competerebbero ai datori di lavoro. Come se non bastasse, il governo non ha dato alcun segnale sull’approvazione di questo e degli altri progetti presentati dai comuni della provincia, e la scadenza era il 30 giugno: che fine faranno tutti questi soldi?

Già lo scorso 6 marzo eravamo scesi in strada a Foggia per chiedere chiarezza immediata alla prefettura sull’utilizzo di questi fondi e sottolineare l’inefficacia delle soluzioni proposte, e ci era stato risposto che era ancora tutto fermo. Quel giorno abbiamo protestato anche contro i ritardi e i dinieghi della commissione territoriale, ricevendo la promessa di velocizzare i tempi delle risposte e di favorire la regolarizzazione. Ma oggi abbiamo anche nuovi motivi per protestare: con l’approvazione del decreto “Cutro”, le possibilità di avere riconosciuto un permesso di soggiorno si sono ulteriormente ristrette, mentre si parla di fare entrare 400 mila lavoratori con i decreti flussi nei prossimi 3 anni. E per chi è già in Italia e magari è costretta a lavorare “in nero” perchè irregolare, solo silenzio e baracche, rischiando ogni giorno la vita sul lavoro, per strada e anche nei luoghi in cui viviamo.

Vogliamo un cambio di rotta immediato da parte della commissione territoriale, delle questure e del governo: non possiamo continuare ad attendere mesi e mesi per un documento o un appuntamento, ed è impressionante la gran quantità di esiti negativi alle domande presentate, anche quando soddisfano i già ristrettissimi criteri della legge. Contribuiamo in maniera decisiva all’economia di questa provincia e del paese ma non ci è concesso avere case normali in cu vivere. L’unico vero modo per farla finita con ghetti e caporalato, come dicono istituzioni e giornali, è darci un documento e rispettare i contratti collettivi che prevedono casa e trasporto per gli stagionali.

Per questo siamo qui davanti oggi: pretendiamo risposte precise e urgenti dal presidente della Regione, dal Prefetto e quindi dal Governo per quel che riguarda le case e i documenti.

Chiediamo quindi:

– Apertura immediata dei nuovi container per le persone che ne hanno necessità, a prescindere dal loro status giuridico e dal possesso di un documento. Nel frattempo, continuiamo a pretendere case per tutti;

– Che la commissione territoriale riduca i tempi di attesa e che rilasci pareri positivi a chi fa richiesta di protezione, considerando le condizioni di vita e di lavoro che da anni siamo costretti a sopportare;
– Un riscontro urgente, da parte dell’ente gestore, a seguito della denuncia della situazione all’interno del CARA.

Infine vogliamo chiarezza dalla Prefettura e dal Governo sui tempi e le modalità di realizzazione del progetto PNRR. Non accetteremo l’ennesima speculazione, siamo noi a dover decidere cosa farne. Le soluzioni di cui si parla in nessun modo possono essere costituite, ancora una volta, da centri di accoglienza, tendopoli o campi container. Nessuna persona dovrebbe vivere per strada, in un ghetto ma neanche in una tenda o in un container.

Tutt dobbiamo essere liberi di circolare liberamente, di scegliere la vita che vogliamo, liber da sfruttamento e violenza in tutte le sue forme, compresa quella istituzionale.

Per questo, oggi come ieri, non ci stanchiamo di ripetere che pretendiamo documenti e case per tutt subito e condizioni di lavoro che ci facciano vivere bene.

GENOVA, LA SPEZIA, MASSA CARRARA: OPERAZIONE ANTI-ANARCHICA E MISURE CAUTELARI

Ennesima operazione anti-anarchica questa mattina. Si parla di 9 misure cautelari: un compagno di 27 anni in carcere, tre compagni tra i 35 e i 56 anni agli arresti domiciliari e altri cinque tra compagni e compagne con l’obbligo di dimora nelle rispettive città. Sotto accusa la redazione di testi “con finalità di terrorismo”, in particolare del quindicinale anarchico “Bezmotivny”.

https://www.agi.it/cronaca/news/2023-08-08/terrorismo-polizia-genova-arresta-nove-anarchici-22549513/

In attesa di aggiornamenti diretti, esprimiamo la nostra solidarietà senza se e senza ma ai compagni e alle compagne colpite!


