AGITIAMOCI ANCORA! PER LA ROVINA DELLA SOCIETÀ

Diffondiamo:

Agitiamoci ancora!

Nel 2020, sui muri di Imola (BO) furono attacchinati due manifesti in solidarietà con Alfredo Cospito e Anna Beniamino, in seguito alle condanne di secondo grado del processo Scripta Manent e in solidarietà con i compagni e le compagne all’epoca prigionieri nell’ambito dell’operazione Bialystok.

Il manifesto “Agitiamoci”, in solidarietà con Anna e Alfredo, colpì particolarmente la solerte DIGOS di Imola e per me e Luigi arrivò una denuncia per istigazione a delinquere nella fattispecie dell’apologia di delitti con finalità di terrorismo (art. 414 comma 4 c. p.), oltre che per violenza o minaccia ad un corpo politico (art. 338 c. p.) con l’aggravante del luogo pubblico e del travisamento (art. 339 c. p.). A Luigi, inoltre, viene anche contestata la violazione del foglio di via da Imola. Il PM non poteva essere altri che Gustapane, che si sta costruendo una miserabile carriera a Bologna grazie alle operazioni contro gli anarchici.

Luigi si trova agli arresti domiciliari restrittivi dall’8 agosto 2023 in seguito all’operazione Scripta Scelera contro il quindicinale “Bezmotivny”, ma sapendo di fare cosa a lui gradita, colgo l’occasione dell’udienza preliminare che, per entrambi, si terrà il 23 gennaio, per diffondere il manifesto incriminato. Poiché a giugno dello scorso anno Alfredo e Anna sono stati condannati rispettivamente a 23 anni e 17 anni e 9 mesi di carcere, ho modificato il manifesto in modo da poterlo diffondere ancora, ancora e ancora.

In seguito alla denuncia io e Luigi scrivemmo un volantino, “Idee Chiare”, che diffondo con piacere a maggior ragione proprio perché il compagno è stato zittito dalla repressione.

Il 23 gennaio alle ore 11, presso il tribunale di Bologna, si terrà l’udienza preliminare.

Veronica

PDF: “Agitiamoci”
PDF: “Idee Chiare”

COMUNICATO DI STECCO RIGUARDO ALL’IMPOSIZIONE DELLA VIDEOCONFERENZA + UNA DICHIARAZIONE CHE AVREBBE VOLUTO LEGGERE IL 19 GENNAIO AL TRIBUNALE DI TRIESTE

Riceviamo e diffondiamo un comunicato di Stecco relativo all’imposizione della videoconferenza al processo del 19 gennaio a Trieste e una dichiarazione di solidarietà al prigioniero rivoluzionario George Ibrahim Abdallah che ad aprile sarà processato sempre a Trieste.

Ieri, 17 gennaio, mi è stata notificata dalla matricola del carcere di Sanremo la decisione del DAP del 16 gennaio, di impormi la videoconferenza presso il Tribunale di Trieste per i due processi che avrei dovuto avere in presenza i giorni 19 gennaio e 1 febbraio. Il giudice che ha avvallato questa decisione è la dottoressa Valentina Guercini.
Il motivo è semplice, e per noi anarchici ormai noto, cioè di essere classificato come un anarchico insurrezionalista, e quindi per ragioni di sicurezza è stata revocata la precedente traduzione disposta dalla stessa giudice.
Non ripeterò i motivi per cui sono totalmente contro questo tipo di imposizione, in tanti e tante compagne nel tempo ci si è espressi a riguardo, sia sulla impossibilità di difendersi decentemente e guardare in faccia i propri inquisitori, ma soprattutto – cosa più importante – è trasformare questi momenti repressivi in momenti di lotta, di far trasudare anche nelle loro aule lo spirito che ci pulsa dentro, di opposizione, di conflitto, di dignità politica ed umana, di presa di parola.
E visto che proprio per queste occasioni, avevo preparato un testo di solidarietà internazionalista, spendo qualche parola su questa situazione di censura e depoliticizzazione del processo. Cosa che non riguarda me, ma tutti i compagni e compagne, tutti i detenuti e detenute in generale.
Sappiamo bene cosa sta avvenendo nel mondo della giurisprudenza e della giustizia borghese con l’introduzione della tecnologia, conosciamo i responsabili materiali che permettono tutto questo, la cui videoconferenza è per certi versi già antiquata, il futuro è molto più raccapricciante con l’introduzione dell’intelligenza artificiale. Basta leggere giornali e riviste del settore per farsi un’idea del dibattito in corso a riguardo.
Visto che per questi processi non ho ancora potuto vedere di persona la mia avvocatessa di fiducia di Trieste, sarò costretto a partecipare alla videoconferenza per interloquire con lei per alcune questioni tecniche. Fatto questo dichiarerò quello che penso e accuserò la giudicedi questa sua decisione impostale dal DAP, in poche semplici parole, e me ne andrò.
Per essere chiaro questo avverrà in questi due processi al Tribunale di Trieste.
Il 10 gennaio invece mi era stata imposta la videoconferenza dal giudice Marco Tamburino di Trento, con delle scuse più sottili. Vedremo se in futuro mi farà presenziare al processo per l’operazione “Senza nome” come da me richiesto tramite avvocato.

18/01/2024
Carcere di Sanremo
Luca Dolce detto Stecco


Di seguito il testo di solidarietà con il prigioniero palestinese Georges Ibrahim Abdallah:

A causa del confine, che nella percezione dei più del nostro Paese può essere solo di tipo nazionale e linguistico, sono tenuta a dichiarare e dimostrare la mia identità. Chi sono, a chi appartengo, perché scrivo in sloveno o parlo in tedesco. In queste affermazioni c’è un cono di guerra in cui si aggirano fantasmi che rispondono al nome di fedeltà e tradimento, possesso e territorio, mio e tuo. Oltrepassare il confine qui non è un gesto naturale, è un atto politico.

