DICHIARAZIONE DI ALFREDO COSPITO ALL’UDIENZA DI RIESAME PER LE MISURE CAUTELARI DELL’OPERAZIONE SIBILLA

Da: https://lanemesi.noblogs.org/post/2023/03/23/dichiarazione-di-alfredo-cospito-alludienza-di-riesame-per-le-misure-cautelari-delloperazione-sibilla/

“Riceviamo e diamo massima diffusione alla dichiarazione dell’anarchico Alfredo Cospito durante l’udienza di riesame per le misure cautelari dell’operazione Sibilla tenutasi il 14 marzo. Ricordiamo che (come si è appreso un paio di giorni dopo) il tribunale del riesame di Perugia ha annullato, per la seconda volta, l’ordinanza di misure cautelari contro Alfredo e gli altri cinque compagni accusati di istigazione a delinquere con l’aggravante della finalità di terrorismo in relazione alla pubblicazione del giornale anarchico “Vetriolo” e di altri articoli e interventi. L’indagine Sibilla (per cui il pubblico ministero aveva originariamente chiesto otto arresti in carcere per 270 bis c. p. e 414 c. p. con l’aggravante terroristica, successivamente mutati in sei misure cautelari, tra cui un mandato d’arresto in carcere per Alfredo) è uno dei due “pilastri”, assieme al processo Scripta Manent, su cui si basa il provvedimento di detenzione in 41 bis per il compagno.”

Dichiarazione di Alfredo Cospito all’udienza di riesame per le misure cautelari dell’operazione Sibilla

Innanzitutto volevo iniziare con una citazione del mio istigatore:

“Il nostro ordinamento ha introdotto quella figura di isolamento mortuario che è il 41 bis, e che per certi aspetti è più incivile anche di questa mutilazione farmacologica. Questo per dire che il nostro sistema non brilla di civiltà”
Carlo Nordio, 28 marzo 2019

Questo è stato il mio istigatore della lotta che ho iniziato. Non avrei mai pensato di arrivare fino a questo punto, ho sempre trovato ridicolo il melodramma, amo di più la commedia, ma così è andata. In fin dei conti siamo o non siamo il paese del melodramma? E quindi mi tocca finire in bellezza. Però se ci penso qualcosa di ironico c’è: sono l’unico coglione che muore nel progredito Occidente democratico poiché gli viene impedito di leggere e studiare quello che vuole, giornali anarchici, libri anarchici, riviste storiche e scientifiche, senza trascurare gli amati fumetti.

Ammetterete che la cosa è paradossale e anche un po’ buffa, non riesco a vivere in questo modo, proprio non ce la faccio, spero che chi mi ama lo capisca. Non ce la faccio ad arrendermi a questa non-vita, è più forte di me, forse perché sono un testone anarchico abruzzese. Non sono certo un martire, i martiri mi fanno un certo ribrezzo. Sì, sono un terrorista, ho sparato ad un uomo e ho rivendicato con orgoglio quel gesto anche se, lasciatemelo dire, la definizione fa un po’ ridere in bocca a rappresentanti di Stati che hanno sulla coscienza guerre e milioni di morti e che a volte, come uno dei nostri ministri, si arricchisce col commercio di armi. Ma che vogliamo farci, così va il mondo, almeno finché l’anarchia non trionferà e il vero socialismo, quello antiautoritario e antistatalista, vedrà finalmente la luce. Campa cavallo direte voi e anch’io, per adesso gli unici spiragli di luce che vedo sono i gesti di ribellione dei miei fratelli e sorelle rivoluzionari per il mondo e non sono certo poca cosa, perché sono fatti con cuore, passione e coraggio, per quanto sparuti e sconclusionati possano sembrare.

Detto questo, volevo spiegare il senso del mio accanimento contro il regime del 41 bis. Qualche giurista credo l’abbia capito, ma in pochissimi hanno compreso: il 41 bis è una metastasi che rischia e di fatto sta minando il vostro cosiddetto stato di diritto, un cancro che in una democrazia un tantino più totalitaria – e con il governo della Meloni ci siamo quasi – potrà essere usato per reprimere, zittire col terrore qualunque dissidenza politica, qualunque sorta di ipotetico estremismo. Il tribunale che decide la condanna alla mordacchia medievale del 41 bis è del tutto simile a quello speciale fascista, le dinamiche sono le stesse: io potrò uscire da questo girone dantesco solo se rinnegherò il mio credo politico, il mio anarchismo, solo se mi venderò qualche compagno o compagna. Si inizia sempre dagli zingari, dai comunisti, dagli antagonisti, teppisti, sovversivi e poi le sinistre più o meno rivoluzionarie.

Come potevo non oppormi a tutto questo, certo in maniera disperata, e per un anarchico, proprio perché non abbiamo un’organizzazione, la parola data è tutto, per questo andrò avanti fino alla fine. Per concludere, come disse se ricordo bene l’anarchico Henry prima che gli tagliassero la testa: quando lo spettacolo non mi aggrada avrò pure diritto ad abbandonarlo, uscendo e sbattendo rumorosamente la porta. Questo farò nei prossimi giorni, spero con dignità e serenità, per quanto possibile.

Un forte abbraccio a Domenico che al 41 bis di Sassari ha iniziato lo sciopero della fame con la speranza di poter riabbracciare i propri figli e i propri cari, nella mia forte speranza che altri dannati al 41 bis spezzino la rassegnazione e si uniscano alla lotta contro questo regime che fa della costituzione e del cosiddetto – per quanto vale – stato di diritto carta straccia.

Abolizione del regime del 41 bis.
Abolizione dell’ergastolo ostativo.
Solidarietà a tutti i prigionieri anarchici, comunisti e rivoluzionari nel mondo.

Grazie fratelli e sorelle per tutto quello che avete fatto, vi amo e perdonate questa mia illogica caparbietà. Mai piegato, sempre per l’anarchia.

Viva la vita, abbasso la morte.