AGGIORNAMENTI

Il compagno arrestato questa mattina 8 Agosto a Carrara nel corso dell’operazione antianarchica avviata dalla procura di Genova è Gigi che è stato tradotto nel carcere di La Spezia.

Per scrivergli: Luigi Palli Casa circondariale di La Spezia Via Fontevivo 43  Cap 19125 La Spezia(SP)

FIRENZE: SGOMBERO CORSICA IN CORSO

ATTENZIONE!! Stanno sgomberando Corsica! Chi può accorra!!


AGGIORNAMENTI

Da qualche ora è in corso lo sgombero dell’occupazione Corsica in via del Ponte di mezzo 32. Meschini come al solito hanno aspettato le settimane centrali di agosto in modo da poter fare le loro porcate sotto meno sguardi possibili. Sin dai primi minuti gli sbirri si sono mostrati subito molto aggressivi, in linea con la mano libera che si sentono da quando gli amici fascisti sono al governo, hanno provato a rubare quanto più equipaggiamento possibile ai compagni sul tetto e si sono mostrati molto violenti verso il presidio solidale per allontanarlo dalle vie adiacenti all’occupazione.

Tutto questo invece che fiaccare la nostra voglia di resistere, l’ha alimentata!

Ai giardini di via Mariti è già presente un presidio solidale con gli occupanti del tetto. La giornata sarà lunga e non finirà certo oggi, raggiungeteci sin da subito.

Alle 13h sarà allestito un pranzo sociale collettivo. Portate idee e materiale da campeggio per allestire il presidio permanente: tende, amache e gazebi sono benvenuti.

H 17 ASSEMBLEA PUBBLICA SU COME PROSEGUIRE LA MOBILITAZIONE

Non è il momento dello sconforto, ma della rabbia. La temperatura è gradevole, è una fantastica giornata estiva: un ottimo giorno per resistere.

AGGIORNAMENTI SU DOMENICO PORCELLI

Domenico Porcelli sta portando avanti uno sciopero della fame dal 28 aprile 2023 contro il regime di 41-bis cui è sottoposto. Respinto il differimento pena per motivi di salute, vorrebbe richiedere il suicidio assistito.

L’avvocata Pintus: “Rischia di morire nella completa indifferenza […] Sta ancora proseguendo lo sciopero della fame fino a quando non morirà. Nessuno lo sta considerando, nemmeno una mezza visita da parte di qualche autorità politica, come è stato fatto almeno con Cospito.”

Da: https://www.osservatoriorepressione.info/al-41-bis-sciopero-della-fame-5-mesi-adesso-chiede-leutanasia/

Ennesima inchiesta per 270 bis in Trentino: richieste (e non concesse) 12 misure cautelari

Diffondiamo da Il Rovescio:

Nel mese di aprile scorso, i PM Raimondi e Ognibene avevano chiesto 9 misure cautelari in carcere e 3 divieti di dimora a Trento e a Rovereto per altrettanti compagni e compagne. Dal momento che il GIP ha rigettato le richieste, la Procura ha fatto ricorso: di qui la notifica ad alcuni indagati e indagate dell’udienza del riesame, fissata per il 1° agosto e rinviata al 12 settembre per difetto di notifica agli altri indagati. Questa ennesima inchiesta per «associazione sovversiva con finalità di terrorismo» – chiamata, per quel che si capisce, «Diana» – è stata aperta nel 2019, ma prende le mosse da un procedimento per «apologia del terrorismo» avviato dalla Procura di Brescia (in merito a un testo uscito sulla pubblicazione anarchica “Beznachalie”) e passato alla Procura di Trento. L’inchiesta trentina si è estesa poi a ritroso fino al 2013, anno in cui è uscito il primo numero di “Beznachalie”.

Procedendo in una direzione che assomiglia sempre di più a quella delle “leggi scellerate” con cui a fine Ottocento il governo francese aveva dichiarato “malfattori” gli anarchici in quanto tali, questa nuova inchiesta mira innanzitutto a considerare espressione di un «sodalizio terroristico» «l’ideazione, la predisposizione, la redazione, la stampa e la diffusione, anche con strumenti informatici e telematici, delle pubblicazioni denominate “Beznachalie”, “I giorni e le notti”, “Dietro le quinte”, nonché del sito web www.ilrovescio.info». I «luoghi di concertazione del programma criminoso, di raccolta e gestione fondi, di appoggio logistico e ricovero dei sodali» sarebbero gli spazi anarchici “El Tavan” di Trento e “La nave dei folli” di Rovereto, nonché alcune case private.

