CPR GRADISCA: I FUOCHI DENTRO E I FUOCHI FUORI

Riceviamo e diffondiamo

Continua la violenza per mano dello Stato nel CPR di Gradisca, tra caldo insopportabile e i diversi livelli di tortura a cui sono sottoposti i catturati dalla macchina delle espulsioni.

Manganelli sì, ambulanze no

Nella notte tra il 12 e il 13 giugno nell’area blu si è verificato l’ennesimo pestaggio. A seguito di un litigio all’interno di una cella è intervenuta la polizia in tenuta antisommossa picchiando i reclusi. Un prigioniero in particolare ha riportato diversi ematomi e graffi ben visibili su tutto il corpo e ha raccontato di esser stato picchiato anche in testa, da dietro. Come ormai avviene quasi sempre nel lager di Gradisca, nessun soccorso, nessuna visita, anzi, alle ambulanze non viene permesso di entrare, altrimenti “vedono cosa ci hanno fatto”. Viene chiamato il 118 da dentro, ma la chiamata viene passata ai carabinieri che affermano di non poter fare niente. Viene chiamato il 118 anche da fuori, ma comunque non arriva nessuna ambulanza. Da dentro sentono le sirene avvicinarsi e poi andarsene. Solo la sera tardi, dopo le chiamate esterne, il detenuto viene portato in infermeria, dove viene visitato per finta, senza venire nemmeno toccato, e gli viene dato un antidolorifico. Sta male, ha mal di testa, capogiri e nausea. Eppure lo lasciano lì. La stessa sera un altro recluso sta molto male, è malato da diversi giorni ed è stato imbottito di farmaci per “non farlo parlare”. Anche lui è stato visitato superficialmente qualche giorno prima, gli viene data prima una crema che peggiora la situazione, poi una puntura. Sembrerebbe essere scabbia. Un prigioniero che i giorni scorsi aveva bevuto dello shampoo ed era stato portato in ospedale, è ancora in attesa di essere visitato dallo psichiatra. La visita è stata fissata solo fra due settimane.

Dove non arrivano le botte, arrivano gli psicofarmaci

Le condizioni di “vita” sicuramente non sono d’aiuto: le celle sono sporchissime, gira la scabbia e altre malattie infettive, l’acqua non solo non è potabile, ma è anche calda ed esce direttamente dal muro perchè i rubinetti sono stati rimossi – probabilmente durante le rivolte precedenti – e i prigionieri attuali si stanno arranggiando attacando una bottiglia al muro a mò di rubinetto. L’acqua potabile che ricevono per ogni cella si limita a 6 litri due volte al giorno, chiaramente non abbastanza. Il cibo è quasi immangiabile, quando non ci vengono mischiati psicofarmaci. La pratica del rifiutare il cibo è sempre più diffusa.Le giornate sono calme, perché i reclusi sono stati pacificati “con le gocce”. C’è chi le odia e chi invece le accetta per calmarsi – i meccanismi di sopravvivenza sono molteplici e diversi fra loro, per qualcuno cambiano a seconda di come si sente quel giorno.

Le gabbie del campo sono roventi e le alte dosi di valium somministrate si uniscono al caldo asfissiante di questi giorni nel contribuire a soffocare ed abbattere sul nascere slanci di ribellione e resistenza. Molti dormono e basta, altri non riescono nemmeno a muoversi.Essendo il dolore, il malessere, i problemi di salute, di igiene, burocrazia et similia normale amministrazione, questi non bastano ad attirare l’attenzione di chi lavora nel CPR – l’unico modo sono gli atti di ribellione che non possono essere ignorat: autolesionismo, proteste del cibo, fuochi o rivolte continue che siano.

Infatti, alle 19 circa del 16 giugno viene acceso un bel fuoco, sempre nell’area blu, sembrerebbe per una richiesta di confronto con l’ufficio immigrazione. Poco dopo arriva un lavoratore con l’idrante a spegnere le fiamme, ma i danni sono ormai fatti. La notte successiva, tra il 17 e 18, un altro prigioniero bisognoso di cura psichiatrica si agita per vari motivi, tra cui il fatto che da tempo gli viene impedito di sapere il nome del proprio psichiatra. Viene portato in ospedale e dopo mezz’ora di nulla si taglia per poter finalmente essere visitato. Ad un certo punto si ritrova piegato e circondato:

—”Cosa state facendo?”— chiede.

—”Altri esami.”

—”Io non sono qui per fare altri esami.”

E dopo il dissenso arrivano le botte. Calci e pugni su un corpo già maltrattato, raggomitolato a terra. Poi arriva la puntura di sedativo, che lo farà dormire fino al pomeriggio del giorno dopo, l’istituzione medica sempre pronta al servizio della repressione.Racconta poi che gli sbirri gli hanno rubato le poche pastiglie della terapia che era riuscito a procurarsi da solo. Oltre a non sapere il nome di chi lo cura, non ha accesso ai propri certificati medici e prescrizioni e i guardiani della coop Ekene che gli danno le medicine nel CPR non seguono le indicazioni date dalla psichiatra del CSM. La sera il recluso si taglia di nuovo, questa volta per far arrivare l’infermiera e farsi dare la terapia di cui ha bisogno. Nel frattempo il recluso picchiato nella notte 12-13 viene ricoverato in ospedale e dopo qualche giorno riportato in CPR. Per una volta la visita dal medico sembra essere andata a buon fine, con la prescrizione di una terapia adeguata.

L’uso sproporzionato e pacificatore degli psicofarmaci è pratica quotidiana, indispensabile per poter anestetizzare e depotenziare chi rifiuta di piegarsi alla privazione della propria libertà, per annichilire in partenza ogni tensione alla ribellione e alla distruzione delle proprie gabbie. L’autolesionismo, recentemente strumentalizzato dai giornali per giustificare i pestaggi, è anch’esso uno strumento usato per ottenere ciò di cui si ha bisogno, come i fuochi.

Varie deportazioni e una fuga felice

Il 19 giugno un prigioniero marocchino sembra venire trasferito in un altro CPR senza preavviso, i compagni di cella non sanno dove: si scopre, alla fine, che si trattava di una deportazione, tramite volo di linea. Lo stesso giorno viene trasferito un altro detenuto. Il 20 giugno attorno all’ora di pranzo viene acceso un altro fuoco nell’area blu. Sembrerebbe in risposta alla minaccia di botte da parte di un lavorante.