Alfredo Cospito
[In videoconferenza dal carcere di Opera, 14 marzo 2023]

Nota: Il compagno, citando l’attuale ministro della giustizia Nordio, fa riferimento all’articolo “Castrazione chimica, ritorno al Medioevo”, pubblicato ne “Il Messaggero”, 28 marzo 2019 (attualmente consultabile a questi link: https://www.ilmessaggero.it/editoriali/carlo_nordio/editoriali_carlo_nordio-4390216.html & https://web.archive.org/web/20230323152621/https://www.ilmessaggero.it/editoriali/carlo_nordio/editoriali_carlo_nordio-4390216.html). Inoltre, il riferimento al ministro che si arricchisce con il traffico d’armi riguarda sicuramente l’attuale ministro della difesa Crosetto, presidente di una importante lobby dell’industria bellica al momento della nomina. Infine, Alfredo cita a memoria il compagno Émile Henry (1872–1894), le cui parole esatte sono le seguenti: “Inoltre, ho ben il diritto di uscire dal teatro quando la recita mi diventa odiosa, ed anche di sbattere la porta uscendo, pur col rischio di turbare la tranquillità di quelli che ne sono soddisfatti” (traduzione italiana in Émile Henry, Colpo su colpo, Edizioni Anarchismo, Trieste, 2013, pag. 141; attualmente consultabile anche a questo link: https://www.edizionianarchismo.net/library/emile-henry-colpo-su-colpo).

PDF: Dichiarazione di Alfredo Cospito all’udienza di riesame per le misure cautelari dell’operazione Sibilla

CESENA: SOLIDARIETÀ AI COMPAGNX COLPITI DALLA REPRESSIONE PER I FATTI DEL CORTEO CONTRO IL GREEN PASS

Con colpevole ritardo condividiamo questo manifesto  in solidarietà ai compagnx colpiti dalla repressione per i fatti del corteo contro il green pass a Cesena il 13 novembre 2021, e un testo portato quel giorno.


Un testo portato da alcuni compagnx il giorno del corteo, che integra materiale proveniente da differenti contributi, in particolare condivisi su le Brughiere, scritti nati da collettivi ed individualità che si sono interrogate sui problemi quali greenpass, autotutela della salute, sfruttamento in ambito lavorativo e criticità rispetto ad una Scienza presentata come monolite perfetto o neutro. Per ricordare, a dispetto del processo di rimozione collettiva.

Torniamo in strada – Corteo a Cesena

A riprova di quest’ultima antinomia endemica, Stato e padroni non prendono in considerazione un cambiamento strutturale ma cavalcano in ogni ambito un soluzionismo tecno-scientifico che avrà solo l’effetto di rendere invisibili le contraddizioni strutturali dell’organizzazione capitalista all’interno delle città e nei luoghi dello sfruttamento di massa. La retorica militare della “guerra” al virus, trasversale a tutte le forze politiche ed economiche, rende chi per qualunque motivo non ha le carte in regola, chi non è conforme, chi si ribella ad un ulteriore strumento classista e discriminatorio, un nemico interno.
Ciò che è grave è la legittimazione di un’ulteriore estensione del potere datoriale sul corpo dei lavoratori (di fatto, già consegnato a Stato e padroni) sulle condizioni di salute e le scelte di natura sanitaria, sfere che fino a prima di questa emergenza trovavano dei limiti quanto meno formali.
Si tratta di un’ulteriore stretta autoritaria nel mondo del lavoro e più in generale nella società, un pericoloso precedente, che non riguarda esclusivamente la minoranza relativa di chi non vuole/non può vaccinarsi. Le norme messe in campo appaiono infatti più legate ad un interesse che libera i padroni da ogni responsabilità scaricandole sui singoli, che alla reale volontà di tutelare la salute delle persone che le subiscono. Essere contro la coercizione e l’obbligo vaccinale non ci impedisce di interrogarci sulla necessità di tutelarci dal contagio del virus, soprattutto per quanto riguarda chi è più esposto e vulnerabile nei luoghi di reclusione e dello sfruttamento di massa, dove le relazioni sono imposte e non volute.
E’ evidente che dove non c’è spazio per la soggettivazione e la cura reciproca, per la relazione e il consenso, si fa strada la burocrazia e la coercizione, e che a pagarne il prezzo, oggi come ieri, saranno sempre e comunque tutte quelle vite già discriminate, considerate di scarso valore o ritenute “improduttive”. Lo stesso Stato che ha sempre tutelato solo e soltanto gli interessi dei padroni, tenta oggi d’un sol colpo di pulirsi la coscienza sbandierando un’ipocrita volontà di proteggere i più fragili, quando l’eccezionalità della pandemia nel contesto capitalista ha reso evidente quanto i profitti legati alle merci siano sempre venuti prima delle persone. La diffusione globale del virus ha viaggiato infatti in business class alla stessa velocità dei numeri in borsa, non annegando sui barconi nel mediterraneo. Ma le morti contano solo se hanno effetto sui mercati, le vite valgono soltanto se è possibile metterle a profitto.
Inoltre, una riflessione critica alla scienza e alla cura nel contesto capitalista che sia realmente antiautoritaria non può sedersi sul proprio privilegio e ridursi ad un’amputazione ideologica della realtà, la trama complessa dei contesti di sfruttamento è infatti composta da molteplici oppressioni. Irrompono nel dibattito collettivo le problematicità legate alle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, al capitalismo della sorveglianza, al mercato delle tecnologie legate alla salute, al corpo e alle relazioni in mano a grandi multinazionali, nonché l’ambiguità di una scienza mercificata e subordinata al profitto. Emerge come la tecnologia industriale si sia servita del lavoro di milioni di lavoratrici e lavoratori per creare la ricchezza della “classe dirigente” che aliena, sfrutta e tortura, mentre i corpi oppressi sono ridotti ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi sociali ed economici.
Si tratta di mettere in luce le interrelazioni tra le diverse oppressioni che stanno attraversando la vita di milioni di persone in un contesto di sfruttamento sistemico, globalizzato e interconnesso. Mentre gli ambienti di vita e di lavoro diventano sempre più piccoli, ristretti e atomizzati, aumenta e si amplifica a dismisura la varietà della divisione del lavoro e dello sfruttamento. La drastica riduzione degli spazi fisici di soggettivazione ha spostato l’alienazione dei Tempi moderni di Chaplin, dalle fabbriche all’individuo.
Fa da contraltare a questo isolamento dei corpi sempre più stringente, un sistema di sfruttamento capillarizzato ed in costante crescita. In tutto questo il green pass tutela soltanto gli interessi dei soliti noti: liberi si, ma di tornare a sfruttare, mentre le disuguaglianze che hanno segnato la pandemia sin dall’inizio continueranno ad esistere e i profitti sulla pelle di chi è sfruttato non verranno mai messi in discussione. L’emergenza si è rivelata un’occasione epocale di attacco alle condizioni di vita di milioni di sfruttati ma la deriva dominante è un becero attendismo progressista, composto e democratico.
Nonostante gli ultimi due anni abbiano messo in luce tutta la ferocia che sottende al mantenimento di questo sistema di sfruttamento: le risposte sono state deboli o isolate e, addirittura, l’abdicare dei movimenti a qualsiasi confronto o conflitto circa le possibilità di autodeterminazione critica dal basso rispetto alla gestione sicuritaria ed emergenziale della pandemia ha lasciato campo libero ad iniziative reazionarie.
Liquidare tutto il malcontento diffuso soltanto come interesse borghese o fascista è riduttivo e fa solo il gioco dei padroni: questa narrazione dominante rende ancora più invisibili alcune delle oppressioni, delle diseguaglianze e delle tante contraddizioni che attraversano le strade e quelle piazze. È però vero che, in nostra assenza, le forze neofasciste sono state abili a strumentalizzare il malessere generato dall’emergenza. Dall’inizio della pandemia in troppi hanno rinunciato ad una riflessione critica che tenesse conto delle complessità legate al contesto emergenziale che si è venuto a creare. Questo ha lasciato campo libero a fratture che si sono insidiate nei gruppi, spianando la strada a sterili dicotomie (salute, cura – sorveglianza, sicurezza / si vax – no vax…) che ricalcano la propaganda di Stato e fanno solo il gioco delle destre e dei padroni mentre i tre quarti del mondo subisce le conseguenze del neoliberismo senza nè scelta nè accesso a livelli di benessere minimi.
Quindi se un discorso pro o contro la vaccinazione in astratto è un cortocircuito costruito e fasullo buono solo a coprire le falle di un sistema che inizia a fare acqua da tutte le parti e in modo evidente, è chiaro come il nemico rimanga uno Stato paternalista che ha bisogno di infantilizzare i corpi per tutelare esclusivamente i propri interessi economici.
Non sappiamo bene “che fare”, domanda antica, forse ci sono tante cose da fare, sappiamo bene però, un passo alla volta, dove tutto sta andando. Sappiamo che non vogliamo tornare alla “normalità”. Sappiamo che il vaccino non basta e non basterà, sappiamo che il green pass non tutelerà la salute di nessuno e si tradurrà soltanto in un’ulteriore strumento di controllo, sappiamo che finché si rinuncerà alla rabbia, alla critica e al conflitto, non ci sarà libertà e salute per nessuno.
Intimamente convinti che in un sistema che genera morte, malattia, disuguaglianza e alienazione come il capitalismo, una malattia non sia solo un’etichetta diagnostica ma sia frutto di interazioni e connessioni tra cultura, società, umanità e ambiente, crediamo sia necessario non smettere di interrogarci sulle contraddizioni, sui dubbi, sugli interessi, sulle oppressioni in campo legate al nuovo contesto che stiamo vivendo.