I «reati-scopo» di tale «sodalizio» sarebbero la contraffazione di documenti per favorire la «clandestinità ovvero la latitanza dei compartecipi», la realizzazione di attentati, l’organizzazione di manifestazioni non autorizzate e violente, la «imposizione e diffusione delle proprie idee politiche di destabilizzazione con violenza e intimidazione anche nei confronti di aziende private».

Nello specifico, si tratta dei documenti falsi per cui Agnese e Stecco sono stati condannati a 2 anni e Rupert a 1 anno e 10 mesi nel processo «Renata»; di quelli trovati a Juan in occasione del suo arresto (per cui Agnese è stata condannata a 2 anni nel primo grado della “operazione senza nome”); del «sostegno operativo» alla latitanza di Juan (per cui Manu è stato condannato a 10 mesi dopo esser stato detenuto per oltre un anno); delle azioni dirette contro il tribunale di sorveglianza di Trento (avvenuta nel 2014 e per cui Juan è stato condannato a 3 anni e 6 mesi nel primo grado dell’“operazione senza nome”), contro la sede della Lega di Villorba (Treviso) del 2018 (per cui Juan è stato condannato a 28 anni in primo grado e a 14 in secondo grado) e contro un Frecciargento a Bolzano nel 2015 (un tentato incendio che i PM vorrebbero attribuire a un compagno in base alle tracce di DNA rinvenute sull’ordigno incendiario, e per cui si indaga per «atto con finalità di terrorismo»); la manifestazione al Brennero del 2016 contro le frontiere (per la quale, in due diversi tronconi processuali, sono stati distribuiti in appello oltre 130 anni di carcere); il tentativo di leggere in una radio commerciale un comunicato contro la strage avvenuta nelle carceri nella primavera del 2020 (per cui Massimo è stato condannato a 1 anno e 1 mese nel primo grado dell’“operazione senza nome”); il tentativo di bloccare una trivella del TAV a Trento nel gennaio del 2022 (per cui esiste un altro procedimento penale in corso). A parte l’episodio del Frecciargento, quindi, si tratta di fatti già oggetto di altri processi o procedimenti. L’intento della Procura è quello di riutilizzare gli stessi episodi per giustificare quel 270 bis sempre caduto nelle inchieste precedenti. Intento che raggiunge i contorni di una vera e propria metafisica della repressione: i reati-scopo esprimono e sostanziano l’associazione sovversiva, la quale, però, nella sua dimensione «ontologica» (proprio così), prescinde dai singoli atti. Puro intelletto terroristico (per questo la centralità delle pubblicazioni), il quale, anche quando non si traduce in atti di eversione, comunque li istiga o ne fa l’apologia.

L’aspetto più pericoloso – oltre all’attacco alle pubblicazioni in quanto tali – è senz’altro la definizione di «terrorismo» impiegata da DIGOS e PM: «intimidire la popolazione e costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto». Si tratta dell’ormai noto art. 270 sexies, introdotto dal “pacchetto Pisanu” nel 2005. Come è già stato detto e ridetto, «intimidire la popolazione» è un’attività che caratterizza lo Stato e non certo gli anarchici, mentre «costringere i poteri pubblici a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto» è quello che si prefigge ogni lotta. Fermare il TAV non è forse costringere governo e RFI ad astenersi dal realizzare l’opera? Bloccare un porto non è forse voler costringere il governo a ritirare il green pass oppure a non inviare armi in Ucraina? L’eventuale esplosione di rabbia sociale contro l’abolizione del reddito di cittadinanza non avrebbe lo scopo di costringere il governo ad astenersi dall’applicare dei provvedimenti già presi? E pretendere che un compagno esca dal 41 bis?

Benché questa definizione di «terrorismo» recepisca – con una formulazione ancora più generica e più adattabile – una definizione-quadro adottata in ambito europeo, l’Italia è l’unico Paese in cui essa viene sistematicamente usata contro il movimento anarchico (e non solo, come vedremo). L’estensione quantitativa e qualitativa del suo uso è un chiaro indicatore di ciò da cui non si può più prescindere: siamo in guerra.