Non si ferma, inoltre, la macchina delle espulsioni. Negli ultimi giorni è sicuramente partito un volo charter per la Nigeria: almeno cinque i prigionieri prelevati da Gradisca. Per l’Egitto la solita deportazione dell’ultima venerdì del mese è stata anticipata al mercoledì: da Gradisca, come in altri CPR, in piena notte sono stati presi alcuni reclusi egiziani e trasferiti a Roma Fiumicino, da cui è partito il charter per il Cairo, con scalo a Palermo. Ma, nella giostra di trasferimenti interni – quasi mai motivati ai prigionieri, ma rispondenti alle necessità di controllo, funzionamento e logistica dei campi (ad esempio, alcune celle dell’area blu sono al momento vuote per probabili lavori di ristrutturazione) – almeno un recluso è stato trasferito nella colonia CPR di Gjader. Di altri, sappiamo semplicemente che vengono prelevati, sequestrati nel sequestro, senza sapere la destinazione – altri CPR, un volo di linea – numeri di una macchina anonima che fa sparire persone dopo aver mediaticamente costruito e legittimato l’archetipo dell’altro/diverso, per definizione pericoloso, sulle esistenze delle persone migranti, degli “stranieri”.

Ma la macchina, come sappiamo, è tutt’altro che perfetta. Un ex-prigioniero marocchino proveniente dal CPR di Gradisca è riuscito a darsi alla fuga quando era in procinto di essere caricato su un volo di linea, all’aeroporto di Bologna. La notizia è uscita anche sui media di regime nazionali : una corsa, due guardie che arrancano e un fuocherello alle sterpaglie in questa afosa estate sono bastate a riguadagnargli la libertà.

Che la sua corsa possa continuare leggera! E quella di tutti e tutte verso la libertà!

Fuoco ai Cpr e a tutti complici del loro funzionamento

NOTTE DI ORDINARIA VIOLENZA: AGGIORNAMENTI SUL CPR DI PALAZZO SAN GERVASIO

Riceviamo e diffondiamo:

A Palazzo San Gervasio nella notte tra venerdì 20 e sabato 21 l’elisoccorso ha raggiunto la struttura detentiva per portare in pronto soccorso reclusx che dopo aver subito pestaggi e ingerito detersivo erano in condizioni critiche di salute e venivano lasciatx agonizzare al centro della gabbia arancione dove si fa l’aria.
Dalla sera precedente quando un altro detenuto, dopo essere tornato dal pronto soccorso, è stato nuovamente male, le ambulanze non sono state chiamate e le persone tenute sotto sorveglianza in infermeria per evitare che le condizioni di salute potessero essere pubbliche. Alle chiamate delle persone recluse e di solidalx fuori, il 118 ha risposto dicendo che non si sa di cosa parla, che c’è del personale sanitario e che non si ha titolo per chiedere l’intervento.
La tensione provocata dall’ordinaria gestione delle crisi da parte di Officine Sociali, e la ricerca di invisibilizzazione di tutte le condizioni critiche è sfociata nelle proteste durate tutta la giornata del 20 giugno, a cui hanno provato a rispondere prima con gli psicofarmaci e poi con il peso dei manganelli, le botte, udite anche a telefono sono state generali, l’ingresso delle guardie in tutti i moduli ha fatto si che la tensione aumentasse.
Solo verso le due della notte del 21 le persone agonizzanti sono state portate in ospedale.
La responsabilità del personale sanitario degli ospedali regionali, che ignora la natura del lager con cui interagisce costruisce ancora una volta il sistema su cui Stato e Cooperative infliggono violenza sulle persone.
Una violenza che sfocia anche nel controllo e nelle minacce delle azioni di solidarietà portate da fuori, come pacchi trattenuti per ore solo per provocare e ricattare le persone detenute.
A palazzo ogni souvenir sparisce subito. Dentro si lotta. Ci dicono che stanno impicciati.

Officine Sociali, Guardie e Stato aguzzino
Occhi aperti nelle vostre notti di ordinaria violenza

Solidarietà con le persone recluse
Fuoco ai CPR


Puntata di Mezz’ora d’aria a cura dell’assemblea contro galere e cpr con all’interno aggiornamenti su Palazzo San Gervasio.
Qui l’archivio con le puntate precedenti.

Segnaliamo inoltre a Bologna:

Sabato 5 luglio al Lazzaretto autogestito, via Pietro Fiorini 12:
“A Palazzo San Gervasio c’è un lager di Stato”

CPR MACOMER: TORTURARE CHI PROTESTA

Diffondiamo:

Giungono aggiornamenti da Macomer

Mentre nel blocco C prosegue la protesta, uno dei due prigionieri in sciopero della fame è stato riportato, ieri notte, nel blocco, profondamente sedato, dopo essere stato minacciato di un’ulteriore periodo di isolamento se non avesse posto fine allo sciopero della fame. Il prigioniero ha comunque deciso di proseguire lo sciopero fino alla liberazione che dipende soprattutto dalla consegna di alcuni moduli da parte della direttrice Elisabeth Rijo, che ci dicono sia sempre assente.

Il prigioniero rimasto in isolamento nella cella situata nel sottosuolo, prosegue lo sciopero della fame e riferiscono che ieri notte è stato ferito da una quindicina di antisommossa che sono entrati nella cella con un’infermiera, lo hanno afferrato di malomodo procurandogli lesioni agli arti e al collo, per trascinarlo nei locali dell’infermeria, issandolo sul lettino e infine lanciandolo a terra e poi saltandogli sopra per immobilizzarlo affinchè l’infermiera gli praticasse due iniezioni di un sedativo potente che lo ha reso incapace di muoversi sino alla mattina. Un dispositivo di tortura medico-poliziesco a tutti gli effetti.

Ancora una volta in questi “non luoghi” razzializzati il sistema esercita tutta la sua violenza nascosta a qualunque sguardo. Allo stesso tempo, per mostrare la maschera democratica, permette gli spettacoli “a sorpresa” di politici, garanti e loro accoliti a cui viene permesso, attraverso il privilegio razziale, di entrare per riportare all’esterno soltanto ciò che l’amministrazione permette che si veda.

Intanto all’interno si continua a torturare..

CHIUDERE CPR E GALERE

TUTTX LIBERX

“VORREI ESSERE LIBERO COME UN UCCELLINO” – SALUTO AL CPR DI CALTANISSETTA

Diffondiamo:

Martedì 17 giugno, in seguito alle notizie di reclusx in sciopero della fame, ci siamo recatx sotto le grate del CPR di Caltanissetta.

Questo non luogo disumano, nel pieno centro assolato della Sicilia, trae la sua forza dall’invisibilità. Difatti la struttura, trasformata nel tempo in “Centro governativo polifunzionale per migranti”, è il luogo perfetto dove nascondere un lager.

Con l’arrivo delle temperature sempre più alte, lx reclusx lamentano condizioni sempre più stringenti, che insieme all’ingiustizia sistemica dello stato e dei suoi guardiani rende ancora più crudele lo stato detentivo.

Non usciremo mai da qua“, ci grida una persona da dietro le sbarre.

A testimonianza dell’effetto devastante delle angherie del Giudice di Pace che rinnova di tre mesi in tre mesi la detenzione: questo il motivo dello sciopero della fame di una parte del CPR di Caltanissetta.

Al nostro arrivo lx reclusx hanno gridato da dentro delle loro condizioni, ci hanno detto che un ragazzo si era sentito male.