Così scrive l’austriaca Maja Haderlap nel suo romanzo L’angelo dell’oblio, nel descrivere il vissuto della minoranza slovena nella Carinzia austriaca durante la Seconda Guerra Mondiale. Storie di genti che convissero e condivisero fatiche, culture, sfruttamento e violenza.. Da troppo tempo qualcuno mette su carta una linea tratteggiata, che nella realtà si concretizza in uomini e donne armati e in uniforme, tecnologie del controllo, documenti, filo spinato, burocrazia, giudici, propaganda e scribacchini privi di cuore.
Passare quella linea politica era un atto politico, come oggi.
La mia famiglia, di origine istriane da parte di padre e di madre, nel dopoguerra ha dovuto varcare quei confini decisi dai trattati tra lo Stato italiano e quello jugoslavo con la mediazione degli alleati vincitori. Confini i cui cippi, nei decenni, son stati spostati un po’ più in qua, un po’ più in là, a scapito di chi lì ci viveva. Han lasciato tutto, le loro case, le loro reti da pescatori, le loro colline con i peri e i perseghi dove da piccoli andavano a mangiare i loro frutti, che con nostalgia ancora ricordano.
Confini, varchi, zona A, zona B, campi profughi, fame, povertà, pregiudizi, violenza.
Eliseé Reclus descriveva il suo concetto di esule in modo diametralmente opposto a quello che oggi i politici, gli storici, i conservatori nazionalisti vogliono fare: assimilare come concetto patriottico.
L’esule per lui è quella persona che a causa di forze esterne alla propria volontà, è costretto a lasciare la propria terra natia. Ma il ricordo, la memoria, non sono legati allo straccio che si appende nelle caserme o negli uffici pubblici. Bensì ai propri ricordi, ai profumi e frutti della propria terra, ai giochi d’infanzia, al paesaggio che fin da piccoli ci circonda, ai piccoli e grandi avvenimenti della vita, anche negativi. A chi si vuole bene e che t’ha cresciuto, alle storie che t’ han raccontato. Oggi questa parola suona solo come ricordo di divisioni, di odio, di prepotenza, di memoria selezionata, perché essa è intrecciata con una realtà che nasconde ed offusca la vera fonte del dramma dell’esodo istriano-dalmata. Cioè che chi pagò ancora una volta le scelte sconsiderate e nefaste del regime fascista che difendeva i privilegi della borghesia, della vecchia nobiltà e del clero, erano solo e sempre gli ultimi, le escluse, indipendentemente da che parte del conflitto si trovavano.
Dinamiche molto simili successero dopo, in modi differenti, durante il regime titino con i suoi campi come Goli Otok, o nella nuova Repubblica Democratica Italiana.
La Giornata del Ricordo, del 10 febbraio, che si celebrerà tra pochi giorni, sarà ancora il momento della retorica nazionalista, dove le cause che portarono a certi avvenimenti, vengono ancora negate e revisionate per necessità di potere.
Ci si è abituati bene in questi anni ed a queste latitudini con un poco di pace e di abbondanza nel far finta che tutto va per il meglio. Ci si dimentica della recente guerra fratricida jugoslava, dove le bombe della NATO cadevano sulle genti nostre sorelle, con cui da tempo si convive e ci si mescola parole, usanze, vicissitudini.
Si è più vicini di quanto non si creda.
Oggi si dà per scontato che quel confine orientale sia veramente “aperto”, che esso sia un ricordo del passato.
Esso non è aperto per chi scappa da altre violenze, guerre, fame, o semplicemente parte per cambiare vita. Poco importa. Si danno per scontate cose che non lo sono, come l’aver il documento giusto, la fedina penale immacolata, il colore della pelle adatto. Le guardie alle garitte ti lasciano passare solo se hai certi requisiti, ma oggi il confine, non è lì dove c’è concretamente la frontiera, ma ovunque.
Poi succede un avvenimento che si percepisce come lontano, la TV mostra luoghi che sembrano di un’altra epoca, ma ormai ci si è assuefatti a vedere immagini di città bombardate, a gente che estrae i propri morti dalle macerie, alle file di profughi.
Il 7 ottobre 2023 la Resistenza Palestinese attacca Israele. La macchina dello Stato si mette in moto. I telegiornali giustificano la chiusura di quello che la gente non avrebbe più immaginato, cioè i confini di Schengen. Si spargono parole d’odio ed usurate: terrorismo, sicurezza, chiusure, allarme.
Chissà che qualche europeo adagiato nel benessere si risvegli dal proprio sonno e comprenda che queste barriere hanno degli scopi precisi per il mantenimento della divisione dell’umanità in nazioni e classi. Esse sono aperte solo quando chi governa ne ha la necessità e gli vien concesso. Ancora una volta la macchina patriottica macina e schiaccia, innalza il mito della “difesa” della Nazione.
Ogni giorno le immagini della guerra contro le persone palestinesi ci vien sbattuta in faccia con tutta la sua violenza, con il conteggio dei morti, con la retorica cinica e guerrafondaia di chi ha il potere. Dove anche l’Italia con le sue navi da guerra, con le sue basi NATO-USA in Sicilia a Sigonella, con le sue fabbriche di armi e nei suoi laboratori ed università continua inesorabilmente a creare marchingegni di morte tramite la mano d’opera e l’ingegno di chi ha ormai la propria coscienza coperta da un elmetto. L’Italia continua dalla fine della seconda guerra mondiale a supportare il suo blocco imperialista, mentre ancora una volta un’intera comunità viene massacrata, affamata, perseguitata senza fine.
Spendo povere parole da questa cella, in questo carcere dove il confine italo-francese si fa sentire. Dove molte persone sono rimaste impigliate nei fili del controllo della frontiera. Dove la gente muore nella Roja, per i proiettili della gendarmérie, o nei freddi sentieri di montagna. Mentre qualche mese fa il ministro dell’interno Piantedosi proclamava l’apertura di nuovi lager, e nelle radio i discorsi dei politici e dei giornalisti erano perfettamente in sintonia con la vecchia propaganda nazista e fascista. Non vi han fatto rabbrividire le decisioni di utilizzare delle tecniche antropometriche per capire se una persona è maggiorenne o no?
Un giorno all’aria un uomo afghano mi ha chiesto come stava il mio cuore? Lui che non ha nessuno, che non ha niente, si è preoccupato per me, in un giorno in cui i miei pensieri volavano verso qualche mio affetto che non c’è più. Mi ha parlato di chi a Trieste in piazza Libertà, anni fa, gli ha dato un po’ di cibo, un qualcosa con cui scaldarsi. Ha dovuto per anni camminare fino a qui, superare le frontiere e sbirri vari, sentirne il peso degli stivali. Lui che nonostante tutto canta del cielo della sua terra, che è anche il mio, il nostro stesso cielo stellato. Basta così poco a volte per sentirsi fraterni pensavo, mentre ascoltavo la sua nenia.
Scrivo questi pensieri perché al Tribunale di Trieste il 19 gennaio avrò un’udienza per un processo.
Nello stesso luogo i giudici strafanici della storia (nel dialetto triestino strafanici significa anche di uomo malandato, inservibile, da gettare tra i ferrivecchi), con il cuore da burocrati intriso di grigie leggi, tra qualche mese, in aprile, porteranno a processo il prigioniero rivoluzionario palestinese Georges Ibrahim Abdallah per giudicarlo della sua storia, della sua resistenza, della sua dignità di uomo in lotta, rinchiuso da decenni nelle carceri francesi.
Io mi metto al suo fianco, perché ho fatta mia l’idea della solidarietà rivoluzionaria ed internazionalista. Dove la lotta di emancipazione deve scavalcare ogni frontiera, patria, religione, cultura.
Perseguendo nella profondità della propria coscienza, la necessità di una lotta senza respiro contro le forze che ci opprimono e che mai potranno mettere in silenzio le idee di libertà ed emancipazione.
Saluto qui i miei compagni e compagne coimputate con cui il 1 maggio 2021 decidemmo di scendere in piazza al di fuori delle autorizzazioni di questura, per rompere un poco la cappa del controllo e della paura.
Facciamo sentire anche qui la giusta resistenza ed ostilità contro chi ci trascina nell’odio e nell’oblio della guerra fratricida tra sfruttati e sfruttate. Troviamo i modi più consoni per rilanciare il grido di “guerra alla guerra”.
Facciamo nostri gli atti di resistenza che arrivano dai disertori, dalle donne contro la guerra, gli antimilitaristi e antimilitariste della Bielorussia, Russia, Ucraina, di chi in Palestina decide di combattere ed opporsi alla guerra sionista, con obiettivi di emancipazione e libertà.
La nostra patria è il mondo intero!
Per una Palestina libera da Stati, frontiere, per una vita senza autorità!
Libertà per Georges Ibrahim Abdallah!