Un abbraccio complice e solidale a tuttx le compagne ed i compagni detenuti, TUTTE E TUTTI LIBERX

COMPLICI E SOLIDALI CON CHI LOTTA

Scarica e diffondi!

Mentre Alfredo é stato trasferito dal carcere di Opera all’ospedale San Paolo dopo che Nordio ha confermato la sua condanna a morte, compagne e compagni a Milano hanno portato la loro rabbia e la loro determinazione in strada. Ci sono stati scontri e si parla di diversi fermi. Ai compagni colpiti va tutto il nostro calore e la nostra solidarietà! Alfredo libero! Liberi tuttx!

DICHIARAZIONE DI ALFREDO COSPITO RECLUSO IN REGIME DI 41-BIS IN SCIOPERO DELLA FAME DAL 20 OTTOBRE 2022

Il sottoscritto Alfredo Cospito comunica al proprio avvocato Flavio Rossi Albertini che in pieno possesso delle mie capacitá mentali mi opporró con tutte le forze all’alimentazione forzata. Saranno costretti a legarmi nel letto. Dico questo perché ultimamente mi è stata adombrata la possibilitá di un T.S.O. (trattamento sanitario obbligatorio). Alla loro spietatezza ed accanimento opporró la mia forza, tenacia e la volontá di un anarchico e rivoluzionario cosciente. Andró avanti fino alla fine. Contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo.
La vita non ha senso in questa tomba per vivi.
Alfredo Cospito


CHIMICA E RIVOLTA AL CASAL DEL MARMO DI ROMA

Riceviamo e diffondiamo:

Chimica e rivolta al Casal del Marmo di Roma

I sentieri per la Francia sono pieni di scarti di buste di gaviscon. Chi esce in qualche modo da un CPR, dal carcere, o scappa da una delle tante comunità o appartamenti delle cooperative, spesso ha bruciori di stomaco lancinanti provocati dalle dosi massicce di antidepressivi che si porta dietro. Alle volte capita che a qualcuno venga un attacco epilettico mentre attraversa la frontiera. Sono gli effetti collaterali di una brusca interruzione del rivotril, ansiolitico antiepilettico anche detto “eroina dei poveri”1, somministrato in dosi massicce in tutti i luoghi di reclusione, e spacciato fuori vicino alle stazioni. Ieri 11 Gennaio 2023 al carcere minorile Casal del Marmo di Roma è scoppiata una rivolta e sono andati a fuoco alcuni materassi perché non arrivavano gli ansiolitici della sera2. Non ce la facevano più e sono scoppiati, dei ragazzini di 15 anni. Come si dice quando una persona spacca tutto perché non trova una sostanza? Dipendenza, tossicità. Ma tossico è soprattutto lo Stato che sceglie di creare decine di migliaia di ragazzi e ragazze dipendenti, che crea marginalità come aveva fatto con l’eroina di stato negli anni 70. Le carceri statali sono una “fabbrica di tossicodipendenza”3. Gli stessi medici che lavorano in carcere testimoniano la “responsabilità epidemiologica e la problematica restituzione alla società, a fine pena, di centinaia di soggetti in difficoltà nella gestione di forme di dipendenza problematiche”4. Allargando lo sguardo, negli ultimi anni in gran parte degli stati industrializzati, la percentuale delle persone con una diagnosi psichiatrica in cura a carico dei sistemi sanitari è sempre più risicata, mentre sale invece la percentuale di problematiche psichiatriche in persone rinchiuse in carcere. Questo può voler dire più cose: l’inefficacia dei sistemi di cura pubblici e privati da una parte, la rinnovata tensione a custodire e reprimere la follia e la sragione, il cambiamento della popolazione carceraria e delle storie personali che attraversano il carcere, l’utilizzo di diagnosi e contenzione chimica sempre più frequente e massiccio nelle galere.

