MESSINA: CORTEO NO PONTE

Diffondiamo

Sabato 9 agosto
ore 18.00
Piazza Cairoli (ME)

Costellata dagli innumerevoli annunci di Salvini e Ciucci è arrivata una nuova estate. Nel 2023 ci avevano già detto che era l’ultima estate, che eravamo alle soglie dell’avvio dei cantieri del ponte sullo Stretto. Sono passati due anni e ancora una volta ci troviamo di fronte ad accordi e cronoprogrammi che alludono alla messa in moto delle ruspe. Noi sappiamo bene, però, che, al di là dell’effettivo inizio dei lavori, le attività di Stretto di Messina Spa ed Eurolink consumano già risorse e rubano futuro,con la complicità di Regione e Comune di Messina lasciando inevasi i bisogni veri che i nostri territori esprimono.

Ancora una volta ci troviamo, d’altronde, di fronte a una estate di passione per l’assenza di acqua nelle nostre abitazioni. Circa metà di quella che passa dalla rete idrica siciliana va perduta, e in tutta la Sicilia, Messina inclusa, le crisi idriche sono all’ordine del giorno. Nonostante ciò, i soli lavori di costruzione del ponte ruberebbero 5 milioni di litri d’acqua al giorno, pari al 20% del fabbisogno idrico di Messina.

Già nella Relazione che accompagnava il DL 35/2023 il ponte sullo Stretto veniva annoverato come opera di interesse strategico. Già in quella occasione, dunque, Salvini & soci avevano provato a collocarlo dentro un contesto europeo che potesse, da un lato, consentire una corsia preferenziale nei meccanismi autorizzativi e, dall’altro, catturare risorse europee da utilizzare ai fini della progettazione e costruzione dell’opera. Di recente il Governo ha con ancora più forza rappresentato il ponte come opera di interesse militare, collocandolo nel quadro degli impegni strategici della Nato e rendendo la Sicilia, da quasi un secolo occupata dalla presenza di basi militari USA, NATO e italiane, sempre più un avamposto militare nel Mediterraneo.

Tale strategia politica e mediatica è stata messa in atto mentre il mondo intero continua la folle corsa verso la guerra e il riarmo. A tutti gli effetti, dunque, il manufatto d’attraversamento e tutte le opere collaterali previste diventano l’ennesima propaganda di una politica militarista che va contrastata. Essere contro la guerra, così, vuole dire essere contro il ponte ed essere contro il ponte significa essere contro la guerra.

Con i 14 miliardi di euro stanziati per il ponte e i 30 miliardi spesi annualmente in armi dall’Italia, quante delle emergenze strutturali del Sud e delle isole (e non solo) si potrebbero sanare? La siccità, certo. Ma anche ospedali, scuole, autostrade, ferrovie e tanto altro ancora.

Ecco perché, nel dire NO AL PONTE, gridiamo forte che VOGLIAMO L’ACQUA, NON LA GUERRA.

PRESIDIO IN SOLIDARIETÀ AI RECLUSI DEL CPR DI GRADISCA

Diffondiamo:

Torniamo sotto le mura del lager CPR di Gradisca d’Isonzo, per portare la nostra solidarietà agli ostaggi del razzismo di stato. Il caldo soffocante nelle gabbie, le condizioni miserabili della detenzione etnica, le diverse forme della tortura quotidiana (sanitarie, psicologiche, amministrative, repressive) mostrano il lato più spietato dei meccanismi di razzializzazione. Il CPR deve essere la gabbia dove si consuma la violenza più feroce, ma anche il monito – insieme a tutto il sistema delle espulsioni e della deportazioni – per chi non ha il documento giusto, e così rafforzare la società della segregazione e dello sfruttamento. Un pensiero, a questo punto, va alle campagne (anche quelle friulane…) dove lo sfruttamento razziale raccoglie la frutta e la verdura per le tavole delle bianche cucine climatizzate, o agli operai dell’edilizia (anche triestina…) che ripassano il cemento della riqualificazione e della speculazione.

In questa estate, mentre sarai al mare in Puglia, a pochi passi da te qualcuno sarà piegato di lavoro; mentre salirai sull’aereo a fianco a te ci sarà una persona, scortata e in manette, pronta per essere deportata; mentre starai bevendo l’aperitivo sarà in corso una retata. Per le/gli altri/e, invisibili residui delle catene di sfruttamento di forza lavoro e territori si apriranno le porte dell’inferno.

A Gradisca d’Isonzo, come negli altri lager, si tortura. A Ronchi dei Legionari, come in tantissimi altri aeroporti, si deporta. Nella campagne e nei ghetti si schiavizza.

Tutto ciò accade proprio agli angoli della baracca cadente dell’opulenza, costruita su genocidi e guerra. Questa è la realtà che si nasconde dietro le retoriche sui diritti umani, sugli stranieri, sulla (mancata) integrazione, sui maranza, sui quartieri multietnici.

Per questo stare al fianco di lotta – dei reclusi dei CPR, dei disertori della guerra interna ed esterna – è importante.

Complici e solidali con i rivoltosi!

https://nofrontierefvg.noblogs.org/post/2025/07/13/presidio-in-solidarieta-ai-reclusi-del-cpr-20-luglio-gradisca-disonzo/

NOTTE DI ORDINARIA VIOLENZA: AGGIORNAMENTI SUL CPR DI PALAZZO SAN GERVASIO

Riceviamo e diffondiamo:

A Palazzo San Gervasio nella notte tra venerdì 20 e sabato 21 l’elisoccorso ha raggiunto la struttura detentiva per portare in pronto soccorso reclusx che dopo aver subito pestaggi e ingerito detersivo erano in condizioni critiche di salute e venivano lasciatx agonizzare al centro della gabbia arancione dove si fa l’aria.
Dalla sera precedente quando un altro detenuto, dopo essere tornato dal pronto soccorso, è stato nuovamente male, le ambulanze non sono state chiamate e le persone tenute sotto sorveglianza in infermeria per evitare che le condizioni di salute potessero essere pubbliche. Alle chiamate delle persone recluse e di solidalx fuori, il 118 ha risposto dicendo che non si sa di cosa parla, che c’è del personale sanitario e che non si ha titolo per chiedere l’intervento.
La tensione provocata dall’ordinaria gestione delle crisi da parte di Officine Sociali, e la ricerca di invisibilizzazione di tutte le condizioni critiche è sfociata nelle proteste durate tutta la giornata del 20 giugno, a cui hanno provato a rispondere prima con gli psicofarmaci e poi con il peso dei manganelli, le botte, udite anche a telefono sono state generali, l’ingresso delle guardie in tutti i moduli ha fatto si che la tensione aumentasse.
Solo verso le due della notte del 21 le persone agonizzanti sono state portate in ospedale.
La responsabilità del personale sanitario degli ospedali regionali, che ignora la natura del lager con cui interagisce costruisce ancora una volta il sistema su cui Stato e Cooperative infliggono violenza sulle persone.
Una violenza che sfocia anche nel controllo e nelle minacce delle azioni di solidarietà portate da fuori, come pacchi trattenuti per ore solo per provocare e ricattare le persone detenute.
A palazzo ogni souvenir sparisce subito. Dentro si lotta. Ci dicono che stanno impicciati.