Voglio essere libero

Vorrei essere un uccellino per volare via da qui dentro

Sono alcune delle frasi che ci hanno colpito e che ci rendono piccolx ed inermi di fronte ad una violenza che in questo paese non ha eguali. Ribadire qui, che lo stato tumula, annienta, deporta e nel migliore dei casi uccide le persone migranti ci sembra scontato.

Ma vogliamo preservare la speranza di chi urla nella notte che vorrebbe essere un uccellino per volare via, preservare questi momenti per riservare allo stato ed ai suoi guardiani la stessa violenza alla quale costringe le persone recluse.

FREEDOM, HURRIYA, LIBERTA’

MESSINA: COSA SONO I CPR? – DISCUSSIONE COLLETTIVA SU LIBERTÀ DI MOVIMENTO E RECLUSIONE

Diffondiamo

Cosa Sono i CPR? Centri Permanenza Rimpatrio, frontiere, territori, corpi.

Parliamone in vista del presidio al CPR di Trapani-Milo  del 28 giugno

Sabato 28 giugno sarà una giornata densa, in Sicilia: a Messina ci sarà un corteo in solidarietà alla causa palestinese (di cui seguiranno presto maggiori informazioni), mentre a Trapani ci sarà un presidio sotto le mura del Centro di Permanenza e Rimpatrio.

Una rete solidale che da tempo si muove in aiuto e solidarietà alle persone migranti, tornerà ad esprimere la propria vicinanza, nel tentativo di rompere l’isolamento che subiscono per il solo motivo di aver avuto il desiderio di muoversi da dove sono nate senza avere il pezzo di carta giusto.

Il sistema politico-economico che vuole decidere del mondo è sempre più stringente sui corpi delle persone. Si intesifica la violenza contro chi vive in Palestina e chi gli è solidale; negli USA si intensificano le deportazioni dei migranti; in Italia la stretta repressiva è stata coronata dal dl sicurezza, che criminalizza anche la resistenza passiva, fuori e dentro carceri e cpr; ed, in ultimo, l’approvazione in Senato del decreto sicurezza a firma Piantedosi-Nordio, un decreto liberticida che amplia la possibilità di carcerazione, creando altresì un collegamento diretto tra detenzione penale e quella nei cpr. Si saldano sempre più tra loro il compartimento carcerario, quello delle deportazioni di persone migranti e le industrie. Inoltre, un’Europa complice che rivede il sistema comune d’asilo, legittimando di fatto la possibilità di detenere persone migranti in appositi centri costruiti extraterritorialmente. Ma d’altronde trattasi di un’attitudine ben consolidata; dai campi inglesi in Ruanda, passando per i memorandum e vari rapporti d’intesa in materia di migrazione tra paesi europei (particolarmente quelli cosi detti di frontiera) e paesi attraversati e/o origine di flussi migratori. Insomma il messaggio è chiaro, in tempo di guerra non si gradiscono stranieri all’interno dei confini, motivo per cui, a livello globale, vi è una vera e propria caccia alle streghe nei confronti delle migranti e dei migranti, che vedono i propri corpi marginalizzati, criminalizzati, detenuti e, nel caso in cui si resti in vita tra le braccia dello Stato, deportati. La chiamano detenzione amministrativa, quella determinata dall’assenza di documenti, quella che permette che una persona venga detenuta in dei veri e propri lager, nel caso dell’italia i Centri di Permanenza per il Rimpatrio, dei veri e propri non luoghi dove la persona è ridotta a nulla, una vita condita di psicofarmaci, abusi ed urla di aiuto inascoltate. Detenzione amministrativa la chiamano, la stessa che lo Stato d’Israele esercita contro quelli che definisce “terroristi”, gente di Palestina, invasa, torturata e poi brutalmente uccisa.

La legge Turco-Napolitano, del 1998, è la norma che ha istituito i Centri di Permanenza Temporanea (CPT), centri destinati al trattenimento della persona migrante soggetto di provvedimento di espulsione o allontanamento con accompagnamento coatto alla frontiera che non è eseguibile immediatamente. Così con Decreto Legislativo 25 Luglio 1998, n.286 (“testo unico sull’immigrazione”) viene concepita la possibilità di detenzione amministrativa non relativa alla commissione di fatti di rilevanza penale. Appena dopo quattro anni, nel 2002, si valutò che le disposizioni previste dal decreto legislativo 1998/286 non offrivano valide soluzioni alla questione dell’immigrazione clandestina ed alla criminalità ad esse collegata, così si giunse alla così detta legge Bossi-Fini, la n.189 del 30 Luglio 2002. Le modifiche sono sostanziali e riguardano i diversi aspetti della gestione e prevenzione dell’immigrazione clandestina. Va segnalato che poco tempo prima dell’emanazione della legge Bossi-Fini entra in funzione il sistema EURODAC, sostanzialmente un sistema per la raccolta di informazioni circa il migrante in sede di frontiera, questo risulta utile al fine di stabilire il paese di primo ingresso che vedremo essere il criterio fondamentale per determinare lo Stato competente dell’analisi della domanda d’asilo. Ancora una volta viene prevista la possibilità di trattenere il cittadino straniero nei CPT per un periodo di sessanta giorni, saldando però il trattenimento amministrativo al mondo penitenziario. Viene infatti introdotta la responsabilità penale per lo straniero che non rispetta l’ordine di allontanamento ricevuto. L’articolo 12 della legge Bossi-Fini, in sostituzione dell’articolo 13 della precedente legge “testo unico”, al comma 13 stabilisce che il cittadino straniero soggetto di decreto di allontanamento o espulsione non possa rientrare nei confini dello Stato senza uno specifico permesso del Ministero dell’Interno, pena la reclusione da sei mesi ad un anno, che aumentano da uno a quattro anni nel caso in cui il decreto di espulsione sia stato emesso da un giudice. Con la Legge Bossi-Fini, i CPT vengono trasformati in CIE (Centri Identificazione ed Espulsione), mettendo quindi l’accento sull’aspetto dell’identificazione e dell’espulsione dei cittadini stranieri irregolarmente presenti nei confini dello Stato italiano. Nel 2017 viene varato il decreto legge n.13, il così detto Decreto Minniti, convertito con modificazioni dalla legge 13 aprile 2017, n.46. Il decreto Minniti-Orlando riguarda specificatamente “l’accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale e le disposizioni su minori stranieri non accompagnati”, ed è nel contesto di tale decreto legislativo, trasformato poi in legge, che vengono trasformati i CIE, già CPT, in CPR (Centri di Permanenza per i Rimpatri). Si prevede l’ampliamento della rete dei centri per i rimpatri e si eleggono come aree preferibili quelle extra-urbane. Si amplia il periodo di trattenimento possibile attraverso convalida della proroga da parte del giudice di pace. L’ultimo aggiornamento dell’apparato giuridico che riguarda, anche, la questione migranti è il “DL Sicurezza” del Governo a guida Meloni. Approvato poi come decreto legge, nella sua gran parte ricalca la ratio di quelli precedenti. Viene allargata a ventaglio la possibilità di carcerazione o, più in generale, di detenzione; e viene implementata la possibilità di espulsione, allontanamento, perdita della cittadinanza o revoca dello status di protezione internazionale per persone straniere soggette a condanna penale. Al Capo III del DdL, precisamente all’articolo 27, sono previste “disposizioni in materia di rafforzamento della sicurezza delle strutture di trattenimento ed accoglienza per i migranti e di semplificazione delle procedure per la loro realizzazione” e si riportano modifiche al Decreto Legislativo 1998 n.286, cui al comma 7 dell’articolo 14 (“esecuzione dell’espulsione”) viene aggiunto il comma 7.1, che prevede la misura della carcerazione e le sue diverse aggravanti nel caso “si partecipi ad una rivolta mediante atti di violenza o minaccia di resistenza all’esecuzione degli ordini impartiti […], costituiscono atti di resistenza anche la condotta di resistenza passiva”. Inoltre il DL aumenta il tempo possibile di trattenimento del cittadino straniero presso un Centro di Permanenza per il Rimpatrio, rendendo possibile il rinnovo sino a due volte del trattenimento, dunque, sino ad un totale di 180 giorni, contemplando la rinnovabilità della misura di trattenimento anche in conseguenza a ritardi burocratici ed a prescindere dalla condotta collaborativa o meno del migrante trattenuto. Oggi, a seguito dell’approvazione del decreto “Albania III”, la trasformazione del centro di Gjader (Albania), precedentemente predisposto per le “procedure accellerate di frontiera”, in CPR, aggiungendolo di fatti alla rete dei centri per il rimpatrio già presenti sul suolo nazionale. Nel testo del DL 2025/37 si evince la “staordinaria necessità e urgenza di adottare misure volte a garantire la funzionalità e l’efficace utilizzo delle strutture di trattenimento” ed a tal fine con il decreto si stabilisce che i centri albanesi potranno essere utilizzati come centri di trattenimento non “eslusivamente” per persone soccorse e recuperate in mare da navi dell’autorità italiana, ma anche per quelle “destinatarie di provvedimenti di trattenimento con validita o prorogati”, ossia si predispone la possibilità di trasferire persone trattenute nei centri su suolo italiano nei centri, a gestione e giurisdizione italiana, invece presenti in territorio albanese.

