CATANIA: APPELLO PER UNA MOBILITAZIONE UNITARIA CONTRO LEGGI REPRESSIVE E STATO DI GUERRA

Assemblea regionale per una mobilitazione unitaria contro leggi repressive e stato di guerra
6 aprile ore 15.30
Palestra Lupo (Catania)


Di seguito il testo dell’appello:

La repressione nel territorio

La repressione in Sicilia si snoda tra una cinquantina di nodi nevralgici sparsi su tutto il territorio: carceri, CPR, CPA e basi militari. L’isola, ospitando 23 carceri sulle 94 presenti nel territorio italiano e 4 istituti penali per minorenni su 17, detiene il triste primato del maggior numero di detenuti per abitante. Solamente nel 2022 in Sicilia, ci sono stati 5 tentativi di suicidio negli istituti penali per minorenni (su un totale nazionale di 12); nelle carceri, nello stesso anno, sono “state suicidate” dallo stato 11 persone (su 85 totali in Italia); 8 i morti nel 2023. Le carceri siciliane si distinguono per la violenza sistematica utilizzata contro i detenuti, oltre che per l’inumano sovraffollamento. Nel 2025 sono stati imposti dei nuovi divieti che proibiscono l’ingresso di alcune tipologie di abiti e di alimenti.(1)

Questo ha provocato una serie di proteste come battiture e scioperi del carrello che hanno visto picchi di partecipazioni altissimi, soprattutto a Siracusa e Palermo (700 al Cavadonna e 400 al Pagliarelli). Il nostro territorio è in prima linea nella guerra ai migranti ospitando 3 CPR su 8(2), 5 Hotspot su 6(3) e 2 CPA su 9(4). A completare il complesso mosaico repressivo sono le strutture militari segno tangibile della natura coloniale dell’isola, in prima linea nella sempre più vicina guerra “guerreggiata”. Sono presenti nel territorio, oltre ai presidi militari dell’Esercito Italiano anche la Stazione aeronavale dell’esercito statunitense a Sigonella; il MUOS presso la Sughereta di Niscemi(5); l’Aeroporto Militare di Trapani Birgi(6); il Porto di Augusta(7); RADAR a Lampedusa, Noto, Marsala(8)

La corsa al riarmo

L’accelerazione della morsa repressiva dello Stato è ancora più tangibile in questi ultimi mesi. La comunità internazionale assiste complice del genocidio in Palestina, lo Stato Italiano e l’Unione Europea continuano ad appoggiare il criminale governo di Israele e si lanciano in una sfrenata corsa agli armamenti a livello globale. Attraverso ReArm Europe sono previsti 800 miliardi di investimenti per l’ampliamento delle spese belliche a discapito delle spese sociali, trasformando il welfare europeo in un warfare. Oggi l’Italia spende per la difesa 33 miliardi di euro (sono evidenti gli aumenti nell’ultima finanziaria); con il piano
europeo il nostro Paese, entro quattro anni dovrebbe spendere circa 70 miliardi, intorno al 3% del Pil che spingerebbe il disavanzo pubblico dal 3,4% registrato nel 2024 al 5%. Queste risorse andranno drenate da altre voci di spesa (pubblica amministrazione, aiuti allo sviluppo, sostegno della cooperazione e delle fragilità, sanità e istruzione) contribuendo a demolire le ultime tracce di welfare.