Officine Sociali, Guardie e Stato aguzzino
Occhi aperti nelle vostre notti di ordinaria violenza

Solidarietà con le persone recluse
Fuoco ai CPR


Puntata di Mezz’ora d’aria a cura dell’assemblea contro galere e cpr con all’interno aggiornamenti su Palazzo San Gervasio.
Qui l’archivio con le puntate precedenti.

Segnaliamo inoltre a Bologna:

Sabato 5 luglio al Lazzaretto autogestito, via Pietro Fiorini 12:
“A Palazzo San Gervasio c’è un lager di Stato”

SULL’OTTIMA SINERGIA TRA VENTO E FUOCO IL 14 GIUGNO A DECIMOMANNU

Dalla Sardegna, diffondiamo due testi sul corteo antimilitarista del 14 giugno a Decimomannu:

Lo scorso sabato lo Stato italiano ha dimostrato quanto sconsideratamente sia in grado di reagire, se messo di fronte a una minaccia che non ha idea di come gestire.

Pur di disperdere lə manifestanti che si avvicinavano all’aeroporto militare di Decimomannu, le forze del disordine hanno fatto bene il loro lavoro: hanno utilizzato un elicottero come sfollagente, facendolo pericolosamente avvicinare alle teste delle persone, e contemporaneamente, da dentro la base hanno lanciato lacrimogeni, sperando di crearci fastidio e disperdere ulteriormente il corteo. Uno di questi ha preso fuoco, e il vento creato dall’elicottero ha contribuito a diffondere le fiamme.

Dopo la manifestazione il questore ha parlato di ‘ottima sinergia’ e non capiamo sinceramente fra chi: forse fra l’elicottero e i lacrimogeni per dar fuoco all’aeroporto militare? O forse con l’idrante che avevano portato per rivolgerlo contro di noi ma che poi è stato usato per cercare di domare il fuoco?
Se questa fiera dell’incompetenza non avesse realmente messo in pericolo le persone lì presenti potremmo pure dire che vedere una base militare che brucia non può che farci piacere 🔥

Siamo comunque costrettə a costatare ancora una volta quanto, allo Stato italiano, non interessi nemmeno più mantenere una facciata da Stato di diritto e che gli interessi della guerra imperialista siano ormai l’unica cosa realmente importante. Oltre a tutti i discorsi sulla tutela dell’ambiente o sulla pubblica sicurezza, chiaramente non prendibili nemmeno in considerazione.

Ci rendiamo anche conto che ogni persona, nella lotta, è fondamentale.
La macchina bellica è più fragile di quanto pensiamo, e se qualche centinaio di persone li ha messi davvero così in difficoltà, beh cerchiamo di essere in qualche migliaia la prossima volta e di gridargli tuttə assieme A FORAS🔥

Rispetto si, solo per i pompieri però.

Solidarietà a Luca, compagno di lotte, arrestato il giorno prima del corteo.

Con la Palestina nel cuore e l’aeroporto di Decimo che brucia ancora davanti agli occhi 🇵🇸


14 GIUGNO BRUCIA L’AEROPORTO DI DECIMOMANNU

Oggi [14 giugno] siamo stat3 all’aeroporto militare di decimomannu, ci siamo trovat3 davanti a un enorme dispiegamento di forze dell’ordine, perquisizioni personali e alle auto. Noi non eravamo migliaia, la fortuna, diciamolo, non sembrava girare dalla nostra parte, eppure…
Eppure, siamo riuscit3 a fargliela anche questa volta, con tutta la nostra determinazione abbiamo deviato per i campi per avvicinarci all’aeroporto militare. Siamo riuscit3 ad arrivare in prossimità delle reti  e la polizia, ormai tesissima, ha tirato lacrimogeni contro il corteo. Contemporaneamente, l’elicottero è stato usato come sfolla gente, e scendeva ad altezza uomo per fare vento.

Chiaramente, i lacrimogeni tirati dalla polizia hanno dato fuoco ai campi e il vento generato dall’elicottero ha contributo a far divampare l’incendio, facendo sì che, nonostante idrante e vigili del fuoco, fosse molto difficile da spegnere.
La leggerezza con cui hanno messo a rischio l’incolumità di tant3 manifestanti ci dà solo la conferma di essere dalla parte giusta e di dover continuare a lottare.

Preparano guerre e genocidi in giro per il mondo e noi non dimenticheremo mai la gioia di veder sventolare la bandiera palestinese davanti a uno dei loro avamposti che brucia.

Speriamo che la giornata di oggi sia di ispirazione per tutte quelle future, che ci dia la consapevolezza che siamo forti e nulla è mai perduto, che nuovi immaginari e possibilità si possono aprire sempre anche nei momenti che sembrano più bui.

Con la resistenza palestinese nel cuore

Con tutta la solidarietà al nostro compagno arrestato ieri

Per vedere la nostra terra libera

Ainnantis

LE COMMEDIE DI MAGGIO. RIFLESSIONI SUL CONFLITTO SIMULATO

Riceviamo e diffondiamo queste riflessioni da alcunx studentx della Sapienza di Roma.

Le Commedie di Maggio

Riflessioni sul conflitto simulato

«Intellettuali d’oggi, idioti di domani, ridatemi il cervello che basta alle mie mani»

F. De André

L’abbaglio

Le giornate di mobilitazione andate in scena lo scorso Maggio in diverse città d’Italia, aprono un momento di riflessione importante sull’utilizzo del conflitto simulato come pratica di lotta e sul significato della sua continua riproposizione.

Per lx più informatx non è niente di nuovo, il conflitto simulato è un logoro prodotto italiano che a più riprese, da quasi 30 anni, torna nelle piazze con grande carica estetica e abbaglia le telecamere.