Nei CPR, in Italia, lo Stato ci rinchiude le persone destinatarie di un decreto di rimpatrio, per il tempo necessario ad organizzare la deportazione. Se non fosse che li dentro la gente ci entra e non ci esce più. Abusi ed abbandono di ogni genere ed intanto le cooperative spilorchiano spicci sulle sofferenze umane. La polizia pesta brutalmente chi, per richiedere assistenza medica, è costretto a bruciare un materasso, altrimenti le sue sole urla strazianti o quella dei compagni non basterebbe a determinare alcun tipo di intervento, il cui più delle volte si traduce in occasioni per intervenire in assetto antisommossa e picchiare ciecamente chiunque trovino a segno. L’elenco delle persone che muoiono dentro quei maledetti non luoghi è infinito. E questi centri si trovano in tutta Europa ed oltre, come in centri italiani in Albania o quelli finanziati dall’allora governo Renzi in Libia, luoghi dai quali le persone piuttosto che finirci rinchiuse preferiscono tuffarsi in mare aperto al buio.

I CPR sono galere che restano in piedi grazie all’uso quotidiano di idranti, manganelli e psicofarmaci, e in cui lo Stato fa di tutto per non fare uscire le voci dellx reclusx.

…e tutto questo è molto più vicino a noi di quanto sembra.

In Sicilia esistono 2 CPR e altri 5 centri per la detenzione delle persone migranti, più che in qualsiasi altra regione della penisola. Come per esempio ricordiamo anche l’hotspot di Bisconte. Peraltro oggetto di una barbara campagna elettorale che ne millantava la chiusura in una retorica intrisa di paternalismo e becero assistenzialismo. Ma la realtà è che l’ex caserma militare ora hotspot per migranti continua a funzionare. Messina città di frontiera, messina città di passaggio. Cosi le rive dello Stretto si vedono attraversate tanto da fuggitive e fuggitivi, alcunx vittime di qualche decreto d’espulsione quanto dai peggiori degli assassini. L’intreccio che avviene sullo Stretto è micidiale. Caronte&Tourist, un esempio fondamentale di come la messinessissima estorca denaro dalle deportazione lo forniscono i laudi versamenti per il trasporto migranti ed FF.OO dall’isola di Lampedusa, noto punto di sbarco della rotta del Mediterraneo Centrale, sino all’isola siciliana, dove poi vengono smistati nei diversi luoghi della così detta “accoglienza” e deportazione. Poi, Medihospes, cooperativa dell’accoglienza e della cura della persona, si occupa di imbottire di psico-farmaci i pasti  (scaduti) dei detenuti nei CPR e di fiancheggiare l’operazione di tortura ed annullamento della persona messa in opera dallo Stato, tra le altre, ha recentemente acquisito la gestione dei centri albanesi, entrati a far parte della rete di CPR italiani, come scritto sopra, a seguito del decreto ‘Albania III’.  Poi veniamo all’azienda trans-nazionale Webuild, società di punta del consorzio Eurolink, affidatario dei lavori per il ponte sullo Stretto. La società in questione è l’esempio lampante di come l’industria del cemento permei nel mondo della detenzione. Infatti, vediamo Webuild siglare accordi con il DAP (Dipartimento Amministrativo Penitenziario) per la formazione ed assunzione di mano d’opera detenuta, circa 25 mila unità sostengono. Con il preciso intendo di impiegare queste braccia nei cantieri infrastrutturali e quelli che riguardano il PNRR. Così mentre l’ex capo del DAP, Giovanni Russo, avviava un processo di pacificazione ed ammorbidimento delle condizione delle persone detenute al 41-bis, con il duplice interesse di rispondere alle critiche mosse al sistema italiano circa il rispetto dei diritti umani e quello di poter (potenzialmente) estenderne l’applicazione a sempre più detenuti e detenute, il colosso della devastazione ambientale si sfregava le mani. Abbiamo già visto nella costruzione degli stadi in Qatar come ‘Webuild’ intende trattare mano d’opera che viene sostanzialmente schiavizzata, migliaia di morti. Così la necessità di occupare persone detenute giustifica l’ingresso a gamba testa dell’industria dell’infrastruttura nel mondo della detenzione e se contemporaneamente teniamo in conto il corridoio diretto esistente tra istituti penali e i CPR ci rendiamo conto di quanto Webuild sia parte integrante di questa guerra totale ai migranti ed alle persone detenute più in generale.