Il fronte interno

Il conflitto tra Russia e Ucraina dimostra come sia essenziale la capacità di controllo, la manipolazione delle coscienze, la pacificazione di ogni forma di conflitto interno. Lo strumento strategico ideato dal governo per neutralizzare ogni forma di dissenso è il ddl 1236 (ex ddl 1660), ormai di fatto approvato al Senato che a breve sarà legge dello stato. Include una serie di provvedimenti che colpiscono penalmente ogni forma di lotta; segna una nuova fase nel processo di invisibilizzazione dei migranti e peggiora i luoghi di detenzione amministrativa, trasformandoli in lager fuori dal diritto penale; rende ancora più critica la situazione nelle carceri; criminalizza ulteriormente i salvataggi in mare equiparando navi della guardia Costiera a navi da guerra; favorisce l’aumento delle armi possedute dagli agenti di pubblica sicurezza, creando di fatto attorno a loro uno scudo legale e penale. Il disegno di legge contiene la “norma anti-No ponte” integrato nell’art. 19, un emendamento che introduce aggravanti per tutti gli atti finalizzati all’impedimento della realizzazione di infrastrutture ritenute strategiche tra cui il TAV e il Ponte sullo Stretto. Il Ponte, presentato dal governo come un’opera strategica necessaria alla vita dex sicilianx, è una devastante truffa sociale e ambientale. Andrebbe edificato in un’area ad alto rischio sismico costantemente instabile. Costerebbe più di 14 miliardi di euro, fondi che andrebbero destinati a reti ferroviarie, strade e porti. Fino ad ora è già costato centinaia di migliaia di euro, prelevati dai Fondi di Coesione e Sviluppo di Calabria e Sicilia, originariamente pensati per ridurre divari socio-economici che avrebbero dovuto supportare la micro impresa e finanziare la tutela dell’ambiente, la promozione della cultura, dell’istruzione, della formazione e il miglioramento della salute. Di contro, sono stati il salvadanaio del malaffare siciliano. L’opera determinerebbe un irrimediabile impatto ambientale, modificando irreversibilmente l’ecosistema, distruggendo la bellezza paesaggistica. Andrebbero demoliti interi paesi, con relativo spostamento coatto dei residenti e chiusure delle attività economiche esistenti. Nonostante ci siano, ormai da decenni, possibili alternative alla promozione della mobilità (dal potenziamento dei porti all’apertura di nuovi aeroporti), il governo insiste nel progetto eco-mostro, ai danni della popolazione di Sicilia e Calabria.

STUDENTƏ REPRESSƏ

Secondo il nuovo art 31 del ddl, se studentx o docente dovessero partecipare a un movimento politico o fossero attivistx di una associazione, l’Università dovrebbe comunicarlo su richiesta dei Servizi Segreti. Lo stesso avverrà se un professore insegna in aula argomenti ritenuti “pericolosi” o sovversivi. Purtroppo già è stato eclatante il caso del professor Raimo, sanzionato e sospeso, per aver criticato il ministro Valditara. Il governo vuole limitare le possibilità degli studenti di apprendere di più su temi di attualità, di sviluppare un pensiero critico e soprattutto di esprimere il proprio dissenso e ribellarsi. Per gli studenti, come per tutte le altre soggettività, sarà più difficile manifestare visto il rafforzamento dei controlli e l’aumento del potere garantito alle forze di polizia, ormai legittimate a intervenire sempre. Chi partecipa a manifestazioni non autorizzate, rischia multe che possono variare da 2.000 a 10.000 euro; queste sanzioni sono applicabili alle proteste che vengono giudicate “minacciose” per l’ordine pubblico, anche senza episodi di violenza diretta. Se la manifestazione sfocia in episodi di violenza o danneggiamenti a persone o cose, le pene possono essere la reclusione da 1 a 4 anni. L’intento è di intimorire i giovani, che spesso sono protagonistx di proteste su temi come l’ambiente, l’istruzione, i diritti civili o le strutture scolastiche fatiscenti nelle quali quotidianamente si tengono le lezioni senza alcuna sicurezza. Ciò solleva una domanda cruciale: fino a che punto un governo può limitare il diritto di protestare per garantire “l’ordine pubblico”? Il ddl sicurezza propone una serie di modifiche giuridiche liberticide per punire i soggetti che non abbassano la testa di fronte alle ingiustizie e protestano per chiedere giustizia climatica, contro le “grandi opere” o che si oppongono al PCTO. A Catania, ad esempio, all’istituto tecnico aeronautico Arturo Ferrarin è OBBLIGATORIO partecipare alle attività tenute nella base NATO di Sigonella(9). Chi prende posizione contro le ingiustizie sociali e politiche, rischia di essere privato della propria libertà di espressione e penalizzato.