Spesso nel dibattito militante questo tema viene ripreso ma mai rivendicato seriamente da chi lo agisce, nascosto tra confuse giustificazioni e vittimizzazioni, ammiccamenti complici del “famo gli scontri!” o fantasmagoriche narrazioni di esplosive giornate di lotta sulle piattaforme di movimento.

Questa primavera però non è servito un naso allenato per sentire la puzza, dato che la cagata è stata chiaramente proposta a favore di telecamera se non apertamente rivendicata e sbrodolata sui giornali da uno dei “capoccia”, con tanto di giustificazioni ai «poliziotti che fanno bene il loro lavoro» contrapposto a quelli che «si fanno prendere la mano» e andrebbero bacchettati (parole tanto infami non meritano di essere analizzate oltre la loro semplice citazione). 1

Questo asservimento alla politica del compromesso e dello spettacolo, che vuole piazze disciplinate e orchestrate, non è solo una fastidiosa stortura con cui fare i conti ma un’abitudine radicata che crea mostri, spezza le gambe e soffoca la Rivolta; trascinarsi questo cadavere al seguito è una fatica che, se in tempi storici più lontani si diluiva in un conflitto sociale più alto e un apparato repressivo più debole, ad oggi, non possiamo più permetterci.

Queste righe non hanno lo scopo di indicare un modo giusto di fare la lotta, né tracciare una strada da percorrere. Al contrario, sono un invito a valutare seriamente l’abolizione della nostra normalità e la rottura degli argini militanti, per tuffarsi finalmente nell’ignoto, lì dove può nascere l’impensabile.

Conflitto simulato, perché proprio a noi?

Partecipando a giornate di lotta europee, emerge subito un dato evidente: il conflitto a volte c’è, a volte non c’è, è più intenso, meno intenso ma di certo gli unici a tenerlo sotto controllo sono gli sbirri. Non ci sono, né tantomeno potrebbero esserci, avanguardie organizzate che sovrintendono e trattano tempi e modi del conflitto di piazza.

Ma allora perché proprio a noi? Porsi questa domanda è ambizioso e circoscrivere il discorso obbliga a sorvolare discorsi importanti, come il modo in cui l’autorità ha gestito l’ordine pubblico dagli anni ‘70 ad oggi attraverso l’uso della polizia politica e il consequenziale protagonismo storico che la sinistra ha avuto nella repressione del fermento insurrezionale di quegli anni.

Consapevoli di mancare qualche pezzo di storia militante la traiettoria più immediata e utile ai fini del testo è quella che ci porta a individuare nelle “Tute bianche” la genesi, o più probabilmente il perfezionamento, di questa modalità.

Quella delle Tute bianche fu un’esperienza che nacque dall’area più morbida e riformista dei centri sociali (principalmente nel Nord – NordEst) e che ebbe, o almeno provò ad avere, la sua più importante espressione politica nelle giornate di Genova 2001.

Un perfetto inquadramento lo troviamo in un articolo di Repubblica del 14 luglio 2001, in cui un grande simpatizzante del movimento, Luigi Manconi, ex portavoce dei Verdi, elogia la capacità pacificatoria delle Tute bianche, ecco due passaggi iconici:

«…da un decennio, in Italia, non si verificano scontri di piazza paragonabili, per intensità di violenza, a quelli degli anni ’70. Ci sono, piuttosto, rappresentazioni di battaglie di strada e scontri simulati. Spesso, queste performance belliche – grazie alla raffigurazione fotografica o televisiva – sono apparse come vere. Ma, a parte rare eccezioni, si è trattato esclusivamente di rappresentazioni. Posso dirlo perché ho partecipato ad alcune di esse.»

E ancora:

«(…) L’attività delle “tute bianche” è, dunque, letteralmente, un esercizio sportivo, che depotenziа e disinnesca la violenza: perlomeno, la gran parte di essa. Certo, questo presuppone un’idea della violenza di piazza come una sorta di flusso prevedibile, indirizzabile, controllabile: ma è proprio in questi termini che viene trattata da numerosi responsabili dell’ordine pubblico e da molti leader di movimento.»

Successivamente Manconi racconta una riunione svoltasi in una prefettura del Nord-Est dove veniva contrattato con le autorità un punto, segnato da un numero civico, in cui si sarebbe poi svolto uno scontro totalmente simulato con la polizia il quale però apparve veritiero nello schermo televisivo.

Quello che poi saranno le giornate del G8 purtroppo è impossibile da raccontare ma a questo testo interessa solo un pezzo di questa storia.

Dopo roboanti minacce di guerra le Tute bianche arrivano a Genova pensando di portarsi a casa la giornata proprio nel modo profetizzato da Manconi.

La mattina di venerdì 20 luglio non manca nulla: tute, scudi di plexiglas, caschi e i leader in testa a guidare il “Gruppo di contatto”; un feroce servizio d’ordine che disarma e aggredisce i “facinorosi”; la violazione della zona rossa ben organizzata e concordata con la controparte. Insomma tutto è pronto… ma poi il conflitto arriva sul serio.

A Genova migliaia di ribelli, disinteressati allo scontro diretto con la polizia scelgono di disertare l’appuntamento mediatico e, lontano dalla trappola militare della zona rossa, rovesciano interi quartieri, sollevando al cielo l’asfalto e ciò che ci sta sopra; il fuoco non risparmia nulla e arriva fino al carcere di Marassi. Per alcune ore la libertà travolge impetuosa alcune aree della città.

La polizia, presa alla sprovvista e incapace tatticamente di far fronte a questa orda di insorti, è sotto scacco.

L’idea di uno scontro simulato, militarmente tutelato da una manciata di manifestanti organizzati, non può assolutamente soddisfare i migliaia di furiosi presenti a Genova e i primi a rendersene conto sono proprio gli sbirri, i quali non hanno più nessuna intenzione di andare avanti con la sceneggiata concordata con i rappresentanti. Gli ultimi ad accorgersene, in colpevole ritardo, è il gruppo di contatto delle Tute bianche che in via Tolemaide viene travolto da una spietata carica dei carabinieri che li costringe alla fuga.

I restanti 15 mila manifestanti, mozzati della loro testa, si alzano dalla poltrona del pubblico in cui erano stati costretti e ingaggiano una disperata battaglia nelle vie adiacenti, scontrandosi con un dispositivo poliziesco omicida che lancia blindati sulla folla, usa armi fuori ordinanza e infine, messa alle strette dalla tenacia dei manifestanti, spara, uccidendo Carlo Giuliani, 23 anni.