Quella della privatizzazioni delle carceri ebbe inizio con il decreto “salva Italia” del governo Monti, con la supposta costruzione del primo carcere completamente privato a Bolzano (progetto che poi non ha avuto seguito). Quindi lo Stato domanda ancora come capitalizzare le persone che tiene sequestrate alle grandi aziende. E se le carceri diventano via via bacini di assunzione e di profitti possiamo osservarlo come un mercato, dunque chi ne beneficia economicamente avrà bisogno di sempre più clientela, ossia gente da rinchiudere. L’inaugurazione di ciò che si può definire il “carcere cantiere” in Italia. Quindi carceri e CPR divengono luoghi che non devono lasciare possibilità di scrutare all’interno, degli spazi ben marcati dal “fuori”, ma contemporaneamente divengono simbolo del sadico potere dello Stato, che si sciacqua la sua faccia criminale con progetti di lavoro e “reinserimento” che non sono altro che l’ennesima estrazione di valore da corpi altrimenti inerti. Carcere, 41-bis e CPR, diventano dunque oggetto di ostentazione, spettacolarizzazione delle condanne e rivendicazione del loro potenziale punitivo . Si opacizzano le condizioni interne e se ne esaltano le capacità di propaganda per i governi che si susseguono. Ed infine, se da un lato divengono sempre più bacini di estrazione di forza lavoro in maniera centralizzata, certamente questi non luoghi di sequestro statale sono da sempre luoghi dove si sperimentano tecnologie di controllo e di rilevazione biometrica, lo stesso vale per le frontiere. La guerra ai migranti ed alle migranti e la sempre maggiore necessità di controllo negli istituti detentivi sono da sempre gli strumenti necessari ad un continuo guadagno del compartimento scientifico-militare-tecnologico. Così attraverso una percepita crisi migratoria e di sicurezza (in particolare dei centri urbani) si normalizzano pratiche di schedatura bio-metrica e forme di controllo e detenzione varie. Dai riconoscimenti biometrici, ai pattugliamenti delle frontiere, la millantata crisi migratoria crea la possibilità per svariate sperimentazioni e smisurati guadagni. Droni, telecamere, software, piattaforme di gestione integrata, scambio di dati, leggi sempre più marcatamente liberticide, connivenza istituzionale fanno si che ogni persona che arriva in Europa per prima cosa dev’essere detenuta e da questa condizione di detenzione e controllo provare a seguire gli iter burocratici per la legalizzazione e, così, si agevola il processo di deportazione di tutte le persone che non hanno il “diritto” di rimanere sul suolo europeo, processo che viene del tutto normalizzato come questione di serietà delle istituzioni europee. Mentre si potenziano le tecnologie di controllo sul corpo di migranti, prendono campo progetti come ‘Rearm EU’, con la previsione di spese sino a 800 milioni per armamenti e controllo di frontiere (che sono tanto i confini degli Stati, luoghi di conflitto, luoghi di detenzione). Quindi vi è la conformazione di un gigantesco campo di sperimentazione di tecniche di controllo e repressione attraverso la disumanizzazione delle persone detenute e il loro sempre più stretto controllo. Sicurezza, innovazione, controllo e progresso sono gli elementi fondanti di una società che assumono sempre più spiccatamente un carattere punitivo. La sicurezza di tutti si raggiunge solo attraverso l’oppressione di un gruppo specifico di persone, questo è il mantra che ci viene continuamente sbattuto in faccia.

Diversi dunque i quesiti che vogliamo porci. Capire il funzionamento e la logica che presiede questi mattatoi è senza dubbio utile. Ma la presenza di questi presidi militari di trattenimento sui territori che significano? In che modo detenzione, deportazione di persone migranti e guerra si possono alimentare a vicenda? Come stare vicine a chi chiede a gran voce e con il corpo la libertà?

Discutiamone insieme, scambiamoci informazioni, idee, desideri; costruiamo complicità. Anche in vista del prossimo presidio al CPR di Trapani-Milo di sabato 28 giugno.

FREEDOM, HURRYIA, LIBERTÀ 

 


Presidio al CPR DI Trapani-Milo

28 giugno ore 16

DAL CPR DI GRADISCA: CRONACHE DI LOTTE E RESISTENZA ALL’INTERNO DEL LAGER

Diffondiamo

“Ho avuto un’impressione positiva di ente gestore e forze dell’ordine”, dichiarava qualche giorno fa una parlamentare – esponente di quel partito del cosiddetto centrosinistra, il PD, storicamente il principale responsabile politico dell’esistenza dei campi per le deportazioni – dopo una visita ispettiva fatta a quello di Gradisca.

L’ennesima farsa, l’ennesima narrazione ad uso e consumo dell’esistenza dei campi-lager, con qualche problema di troppo – tocca ammetterlo anche da parte agli strenui difensori della detenzione amministrativa – sulla “agibilità”. Nel rovesciamento più totale della realtà quotidiana di chi vive sulla propria pelle la detenzione a Gradisca e negli altri CPR e carceri della penisola, si mostrano le manovre più subdole per renderlo più operativo e efficace (nell’annichilimento, nel controllo dei corpi).

– “Sta nel distruggere la gabbia”

Rivolte e proteste smontano pezzo dopo pezzo l’infrastruttura della reclusione: sistemi di videosorveglianza, reti, suppellettili, lastre di plexiglass. Colpo su colpo, nei CPR, non è solo uno slogan, ma il ritmo della smontaggio delle sue gabbie. Le condizioni di reclusione e devastazione delle menti e dei corpi (“mi han portato qui per i documenti. Sono rotto giuro“, ci dice un recluso) si riflettono sull’infrastruttura (“non funziona nulla, veramente” gli faceva eco un altro): per ragioni stesse di sopravvivenza il centro deve essere smantellato.

E infatti vediamo confermata un’ipotesi che immaginavamo da tempo: l’area rossa, coinvolta nelle potenti rivolte di gennaio, è tutt’ora per la maggior parte inagibile, con due sole celle in funzione.

Il ministero dell’interno, probabilmente rincuorato dalle parole della parlamentare di opposizione – in fondo, se il servizio funziona, basta dare una spolverata agli ambienti – si affretta a dichiarare che sarebbero imminenti i lavori di ristrutturazione del centro: nuove telecamere di videosorveglianza, la creazione di varchi sicuri per l’accesso dei veicoli (in funzione deportativa?), la sostituzione delle attuali recinzioni di contenimento con barriere anti-scavalcamento (troppe evasioni?) e probabilmente la ristrutturazione dell’area rossa. In poche parole: aumentare l’efficienza del meccanismo di imprigionamento e deportazione.

In controluce, sostenute dalle vive parole di chi è recluso nell’inferno di Gradisca, si intuisce tutta la forza delle rivolte e delle evasioni.

Lo ripetiamo spesso, si tratta delle uniche forme di resistenza possibile dall’interno alla macchina della detenzione e della deportazione, dispositivi tuttavia contrastabili e infrangibili nonostante la loro apparenza di inattacabilità. Il 27 maggio dei grossi fuochi hanno investito l’area blu del CPR di Gradisca. In quei giorni erano in corso, come d’altronde avviene a ritmo settimanale dall’aeroporto di Trieste, le famigerate deportazioni per la Tunisia.