Sul piano generale

Solo negli ultimi due mesi, ci sono state notifiche d’inchieste, anche con perquisizioni e talvolta misure cautelari, a Milano, Trieste, Bologna, Potenza, Torino, Palermo e Perugia. Al di là dei singoli episodi contestati, è evidente che la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo sta facendo il giro delle Procure con un messaggio esplicito: «Toglieteli di torno, con qualsiasi pretesto». Ma altrettanto evidente è il salto qualitativo: per un compagno è stata chiesta la misura cautelare in carcere per un intervento fatto durante un corteo contro il 41 bis a Torino; le inchieste di Bologna e di Potenza dicono chiaro e tondo che la campagna in solidarietà con Alfredo è di per sé «terroristica» in quanto vuole costringere lo Stato a compiere un atto che non vuole compiere: revocargli il 41 bis. Che tale intento venga perseguìto scrivendo sui muri, affiggendo striscioni, danneggiando una qualche multinazionale, interrompendo una messa, salendo su di una gru, incendiando dei cassonetti in mezzo alla strada o dei furgoni di una ditta implicata nel business penitenziario è in fondo secondario. Infatti a Perugia si è di recente aperta un’indagine per «istigazione alla violenza e apologia del terrorismo» per un lenzuolo con una scritta in solidarietà ad Alfredo e contro il 41 bis. La stessa logica viene applicata ben al di là dell’ambito anarchico. Infatti un paio di settimane fa alcuni militanti di “Antudo” sono stati perquisiti e indagati per «apologia del terrorismo» e per «atto con finalità di terrorismo» per aver pubblicato sul loro sito un video e un comunicato di rivendicazione relativi ad un’azione contro Leonardo-Finmeccanica. Colpire il maggior produttore di armi italiano non significa forse voler costringere lo Stato ad astenersi dal portare avanti le sue politiche di guerra? E chi diffonde le ragioni di tali pratiche di lotta non compie, per ciò stesso, apologia del terrorismo? Non serve certo un disegno per capire dove porta una tale logica inquisitoriale.

Sul piano locale

Si tratta almeno della quinta inchiesta per «associazione sovversiva con finalità di terrorismo» contro compagne e compagni in Trentino in meno di vent’anni, parlando di quelle di cui siamo a conoscenza in quanto notificate agli indagati. Se a questo aggiungiamo lo stillicidio di processi e condanne per altri reati, i compagni in carcere, ai domiciliari o uccel di bosco, le sorveglianze speciali e il fatto che alcuni compagni e compagne passano da una misura all’altra senza soluzione di continuità praticamente dal 2019, l’operazione «Diana» persegue e prosegue una strategia specifica: farla finita con la presenza anarchica in Trentino, le sue idee, le lotte che esprime o di cui è parte, i suoi spazi, le sue pubblicazioni. E non ci sembra un caso, ad esempio, che mentre sono cominciati a Trento sia i lavori per il TAV sia blocchi e contestazioni, in un’inchiesta per «terrorismo» venga inserita un’iniziativa pubblica di contrasto a una trivella e si vada a ripescare, grazie all’uso poliziesco-giudiziario della genetica, il tentato incendio di un Frecciargento avvenuto il 25 aprile del 2015. (Visto che a DIGOS e PM dà così fastidio che si pubblichino i comunicati di rivendicazione, queste le parole diffuse all’epoca dagli anonimi sabotatori: «In ricordo dei sabotaggi partigiani. Libertà per i compagni in carcere. Ciao Guccio. Non sempre la fortuna aiuta gli audaci»). Tra l’altro, il primo tentativo (fallito) di applicare il 270 sexies è stato quello della Procura di Torino nei confronti dei compagni e della compagna arrestati e condannati per l’azione incendiaria contro il cantiere chiomontino del TAV nel 2014 (il cosiddetto processo del «compressore»).