Il 43% dei detenuti assume sedativi o ipnotici, mentre il 20% risulta assumere regolarmente stabilizzanti dell’umore, antipsicotici o antidepressivi. Le percentuali schizzano nei cpr5 dove per contenere il rischio suicidario dei tranquillanti minori si prescrivono insieme gli antidepressivi. Poi c’è il metadone e il subutex per chi una dipendenza già ce l’aveva quando è entrato/a. I farmaci a volte possono salvarti la pelle ma sono sempre e solo l’inizio di un percorso, nelle carceri davanti non hai niente verso cui andare, nel tempo e nello spazio. Nessun futuro in un non-luogo di una soggettività negata. La farmacologia diventa in questo contesto culturale e di rapporti di forza camicia di forza chimica e i manicomi si ricreano in carcere, un po’ come una volta le carceri si ricreavano in manicomio con gli ergastoli bianchi e le sbarre. Non è un caso dunque se i movimenti antipsichiatrici si occupano sempre più spesso di carcere6-7, che comunque è un esperienza che accomuna gran parte della popolazione psichiatrica in carico ad altri istituti non penali: SPDC, SERT e carcere hanno le porte scorrevoli tra loro. È importante che lo facciano, che le compagnə parlino di psichiatria in carcere, perché altrimenti la retorica “neomanicomiale” e la cosiddetta “emergenza psichiatrica” vengono utilizzate dai sindacati di polizia e dal DAP per ottenere trasferimenti dei detenuti, più potere nel governo delle carceri e nuove risorse per la repressione della vita privata della libertà.

Da ieri, dopo questo fortuito sabotaggio dovuto a un ritardo nella consegna dei farmaci, è palese ed autoevidente a cosa serve la psichiatria in carcere: a sedare le rivolte, perchè senza pasticche o gocce le gabbie non sarebbero sostenibili per una popolazione carceraria che è cambiata, che “il carcere non lo sa fare”, che fuori non ha nessuno che aspetta, che chiede con disperazione e insistenza talvolta violenta di chiudere gli occhi almeno di notte, che senza non si dorme, di morire almeno per un attimo, il tempo che dura l’effetto dello xanax. Il dolore vivo che celano le carceri nelle loro varie forme va anestetizzato, legato, ucciso. Nessuna cura è possibile in un luogo nato per provocare dolore. Sedare, reprimere, addormentare e fare in modo che i prigionieri e le prigioniere non si suicidino. Quest’ultimo è il mandato che riesce meno e che ha sulla coscienza ha 83 suicidi nel 2022, a cui andrebbero aggiunti tutti quei decessi causati dagli effetti collaterali degli psicofarmaci, come è successo a Isabella, morta a Pozzuoli in seguito alle crisi respiratorie causate dagli psicofarmaci8. In breve la psichiatria serve a gestire, con gravi danni di salute, tutte quelle situazioni che sfuggono al auto-controllo e all’amministrazione della premialità e della pena individualizzata9. Chi non accetta il bastone e la carota non può che essere matto infondo.

p.u.c.k@anche.no


NOTE:

1 https://www.psicoattivo.com/rivotril-nuova-sostanza-dabuso-vecchio-ansiolitico-e-antiepilettico/

2 https://ilmanifesto.it/carceri-minorili-la-rivolta-dei-farmaci

3 http://www.ristretti.it/areestudio/salute/mentale/bartolini/capitolo8.htm

4 https://www.rapportoantigone.it/diciassettesimo-rapporto-sulle-condizioni-di-detenzione/la-manica-stretta-ipotesi-di-regolazione-della-somministrazione-di-psicofarmaci-in-carcere/

5 https://radioblackout.org/podcast/nessuna-cura-del-18-01-22/

6 https://radioblackout.org/podcast/carceri-invisibili-del-20-09-22/

7 https://www.osservatoriorepressione.info/carcere-psichiatria-strumenti-controllo/

8 https://internapoli.it/isabella-morta-carcere-pozzuoli/

9 https://tamulibri.com/negozio/il-carcere-invisibile-etnografia-dei-saperi-medici-e-psichiatrici-nell-arcipelago-carcerario

ESTRATTI DAL LIBRO DI MAU “QUELLI ERANO I TEMPI”

Di fatto, nella società c’era stato un approfondimento della lotta di classe, a cominciare dal 1975, proseguito nel ’76 e ancora più duro da un punto di vista di classe, il ’77. […] Nelle fabbriche i capi dovevano stare attenti, erano sotto tiro. Così anche dentro le carceri, come nelle scuole e nelle università. […] La “violenza proletaria”, tanto in fabbrica che nelle scuole, aveva preso piede e non era facile né arrestarla né condannarla. Le azioni andavano dall’occupazione delle aule dei tribunali, al blocco stradale ecc., insomma i padroni e lo Stato si scontravano con una risposta che oggi non c’è più. […] anche per quanto accadde a Roma in risposta all’uccisione, avvenuta a Bologna il giorno prima, di Francesco Lorusso, un compagno di Lotta Continua attivo in università. […] Avevano preso un pezzo di città, ne avevano buttato fuori la polizia, poi erano entrati in queste due armerie: ci vuole anche del tempo per fare un esproprio del genere. Per ore e ore, interi quartieri… A Bologna dovettero mandare addirittura i carri armati, nella zona universitaria in via Zamboni, per fermare la rivolta nelle strade, anche qui con espropri nelle armerie e saccheggi nei locali per ricchi.

Di scontri molto grossi ce n’erano già stati anche a Milano, per esempio contro la sede dei fasci in via Mancini, nell’aprile del ’75: non parliamo di Napoli, dove situazioni del genere erano piuttosto frequenti. Queste azioni erano espressione di un potere proletario effettivo. La polizia non andava più a sgomberare le case, soprattutto in certi quartieri come Quarto Oggiaro, a Milano, o San Basilio, a Roma. Le case si prendevano e si difendevano: «la casa si prende, l’affitto non si paga» era diventata una parola d’ordine di massa in quei momenti. Era una sollevazione di tutti. […] Gli operai erano talmente forti che i giovani appena entrati erano subito combattivi: andavano in fabbrica proprio per combattere il lavoro salariato. […] in queste fabbriche tra Milano e Torino c’erano nuclei operai che ai capi impedivano di comandare. Scioperavano e, se i capi non ci stavano, gli bruciavano la macchina. […] Avevano un’idea di brigata allargata, che prendeva tutti gli ambiti, dalla fabbrica al quartiere, per esempio il supermarket, entravano e lo ripulivano, e guai se c’erano fascisti! […] Quindi capi, gerarchie, giudici, polizia, scuola, lo Stato nel suo insieme, erano tutte cose che venivano messe in discussione e affrontate diversamente. E questo succedeva nelle carceri, nelle scuole, nelle case, nei quartieri anche, specialmente a Roma, ma anche a Torino, a Milano un po’ meno.
Le conquiste nella scuola, per esempio: i familiari tenevano i bambini insieme, i compiti li si faceva insieme, le classi si erano mischiate, c’era tutto un modo di agire sociale che ce lo sogniamo oggi, non c’è proprio più. Gli ospedali erano aperti, guai a maltrattare qualcuno, la psichiatria era stata molto criticata e anche messa da parte […] l’ampiezza che la lotta, compreso il femminismo, aveva assunto, […] c’erano tutti gli strati sociali […] esisteva un movimento talmente esteso da avere la forza di rivendicare il salario politico, come l’affitto, che doveva essere un tot per cento del salario […] c’era questa spinta dal basso a uscire dai ghetti e a conquistarsi spazi […]

PDF: ESTRATTI DAL LIBRO DI MAU “QUELLI ERANO I TEMPI”

… e un augurio di buon anno nuovo, dalle Brughiere!