Succede lo stesso due giorni dopo. Sono gesti estremi, ma necessari, che spesso mettono a repentaglio anche chi li compie. È un tutto per tutto. In una cella si sentono male due ragazzi, sono a terra. Solo molto tempo dopo arrivano i sanitari, spaventati a morte – nonostante la scorta di celere eccitata alle loro spalle – come dovrebbe sentirsi chiunque collabori con il lager. I fuochi, per un secondo, forse accendono anche qualche briciolo di consapevolezza in chi si muove attorno e dentro queste strutture di morte, come gli operai-secondini salariati dalla cooperativa EKENE.

Ma la “buona impressione di ente gestore e forze di polizia” si rivela da moltissime altre cose. Dalle condizioni strutturali del centro (camerate scarne, tarate al minimo, senza alcun tipo di “servizio”, “sicuramente peggio di quanto questo centro era un CIE“, ci riferisce un recluso che si è fatto entrambe le versione della detenzione amministrativa) alla non-gestione sanitaria, nella totale assenza di interventi medici quando servono. “L’unica cosa che danno bene è la terapia, ci vogliono tutti drogati, rivotril, valium, gocce…“, ci dice un recluso. Pare che – per quanto riguarda la gestione psichiatrica – sia coinvolta direttamente anche ASUGI, l’azienda sanitaria locale, che svolge le visite psichiatriche e poi assegna le terapie. Ma il dosaggio della tortura è accuratamente somministrato: c’è chi viene riempito di terapia, c’è chi – pur avendo bisogno di uno specifico farmaco – viene imbottito di altre terapie che non regge, che gli fanno male. I CPR, come tutte le carceri, sono luoghi patogeni per natura.

Due persone, come già condiviso precedentemente, hanno finito per “fare la corda”. Non è bastato perché qualcuno rispondesse alle loro richieste. In un caso, dei compagni di cella hanno dovuto appiccare degli incendi, è l’unico modo perché qualcuno intervenga. E così, mentre un uomo giace a terra con la bava alla bocca, devastato per delle notizie personali, è arrivato un lavorante… per spegnere l’incendio.

L’impressione positiva avuta dalla parlamentare consiste, probabilmente, nello spegnimento di tutti i tentativi – individuali, collettivi – di ribellarsi contro la natura devastatrice e afflittiva di queste colonie dove la tortura è legalizzata.

– Ancora rivolta: fuochi, manganelli, sangue

La totale negligenza sanitaria, ed – oltre – la natura patogena stessa del CPR, è stata anche alla base dell’ultima rivolta nell’area blu. “Scusa il disturbo. Stanno massacrando delle persone qui. Perché stiamo chiedendo il nostro diritto per la sanità“, ci dicono.

E’ la sera del 5 giugno. Un recluso è a terra svenuto nella sua cella, in preda a dolori fortissimi. Nessuno gli presta aiuto, nonostante le ripetute richieste. Qualcuno sostiene che ha ingerito dello shampoo. Dopo una mezz’ora viene acceso un primo fuoco nella sua cella. A quel punto intervengono gli operatori e la polizia, spengono il fuoco e lo portano via in barella.

I fuochi si moltiplicano in tutta l’area blu, in solidarietà con quanto sta accadendo. Il corridoio delle celle è presidiato da guardia di finanza e polizia in antisommossa. Il recluso, dopo qualche schiaffo e una colluttazione avvenuta in infermeria, viene riportato in cella.

Si scaldano gli animi, i fuochi anche. Ci sono lanci verso la polizia, si verificano scontri. Gli idranti cercano di spegnere i fuochi, ma i getti sono anche destinati verso i reclusi e le stanze interne.

A quel punto inizia un intervento muscolare dell’antisommossa, che entra in alcune celle rincorrendo i detenuti e picchiandoli fortissimo, anche quando sono a terra. Dopo qualche minuto di scontri estremamente duri (“stiamo facendo la guerra contro loro“), l’insorgenza viene repressa. Bilancio: teste rotte e corpi ammaccati, senza però piegare l’insubordinazione e la voglia di lottare nei detenuti.

Due giorni dopo, infatti, erano ancora i fuochi da una cella dell’area blu a segnalare la condizione di reclusione del CPR: a due giorni dalla rivolta, dopo essere stato pesantemente malmenato – con ematomi e ferite dappertutto – un recluso non era ancora stato visitato in ospedale.

– Detenzione, repressione, deportazione (e solidarietà)

C’è una testimonianza che sentiamo spesso: quella di una cattività in gabbia – voluta da un ordine di trattenimento, convalidata da un giudice di pace distratto e dai burocrati dell’azienda sanitaria locale, resa possibile da Ekene e tutte le aziende complici della sua riproduzione – a cui corrisponde un totale abbandono. I cessi, il cibo, le cure, i letti: tutto è inservibile nel CPR di Gradisca. Chiuso in una cella, per lunghissime ore sei abbandonato in una situazione di totale subordinazione e al tempo stesso profonda indifferenza. Se stai male resti lì, fin quando qualcuno si degnerà – dopo qualche fuoco magari – a vedere cosa serve. Questa è la realtà della detenzione amministrativa.

Intervengono, invece, prontamente quando si tratta di reprimere o di deportare. Come accaduto di nuovo l’ultimo venerdì del mese, in direzione dell’Egitto; come accade settimanalmente per la Tunisia. Come si ripete – pescando nel mucchio, senza bisogno di charter, con voli commerciali – in chissà quanti altri casi di cui non veniamo a conoscenza.

In un caso, si è riusciti a ricostruire lo svolgimento di una deportazione anche grazie alla resistenza di chi si è fatto valere nell’ingranaggio della macchina delle espulsioni.

Un mercoledì, un recluso di Gradisca, con l’inganno, è stato avvertito di un imminente trasferimento verso Roma. Fatti i suoi bagagli, è salito tutto sommato tranquillo su una vettura di polizia. Dopo qualche ora si è però accorto che stavano andando in direzione di Bologna. In effetti, lo portano in un’area isolata dell’aeroporto, con il biglietto di rimpatrio già pronto. Quella in corso era una deportazione. “Mi volevano deportare con l’inganno“, ma “non vedevo il senso di condannarmi in quel modo per uno sbaglio” racconta. Lo fanno passare al controllo doganale e lo portano sulla pista, sotto l’aereo della compagnia Royal Air Maroc. Qui capisce di non avere nulla di perdere, dopo una vita passata in Italia con famiglia e una figlia piccola qui. Si rifiuta di salire, mentre attorno ignari passeggeri che si imbarcano iniziano a capire cosa sta accadendo. Anche a causa di questa attenzione, la polizia di scorta decide di non calcare la mano. Lo riportano in CPR, fa una nuova udienza in tribunale, un paio di giorni dopo questo tentativo di deportazione è libero. Un’altra storia di resistenza, in mezzo alle centinaia di altre storia anonime.