La morale dell’obbedienza

Negli stessi giorni in cui veniva notificata l’inchiesta «Diana» (con cui volevano sequestrare in carcere e togliere dalle lotte ben 12 compagni e compagne), i PM Raimondi e Ognibene ponevano sotto sequestro giudiziario una porzione del cantiere TAV a Trento Nord (senza che questo fermasse il prosieguo dei lavori complessivi). Un provvedimento interno a un’indagine per «disastro ambientale» – per ora nei confronti dell’amministratore delegato e di un altro responsabile di RFI – aperta in seguito all’esposto fatto da alcuni No Tav. Benché i lavori del TAV continuino tutt’attorno, il sequestro di alcune aree inquinate dall’ex Sloi e dall’ex Carbochimica (in particolare a causa del piombo tetraetile e di vari solventi chimici) e la realtà di un possibile avvelenamento di massa che diventa «ipotesi di reato» hanno sbugiardato le continue rassicurazioni di RFI e le palesi complicità di Provincia e Comune di Trento. Gli stessi magistrati che riconoscono formalmente la fondatezza degli allarmi contro il TAV, colpiscono chi da quegli allarmi trae la logica conseguenza sul piano etico e pratico: costringere con l’azione governo e imprese a non realizzare l’opera. Qual è la morale della storia? A noi sembra questa: se di fronte a un disastro ambientale si fa appello alla magistratura si è dei «cittadini»; se ci si organizza per bloccare o peggio ancora sabotare i mezzi del disastro si è «terroristi» – di più: si è «terroristi» anche se si difendono o soltanto si diffondono le ragioni dell’azione diretta. Si chiama morale dell’obbedienza.

Dal nostro lato della barricata, ogni giorno di obbedienza, ogni giorno di pace sociale è un giorno in più di guerra e di repressione.

anarchiche e anarchici di Trento e Rovereto

MOUSTAFÀ FANNANE, ENNESIMA VITTIMA DEL SISTEMA CPR

 

Riceviamo e diffondiamo la vicenda di Moustafà Fannane, ennesima vittima del sistema CPR. Per noi non ci sono né ombre né dubbi, sappiamo chi è stato.

Moustafà Fannane: ennesima vittima del sistema CPR

Ovvero una morte sospetta per abuso di psicofarmaci dopo la detenzione in un Centro Per il Rimpatrio

Il 19 Dicembre 2022 a Roma è venuto a mancare Moustafà Fannane, classe 84, originario della città marocchina di Fqih Ben Salah. Ennesima morte sospetta per abuso di psicofarmaci.

Moustafà era giunto in Italia nel 2007, come molti suoi conterranei alla ricerca di un futuro migliore, e per un periodo di tempo aveva svolto una vita regolare fatta di lavoro al fine di aiutare la famiglia in Marocco in grave difficoltà economica. Descritto dai suoi conoscenti come persona gentile e educata, nel 2014 comincia ad avere delle difficoltà, perde il lavoro e l’alloggio. Come se non bastasse in questa situazione drammatica e precaria nel 2015 viene raggiunto da un decreto di espulsione, circostanza che non sarebbe mai stato in grado di affrontare dal punto di vista legale viste le condizioni in cui versava.

Nel 2019 viene trattenuto per sei mesi presso i Centri di Permanenza per il Rimpatrio (CPR) di Roma e Torino. Nell’estate 2020 nonostante la sua condizione di disagio psicologico e socio-economico verrà nuovamente condotto nel CPR. Molti residenti, nel quartiere Torpignattara a Roma dove viveva, hanno giudicato tale misura del tutto ingiusta e inappropriata nei confronti di una persona che aveva bisogno di cure e sostegno. Nell’agosto 2022 viene nuovamente arrestato e condotto nuovamente nel CPR. Verrà ritenuto idoneo a rimanere recluso. Durante questo ultimo trattenimento, in contatto con una sua conoscenza lamenterà di essere affetto da un gonfiore a carico del volto di cui non sa spiegare il motivo, circostanza notata poi da molte altre persone una volta uscito le quali sono rimaste molto sorprese dalle sue condizioni definite come qualcosa di simile a un abuso di psicofarmaci, apatia, pallore. Nella documentazione rilasciata dal centro ai legali dei familiari non risultano fogli di dimissioni, pertanto dopo 3 mesi di terapia basata sulle 25 – 50 gocce giornaliere di Diazepam, Moustafà viene rilasciato senza nessuna indicazione terapeutica o prescrizione di visita specialistica. Verrà rinvenuto in strada privo di sensi e troverà la morte nell’ospedale Vannini a sole tre settimane dal rilascio dal CPR.