08/01/2024
Carcere di Sanremo
Luca Dolce detto Stecco

NANCY: BORIS CONDANNATO IN APPELLO PER L’INCENDIO DI DUE RIPETITORI

Riceviamo e pubblichiamo un aggiornamento sulla situazione di Boris. Il testo è tradotto dal francese, l’originale si puà trovare qui.

Il 25 settembre 2023 la corte d’appello di Nancy ha giudicato il compagno anarchico Boris, per avere incendiato il ripetitore di quattro operatori di telecomunicazioni e quello degli sbirri e dei gendarmi, nell’aprile del 2020, sul monte Poupet (Jura, Francia).

Dopo questo attacco, che aveva mobilitato, in pieno lockdown, i tecnici del ministero dell’interno fino al profondo Jura per tentare di ristabilire il più in fretta possibile le comunicazioni, il DNA del compagno era stato rinvenuto in loco. Dopo mesi di intercettazioni e di indagini condotte dal nucleo anti-terrorismo (GAT) di Digione e dai membri del GIGN (Groupe d’Intervention de la Gendarmerie Nationale, il corpo d’élite dei gendarmi francesi), venuti apposta da Versailles, nell’ambito di un’indagine condotta dalla JIRS (Juridiction inter-régionale specialisée, tribunale per le indagini contro criminalità organizzata e crimini finanziari) di Nancy, Boris era stato arrestato a Besançon il 22 settembre 2020. Incarcerato con le misure preventive nella prigione di Nancy-Maxéville, è stato condannato in primo grado il 19 maggio 2021 a 4 anni di reclusione, di cui 2 con sospensione della pena e periodo di prova (obbligo di lavorare, di rimborsare le parti civili, divieto di portare armi). Giudicato senza avvocato e in un tribunale controllato dalla celere per impedirne l’accesso alle/ai compagnx solidali (con il pretesto delle restrizioni anti-covid), Boris ha fatto appello il giorno seguente. Nello stesso tempo, ha scritto una lettera pubblica da dietro le sbarre, in giugno, nella quale ha difeso le ragioni del doppio attacco.