 

T.S.O. GUIDA MOLTO PRATICA ALL’AUTODIFESA

Diffondiamo quest’utile guida da: antipsi.noblogs.org

Trattamento Sanitario Obbligatorio. Guida molto pratica all’autodifesa. Cosa può fare chi è dentro. Cosa può fare chi è fuori.

“Pur non riconoscendo nessuna validità né alla psichiatria, né alle istituzioni che la praticano, né alle leggi che la regolano, dobbiamo riconoscere che il più delle volte l’unico modo per liberarsi da un ricovero coatto è ricorrere alle procedure di autotutela che la legge prevede. Con questo non vogliamo negare il diritto di ognunx all’affermazione di se stessx, né tantomeno la libertà di ribellarci a chi cerca di recluderci o modificare la nostra volontà. Ma in ogni caso consigliamo, per tutti indistintamente, di adoperarsi per conoscere le leggi che, pur conferendo alla psichiatria il potere di rinchiuderci, possono, per la loro stupidità, aprirci anche spazi di possibile liberazione dalla psichiatria stessa.
Molti T.S.O. presentano grossolani errori sia nella forma che nel contenuto, cioè vengono eseguiti con delle irregolarità a cui ci si può appellare sia per evitare il ricovero che per chiederne eventuale revoca o impedirne il rinnovo.”

PDF: T.S.O. GUIDA MOLTO PRATICA ALL’AUTODIFESA

CONTRO IL CARCERE, L’ERGASTOLO OSTATIVO E IL 41-BIS, CON ALFREDO IN SCIOPERO DELLA FAME, PER LA LIBERTA DI TUTTX!

Un volantino distribuito a Bologna  alla street del 17 dicembre contro il decreto antirave “SMASH REPRESSION”

Nel decreto antirave sono state inserite misure che aggirano le indicazioni della corte costituzionale sull’ergastolo ostativo e le condizioni ostative, rendendo ancora più difficile la concessione dei benefici penitenziari per quei reclusi che non collaborano con la giustizia.

Nell’aprile 2021 la corte ha infatti dichiarato incostituzionale il tipo di regime penitenziario previsto dall’art. 4 bis che esclude dall’applicabilità dei benefici penitenziari gli autori di alcuni reati tranne in caso di collaborazione con la giustizia. Il decreto legge del governo Meloni del 31 ottobre stabilisce che non sia però la collaborazione del detenuto l’unico strumento per accedere ai benefici di legge, per usufruirne, il detenuto dovrà dimostrare di aver aderito a specifiche condizioni e obblighi, civili e di riparazione pecuniaria, o «dimostrare l’assoluta impossibilità di tali adempimenti». Queste condizioni risultano però una trappola in quanto quasi impossibili da dimostrare, per cui di fatto l’operazione non fa altro che aggirare le indicazioni di incostituzionalità, riconfermando l’ergastolo ostativo e riconsolidando le condizioni ostative.

Stato e padroni stanno difendendo un dispositivo in cui la collaborazione diventa l’unico modo per recuperare la libertà. Questo non può che riguardarci tutte e tutti. Il “fine pena mai” dell’ergastolo ostativo si traduce in una morte a vita.

Dal fenomeno della criminalità organizzata che lo Stato finge di combattere, è stato istituito ed esteso un regime penitenziario differenziato volto a costringere alla collaborazione una variegata serie di condannati eterogenei, accomunati da una presunzione di pericolosità. Una presunzione assoluta, perché non superabile da altro se non dalla collaborazione stessa che esclude il prigioniero/a “in radice”, dall’accesso ai benefici penitenziari. L’immediata equivalenza tra l’assenza di collaborazione e la presunzione inconfutabile di pericolosità sociale, non permette di tenere conto di altri fattori che potrebbero condizionare e permettere altre valutazioni.

E’ anche bene ribadire che l’ordinamento penitenziario prevede già un dispositivo per costringere alla collaborazione, il 41-bis, ed oggi siamo qui anche contro questo regime di tortura.

Il 41 bis serve per isolare completamente il detenuto dall’esterno, l’unico modo per uscirne è quello di pentirsi e collaborare. Si tratta di un regime di annientamento e tortura studiato per provocare danni fisici e mentali tramite la tecnica della deprivazione sensoriale e per indurre sofferenza allo scopo di estorcere confessioni o dichiarazioni. Una condanna alla morte politica e sociale volta a recidere ogni forma di contatto con l’esterno e ad annullare la personalità del recluso.

Le prigioni sono lo strumento che Stato e padroni usano per mantenere l’ordine attuale, fatto di sfruttati e sfruttatori. Una guerra a bassa intensità affinché il processo di accumulazione capitalista proceda senza soluzioni di continuità, che mira a spostare il limite di tolleranza delle sfruttate e degli sfruttati, sempre un po’ più in là. Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale, viene duramente represso come avvenuto dopo le rivolte del marzo 2020.

È lo stesso Stato che sta tombando nelle patrie galere Alfredo Cospito, compagno anarchico recluso in 41-bis dal 5 maggio 2022 con un decreto firmato dall’allora ministra della giustizia Marta Cartabia.
Alfredo è in sciopero della fame dal 20 ottobre contro il regime detentivo del 41 bis e contro l’ergastolo ostativo. Una battaglia che non intende interrompere, fino al proprio decesso.

La sua lotta riguarda tutte le detenute e i detenuti, fra i quali ricordiamo i tre militanti delle Brigate Rosse per la costruzione del Partito Comunista Combattente rinchiusi da oltre 17 anni in 41 bis (Nadia Lioce, Roberto Morandi, Marco Mezzasalma). Nel 2009 la compagna Diana Blefari, della stessa organizzazione, si tolse la vita dopo la permanenza in questo duro regime carcerario. Solo comprendendo questi regimi di isolamento come mezzo di pressione, come tortura, per estorcere il pentimento, possiamo capire il carattere politico degli scioperi della fame fino alla morte attuati da molti compagnx rivoluzionarx.