Sappiamo bene che sono gli psicofarmaci lo strumento principale di gestione delle persone recluse nei Centri di Permanenza per il Rimpatrio dei migranti. Antiepilettici, antipsicotici, antidepressivi e metadone: “servono per stordire donne e uomini in modo che mangino di meno, restino più tranquilli e resistano di più al sovraffollamento, nelle gabbie in cui vengono stipati. All’ente gestore gli psicofarmaci costano meno del cibo e permettono di riempire maggiormente i CPR e allungare il tempo di permanenza di ciascun migrante nella struttura, in modo da aumentare i guadagni”. Presso i CPR “non sono previste attività, le giornate sono tutte uguali; un operatore ci ha raccontato che gli psicofarmaci sono usati per stordire le persone così “mangiano di meno, fanno meno casino, rivendicano di meno i loro diritti”. La spesa per gli psicofarmaci è altissima mentre la tutela della salute all’interno dei CPR non è affidata a figure specialistiche che lavorano per il Ssn bensì da assunti da enti gestori che mirano a risparmiare”. Sui numeri: rispetto all’esterno, su una popolazione di riferimento simile, la spesa in antidepressivi, antipsicotici e antiepilettici nella struttura di via Corelli a Milano è di 160 volte più alta, al CPR di via Brunelleschi a Torino 110, a Roma 127,5, a Caltanissetta 30 e a Macomer 25. Addirittura a Roma, in cinque anni, sono state acquistate 154.500 compresse di Buscopan su un totale di 4.200 persone transitate. In media, 36 pastiglie a testa quando un ciclo ‘normale’ ne prevede al massimo 15. A Torino la spesa in Clonazepam (Rivotril) dal 2017 al 2019 è di 3.348 euro, quasi il 15% del totale (22.128 euro) mentre a Caltanissetta tra il 2021 e il 2022 sappiamo che sono state acquistate 57.040 compresse: 21.300 solo nel 2021, a fronte di 574 persone trattenute. Significa mediamente 37 a testa. Anche a Milano il Rivotril rappresenta la metà del totale della spesa in psicofarmaci con 196 scatole acquistate in soli cinque mesi.1

Questa triste vicenda dai molti punti ancora oscuri ci invita a interrogarci come sia stato possibile che una persona in difficoltà come Moustafà sia potuto essere stato soggetto a numerosi arresti e trattenimenti presso dei CPR; se le Istituzioni abbiano mai realmente provato a fare qualcosa per questa persona. Ci domandiamo anche se il rispetto e la tutela della salute dei reclusi dentro i CPR siano garantiti a partire dalle visite mediche.

Per il momento per la morte di Moustafà è stato aperto un procedimento presso la Procura di Roma. Ci auguriamo che venga fatta chiarezza sulle reali cause del decesso di Moustafà che cercava solo una vita migliore.

Da: https://artaudpisa.noblogs.org/post/2023/07/30/moustafa-fannane-ennesima-vittima-del-sistema-cpr/

https://www.osservatoriorepressione.info/ombre-dubbi-sulla-morte-moustafa-fannane/


1https://altreconomia.it/rinchiusi-e-sedati-labuso-quotidiano-di-psicofarmaci-nei-cpr-italiani/

TRIESTE: E VENNERO A METTERCI LE SPIE IN AUTO

Riceviamo e diffondiamo esprimendo la nostra solidarietà e complicità alle compagnx, consapevoli che la solidarietà attiva può trasformare la realtà più cupa e aprire varchi insospettabili nei muri della repressione e dell’isolamento. 

Sabato mattina unə nostrə compagnə è statə svegliatə dai vicini perché qualcunə le aveva rotto il vetro dell’auto. Un furto strano: cd masterizzati, l’adattatore del gpl, un bicchiere, una borsina regalo con erbe dell’orto e... un sambuco fatto in casa contro la repressione (calza proprio a pennello, vedi sotto l’etichetta!). Ogni città è paese, e qualche vicinə aveva infatti visto 4 uomini, con fare discreto e indisturbato, entrare e uscire da quell’auto la notte prima alle 23:30, subito dopo un rumore di vetri rotti: uno entrava dalla parte del passeggero e trabiccolava sporgendosi fino al lato dell’autista, gli altri tre stavano sotto il lampione. Tanto incuranti dei passanti che sembrava fosse la loro auto. Chissà se loro stessi o dei colleghi hanno poi lasciato il bigliettino della questura trovato sul tergicristalli che suggeriva di presentarsi per denunciare il fatto.