Il giorno successivo alla rivolta del 5 giugno, alcunx solidalx hanno portato un piccolo gesto solidarietà ai reclusi all’interno. Se spezzare i fili della solidarietà e della lotta è uno degli obiettivi della repressione, anche qualche fuoco pirotecnico nella notte può superare le mura (materiali e invisibili) della segregazione. I reclusi all’interno hanno risposto al grido di “libertà, libertà“.

La stessa libertà che per qualche minuto devono aver assaporato i 5 reclusi saliti sul tetto del centro nella serata di domenica 8 giugno. Immediatamente braccati dai carabinieri, hanno deciso di stare lassù per diverse ore. “Cosa vuol dire che siamo irregolari? Chi aveva il carcere ha fatto il carcere, ma ora perché siamo qui, in questo posto merda?” si chiedevano.

Che il grido di libertà possa un giorno alzarsi dalle macerie di tutti i CPR. La resistenza ai suoi sistemi di morte e deportazione, nel frattempo, continua: che si estenda a tutte le gabbie, le frontiere e i quartieri militarizzati che mantengono l’ordine coloniale della terra!

Al fianco di chi lotta ogni giorno: Libertà per tutti e tutte! Fuoco a CPR e frontiere!

https://nofrontierefvg.noblogs.org/post/2025/06/09/dal-cpr-di-gradisca-cronache-di-lotta-e-resistenza-dallinterno-del-lager/

CPR DI BARI PALESE: FUOCHI, RIVOLTE, SCIOPERI DELLA FAME E REPRESSIONE

La situazione nel Cpr di Bari è insostenibile, il caldo sta rendendo ancora più insopportabile le giornate già infernali.
Abbiamo già scritto della situazione insostenibile e delle lotte quotidiane nei Cpr Pugliesi: https://japrlekk.noblogs.org/post/2025/06/04/rivolte-scioperi-resistenze-ed-evasioni-nel-cpr-di-bari-e-brindisi/
Ma i racconti che ci arrivano in questi giorni sono critici: solo stamattina alle 11 B. ci ha raccontato che nel modulo 3 (uno dei moduli più represso e rivoltoso) sono stati accessi materassi (non sappiamo in che quantità) sempre nel modulo 3 un amico ci ha detto che in tutto il modulo non è arrivato il pranzo fino alle 15.

Sempre B. ci ha raccontato che nel suo modulo il cibo è arrivato tardi perché “qualcuno dei rivoltosi ” ha bloccato il carrello.  Anche oggi le guardie sono entrate nei moduli (non abbiamo capito se per picchiare o solo spaventare). Ma la lotta e la resistenza non si mostrano solo nel fuoco e nella violenza fisica. A. un caro amico del 2005 che purtroppo sentiamo rinchiuso da molto tempo in quel posto di merda, è in sciopero della fame da 8 giorni, (questo uno dei tanti intrapresi) fuma solo le sigarette (sigarette che quando possiamo mandiamo noi, una delle lamentele più grosse e motivo di rabbia di A. è che il centro non riesce mai a fornirli tabacco), ha entrambe le mani e le gambe ingessate, abbiamo parlato con un suo compagno di cella che dice che è completamente bianco, ed è molto spaventato per lui.

Prima e durante la sua prigionia è stato picchiato e torturato dalle guardie, è rimasto in isolamento per più tempo e subito vari abusi. A. minaccia di uccidersi da un po’ ormai, settimana scorsa in Tunisia gli è  morta la mamma.  Sa di essere rinchiuso lì per nessun motivo, come tuttx d’altronde. La violenza fisica e psicologica subita da A. è insostenibile, sentire la sua voce al telefono che peggiora ogni giorno fa rendersi conto della situazione. Stanno abbandonando a se stesso un ragazzino. I pochi sorrisi e cose felici che ci scambiamo per telefono, la contentezza di sentire dei fuochi d’artificio e sapere che sono per te,che qualcunx affronta la polizia lì fuori come chi è recluso affronta ogni giorno quelle merde, lottare insieme .
Sapere di qualcunx che ti porta un pacco e che è pronto ad ascoltarti come un amicx sono gesti importanti.

Importanti come un post su Facebook?
Questo non lo so, forse qualcosa è sempre meglio di niente(?). La pagina Mai più Lager ha pubblicato una foto di A. raccontando la sua storia, A. era consapevole e contento di questo, sa che è un modo di resistere , un modo di lottare. Da anarchicx priviliegiatx non lo condividiamo, ma da amici di A. e persone che vogliono il meglio per lui, siamo felici di questo.

Non ci sentiamo di screditare nessun tipo di lotta.
A. ci ha chiesto se avessi visto la foto, ed era molto contento, poi mi ha detto che se volevamo pubblicare anche noi sarebbe stato felice. Rispettiamo queste pratiche e le scelte delx opressx di lottare, ma ribadiamo che mostrare la presenza, la complicità e la solidarietà in modo concreto allx reclusx avrà sempre più forza.

A. NON SARÀ IL PROSSIMO ABEL!!
RESTIAMO VICINX ALX RELCUSX DI BARI, PARTECIPAMO AI SALUTI, ATTIVIAMOCI🐈‍⬛️!

LA FORZA PER RIBELLARSI ARRIVERÀ SOLO DA DENTRO, STA A NOI RACCOGLIERE LA LORO RICHIESTA!!
CHI È IN RIVOLTA CHIEDE IL NOSTRO SUPPORTO!
METTI IN GIOCO I TUOI DIRITTI!!!
FUOCO AI CPR
I CPR SI CHIUDONO COL FUOCO, SI CHIUDONO UNA VOLTA SI CHIUDONO DI NUOVO!

“:L’unico modo è fare come Torino…:”
“In che senso?”:
:”Col fuoco!:”
Discussione avuto con un amico recluso nel Cpr di Bari.
ARRIVERÀ IL CALDO!!
Stamattina un recluso ci ha chiamatx per dirci che stava accendendo un materasso per protesta e che se il giorno dopo il cibo non sarebbe cambiato avrebbe continuato fino a distruggere tutto. A qualsiasi ora nelle chiamate il caos e la rabbia è costante, tanto da rendere difficile la comunicazione.
CHE IL VENTO ALIMENTI IL VOSTRO FUOCO FRATELLI!🔥

AGGIORNAMENTI

Oggi più moduli ci hanno confermato delle rivolte e dei fuochi accesi. F. ci ha raccontato che dopo aver protestato nel proprio modulo è stato trasferito nel modulo 7 e lì è stato picchiato da una quindicina di persone, a detta di F. con la complicità, anzi un vero e proprio pestaggio commissionato da parte del capo dei carabinieri. È la prima volta che ci raccontano di questo ma F. è convinto che sia un modo per punire chi si ribella.  Su questo non sappiamo la verità, ma una cosa che accade spesso è che le persone con cui siamo in contatto, spesso le più ribelli, vengono spesso spostate di moduli con dinamiche non sempre chiare e questo crea delle rotture nei rapporti non indifferente, un ennesima tortura per chi si ribella! Appena possibile abbiamo deciso di portare un saluto a gli amici che ci stavano aspettando e sapevano del nostro arrivo!