Attualmente detenuto nel carcere di Bancali, in Sardegna, Alfredo si trova recluso ininterrottamente da dieci anni nelle sezioni di Alta Sicurezza e ora in regime di 41 bis. Alfredo è sempre stato in prima linea nelle lotte, mai disposto a compromessi o ad arrendersi, attivo nella difesa dei compagni colpiti dalla repressione, in ogni angolo del mondo. Dopo l’arresto avvenuto nel 2012, nel corso del processo che ne è seguito, ha rivendicato il ferimento del dirigente di Ansaldo Nucleare Roberto Adinolfi, uno dei massimi responsabili del nucleare in Europa. Nel 2016 è stato coinvolto nell’operazione Scripta Manent in cui è stata riformulata la condanna per lo stesso Alfredo e per Anna Beniamino in “strage politica” – la cui unica pena prevista è l’ergastolo – cosa mai applicata nemmeno al massacro del 2 agosto 1980 alla stazione di Bologna o a quello del 12 dicembre 1969 di Piazza Fontana a Milano. Lo Stato italiano complice delle peggiori carneficine fasciste sta condannando per strage due anarchici per un attacco che di fatto non ha provocato né vittime né feriti.

Condividiamo con Alfredo la necessità di lottare contro una società basata sullo sfruttamento e l’annichilimento di ogni forma di vita. Sappiamo che sono tempi ideali per mettere in atto svolte autoritarie da parte dei governi, lottare contro la miseria di questo mondo ci riguarda tutte!

NO AL 41-BIS, NO ALL’ERGASTOLO OSTATIVO LIBERX TUTTX


PDF: CONTRO IL CARCERE, L’ERGASTOLO OSTATIVO E IL 41 BIS, CON ALFREDO IN SCIOPERO DELLA FAME, PER LA LIBERTÀ DI TUTTX!


BOLOGNA: SMASH REPRESSION! [FOTO E CONTRIBUTI]

Foto e contributi dalla street rave di Bologna del 17 dicembre contro il decreto antirave “SMASH REPRESSION”

In aggiornamento…


Un contributo e un volantino distribuito durante la street:

https://brughiere.noblogs.org/post/2022/12/18/contro-il-carcere-lergastolo-ostativo-e-il-41-bis-con-alfredo-in-sciopero-della-fame-per-la-liberta-di-tuttx/


Contributi dal Collettivo antipsichiatrico “Strappi”

Martedì 13/12 con un maxi intervento di polizia è stata sgomberata l’occupazione di via Stalingrado 31. Un’occupazione che come soggettività in lotta contro il carcere, la psichiatria e la società che li producono, abbiamo profondamente sostenuto, consapevoli della sempre maggiore necessità di spazi di incontro liberi dal disciplinamento istituzionale. Un’occupazione durata solo poche settimane ma che a molti di noi sono sembrati mesi per l’intensità e la qualità delle interazioni che si sono sviluppate e che ancora ci scaldano il cuore.

La violenza con cui in ogni città si sta annientando qualsiasi spazio di libertà non ci vedrà passive! 
Siamo qui per dire che intendiamo opporci con ogni mezzo ad un mondo che ci vuole sempre più addomesticate e sottomesse. Vogliamo essere sabbia negli ingranaggi del potere! 
Ci rivendichiamo di sentirci disadattate all’interno di questo modello di sviluppo insensato e irrazionale. La loro “normalità” ci fa schifo! 
A colpi di riqualificazione, decoro e repressione, lungo le strade in ogni città vediamo rastrellamenti quotidiani abbattersi sulle fasce più marginalizzate della società. E’ questa la loro ‘normalità’! 
Il taser viene sempre più legittimato contro i poveri e chi vive un’esistenza fuori dagli schemi normati imposti dalla società.
Assistiamo all’uso sempre più frequente e capillare del daspo urbano per allontanare persone “sgradite”, e della manipolabilissima categoria di “pericolosità sociale” di derivazione psichiatrica e fascista per reprimere il conflitto e contenere/sedare diseguaglianze e oppressioni.
Vediamo continuamente puntare il dito contro la “malamovida”, neologismo che si vuole contrapposto a “buona movida”, cioè a quella socialità che rientra perfettamente negli spazi e nei tempi del consumo. 
Anche l’infanzia è nel mirino: attraverso la costruzione mediatica del “bullo” e della “baby gang”, giovani e adolescenti sono continuamente trattati e rappresentati come un problema di ordine pubblico da reprimere mentre rimangono intatti quei modelli che il sistema stesso riproduce ed esalta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli all’interno di una realtà dove solo chi ha soldi e potere è preso in considerazione, e chi non accetta di essere un cavallino da corsa non è nessuno. 
In nome delle bandiere del decoro e del degrado assistiamo alla costruzione di sempre nuovi “mostri” su cui scaricare insicurezza e timori per fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso: l’obbiettivo è spezzare qualsiasi possibilità di solidarietà e impedire qualsivoglia forma di messa in discussione del presente. Una “sicurezza” sempre più “preventiva”, volta ad asfaltare tutti gli spazi di fiducia, libertà, relazione, intersezione, prossimità e solidarietà dal basso.
La psichiatria è pronta a raccogliere i cortocircuiti di queste oppressioni e a colonizzare con nuovo slancio il quotidiano e l’individuo: la platea di “difetti” e “tare” da “curare” è destinata ad aumentare proporzionalmente allo sfruttamento e all’oggettivazione che attraversano sempre più infanzia ed età adulta. L’isolamento e il disciplinamento esasperato di ogni aspetto della vita, l’insicurezza legata al presente e al futuro, la vede infatti in prima fila nell’individuazione di nuovi “disturbi” e “terapie” per “contenere” con nuove diagnosi e nomenclature le “ansie”, legato a rabbia, paura e frustrazione in crescente aumento.
Non vogliono che stiamo bene, vogliono che stiamo buone!
Conosciamo psichiatria e polizia, conosciamo le loro “cure” e i loro trattamenti. Riappropriamoci della nostra rabbia, della nostra gioia!
Vogliamo essere liberx di ballare e di esplodere con tutta la nostra vitalità
Restituiamo al mittente un briciolo di quella frustrazione che ci è impostata ogni giorno all’interno di una vita che non ci appartiene e che vorremmo radicalmente diversa.