La reazione immediata, poi in parte ritrattata, di una buona parte della società civile, nonché dei referenti delle Tute Bianche, sarà quella di gridare agli “infiltrati” accordati con la polizia per rovinare la manifestazione e prendendo le distanze dai manifestanti come Carlo Giuliani, il quale «…non era una tuta bianca, bensì un punkabbestia, uno squatter, uno degli “utili idioti” contro i quali le tute bianche avevano cercato di mettere in guardia il movimento.» Come riportarono tutti i quotidiani il giorno dopo.

Dirà Oreste Scalzone, ex Autonomia Operaia:

«Come si fa a fare per settimane una “guerriglia mediatica” dicendo “Violeremo la zona rossa, sfonderemo”, usare simbologie ossessivamente militari, guerresche salvo poi precisare “naturalmente, tutto è metaforico, ludico, lasciateci fare, veniamo con le pistole ad acqua…” e poi, a quelli che a sfondare ci vanno con le pietre, oppure, altrettanto simbolicamente, sfondano vetrine di banche o fanno riots, andare a dire che come minimo sono dei rozzi, che non capiscono i sottintesi, non hanno humour, e hanno rovinato tutto?… Come si fa a dare dei teppisti e dei barbari a coloro che hanno lanciato pietre e sfasciato vetrine, e poi gestire tutti assieme la morte di Carlo Giuliani? Carlo chi era?»

Dopo le giornate di Genova si conclude il progetto delle Tute Bianche e rinasce, poco dopo, in quello della “Disobbedienza” il quale terminerà a sua volta nel 2004.

Una precisa area politica raccoglie le pratiche di questo progetto e le porta avanti immutate, rendendole la norma, o peggio l’abitudine, nelle piazze di tutta Italia.

«Solo una cieca ottusità può pensare di razionalizzare secondo criteri di moralità o utilità politica il gesto gratuito e passionale della distruzione, inibendo la sfrenatezza del piacere che è invece l’unica garanzia di autenticità e di senso di una rivolta.»2

Lo spettacolo

I due modi di vedere la lotta proposti negli episodi genovesi si basano sulla contrapposizione tra la “Spettacolarizzazione del rifiuto e il rifiuto della spettacolarizzazione”3 che trovano nelle “Commedie di Maggio” delle iconiche riproduzioni in miniatura.

-La spettacolarizzazione del rifiuto:

Il copione è più o meno sempre lo stesso: un gruppo di contatto, inventandosi una zona proibita da raggiungere, si lancia a peso morto sulla polizia per essere manganellato a favore di telecamera finché un Capo macho non si butta in mezzo insieme alla DIGOS e, tra urla scimmiesche e cenni di intesa, ognuno spinge indietro “i suoi”; una volta portata a casa la credibilità rivoluzionaria grazie agli scontri si conclude la pantomima sui giornali, romanzando la giornata e lamentandosi delle sorprendenti violenze della polizia e della sospensione dello Stato di diritto.

Il passo successivo e tutto contemporaneo è poi l’ossessiva esaltazione estetica delle immagini degli scontri, accompagnate da musiche di sottofondo e slogan ricondivise sui social, per il giubilo della polizia, proprio dalle stesse persone che vi hanno partecipato.

È tragicomico fermarsi un attimo a pensare che tutto questo, senza una telecamera a riprendere la scena, sarebbe completamente inutile (più di quanto già lo sia); ciò che succede in piazza, le persone presenti o l’obiettivo dichiarato, non hanno nessun valore reale, il fine ultimo è unicamente quello di raccontare sé stessi, firmare la giornata e apparire sui social, in una spirale di autocompiacimento senza fine.

Intere comunità politiche fondano le loro battaglie sulla convinzione di poter utilizzare lo strumento mediatico a proprio vantaggio, venendo poi tragicamente recuperati e fagocitati dallo spettacolo stesso o quando il nemico contrattacca davvero.

Dietro questa convinzione ci sono da un lato consapevoli opportunistx elettorali, dall’altro c’è il tentativo di qualche illusx di incasellare il gesto della rivolta come una piccola parte di un grande puzzle che ci porterà tuttx, un giorno, tramite compromessi e confronti democratici, ad una poco chiara “presa del potere” e che finisce poi, nel migliore dei casi, ad essere l’accettazione di un capitalismo un po’ più democratico, un po’ più umano (che mai sarà).

Infine fa riflettere quanto questi scontri alla giornata siano prerogativa unica di persone bianche e privilegiate; per qualcunx invece lo scontro con la controparte non è solo la totalità di un programma ma la diretta conseguenza di una postura nel mondo, nella maggior parte dei casi nemmeno voluta ma obbligata dal fatto di appartenere ad una minoranza minacciata e oppressa.

– Il rifiuto della spettacolarizzazione:

Basterebbe citare, tra i tumulti più recenti, quelli per Alfredo Cospito o per Ramy, le rivolte contro il lockdown, le eccedenze durante i cortei per la Palestina, le passeggiate rumorose dopo i femminicidi o le rivolte dentro le carceri e i CPR, dove è importante anche notare che la polizia ha tutt’altro approccio all’ordine pubblico, molto più violento e senza compromessi.

Alcuni episodi però parlano più di mille giornate e vanno riportati:

Luglio 2017, due persone fanno sesso sul balcone mentre sotto le strade di Amburgo vengono date alle fiamme dalle proteste contro il G20.

Ottobre 2019, Santiago De Chile, sono le giornate dell’Insurrezione Cilena, intorno alla carcassa di un autobus incendiato delle persone si radunano per ballare al ritmo dei colpi sul metallo, qualcuno finge di guidarlo, qualcuno suona l’arpa.

Giugno 2020, una manifestante con la maglietta “Black Lives Matter” twerka verso la polizia durante le proteste dopo la morte di George Floyd.

Non serve comunque cercare esempi in momenti di sommossa generale né tantomeno uscire dai nostri confini per rendere ancora più chiara l’idea:

Una ragazza sale sul cofano di una Tesla e ci piscia sopra durante una passeggiata rumorosa, qualcunx riscopre la sua chitarra o la gamba di un manichino come clava contro la celere, qualcun altrx gioca ad “Un, due, tre, Stella!” o improvvisa un karaoke circondatx dalla celere.

Il filo che lega tra loro queste vicende è l’interruzione della normalità a favore di un capovolgimento del significato degli oggetti e dei luoghi.

Il fine di una rivolta, che sia il calcio in bocca ad un maschio violento o i tre giorni di un rave party, è la sospensione del tempo e l’apertura di squarci nel quotidiano dentro la quale sperimentare gioiosamente avventure di libertà reale e collettiva.