Per la vostra vendetta! Per la vostra libertà!

PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO [28 GIUGNO]

Diffondiamo da Sicilia NoBorder:

Il CPR di Trapani è un luogo di detenzione amministrativa, dove lo Stato rinchiude in gabbia le persone che non hanno il giusto pezzo di carta, per poi tentare di deportarle.

Come tutti i CPR è un luogo dove il regime dello Stato e delle frontiere si perpetua tramite la violenza e la tortura. I CPR sono galere che restano in piedi grazie all’uso quotidiano di idranti, manganelli e psicofarmaci, e in cui lo stato fa di tutto per non fare uscire le voci dellx reclusx.

Perché provare a rompere l’isolamento sotto le mura del CPR di Trapani-Milo?

Le notizie che arrivano all’esterno sono di un luogo che tenta in ogni modo di sotterrare le voci che urlano rabbia e chiedono libertà.

Nel CPR di Milo i telefoni personali sono stati sequestrati anche quando ne erano state spaccate le fotocamere e spesso viene impedito anche di usare le cabine del centro. Lenzuola e biancheria sono fatte in modo che non possano esser usate per bruciare, e se lo fanno è per poco, o per impiccarsi – è anche così che lo stato prova ad affossare ogni forma di insubordinazione o determinazione.

Questo luogo è stato teatro di numerose rivolte. Nel marzo 2023 una ribellione aveva costretto, in seguito ad un rogo, alla riduzione dei posti a 40.

A Gennaio del 2024 invece lx reclusx hanno distrutto la struttura, rendendola inagibile per circa il 90% e determinandone la chiusura.

I CPR si chiudono col fuoco dellx reclusx, con la rabbia di chi da dentro urla vendetta e diventa scheggia che si scaglia contro il potere.

In seguito alla distruzione di maggior parte della struttura, e dopo gli ennesimi lavori di ristrutturazione e ammodernamento, il CPR di Milo è tornato ad essere agibile ad Ottobre del 2024, aumentando la capienza fino a 204 posti. Le persone recluse, che in un primo momento erano una 40ina, sono presto diventate più di cento. La vicinanza con l’aereoporto di Palermo, snodo a livello nazionale per le deportazioni in Tunisia ed in Egitto, ha così permesso di far riaccendere anche a Trapani i motori della macchina che uccide, tumula e deporta le persone migranti.

Sabato 28 Giugno ci ritroveremo sotto le mura di questa prigione, in solidarietà allx reclusx e contro lo Stato che rinchiude e tortura. Nella speranza che il CPR di Milo torni inagibile e mai più in funzione, nella speranza che sbarre massicce e muri altissimi per un giorno vengano abbattute dallx reclusx e dallx solidali.

Che questa solidarietà polverizzi anche per poco la distanza che vogliono frapporci, saremo lì, perché compagnx di chi si ribella.

Dove lo stato segna confini noi sogniamo orizzonti, complici e solidali con lx reclusx in lotta

Fuoco alle galere

Freedom, Hurryia, Libertà

TORINO: AGGIORNAMENTI DA UN CPR IN COSTANTE RICOSTRUZIONE

Diffondiamo

A Torino, in seguito all’ultima rivolta al cpr di corso Brunelleschi di venerdì 16 maggio, i tre quarti del cpr sono inagibili. L’area bianca, da cui la rivolta è partita, è bruciata interamente. Le persone che vi erano recluse hanno dovuto dormire fuori per due giorni, e sono successivamente state quasi tutte trasferite. La maggior parte, come spesso accade, è stata deportata nei cpr punitivi del sud Italia: Palazzo San Gervasio, Bari e Brindisi. Spostati come pacchi, anche chi aveva affetti e famiglia vicini, rendendogli oltretutto estremamente più difficile tenere il filo della propria difesa, e obbligandoli a cambiare avvocato da un giorno all’altro e a dover ricostruire tutto daccapo, in un nuovo lager. C’è anche chi dopo varie peripezie e un tentativo fallito di deportazione in Tunisia si trova ora al cpr di Caltanissetta. Il giovane che quella sera aveva tentato di arrampicarsi sulla rete di recinzione ed era caduto, facendosi molto male, è stato portato in ospedale solo dopo ore e ore di insistenze congiunte da parte dei reclusi e dei solidali presenti fuori dalle mura, per poi essere nuovamente recluso. Il suo tentativo di evasione e il conseguente pestaggio da parte delle guardie erano stati le scintille che avevano portato l’insofferenza dei reclusi a manifestarsi nella rivolta.

Ad oggi, nell’area blu, l’unica superstite, sono recluse 30 persone. I lavori vanno avanti nelle adiacenti aree rossa e verde e, da oggi, anche nella bianca, che potrebbero presto essere pronte. Distrutta un’area se ne appronta un’altra, un’affannosa ricostruzione ad ogni costo. Di fronte all’ormai innegabile evidenza del fallimento della gestione del centro, Sanitalia cerca di placare gli animi con vaghe promesse di miglioramenti nelle condizioni di detenzione, come quella di non trattenere più di 30 persone per area, e di portare un dentista a visitare i reclusi nelle loro celle. Ci sono però almeno quattro persone con infezioni gravi in bocca, che avrebbero bisogno di cure urgenti, e non di un dentista a domicilio. Quattro altre persone sono costrette a dormire nella mensa perché con gravi fragilità psichiche, e sono totalmente abbandonate a loro stesse, senza alcun supporto medico. C’è chi non riesce nemmeno a parlare o a fare una doccia; chi chiaramente, anche secondo i parametri di un cpr, dovrebbe essere considerato non idoneo al trattenimento.

Nelle ultime settimane non sono poi mancate le passerelle di parlamentari del PD e di figure istituzionali varie, venute a costatare che i lager funzionino ancora come dovrebbero; come se facessero un giro allo zoo, tra commiserazione e compiacimento. Proprio stamattina dei consiglieri comunali del PD in visita, preannunciati da pulizie frettolose e sguardi minacciosi atti a redarguire da eventuali lamentele, si sono permessi di chiedere ai reclusi perché non volessero tornare nel loro paese. Non si sono meritati risposta, ma si meritano invece di essere menzionati come fautori di questo infame sistema razzista che permette che le persone vengano criminalizzate, imprigionate e deportate per la mancanza di un documento in tasca, e come complici di tutte le torture che in questi lager avvengono.

E’ solo grazie al coraggio dei detenuti che emerge la verità di ciò che accade dietro alle mura di corso Brunelleschi.
Solo grazie alla solidarietà, se queste voci non vengono soffocate.