Il 7 agosto 2021, mentre la data dell’appello era stata fissata per fine settembre, un incendio della cella dove era rinchiuso lo ha ferito in modo grave ( sopratutto rendendolo tetraplegico). In coma per diversi mesi con una prognosi che lo dava in pericolo di vita, con la stanza sorvegliata da due gendarmi fino alla sospensione della pena emessa dalla corte d’appello di Nancy il 20 settembre 2021. Il seguito è un lungo percorso medico che il compagno ha passato in diversi ospedali, in cui ha dovuto continuare a lottare contro il potere medico e contro altre istanze giudiziarie (sopratutto contro un tentativo di metterlo sotto tutela, cioè togliergli l’autonomia delle decisioni sulla propria vita, da parte della primaria del reparto di cure palliative di Besançon). Quanto alla corte d’appello di Nancy, se la fissazione di una data per l’udienza per l’incendio dei ripetitori era stata sospesa sine die da due anni, dato lo stato di salute di Boris, nel mese di luglio 2023 questa ha deciso di riconvocarla. Per farlo, ha utilizzato il vile pretesto che il compagno era riuscito a esprimersi in videoconferenza dall’ospedale, davanti a un’altra corte, nel marzo 2023, per comunicare con successo a una giudice che si opponeva a ogni forma di tutela (dello Stato come della famiglia)!

Ospitato in un luogo di vita adatto, Boris ha infine deciso di accettare l’udienza del 25 settembre 2023 davanti alla corte d’appello ( in videoconferenza), per mettere la parola fine a questa storia. Mentre qualche compagnx era presente nell’aula del tribunale di Nancy con la sua avvocata, altrx erano vicino a Boris nella sua stanza attrezzata, sopratutto per supportarlo con i disagi del wi-fi e della tracheostomia. Un aneddoto: Boris aveva avuto cura di fare sistemare la piccola telecamera in modo che apparisse dietro di lui e ben chiaro ai giudici il poster “dall’ombra delle città… … all’insurrezione” appeso sul muro.

Quanto all’udienza, ogni suo aspetto è stato odioso, com’è la normalità di qualunque tribunale e delle immondizie togate che si permettono di giudicare la vita delle persone e di mandarne in gran numero in quello strumento di tortura istituzionale che è la prigione. Con l’aggiunta, in questo caso, di tutto ciò che può contraddistinguere questi avvoltoi quando sono confrontati a degli individui che si discostano dalla norma. Anche se le condizioni fisiche del compagno gli erano ben note, per esempio, ciò non ha impedito al giudice Pascal Bridey di chiedere a più riprese al compagno di alzare la mano qualora avesse voluto prendere la parola. O ancora al procuratore Hadrien Baron di ironizzare nella sua requisitoria sul fatto che Boris fosse stato vittima di un incendio (accidentale secondo il rapporto degli esperti) della sua cella, quando lui stesso aveva bruciato dei ripetitori. Una sorta di punizione divina, in qualche modo, secondo questa mezza merda al servizio del più gelido dei mostri gelidi. Quanto all’avvocato della multinazionale Orange, venuto apposta dalla capitale, non ha resistito a fare l’appunto che se Boris era contro la tecnologia, quest’ultima poteva comunque essergli utile… visto che questa videoconferenza gli permetteva di essere giudicato senza spostarsi (sic).

Da parte sua, Boris esibiva un gran sorriso durante la lettura del fascicolo da parte del giudice, che includeva anche l’incendio del locale tecnico di un ripetitore dell’operatore SFR sul Mont Bregille (Besançon) avvenuto due settimane prima di quelli nel Jura, per il quale il compagno era stato scagionato. Sorrideva anche durante la lettura di questo estratto della sua dichiarazione in stato di fermo, dove alla domanda: “Cosa ha provato dopo aver commesso questo atto?”, aveva risposto “Ero contento di essere riuscito in questa prova, di avere oltrepassato i miei limiti e di avere assestato un colpo allo sviluppo di questa nuova tecnologia”, prima i concludere “ Ero solo e assumo la responsabilità di questo fatto”. Dopo questo riepilogo senza ambiguità, il giudice ha chiesto a Boris se avesse qualcosa da aggiungere, più di tre anni dopo i fatti. In occasione di questa rara presa di parola davanti al tribunale, il compagno ha dichiarato sobriamente: “Questo è certo, all’epoca ero determinato”, prima di decidere di tacere per lasciare il suo avvocato continuare al posto suo.

Alla fine di questa udienza di un’ora appena, l’avvocato di Boris si è dapprima interrogato ad alta voce circa “il senso della pena” data la pesante situazione medica del compagno, prima di precisare che anche se l’incendio della cella non fosse stato un incidente ma un atto di rivolta o di disperazione, questo non avrebbe diminuito la responsabilità dei carnefici che imprigionano. Poi ha terminato la sua requisitoria dicendo che se Boris oggi non può continuare a mettere le sue idee in pratica come lo ha fatto nell’aprile 2020, sicuramente non è perché ha modificato le sue convinzioni, al contrario! Inutile dire che il compagno era piuttosto felice di questa difesa esplicita, e che all’ultimo tentativo di umiliazione del giudice che gli ha chiesto con un paternalismo disgustoso “Ha capito bene ciò che dice il vostro avvocato?”, ha risposto senza indugio: “Sì, e sono d’accordo con lei!”
Dal canto loro, i due avvocati delle parti civili (Orange e l’agente giudiziario dello Stato per i due ripetitori degli sbirri e dei gendarmi) hanno freddamente reclamato i loro soldi per i danni causati, blaterando, come ci si aspettava, rispetto alla gravità di questi ultimi. Quanto al procuratore, ha ricordato come prima cosa che questo attacco non era un episodio isolato al tempo (con 175 attacchi per tutto l’anno 2020, cioè quasi uno ogni due giorni), e che lo Stato aveva allora temuto che la loro diffusione, “se fossero stati affiancati ad altri attacchi contro l’energia e l’acqua”, avrebbero potuto mettere  “il paese in ginocchio nel giro di tre giorni”. Ha giustificato con questa presunzione di azioni coordinate i mezzi di indagine anti-terrorismo utilizzati contro il compagno, così come il pesante verdetto del primo grado (sebbene l’associazione a delinquere fosse caduta alla chiusura dell’istruttoria)… prima di chiedere, attualmente, “tenuto conto del danno gravissimo subito dal signor X (Boris) durante la sua detenzione”, una pena di 8 mesi di prigione “che coprisse il periodo passato in detenzione provvisoria” (secondo i suoi calcoli sbagliati).