Chiunque abbia provato almeno una volta la sensazione di sovversione del quotidiano conosce la bellezza di riappropriarsi di una parte di ciò che ti viene sottratto ogni giorno ma soprattutto sa perfettamente che il gesto della rivolta non ha bisogno di nessuna legittimazione o argomentazione, è giusto perché è sempre un atto d’amore spontaneo verso sé stessi e gli altri.

Ciò che ci divide dalla possibilità di vivere un gesto rivoluzionario è la difficoltà di scorgerlo quando se ne presenta l’occasione, per il semplice fatto che l’atto rivoluzionario è per definizione qualcosa che nessuno conosce ma che va inventato da zero sul momento.

Agire, bucare questo Velo di Maya, questo muro invisibile che divide noi dall’azione, richiede di coltivare una tensione al pensiero rivoluzionario capace di generare un’intuizione, un’idea; che sia quella di infrangere una vetrina o comunicare un pensiero profondo ad una persona in un momento speciale, in entrambi i casi il peso enorme dei dubbi, delle paure e delle abitudini possono facilmente oscurare il rapidissimo lampo dell’intuizione o appesantirlo fino a spegnerlo.

È desolante che proprio chi cammina al nostro fianco ed è più intimo a questi pensieri, non dia spazio a tutto questo ma anzi si adoperi attivamente per gettare acqua sul fuoco. Lx “Compagnx” che hanno appreso la militanza come un mestiere, annegatx dentro le ideologie e le strutture verticali, per lx qualx il momento di esprimere i desideri non è mai adesso ma domani, nell’avvenire rivoluzionario che loro stanno costruendo per noi.

Si finisce dunque per avere piazze in cui, invece di trovare alleatx, trovi qualcunx che, in perfetto stile “Società dello spettacolo”, mette in scena i tuoi sentimenti al posto tuo, come nel mondo di tutti i giorni; tu rimani in disparte a guardare, a consumare il prodotto e se mai ti venisse in mente di voler anche tu indossare quel casco, armare la tua ira, allora devi prima scalare la gerarchia militante o quantomeno chiedere il permesso.

Domandiamoci perché le nostre piazze, anche le più rabbiose a seguito di tragici eventi, si siano ridotte a veri e propri concerti itineranti per la città, nelle mani di qualche microfonatx che ci traghetta nella miserabile esperienza di urlare la nostra rabbia a ritmo di musica e cori esplosivi, circondatx da un cordone di polizia che ci tutela dal mondo reale.

Alcuni collettivi, nati dal furore di rivendicazioni incandescenti, si sono ridotti ad un team di organizzatori di viaggi turistici delle ricorrenza di lotta, con le istanze politiche ridotte a badge di riconoscimento e finendo poi, a volte, ad abbassarsi al ruolo di guardie quando qualcunx ha l’ardore di arrabbiarsi davvero invece di godersi il ballo di gruppo.

Non c’è da stupirsi poi se, durante i momenti di sommossa questx “Grandi compagnx” restino a braccia conserte mentre bruciano le camionette della Gendarmerie a Saint Soline o sprofondino nel divano quando esplode la rabbia per un ragazzo ucciso dai carabinieri.

È proprio questo quello che dovrebbe spaventarci di più, la messa a nudo davanti alla realtà.

La prova concreta di non saper affrontare quello che hai scimmiottato per anni, e che ti porterà, inesorabilmente, a mancare il tuo appuntamento con l’Insurrezione, a non saperla riconoscere e soprattutto a non sapere come vivertela, perché ti sei dimeticatx pure cosa desideravi.

La lotta anticapitalista non si esaurisce nella giornata di mobilitazione, nell’appuntamento col nemico, ma nella diffusione di comportamenti sovversivi, nella condivisione di spazi di libertà illegale collettivi, dove mettersi alla prova davvero in prima persona, e dove, a volte, poter anche sbagliare ma con la dignità di aver compiuto qualcosa di tuo.

Questo può accadere solo tenendo accesa la tensione verso un agire sovversivo, capire cosa significa per noi, riconoscerlo nei gesti altrui e sceglierlo tutti i giorni, dandogli spazio vitale.

Imparare a prendersi cura di se stessx e di chi ci sta vicino, decostruirsi, boicottare la linea, perché “Il conflitto non avanza linearmente, per linee di classe o soggetti affinitari, bensì si diffonde per risonanza, per cerchi di intensità, attraverso la polarizzazione dei vissuti comuni.”4

«Ai contestatori dell’Impero che insegnano alle persone a lottare per farsi concedere dei “diritti”, i nemici del totalitarismo capitalista ribattono che non ci sono diritti da elemosinare, ma la totalità della vita da conquistare. Ai primi che organizzano scontri e conflitti simbolici funzionali al mercato della rappresentazione politica, i secondi controbattono la necessità di rivolte autentiche e spontanee capaci di creare momenti di libertà immediati, effimere schegge spazio-temporali sottratte all’oppressione del dominio totalitario capitalista.» 5

Vivere nella verità

L’utilizzo del conflitto simulato, con tutte le sue aberrazioni al seguito, è figlio di un’epoca dove saper vendere la rappresentazione spettacolare di sé stessx è la chiave del successo.

La porta d’emergenza per uscire da questo teatro è quella di riconquistare una forza estetica molto più attraente, quella della verità.

Mentire su ciò che succede in piazza, esagerare nei comunicati trionfalistici tutti uguali, decuplicare i numeri delle manifestazioni, ripetere come mantra slogan fiammeggianti in piazze finte e costruite; chi pensate di prendere in giro?

A rimanere imbrigliatx in questa rete di bugie sono lx numerosx poser, opportunistx e abusers, animatorx di quelle relazioni sociali neutralizzanti che intossicano gli spazi di movimento.

A non cadere nella trappola sono invece lx migliaia di possibili giovani ribelli che a ogni spazio non concesso, ad ogni bugia, abbandonano schifatx e delusx la lotta collettiva per chiudersi nell’individualismo ed egoismo capitalista.

Invece di sacrificare energie nelle autonarrazioni teatrali è urgente tornare ad agire azione diretta, tornare a rendere le strade cornici di rivolte autentiche, capaci di attrarre almeno una parte di quella tensione che, costretta nel sottosuolo, trema sempre più forte e irrequieta. Sarà stupefacente riscoprire la potenza sovversiva del dilagare della rabbia di moltitudini furiose, per ora ancora sonnecchianti e represse.