La Rete No DDL Sicurezza Catania

In continuità con i lavori del ddl al Senato, il Ministro degli Interni, quale segno tangibile della nuova politica di governo, ha promosso anche l’istituzione delle “Zone Rosse”, aree sottoposte a controlli intensificati di pubblica sicurezza, in tantissime città italiane, anticipando i dispositivi e le logiche del ddl. La prefetta di Catania ha subito risposto alla sollecitazione decretandone sei. L’opposizione alle Zone Rosse è stata un tratto fondante della neo costituita Rete No DDL Sicurezza Catania, un soggetto politico eterogeneo, autoconvocato, animato da militanti e attivisti di gruppi organizzati e soggettività autonome, nato lo scorso novembre, attraverso una prassi di organizzazione orizzontale ben definita: le assemblee cittadine pubbliche itineranti sono state unico luogo di discussione e decisione politica; settimanalmente sono state costruite iniziative informative, supportate da volantinaggi e affissioni. Ogni evento ha segnato un momento di riappropriazione temporanea di uno spazio pubblico (piazza, strada, giardino, ville). Sono stati numerosi i momenti di lotta, per allargare la partecipazione alla mobilitazione, non solo in modo quantitativo ma anche qualitativo. I cortei e le azioni dirette, unite ad una massiccia opera di contro informazione che ha coinvolto le strade e le piazze oltre che i canali social, hanno permesso alla mobilitazione di crescere e di porsi nuovi obiettivi come il contrasto del modello Caivano che dovrebbe essere applicato nel centrale quartiere di San Cristoforo; la mobilitazione del fronte cittadino in difesa di produzione, distribuzione e uso della Canapa light; il contrasto di logiche di gentrificazione e turistificazione selvaggia, imposte alla popolazione come unico modello di sviluppo economico possibile, difese attraverso misure di controllo poliziesco e retorica del decoro.

L’appello

Il carattere marcatamente repressivo presente nel ddl 1236, ma anche nel dl “Caivano” della direttiva “Zone Rosse” e persino nelle modifiche al codice della strada tende, non solo, a risolvere ogni questione sociale attraverso misure penali(10), ma sposta il soggetto del diritto: dalla tutela della collettività verso la tutela dell’autorità pubblica scivolando in direzione della legge marziale. Legge emergenziale d’eccellenza, che qui, presuppone l’intento specifico di colpire, anche preventivamente, là dove le lotte si intersecano con il disagio e lo organizzano proponendo soluzioni militanti. Perseguendo un’alleanza con le forze di polizia, protagoniste dell’avvitamento repressivo e destinatarie di robuste politiche di sostegno. Crediamo che un aspetto della lotta, fondamentale per sbaragliare i piani del nemico, sia la solidarietà, bersaglio principe del disegno di legge 1236. In quanto ricorrono nel testo veri e propri tentativi di colpire individui e disarticolare reti sociali, sanzionando chi supporta gli occupanti di edifici pubblici a scopo abitativo, cercando di spezzare la solidarietà all’interno delle carceri tra i detenuti (e con chi sta fuori) e attraverso il neonato “reato di parola”, volto a colpire lo scambio e la diffusione d’informazioni. Per rilanciare la complicità e la solidarietà tra sfruttatx/oppressx, pensiamo sia necessario provare a costruire insieme in Sicilia una mobilitazione unitaria, che possa affinare legami e pratiche, utili a combattere la repressione nel nostro specifico territorio. Vogliamo ribaltare la narrazione di una Sicilia disomogeneamente abitata e vissuta, una terra d’emigrazione, talvolta deserta, arretrata, abbandonata, perfetta unicamente per edificare basi militari e strutture detentive, come cattedrali nel deserto, isolate, mute ed occultate alla vista.

Riteniamo necessario che proprio dalla Sicilia si alzi una voce contraria, forte ed unita per contrastare i progetti repressivi e guerrafondai previsti dallo Stato Italiano per quella che considera una debole colonia periferica e silenziosa. Sappiamo quanto sia necessario che la mobilitazione esondi fuori dai circuiti militanti cittadini. Crediamo non si possa più indugiare. Ci appelliamo pubblicamente a organizzazioni, realtà politiche, individualità che condividono le analisi trattate in questo appello a partecipare alla costruzione di una mobilitazione regionale contro leggi repressive e stato di guerra.

Con il nostro cuore rivolto al genocidio palestinese, forma repressiva più estrema ed
espressione massima di brutalità e annichilimento di una intera popolazione. Stop Genocide! Free Palestine!

No ddl Sicurezza Catania.