La sentenza definitiva è stata emessa il 25 ottobre 2023, condannando senza sorprese Boris a una pena equivalente al periodo passato in detenzione preventiva, cioè un anno di prigione, più mille euro a Orange e all’agente giudiziario dello Stato per i loro avvocati, più 169 euro per aver fatto appello ed essere stato riconosciuto colpevole, più una conferma dei “risarcimenti” accordati alle parti civili in primo grado (circa 91000 euro a Orange e all’agente di Stato, dato che le altre compagnie avevano lasciato perdere). Come informazione, è stato espresso agli avvocati di queste ultime che quando mai i loro superiori osassero prendere dei soldi al compagno, questo gli farebbe certamente una nuova pubblicità che vogliono senz’altro evitarsi…

Attualmente, non resta in corso che una procedura giudiziaria, quella nelle mani di una giudice d’istruzione di Nancy riguardo l’incendio della cella. Ancora una volta, forza e coraggio a Boris, che ha d’altronde ricevuto a metà novembre la famosa carrozzina da competizione, per la quale ringrazia chi ha partecipato a finanziarla tramite la solidarietà, e che gli offre delle nuove possibilità di autonomia.

Anarchichx complici e solidali,
16 gennaio 2024

UNA LETTERA DA STECCO

 

Da Il Rovescio una lettera di Stecco:

25/12/2023

Carcere di Sanremo

Questo scritto non è un comunicato. Qui non vi leggerete riflessioni sul mio arresto o riguardo a questa nuova esperienza carceraria, o su altre questioni politiche. Esse arriveranno al momento opportuno, cioè quando riterrò sedimentate alcune faccende personali, e alcune riflessioni che stanno maturando in questi primi mesi di detenzione.

Questo umile scritto ha il semplice scopo – per me doveroso – di ringraziare, salutare, e di portare solidarietà anche da dentro queste mura.

Ho atteso un poco prima di decidermi nel mettere giù queste mie parole, anche se la decisione di metterle su carta era già stata presa la sera del 4 dicembre, giorno dell’udienza al Tribunale di Imperia, per il documento falso trovatomi addosso il giorno cui la mia esperienza di latitante è stata fermata da un gruppo operativo dei Nocs.

Quel giorno al tribunale, mentre ero nel gabbione, l’avvocato mi ha annunciato della scomparsa di mia madre. Non è mio interesse raccontare questioni diciamo personali, bensì voglio raccontare – questo sì – della presenza dei compagni e compagne in aula, della loro vicinanza, della loro forza, e dell’ennesima prova di solidarietà. Ma anche dei compagni e compagne che al suo funerale hanno deposto dei fiori, facendomi così partecipe, con questo gesto, ad un momento importante della mia vita, a cui, per mia pregressa decisione, avevo deciso di non partecipare. Questi gesti, assieme alla mole di parole di vicinanza che mi arrivano per lettera, ad alcune azioni di solidarietà, è qualcosa di difficile descrizione riguardo a quello che provo, sono fatti che mi riempiono di orgoglio e di determinazione. È una consapevolezza che mi accompagna da anni, l’esistenza della solidarietà tra compagni e compagne, tra sfruttati e sfruttate, esiste, è palpabile, essa va al di là del singolo, della mia situazione specifica, questa ha poca importanza davanti alle responsabilità nel continuare la lotta, davanti alle necessità storiche di innescare la rivoluzione sociale.

Io sono solo un umile compagno che prova a mettere tutto quello che ha a disposizione per raggiungere i più alti fini di libertà ed emancipazione per tutti e tutte. Per questo non sono abbattuto nel trovarmi in questo luogo, perché sono in mezzo agli ultimi, agli esclusi, a chi appartiene a questa classe sfruttata. In mezzo a loro, indipendentemente dalle differenze e contraddizioni, continuo a portare il mio contributo alla lotta, alla presa di coscienza. Lo Stato un’altra volta sta fallendo nel provare a spezzare la nostra solidarietà, i nostri legami politici, affettivi amicali, e in primis quelli di affinità. Un’unione su cui non ho dubbi riguardo alla tenuta, nella sua consistenza e presenza, in cui ripongo tutta la mia fiducia ed energie. Un’unione che so che tutti assieme terremo salda nel prossimo futuro, visto che siamo consapevoli che qui in Italia molti di noi finiranno nelle maglie repressive per la conclusione di vari processi.

Anni che affronteremo con dignità, dove ognuno di noi sarà sostegno l’uno dell’altro, dove questo tempo non sarà vissuto passivamente, ma attivamente, per continuare la nostra battaglia per i nostri ideali, per un’idea di giustizia e libertà, un’idea che si chiama Anarchia.

Tutte queste certezze ho percepito in aula. Tutte le nostre difficoltà, tutti gli ostacoli che abbiamo attorno in questa fase storica possono essere superati con la forza di volontà, nello studio, nell’unione.