Con la definitiva approvazione del dl Sicurezza, sotto il cielo più nero degli ultimi ottant’anni, è ora di riscoprire la nostra più feroce voglia di vivere e stare insieme, stringendosi a chi, all’ombra dello show, alleva il dubbio, si prende cura della verità e, in silenzio, affila il coltello.

Il più grande pensiero di solidarietà e affetto a Maja e Paolo in sciopero della fame per le brutali condizioni di vita nelle carceri, contro tutte le galere.

GIUGNO 2025
Teppistx, incivili, guastafeste


1 https://www.romatoday.it/politica/intervista-luca-blasi-scontri-no-decreto-sicurezza.html

2 Detour – la canaglia a Genova: https://www.rivoluzioneanarchica.it/detour-la-canaglia-a-genova-2/#/

3 Detour – la canaglia a Genova: https://www.rivoluzioneanarchica.it/detour-la-canaglia-a-genova-2/#/

4 Guy Debord. La società dello spettacolo. Parigi, 1967

5 Marcello Tarì, Il Ghiaccio era sottile – per una storia della Autonomia, Derive e Approdi, 2012, Roma

BARI: CORTEO PER LA PALESTINA

Riceviamo e diffondiamo

Sabato 14 giugno, ore 17
Piazza Umberto (Bari)

Ultimamente la causa del popolo palestinese sta venendo sbandierata a destra e a manca: ogni giorno, dai social alla televisione, assistiamo ad un genocidio, ad una violenza rumorosa e brutale. Contemporaneamente l’unica cosa che la politica è in grado di fare, quando non reprime per conto d’Israele, sono azioni puramente simboliche. Non si vuole mai fare qualcosa di concreto. Diventa una gara a chi è più ipocrita e qui in Puglia dovremmo sapere che significa.

Chi è con la Palestina non può non riconoscere la complicità delle istituzioni della città di Bari e della regione Puglia nell’occupazione e nella guerra quotidiana al popolo palestinese. Non basta pronunciare slogan, cari Leccese ed Emiliano. Se volete sostenere il popolo palestinese bisogna interrompere i finanziamenti e i rapporti con lo stato illegittimo di Israele, le aziende belliche che continuano a fornirgli armi e le banche che continuano a dare soldi.

Non basta litigare sui social con il console d’Israele in Puglia “Luigi De Santis”. Il consolato israeliano va chiuso. Questo testo allora è rivolto a chi è stancx di sentire parole vuote, di essere presx per il culo. Vediamoci in piazza e lottiamo al fianco del popolo palestinese, assieme a tutti i popoli e le persone oppresse.

BOLOGNA: PARCO DON BOSCO. BOLLETTINO E BILANCIO AL 7 MAGGIO 2025

Riceviamo e diffondiamo:

PARCO DON BOSCO: MR. SBATTI LEGALI NON FA PASSI DI LATO. BOLLETTINO E BILANCIO AL 7 MAGGIO 2025

03 aprile 2024.
Bologna, Parco Don Bosco. Mattina presto. Facce assonnate e tè caldo. Si parlotta e si scherza, tensione nell’aria, unx giovane ghirx sbadiglia su un pioppo. Arrivano le camionette, quante ce n’erano? La digos inizia già a filmare. Qualcunx ci parla, chi davvero, chi per scherzo… presto avrebbero invaso i confini del parco che proteggevamo. Le ore passano rapide scandite da grida: “Attenti! Sono entrati di là!”, “Facce schifose”, “Mi fai male!”, “Daje regaaa”. In quel prato verde le creature volevano ancora giocare a tiro alla fune, allo sparviero, all’arrampicata, a guardie e ladri. Vinsero lx ladrx mentre gridavano: “Fuori! Gli sbirri! Dal Don Bosco!”.

03 aprile 2025. La natura del Parco Don Bosco fiorisce per un’altra primavera ancora, ma un’ombra grigia si aggira tra condomini e cantieri, turbando il risveglio delle creature dopo il riposo invernale. Anche le indagini per i fatti relativi al 20 giugno sono state concluse, e la figura del Signor Sbatti Legali di cui abbiamo parlato qualche mese fa ha preso la sua forma definitiva, mostrandosi in tutta la sua arroganza: un decreto penale di condanna per il 29 gennaio, una condanna in primo grado a seguito del vergognoso pestaggio ad unx di noi da parte dei carabinieri la notte seguente al 3 aprile, due fogli di via da Bologna, tre daspo dagli eventi sportivi applicati “fuori contesto” con obbligo di firma in questura, 23 persone denunciate per le giornate di lotta del 3 aprile e del 20 giugno. Vengono contestati i reati di oltraggio, resistenza e aggressione a pubblico ufficiale, omesso preavviso di manifestazione pubblica, travisamento, rifiuto di identificarsi, lancio di oggetti, interruzione di pubblico servizio. Il tutto aggravato dal concorso con altre creature, perché non eravamo mica pochx, ma uno sciame a difesa degli alberi.

Eccoci, dunque, ancora qui. Nell’attesa che Mr. Sbatti Legali convochi tra qualche mese lx imputatx all’udienza preliminare, continuiamo a tracciare sul cemento di questa città una linea, la traccia di una storia che, seppure irregolare, tutt’oggi si scrive.
I ricordi di notti stellate tra i rami rimangono vividi, le cicatrici nei corpi e nei cuori bruciano ancora. È tempo che le creature si siedano attorno al fuoco per trarre un bilancio di quello che è stato il presidio a difesa del Parco Don Bosco.

Giocare è una cosa tremendamente seria, come la lotta; lo sapevamo allora e lo sappiamo ancora meglio adesso.

Per cosa ci battevamo il 20 Giugno? Per il parco? Certo. Per gli alberi? Ovviamente. Contro il tram? Forse. Il passaggio dal “No al progetto per le nuove scuole Besta” all’opposizione ai lavori per la tranvia non era scontato. Basti pensare a metà marzo 2024, quando la comunità del parco assistette inerme e confusa al primo taglio di alberi armato sul terrapieno di Via Serena, propedeutico al cantiere della linea rossa. Non c’è mai stata nei sei mesi del presidio permanente una riflessione condivisa sulla contestazione al progetto del tram, ma i tre mesi che hanno separato marzo e giugno sono stati sufficienti per rendersi conto che la favola di un trasporto pubblico più green non vale il taglio di un albero, né al Don Bosco né altrove. Ci pare che questo sia un aspetto positivo, che racconta di come una comunità in lotta si trasformi e maturi man mano che gli eventi procedono, e con essi cresca e prenda consapevolezza di sé e dei valori per cui battersi.