Nel rimediare al danno pulendo la macchina un pezzo sotto il volante
, vicino ai pedali, era fuori posto e seguendo un filo si è trovata la microspia.

Ma perché è stata messa? Non lo sappiamo. Sarà per la solidarietà mostrata verso le persone rinchiuse nel CPR di Gradisca per non avere documenti regolari? Sarà per l’appoggio mostrato alla battaglia di Alfredo Cospito contro il 41 bis? Sarà per l’opposizione all’ovovia, proprio in questo sprint estivo in cui i tecnici si stanno presentando alle porte con le planimetrie per l’esproprio?

L’essere sensibili, e non indifferenti, all’orrore dei CPR, all’atrocità del 41 bis e alla devastazione ambientale per noi non è una colpa, è piuttosto la nostra unica maniera di vivere umanamente, nonostante l’atrofia che spesso percepiamo attorno.

Preoccupa però, per l’ennesima volta quest’anno, la sproporzione delle azioni di procure e questure. Sembra il tentativo non sia tanto di reprimere episodi specifici, quanto di affogare chi prova a rimanere a galla in quella melma di individualismo e controllo che ci circonda.

Qualcuno diceva che una società ingiusta ha sempre bisogno di reprimere dei criminali per legittimarsi. La soglia sopra la quale qualcunə diventa tale la determina però la società stessa: nei periodi di maggior paura a reagire anche solo l’avere una certa idea può diventare sufficiente. La mente ci corre veloce a Perugia e a Potenza, dove negli ultimi mesi sono state aperte delle indagini per 270 bis (associazione terroristica!) per aver mostrato pubblicamente appoggio alla lotta intrapresa da Alfredo Cospito contro il 41 bis (in un caso per uno striscione), o a Bologna e Rovereto, dove è stata aperta un’indagine analoga nella quale un cassonetto in fiamme è considerato come un “attentato”. Allora, l’unico rimedio che ci pare necessario venga messo in campo è quello che esiste già: reagire collettivamente all’intollerabile sensazione di avere un lager per persone migranti a Gradisca; al pensiero che mentre guardiamo il cielo qualcuno boccheggia sotto tortura bianca, in 41 bis, a Tolmezzo; all’imposizione vorace e prepotente di una maxi opera nel bosco Bovedo. Reagire colletivamente alla chiusura dei consultori a Trieste, all’espansione della SIOT a Paluzza, alla violenza di genere e al clima di guerra che avanza. Reagire, e in questo modo, non avranno abbastanza microspie e orecchie per tenerci sotto controllo, e, tuttə, saremo più felici e un po’ più umanə.

Link: https://laburjana.noblogs.org/post/2023/08/02/e-vennero-a-metterci-le-spie-in-auto/ Canale telegram https://t.me/sullabreccia


PERQUISIZIONI A TRIESTE

GLI INTERESSI MILITARI DIETRO AL PONTE SULLO STRETTO DI MESSINA

L’INSOSTENIBILE PONTE SULLO STRETTO SPINTO DAL GOVERNO PER COLLEGARE BASI NATO

Il Ponte sullo Stretto di Messina non è solo un’infrastruttura devastante dal punto di vista sociale, economico e ambientale ma rappresenta anche il cavallo di Troia per legittimare l’ulteriore escalation del processo di militarizzazione e riarmo della Sicilia e del Mezzogiorno d’Italia, accelerando la conversione del territorio in piattaforma avanzata per le operazioni di guerra e distruzione del pianeta. Il progetto rientra nel Trans-European Transport Network (TEN-T), il cui scopo, tra gli altri, è quello di creare una rete in grado di soddisfare “un piano di azione sulla mobilità militare 2.0″. A sostenerlo economicamente ci pensa l’UE con i finanziamenti provenienti dal Connecting Europe Facility (che finanzia progetti di infrastrutture di trasporto a duplice uso) e dal Fondo Europeo per la Difesa (che sostiene lo sviluppo di sistemi logistici e digitali interoperabili).

Antonio Mazzeo su Radio Onda Rossa


Gli interessi militari dietro al ponte sullo stretto di Messina