Purtroppo quattro giorni dopo ho saputo della scomparsa del compagno anarchico Alfredo Maria Bonanno. È stato un altro momento per confrontarmi con il dolore, perché assieme a tanti altri compagni e compagne abbiamo avuto modo di leggere le sue parole, confrontarsi con la sua personalità, per alcuni e alcune l’aver potuto agire assieme a lui nel corso della sua vita dedicata alla lotta, a un ideale.

Un compagno verso il quale ho un senso di gratitudine per la mia formazione ideale e politica.

Mi ritengo fortunato di aver potuto, assieme ad altri, organizzare con lui i comizi anarchici nell’inverno 2021 a Trieste. Comizi in cui aveva voluto presenti dei grandi drappi neri, simbolo della nostra rivolta anarchica, drappi che oggi innalziamo per la sua dipartita.

Ho fresche nella memoria le discussioni con lui prima di partire latitante, davanti ad un piatto di pasta in un’osteria, e potermi stupire ancora della sua forza, determinazione, lucidità.

Colgo quest’occasione per portare il mio cordoglio alla sua famiglia, ai suoi affetti, e ai compagni e compagne delle edizioni Anarchismo.

Concludo dicendo che:

– Saluto con viva forza il coraggio e la determinazione dei compagni Francisco Solar e Monica Caballero, che il 7 dicembre sono stati condannati dallo Stato cileno;

– Porto la mia vicinanza ai comuneri mapuche della CAM condannati recentemente dallo Stato cileno, e a quelli che nei prossimi mesi subiranno la repressione dei tribunali per la loro giusta resistenza;

– Saluto Gabriele, Tobias, e Ilaria, arrestati dallo Stato ungherese. Buona fuga a chi si sta sottraendo dalla morsa delle manette, così facendo dimostrano che le strade della libertà sono sempre aperte;

– Ringrazio i compagni e le compagne greci, sia per la loro dignità nell’affrontare la repressione, sia per tener viva la memoria rivoluzionaria, ma soprattutto per il loro continuo contributo analitico utile a tutto il movimento rivoluzionario;

– Ringrazio i compagni bielorussi nel loro trasmettere parole coraggiose dalle galere del regime di Lukaschenko in questi anni di guerra. Solidarietà a tutti i disertori di ogni guerra e di ogni nazione;

– Mando forza al compagno francese Boris per un suo miglioramento di salute;

– Libertà immediata per i prigionieri Giannis Michailidis e Nikos Maziotis in Grecia, a Marcelo Villaroel in Cile, a Claudio Lavazza in Francia;

– Auguro buona libertà e ritorno dai propri affetti dopo tanti anni di galera a Pola Roupa, Thomas Meyer Falk, Gabriel Pombo da Silva e a Davide Delogu, anche se ancora ristretto agli arresti domiciliari;

– Saluto Anna, Poza, Nasci, Rupert, Dayvid, Zac, Saverio, Paska, Stefano, Juan, rinchiusi assieme a me nelle patrie galere di questo Stato. A Sasha ristretta agli arresti domiciliari;

– Mi unisco a voi fuori con quello slogan che in tanti e tante avete urlato negli scorsi mesi: “Fuori Alfredo dal 41bis”. Un abbraccio particolare a lui. Fuori tutti e tutte da quel regime detentivo;

– Per ultimo, con il dolore nel cuore, mando un saluto a pugno chiuso al compagno palestinese Georges Abdallah, contro cui ad aprile si terrà al tribunale di Trieste un processo per la storia della sua resistenza al regime sionista di Israele. Per una Palestina libera da Stati, padroni e da qualsiasi autorità.

Sempre per l’anarchia e la rivoluzione sociale!

Libertà per tutti e tutte!

Luca Dolce detto Stecco

VITERBO: DETENUTO MUORE IN OSPEDALE DOPO GIORNI DI SCIOPERO DELLA FAME

Un detenuto di 65 anni è morto all’ospedale Belcolle di Viterbo, dopo giorni di sciopero della fame.

L’uomo era stato ricoverato coattivamente presso il reparto di medicina protetta su disposizione del magistrato in seguito allo sciopero della fame che aveva intrapreso per protesta.

https://www.corrierediviterbo.it/cronaca/detenuto-65enne-muore-in-ospedale-dopo-giorni-di-sciopero-della-fame/

ANCONA: IL CARCERE UCCIDE

Un giovane di 25 anni si è tolto la vita nel carcere di Montacuto di Ancona. Nonostante avesse minacciato il suicidio e le sue fragilità fossero state segnalate dai familiari, l’isolamento è stata l’unica risposta. La madre del giovane solleva dubbi anche sulla dinamica del suicidio.

Link: https://www.radiondadurto.org/2024/01/08/carcere-matteo-concetti-e-il-primo-detenuto-suicida-del-2024-nel-2023-erano-stati-68-uno-ogni-5-giorni/

ROMA: UDIENZA DI CASSAZIONE PER JUAN [26 GENNAIO]

Da: Il Rovescio

Venerdì 26 gennaio alle ore 10, a Roma, si terrà l’udienza di Cassazione contro il nostro compagno Juan per l’attacco alla sede della Lega di Villorba (TV)

Ritirata già durante il dibattimento l’accusa di strage, la procura chiede alla Cassazione di riconoscere nuovamente la messa in pericolo della vita delle persone come era accaduto in primo grado. In appello l’attacco era stato considerato potenzialmente pericoloso per “l’incolumità” ma non per la vita delle persone, cosa che ha portato ad una sensibile riduzione della pena (da 28 anni a 14 anni e 10 mesi di carcere).

Solidarietà a Juan e a tutti i compagni e le compagne imprigionati! Tutti liberi, tutte libere!