Se non ci fosse stata la resistenza del Comitato Besta, delle creature del parco, dei collettivi cittadini e di tutte quelle persone e figure leggendarie che animavano il presidio, non avremmo visto nessun passo di lato da parte del sindaco, nessuna ritirata da parte delle guardie il 3 aprile, ma solo una grossa colata di cemento sul parco. Chi oggi si trova imputatx, verrà giudicatx per azioni compiute per ragioni che hanno già vinto sul piano politico pubblico, dal momento in cui l’amministrazione ha compiuto il suo “passo di lato” bloccando un progetto di scuola ingiustificabile e insostenibile nonostante le sue stesse bugie. Invece i cantieri della tranvia proseguono, collassando la viabilità urbana e portando a un aumento di più del 50% il costo dei biglietti per il trasporto “pubblico”. Peccato che quella pista ciclabile green che avrebbe dovuto affiancare i binari di Via Aldo Moro, costata la vita ad alberi sani e adulti e qualche osso rotto ad indomite creature, non sia mai stata realizzata. Al suo posto… lo stesso marciapiede rinnovato e lo stesso terrapieno, su cui svettano oggi giovani alberi appena piantumati che impiegheranno decenni a ripristinare il ruolo ecosistemico che avevano i loro predecessori. Anche la logica ingannevole delle compensazioni si mostra nella sua ridicola limitatezza.

Il presidio al Don Bosco ha messo in seria crisi la governance cittadina. Non ha raggiunto potenzialità destituenti, ma in prospettiva ne ha avute: il moltiplicarsi dei comitati cittadini, la solidarietà proveniente da tutta Italia, gli strani e inattesi legami di complicità che si stringevano al parco. Tutto ciò ha aperto lo spiraglio di una contestazione non solo al progetto delle Nuove Scuole Besta, ma alle modalità della trasformazione urbanistica tout court. Ma anche oltre il piano locale, gli esempi di lotte territoriali sono innumerevoli e costellano tutto lo spazio nazionale. Dalla Val Susa allo Stretto di Messina, da Gallarate a Vicenza, che sia per la difesa del verde urbano o contro opere infrastrutturali e strategiche, dovunque si odono i sussurri o le grida di chi pretende e pratica modi diversi di abitare i territori. Sta a noi mettere in relazione queste esperienze e queste voci per inceppare il meccanismo di questa macchina in avaria.

La violenza subita al parco e la repressione che ne è seguita vanno comprese alla luce di questi ultimi aspetti, ma storicamente non rappresentano una novità o una variabile. Il tentativo è stato quello di disinnescare “l’effetto Besta”, scongiurare nuove “commistioni pericolose” e spezzare i legami di solidarietà attraverso il solito braccio forzuto di uno Stato sempre più armato, levatosi a difesa e con la complicità di un’inquietante amministrazione di sinistra, il cui consenso è sempre più fragile. Una debolezza di senso svelata nelle scioccanti scene in cui le forze dell’ordine si aggrappano alle gambe nude di persone arrampicate sugli alberi. Ecco la stupidità ingiustificabile di chi è cieco e sordo, in contrapposizione agli sguardi spaventati e i sussurri di incoraggiamento provenienti dallx bambinx delle scuole Besta, che ci guardavano incredulx attraverso il cortile.

A riprova di quanto fosse pericolosa la commistione che si era creata al parco (citazione letterale del preoccupato Questore), la mano della legge ha estratto dalle varie aree che formavano l’eterogenea composizione del presidio: tra le persone denunciate troviamo studentx delle superiori, dei vari collettivi politici, quasi tuttx giovanissimx e non riconducibili al volto pubblico del comitato. Un paio di persone per area sono state isolate, e poi colpite. Nonostante queste tattiche divisive, stiamo assistendo all’effetto opposto all’isolamento: la solidarietà come arma trasversale, orizzontale e universale.

Siamo consapevoli che i mesi trascorsi dalla fine del presidio abbiano lasciato in moltx un vuoto difficile da colmare. Ma crediamo anche che tante delle energie che avevano trovato nel parco un luogo in cui confluire scorrano ancora per le vie di Bologna: le occupazioni studentesche, le rivolte per Ramy, le manifestazioni contro il genocidio palestinese e tutte le guerre colonialiste, i movimenti contro la precarietà abitativa e salariale, le piazze contro la violenza di genere e il patriarcato o le politiche securitarie, sono i segni di un quadro che si stravolge. Forse quel vuoto non chiede di essere riempito con le risposte corrette, ma con le giuste domande.

L’esito del processo giudiziario dipenderà anche da quella variegata comunità e dalla sua capacità di ribaltare nuovamente i rapporti di forza e restare unita. Una lunga attesa ci si para davanti: anni di una lentezza giudiziaria inconciliabile con l’incalzare frenetico del sistema capitalista. Di questo ritmo rallentato vogliamo fare tesoro, calandoci nei ricordi e passandoli alla memoria collettiva, affinché possano ispirare futuri orizzonti di lotta.

Creature contro la repressione
7 maggio 2025

DENY, DEFEND, DON BOSCO!

Puoi continuare a sostenerci nelle spese legali con un bonifico da inviare a:

IBAN: IT75 G050 1802 4000 0002 0000 431
Intestatario: Rete Ecologista Solidale Emilia Romagna
Causale: “Sostegno spese legali vertenza ecologista
parco Don Bosco”


Pdf per stampa e diffusione:
Parco Don Bosco_bollettino_7_maggio

IL PONTE SULLO STRETTO E IL DECRETO SICUREZZA

Diffondiamo

VIETATO LOTTARE CONTRO LE GRANDI OPERE

Il decreto legge in materia di sicurezza è stato definito da moltx il decreto anti-no ponte. Vengono difatti inasprite le pene per i “danni di imbrattamento e danneggiamento di edifici pubblici durante manifestazioni e inserite aggravanti per chi protesta contro opere pubbliche e strategiche come il Ponte sullo Stretto o il Tav”. Sembra chiaro che una parte del decreto legge abbia come focus reprimere il dissenso che la lotta alle grandi opere porta nelle piazze.

LA REPRESSIONE DEL DISSENSO

Opporsi alla costruzione di ecomostri come questo diventa centrale in un territorio come la Sicilia, devastata dalla siccità, dagli incendi – come è successo a Stromboli – e dalla costante turistificazione e militarizzazione che pervade gli spazi urbani e rurali. Magari nella speranza che il ponte lo costruiscano sfruttando il sovraffollamento nelle carceri?