Rompiamo i ruoli imposti! Riprendiamoci il tempo, lo spazio, riprendiamoci le strade, riprendiamoci il presente!


Siamo matte, schifose, balorde, tossiche, criminali, feccia!
Siamo l’anomalia.
Quando c’è un’anomalia del grande quadro capitalistico, la identificano, la etichettano, la stigmatizzano, la demonizzano finché non diventa identitaria, finché non viene allontanata, ingabbiata, ricoverata, anestetizzata, sterminata.
Così agisce la repressione. Agisce con violenza, o in maniera più silenziosa facendo sì che l’autodeterminazione diventi una diagnosi e il libero arbitrio diventi il rispetto indiscutibile delle regole.
Siamo strane e quindi diventa un dovere reprimerci. Sgomberano spazi in cui le persone hanno la possibilità di parlare del loro disagio senza dover incorrere in un iter burocratico e ospedaliero fatto di soldi da spendere, farmaci da prendere, sguardi da scansare, cicatrici difficili da guarire. Creano leggi che impediscono il divertimento autogestito senza fini produttivi o lucro, perchè la socialità si può fare sì ma come da normativa. Noi gente allegra abbiamo bisogno di ballare, urlare, ridere e giocare, con la nostra libertà, stiamo male se ciò non avviene, tutti stanno male, tutti. Se il controllo avviene anche sul tempo libero, in un mondo che monetizza il valore del tempo, ecco che la repressione funziona, ed ecco che ci ammaliamo. La malattia è un segnale che qualcosa non va e tutto conduce a qualcosa che non va dentro di noi, malate da sempre. La malattia è e deve essere un segnale che qualcosa non va là fuori. Che la responsabilità non è sempre nostra, dei nostri sensi di colpa cristiani, dei nostri errori. La responsabilità è politica (porco dio).
Rinchiudono compagni, chiudono le loro bocche, gettano nell’oblio delle celle le loro identità. Una tortura, ecco cos’è il 41 bis. Una tortura. Che ha lo scopo di annullare la persona. Ma non sono riusciti a cancellare i nostri compagni Alfredo e Juan, e la nostra compagna Anna! La loro lotta risuona e rimane nelle loro azioni e in noi che stiamo al di là delle sbarre. La loro lotta contro il sistema è diventata la lotta contro l’atrocità del carcere e le misure detentive. Non solo per i compagni e compagne anarchiche, ma per tutte le individualità che subiscono la reclusione. Le galere sono l’arma del boia che è questa società e infonde paura. La paura è il manganello che fa più male. La paura di finire in gabbia, chiude le bocche e spacca le teste. La paura di non vedere più il cielo nella sua immensità fa raddrizzare lo storto. E se ciò non avviene ecco che il sistema ti vomita in faccia l’esempio negativo del balordo o balorda del quartiere, delle periferie che ha preso la strada sbagliata e che ha la punizione che si merita. Quella strada sbagliata, quei ghetti li ha creati lo stesso sistema che invece protegge i grandi centri in cui l’economia invece si muove in banche, carte e conti finanziari al posto delle buste di plastica, bilancini e doppi pavimenti delle periferie e province.
Ricoverano in modo disumano le persone che soffrono. Il ricovero coatto, il tso è la pratica che forse lede più di tutto la libertà di scelta di una persona. Viene imposta una cura violenta, sbattendo nello stigma in modo brutale e permanente la persona che lo subisce e che sta vivendo una sofferenza. Non è un momento, il tso te lo porti tutta la vita. Una pratica inaccettabile. Lo schizzato non è capace di intendere e di volere e per gestirlo è giusto attuare una misura violenta e obbligatoria. Questa è la giustificazione. Declassando una persona a un oggetto dannoso, una persona diventa una bomba che va spenta e distrutta. Con lacci, lettini, punture, infermieri e sbirri. Ma dopo che l’hanno spenta, l’obiettivo è che mai più si riaccenderà. Inaccettabile. La coercizione detentiva del tso è ciò che più rappresenta  l’incapacità del potere di prendersi cura del disagio creato dallo stesso. E allora ecco l’ennesimo strumento repressivo. Perchè quando emerge l’anomalia, si deve rinchiudere, obbligare a guarirla, se si ha fortuna reinserire il soggetto nella produttività, se no emarginarlo, mettergli un marchio e annichilirlo.

Mostri, quando li guardo mi sembrano mostri. Quelli lì, col caschetto lo scudo e la divisa,  quelli lì seduti in poltrone, in giacca e cravatta… e io di mostri nella mia testa ne ho visti parecchi, ma quelli lì, quei mostri, vi assicuro che fanno molta più paura.
Noi non siamo mostri!  urliamo contro la loro mostruosità, contro la loro repressione, urliamo insieme per non avere più paura.
Contro i loro abiti cuciti con tessuto di odio,di violenza, di galere, di sgomberi, di emarginazione, di tortura, di paura, di controllo, noi siamo e saremo strappi.


Contributo infestante:

Voglio raccontarvi una storia, tenete bene a mente queste parole:
Il possibile sta in quello che riusciamo a immaginare e nella nostra forza collettiva
Lo scorso martedì, a Bologna, c’è stato uno sgombero coatto. L’ennesimo sgombero da parte di chi in questa città non ne vuole sapere di spazi liberi e autogestiti. Negli ultimi mesi a Bologna sono nate diverse occupazioni, come non se ne vedevano da anni, ma la risposta del potere è sempre la stessa. Sbirri e questura fanno il loro solito lavoro, a servizio dei potenti vari.

Per chi non lo sapesse o non fosse riuscita a passarci, vi racconto quello che è successo in via Stalingrado 31, quello che con la forza di tuttə siamo riuscite a creare in neanche un mese di tempo:
Abbiamo realizzato un ciclo di incontri sul tema feste: la festa è un evento che è stato spoliticizzato e messo a profitto e su come questo decreto tenda a inasprire le libertá di tuttə, non solo di chi va alle feste
C’era un collettivo di socialitá antipsi e letture contro il carcere, perché siamo contro isolamento, detenzione e emarginazione e vogliamo che i nostri spazi siano accessibili e attraversabili anche da chi vive un disagio
C’erano uno sportello trans e laboratori transfeministqueer, perchè dobbiamo ribadirlo anche e soprattutto oggi che sessismo, discriminazione e violenza di genere sono nemici di tuttə e tuttə insieme dobbiamo combatterle, ogni giorno, anche oggi, anche dentro questa street
C’era un laboratorio di filosofia politica perchè siamo pirati e piratesse e sentiamo la necessità di coordinate folli che guidino il nostro galeone
C’erano un corso di uncinetto e giochi da tavolo perchè insieme dobbiamo tessere trame e pensare nuove strategie di assalto ai luoghi del potere
E poi c’erano un laboratorio hacker, una cucina popolare a prezzi bassi e accessibili, una pelucheria per renderci bellissime, un mercatino di autoproduzioni e una serigrafia, perché il diy dev’essere una pratica di tuttə

E poi c’era un murales bellissimo, che avevano realizzato i nostri fratelli e compagni Ericailcane e Infinite. L’abbiamo cancellato, come volevano loro, perché l’arte non si privatizza, non si addomestica in dei musei o in dei palazzi privati. L’arte dev’essere per tutte e tutti, dal basso, senza prezzi senza biglietti.