BREVE AGGIORNAMENTO SU ZAC + TESTO

Riceviamo e diffondiamo un aggiornamento sulla situazione di Zac + un testo distribuito ad alcune iniziative.

Il tribunale di sorveglianza di Napoli, su richiesta firmata dal questore di Napoli Maurizio Agricola, ha disposto l’applicazione della sorveglianza speciale per Zac di due anni e sei mesi con le seguenti restrizioni: di non allontanarsi dall’abitazione senza preventivo avviso dell’autorità di sorveglianza, di non uscire prima delle 7 e non rientrare dopo le 20, di non associarsi “abitualmente” a persone condannate o preposte a misura di prevenzione o sicurezza, di non accedere a esercizi pubblici e di pubblico trattenimento, vivere onestamente rispettando le leggi, non detenere né portare armi, darsi alla ricerca di un lavoro, non partecipare a pubbliche riunioni, di portare sempre con sé la carta di permanenza, di presentarsi ogni domenica, o comunque a ogni invito, all’autorità preposta alla sorveglianza. A ciò si aggiunga una cauzione di 3000.00 euro da versare come garanzia, ma frazionabile in cinque comode rate.
È stato fatto ricorso. La misura sarà eseguita non appena Zac uscirà dal carcere, a prescindere dall’esito del processo per 280 bis e 270 quinques, che intanto continua con udienze calendarizzate per ora fino alla fine di febbraio (9 gennaio, 31 gennaio, 12 febbraio e 21 febbraio). Seguiranno aggiornamenti e riflessioni più approfondite.

Per scrivere a Zac:
Marco Marino
C.c. di Terni
Via delle Campore, 32
05100 Terni (TR)
Sorvegliati sempre, vigilati mai
ZAC LIBERO!


Di seguito il testo distribuito in alcune iniziative:

CONTRO LO STATO CHE REPRIME E FA LA GUERRA…  RADICALIZZARSI è NECESSARIO
Solidali con Zac, a tuttx lx prigionierx e oppressx della terra

“Radicalizzazione” nell’uso comune che ne è fatto dallo Stato, dalle scuole e dal diritto è un termine diventato ormai sinonimo di “follia”, “pericolosità”, “cieco fanatismo”, che il mondo dei media o della televisione rappresenta con persone urlanti, inneggianti un dio, in preda a delìri o a persone con lo sguardo vitreo che da dietro le sbarre idolatrano un capo o un’ideologia.
Ma il significato di radicale è tutt’altro, profondo come le radici di un albero avvinghiate ai bassifondi terreni. Radicalizzarci, che significa prima di tutto riuscire a farsi una coscienza più ampia sulle cose, è rimasto il nostro unico spiraglio, in un mondo che ci ha tolto tutto o quasi e di fronte a uno Stato che ormai ha il potere di dire tutto il contrario della realtà, come se nulla fosse.
Ad esempio, proprio mentre è in atto l’estremo apice della barbarie colonialista occidentale, con l’occupazione israeliana della Palestina e il genocidio del popolo palestinese, il ministro Piantedosi ha la faccia tosta di affermare serenamente su tutte le reti televisive che in questo momento è sotto attacco il diritto dello Stato di Israele a esistere e che l’Italia deve difendere questo diritto.
Ancora, in scala più piccola, mentre affama e devasta i territori del sud Italia, criminalizza i ragazzi di 14 anni dei quartieri che non vanno a scuola e fanno lavori illegali per contribuire al mantenimento delle famiglie. E infine, mentre si macchia delle peggiori stragi nel mare, nelle carceri, nelle guerre a cui prende parte, accusa di stragismo gli anarchici.

Repressione della coscienza, repressione su larga scala

Le ultime svolte repressive puntano sempre di più a prevenire la possibilità che ci si possa rendere coscienti delle cause e dei responsabili del proprio malessere; puntano a spaventare con pene esemplari o dissuasive chi, prendendo coscienza, agisce e lotta contro stato e padroni; puntano, infine, a rappresentare come un fanatico chi persevera nella sua ostilità allo stato delle cose.
Così, i contatti tra la popolazione reclusa (fatta perlopiù di proletari e migranti) e l’esterno viene impedita laddove portatrice di sostegno agli atti di ribellione, di pensiero critico e radicale, di informazioni. Infatti, se già prima ogni intervento al megafono, volantino o opuscolo era punito con istigazione a delinquere, ora con il nuovo pacchetto sicurezza vorrebbero introdurre uno specifico reato di rivolta per chi si ribella dentro le mura e il corrispettivo reato di istigazione alla rivolta per chi dall’esterno rivolge scritti ai detenuti. Così, fuori nella società, mentre nelle scuole e università si diffondono e finanziano progetti di “prevenzione alla radicalizzazione” tra gli studenti, tenuti da forze dell’ordine e magistrati manettari, così con il decreto Caivano per i giovani ragazzi dei quartieri e delle periferie, rappresentati come pericolosi nuclei di violenza organizzata in versione adolescente, la soluzione è il carcere o l’isolamento punitivo dentro casa .
Con i decreti in approvazione a fine anno, chi per necessità di un tetto sopra la testa, espulso da orde di turisti statunitensi o nordeuropei che conquistano il centro storico a botte di bnb e ‘rbnb, occupa un appartamento o una casa sarà più duramente punito, salvo che non decida di collaborare al momento dello sgombero, così da spegnere ogni forma di conflittualità e incentivare invece la logica collaborazionista. Per disoccupati e lavoratori che scendono in strada contro lo sfruttamento dei padroni e la mancanza di un salario sono previste pene più alte per i blocchi stradali.
Infine (si fa per dire!) chi continua a difendere le proprie pratiche e pensiero contro lo Stato è per forza terrorista, di cui l’equazione anarchico/radicale=terrorista non rappresenta che l’apice, in un sistema repressivo già molto avanzato per chiunque agisca secondo coscienza.