WE BUILD – TRA GRANDI OPERE E DETENZIONE

A trarne vantaggio saranno i potenti. We Build ad esempio, azienda che ha costruito 14 edifici nella base di Sigonella, che si sta occupando del raddoppio ferroviario in Sicilia e che ha firmato un protocollo di intesa con il Ministero della Giustizia per la formazione professionale e il reinserimento lavorativo dei detenuti. L’azienda si impegna a formare professionalmente detenuti selezionati dal DAP, con particolare attenzione a quelli in possesso di specifiche attitudini e con fine pena breve. Successivamente, i detenuti potranno essere assunti nei cantieri delle società collegate a Webuild.

IL RUOLO MILITARE

Che il Ponte sullo Stretto serva solo per agevolare i trasporti ed il commercio è chiaro. Quello che non è chiaro è quale commercio e quali trasporti agevolerà. Oltre al turismo sfrenato che già rovina l’Isola e impoverisce lx abitantx a favore di pochx, si dice che il Ponte potrà essere utilizzato per trasportare materiale bellico, nonostante i rapporti negativi al riguardo: non risulta poi così strano che il Ponte possa essere attraversato per raggiungere l’aeroporto militare di Trapani Birgi o la base Usa di Sigonella (base operativa utilizzata anche per commettere il genocidio palestinese).

DEVASTAZIONE E SACCHEGGIO

La lotta No Ponte è una lotta che parla dei problemi più evidenti del sistema in cui viviamo: devastazione ambientale, militarizzazione della città (1082 telecamere nella sola città di Messina), crisi abitativa, estrattivismo, carcere. L’imposizione di questo dispositivo funzionale alla messa a profitto e al controllo del territorio necessita di un organico che ha familiarità con le tattiche repressive più violente. Per questo vediamo investire personaggi legati agli abusi polizieschi G8 di Genova nelle cariche di dirigenza delle forze dell’ordine proprio nell’area di Messina e dintorni.

TERRITORI CHE RESISTONO

Alla luce di queste considerazioni: chi devasta e saccheggia il territorio? Quelli che si oppongono alle grandi opere o quelli che le costruiscono?
Noi non abbiamo dubbi, siamo No Ponte, ed è per questo che invitiamo chi parteciperà al corteo del 17 maggio “Liberiamoci dal Decreto Sicurezza” a raggiungere a Messina lx compagnx il giorno successivo, il 18 maggio!

Dopo il corteo a Catania ci vediamo a Messina! Non mancare!


Per maggiori info segui:
– Stretto LibertariA
– Contro il nulla che avanza
– Materiale Piroclastico

DA BOLOGNA A MESSINA: L’UNICO PONTE CHE VOGLIAMO È LA SOLIDARIETÀ TRA INSORTX

Diffondiamo

Colate di cemento, cantieri, speculazione edilizia, disboscamento, grandi opere, repressione… da nord a sud, continuano spietati i piani di dominio e distruzione del vivente, che intendono sacrificare corpi, comunità e territori sull’altare del “progresso”. A questo ricatto del progresso noi non ci stiamo: la lotta contro il ponte sullo stretto riguarda tuttx noi, perché significa lottare contro un modello di sviluppo che non è altro che devastazione delle nostre città e delle nostre vite.

Da Bologna a Messina e alla Sicilia tutta, intrecciamo le lotte e rilanciamo la solidarietà!

«Se invece fossimo il vento e la sabbia che si incontrano e si fanno bufera? Se fossimo le onde che stanno per rompersi? Siamo la forza delle nostre montagne e i nostri sogni sono radici di ginestra che cresce nel fuoco. Siamo pazienze stanche pronte a vendicarsi. […] Nelle vene ci scorre il sangue brigante delle lotte passate. La nostra vita non è in vendita!»

“TUTTI GLI OCCHI SU KASHMIR. TUTTI GLI OCCHI SU PALESTINA” (ita/urdu)

Riceviamo e diffondiamo

Testo in italiano: 

TUTTI GLI OCCHI SU KASHMIR. TUTTI GLI OCCHI SU PALESTINA.

Hindutva e sionismo: complici nella repressione.
Due ideologie forgiate nella stessa fucina dell’oppressione. Nazionalismo etnico che schiaccia interi popoli, mentre il mondo osserva in silenzio.
Non sono “conflitti”: è colonizzazione sistematica, pulizia etnica, apartheid.
Kashmir come Palestina: checkpoint, censura, prigioni senza processo, case demolite, confini imposti a colpi di fucile.
Non è questione di fedi. È la nuda logica del dominio.
Il tuo silenzio è complicità. La tua neutralità, codardia.
Resistere non è un’opzione. È sopravvivere. Resistenza è esistenza.

Transfemminist3 antirazzist3 complici e solidali con i popoli resistenti. 


Testo in urdu: 

   دںیاکےلےاعلان 
اج ہہم زالمون کے خلاف اور مظلوم کے حق میں اور انسان اور انسانی حاقوق کی پاسداری اور دنیا کی سلاتی کے لییے .
ہم سوال اٿھاتےان لوگوں 
دنیا کے لییے امن اور پایدار امن بنانے کے لیے سخت ہکمت املی کی زارورت ہے دن
تمام نظریں کشمیر پر۔ تمام نظریں فلسطین پر ہیں۔
ہندوتوا اور صیہونیت: جبر میں شریک۔
ایک ہی جبر میں دو نظریات گھڑے ہوئے ہیں۔ یہ نسلی قوم پرستی جو پوری قوم کو کچل دیتی ہے جبکہ دنیا خاموشی سے دیکھ رہی ہے۔
یہ “تنازعات” نہیں ہیں: یہ منظم نوآبادیات، نسل کشی ، نسل پرستی ہیں۔
کشمیر فلسطین کیطرح : چوکیاں، سنسر شپ، بغیر مقدمے کے جیلیں، مسمار مکانات، گولیوں سے مسلط سرحدیں۔
یہاں ایمان کا سوال نہیں ہے۔ یہ تسلط کی ایک ننگی منطق ہے۔
آپ کی خاموشی آپس میں ملی بھگت ہے۔ تمہاری غیر جانبداری، بزدلی ہے ۔
مزاحمت کرنا کوئی آپشن نہیں ہے بلکہ یہ بچاؤ کرنا ہے۔ مزاحمت ہی وجود ہے۔”

Transfeminist3 antiracist3 ساتھی اور مزاحمتی لوگوں کے حامی۔