Questa street vuole e deve essere una festa, un momento di socialitá libero dove insieme ci autodeterminiamo. Ma è anche un momento di protesta, dove alziamo la voce e la testa contro questo ennesimo inasprimento repressivo, contro questo clima di crescente fascistizzazione e militarizzazione delle nostre vite e dei nostri corpi.

In questa street noi, come infestazioni, vogliamo creare anche un disagio all’amministrazione di questa città, che sia il comune, il prefetto, la questura o privati vari come Unipol. Loro credono di avere le mani sulla cittá, vogliono ridurci al silenzio e isolarci, ma se ancora non l’han capito, noi ad ogni sgombero risponderemo diffondendo autogestioni, perché non ci facciamo addomesticare e perché saremo sempre prontə a sgangherare i loro piani, con tutto l’amore la rabbia e la follia che ci contraddistingue.


Un intervento infestante:

Oggi siamo in piazza perchè il tentativo di limitare la nostra libertà non può passare. Siamo in piazza per affrontare un decreto che si presenta come un azione muscolare di un governo di fascisti.  Siamo in piazza perchè vogliamo autodeterminarci, perchè vogliamo luoghi di  socialità ed espressione radicalmente diversi, perchè vogliamo una vita radicalmente diversa.  Non chiediamo nulla a chi risponde col nulla e ci prendiamo tutto poichè c’è chi ha tutto e chi  niente. La voce sinora urlata piano dei raver oggi si alza e con loro quella degli spazi autogestiti la  voce di chi ha ben presente la differenza tra legalità e giustizia.
Il 13 12 abbiamo subito uno sgombero con un dispiegamento di forze militare. Crediamo che questo sia un buon segno: vuol dire che stiamo andando nella direzione giusta, che stiamo tenendo alto il conflitto in città, che gli facciamo paura. Il 13 12 abbiamo subito lo sgombero dello
spazio di via stalingrado 31 un motivo in più per urlare insieme ACAB. Siamo uscite da quello  sgombero col sorriso, sotto la neve con il morale altissimo perchè sapevamo e sappiamo che non è un esercito di sbirri che fermerà un ideale, che fermerà l’ infestazione. La marea di persone che ho davanti è la dimostrazione che abbiamo la forza di rompere ogni tentativo repressivo. Alziamo il volume contro ogni giogo, battiamo i piedi contro ogni autorità, occupiamo per una vita libera e radicalmente diversa.


SOVVERTENDO L’ORDINE PATRIARCALE. Storie di donne armate e rivoluzioni

Diffondiamo questa nuova autoproduzione editoriale femminista.

Queste pagine raccolgono testimonianze di donne da diverse parti del mondo che hanno partecipato a movimenti di guerriglia o organizzazioni di lotta armata. Una testimonianza diretta come stimolo per continuare a lavorare sul recupero della nostra memoria femminista rivoluzionaria. Con la proposta di aprire spazi di riflessione e confronto non misti fra compagne/x per incontrarsi, creare e rafforzare legami.

Traduzione dal castigliano del primo numero della rivista “Mujeres mas alla des las armas” (2020) che raccoglie gli atti degli omonimi convegni organizzati annualmente a Barcellona dal collettivo Azadi Jin. Si tratta di incontri separati (non aperti a uomini cis) dove le compagne catalane invitano le donne e le dissidenze sessuali e di genere a raccontare le loro esperienze rivoluzionarie.

Dall’introduzione all’edizione italiana:

“Quando si legge di rivoluzioni, guerriglia e lotta armata, i protagonisti sono sempre uomini, unici soggetti all’altezza di compiere tali gesti. Alle donne, così come alle dissidenze di genere, sembra essere preclusa la possibilità di rivendicare per sé la violenza come strumento di lotta e di liberazione contro un sistema in cui il paradigma del legale istituzionalizza genocidi, sancendo quali sono i corpi da sacrificare in nome della sicurezza e quali quelli da difendere. L’unica violenza legittima sembra allora essere quella di chi opprime e distrugge. Per noi queste pagine sono uno slancio per rompere la logica della narrazione unica. Siamo consapevoli del fatto che il meccanismo che ci spinge a non considerare altre forme di lotta come possibili è lo stesso che ci impone di normalizzare la brutalità degli stati come legittima e normale. Lo stato e il patriarcato si autolegittimano attraverso le stesse logiche, e sono l’uno lo strumento necessario all’altro per perpetrarsi. Questi racconti rendono evidente la fallacia della logica patriarcale, che vuole l’oppressore come legittimo detentore della forza e l’oppressa\x come soggetto inferiore, la cui forza è repressa e ostracizzata. Sulla base di questa doppia morale, le donne che hanno preso le armi per la rivoluzione sono state condannate e perseguitate, stigmatizzate perché non hanno voluto sottostare alla posizione in cui il patriarcato voleva relegarle.”

Distribuzioni e presentazioni

100 pag. Il prezzo è 5 euri, per le distribuzioni 4. Il ricavato dalla vendità sarà utilizzato per finanziare progetti simili. Il libro è disponibile per essere distribuito unicamente in distro femministe e transfemministe.

Le presentazioni del libro sono pensate per essere fatte in contesti separati (senza uomini cis). La logica dietro a queste decisioni è di rimanere coerenti alla scelta delle donne – le cui voci sono raccolte nel libro – di condividere le loro storie in un contesto separato. Ciò ci permette di fare di questa pubblicazione uno strumento di rafforzamento della rete femminista e transfemminista.

Per ricevere copie del libro e/o organizzare insieme delle presentazioni (a partire da gennaio 2023), potete scriverci a: memoriacomeresistenza@riseup.net

Link alla distribuzione dell’edizione catalana: <https://latiendacomprometida.com/feminismo/2257-mujeres-mas-alla-de-las-armas-vol1.html>