I soliti anarchici. A chi dovrebbero interessare le vicende di questi terroristi?

Se ci siamo accomodati sull’idea che tanto la repressione antimafia riguarda i “mafiosi” e quella antiterrorismo riguarda anarchici e jihadisti, siamo perduti per due ragioni.
La prima, è che vorrebbe dire che ci stiamo fidando dello stato e dei significati e delle etichette che dà a persone, pensieri e azioni, che la totale delega di noi stessi è compiuta.
La seconda è che se la repressione delle minoranze conflittuali non diventa interesse di tutti, lo Stato avrà sempre più gioco facile nell’estendere repressione a pratiche e realtà anche meno conflittuali, così come a ogni aspetto della vita di ciascuno, dal guadagnarsi il pane illegalmente al difendersi da uno sfratto e così via. E a chi pensa che il calcolo preventivo di come evitare la repressione possa servire a escluderla, forse la risposta è che questo sia utile soltanto all’arretramento delle lotte.
Guardandola più da vicino.
L’equazione anarchici/terroristi ha origini risalenti nel tempo, ma soltanto negli ultimi 3 anni post-pandemici si è arrivati per la prima volta nella storia a condannare degli anarchici per “strage politica” e associazione con finalità di terrorismo, a mettere il primo anarchico al 41bis, ad accusare per la prima volta un compagno di autoaddestramento, reato che fu introdotto dalla normativa contro il cosiddetto terrorismo islamico. Le inchieste antianarchiche si susseguono per ogni azione o parola espressa in solidarietà a prigionierx di tutto il mondo, il giudizio di essere socialmente pericolosx verso la popolazione tutta (nonostante a essere colpite siano personalità e strutture dello Stato con ben precise responsabilità) e la repressione a titolo preventivo, cioè prima che si sia materializzata una qualche azione offensiva, è oramai la normalità. Sulla base del “curriculum” militante, si incasella l’anarchico secondo un profilo più simile al boss mafioso o al kamikaze. Arriverà un punto, dove dire “anarchico” sarà sufficiente nella società ad affermare “pericoloso”, cosa che con la censura in atto alla stampa anarchica già si sta verificando.

Solidali con Zac sotto processo, contro le galere

A marzo di quest’anno arrestano il compagno anarchico Zac, mentre Alfredo era ancora in sciopero della fame contro ergastolo e 41bis. Lo accusano, con i reati di attentato con la finalità di terrorismo e autoaddestramento, di aver lanciato un ordigno fuori al consolato greco nel 2021, che il teorema accusatorio ricollegherebbe alla campagna di solidarietà con Dimitris Koufoundinas, prigioniero all’epoca in sciopero della fame nelle carceri greche. Visto che lo Stato ce ne dà l’occasione con questo processo, ricordiamo che lo sciopero della fame che Koufoundinas stava portando avanti nelle carceri greche era la sua lotta contro una riforma penitenziaria epocale in Grecia, che avrebbe istituito la massima sicurezza per i detenuti politici. E ricordiamo anche che questo avveniva mentre contemporaneamente lo stato greco istituiva la polizia dentro le università per reprimere dai suoi primi afflati, ogni cenno di ribellione, in una situazione di ampio fermento contro le riforme carcerarie ed educative, e nel contesto della repressione sociale e politica scaturita dal lockdown e le altre misure anti-pandemiche. L’anno successivo, la svolta epocale arriva in Italia, quando Alfredo è portato in 41bis, dove ancora oggi, più di un anno e mezzo dopo e pur dopo uno sciopero della fame con cui ha messo a repentaglio la sua vita, si trova rinchiuso. A Zac, viene contestato per la prima volta nella storia della repressione antianarchica il reato di autoaddestramento, all’art. 270-quinquies c.p. che si inserisce nel quadro normativo del decreto Pisanu nel 2005, poi modificato nel 2015, nella cornice della legislazione antiterrorismo cosiddetto islamico, introdotta all’indomani dell’11 settembre e dei successivi attentati di matrice islamica di Londra e Madrid. Questo reato doveva essere utile a colpire quelli che sono stati definiti semplicisticamente e opportunisticamente “lupi solitari”, chi si radicalizza da solo, ad avere insomma nuovi strumenti per colpire ogni “terrorista” senza ricorrere all’impianto associativo. Fino a questo momento, questa accusa è stata utilizzata solo nei confronti dei cosiddetti terroristi islamici, persone finite in cella per il solo fatto di aver scritto un post su facebook. Nei decreti sicurezza di prossima introduzione, si prevede l’inserimento del reato di “detenzione di materiale con finalità di terrorismo”: in parole povere, uno stesso materiale letto da una persona qualunque e letto da un anarchico, diventa reato nel secondo caso. Riuscirà willy il coyote (proprio il cartone animato) guardato da un anarchico, a sfuggire alla finalità di terrorismo?
Queste considerazioni non fanno che rafforzare quello già visto fino a qui con tutte le ultime operazioni, cioè che la principale ragione per processare e rinchiudere questo compagno è il fatto che sia anarchico; è la solidarietà ai detenuti che protestavano nelle galere nel 2020, mentre lo stato li massacrava compiendo una strage di 14 persone, e ad Alfredo, mentre portava avanti uno sciopero della fame durato oltre 6 mesi contro il 41bis. Se lo accusano di solidarietà con i prigionieri in lotta e contro i potenti del mondo, non possiamo che trovarci ancor di più al suo fianco.