1 come salumi, pesce, formaggi (solo se stagionati), farina, lievito, vino e birra.
2 Centri di detenzione per le persone senza permesso di soggiorno, quindi deportabili nei paesi detti
“di origine”.
3 Centri di identificazione e confinamento per coloro che sono appena sbarcatx.
4 Centri Governativi di Prima Accoglienza di trattenimento coatto, per coloro che riescono a
presentare una domanda di protezione internazionale.
5 Mobile User Objective System è un sistema di comunicazioni satellitari (SATCOM) militari ad alta
frequenza(UHF).
6 stazione di rifornimento delle Forze di Mobilità Aerea statunitensi che ospita gli aerei-radar AWACS
e i caccia della NATO.
7 stazione di rifornimento della marina militare italiana e statunitense.
8 avamposti dell’aeronautica militare italiana in cui sono installati dispositivi di ultima generazione,
fabbricati dalla Leonardo SPA, presente con varie dislocazioni sul territorio.
9 pensate per indurre a scegliere un percorso di addestramento militare piuttosto che un percorso di
studi civile, svolte e finanziate dalla Leonardo, azienda leader nella produzione di armi.
10 cd. panpenalismo già ampiamente utilizzato nei cd. Pacchetti di sicurezza degli ultimi 25 anni.

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BRINDISI: RESOCONTO DEL PRESIDIO AL CPR DI BRINDISI RESTINICO

Riceviamo e diffondiamo

Mercoledì 19 marzo un gruppo di solidali è stato fuori dal CPR di Brindisi Restinco per un breve saluto allx reclusx. Come altri cpr sul suolo italiano, il luogo si trova fuori dalla città, in un’area militarizzata, con alti muri di cinta e pali ancor più alti muniti di telecamere 360°.  La struttura detentiva si trova nello stesso vetusto complesso del CARA, separata all’interno da un altro muro. É paradigmatico del trattamento delle strutture detentive (non solo per soggetti migranti) in questo paese l’aver non solo relegato in remota periferia il CPR/CARA, ma anche la virtuale impossibilità di trovarne traccia sulle mappe, che riportano solo la dicitura “CARA”. Questo è per noi un ulteriore tassello dell’invisibilizzazione e marginalizzazione delle persone deportate in questi luoghi e, perché no, della loro disumanizzazione agli occhi della cosiddetta “società civile” tutta.

Lx solidalx hanno iniziato a gridare cori di solidarietà a cui subito è arrivata risposta da dentro, colpi sulle celle e grida che dicevano “libertà”, “aiuto” e “siamo bambini”. Si è provato a chiedere cosa intendessero con quest’ultima frase ma non si è ricevuta risposta e non si sa bene come interpretarla, probabilmente è in riferimento al fatto che ci sono persone molto giovani rinchiuse lì dentro. Lo scambio è durato poco e sono stati portati i saluti anche dallx compagnx di Napoli e tutta la solidarietà possibile ad M e A, che sono ora rinchiusi nel cpr di Brindisi. Loro vivevano a Napoli da decenni, prima di essere arrestati dopo un blitz nell’ex-chiesa in cui dormivano con altre persone, portati nella questura di Napoli e subito dopo nel cpr. Poco importano le situazioni personali e familiari di M e A: il giudice di pace ha da poco confermato la convalida delle loro detenzioni. L’obiettivo è sempre quello, rinchiudere e deportare chi non ha i “buoni” documenti, ancora di più se è poverx e non biancx. La storia di M e A mostra anche che i cpr sono utilizzati anche per quei territori, come Napoli, in cui non ci sono centri di espulsione. La logistica della detenzione e dell’espulsione funziona senza sosta e in ogni punto del territorio, bastano uno sbirro zelante, un controllo di documenti, una cella di sicurezza in una questura.

Questo avviene ancor di più nei centri urbani, attraverso l’ introduzione delle zone rosse, volte all’ allontanamento dei soggetti “pericolosi”, parcheggiatori abusivi, o comunque gente marginalizzata dalle piazze che ancora non sono turistiche, come stiamo vedendo accadere a Bari.

Per questa ragione,come rete attiva sul territorio contro ogni struttura detentiva, sentiamo la necessità di opporci all’inasprimento della repressione che tutela il mantenimento del divario fra la città vetrina e il ghetto, attraverso la costruzione di ponti e relazioni fra chi combatte ogni giorno per espandere il fuoco della solidarietà.

 

INDONESIA: RIVOLTE CONTRO LA LEGGE MILITARE E RIVENDICAZIONE DELL’ATTACCO INCENDIARIO CONTRO LA BANCA MONDIALE

Diffondiamo:

Migliaia di persone stanno protestando in Indonesia contro la legge che militarizza lo Stato. Secondo quanto riferito, sono in corso rivolte in tutto il Paese. Molti giovani scendono in strada portando simboli anarchici. La polizia antisommossa attacca il movimento e dirotta persino le ambulanze che trasportano attivisti feriti che dovrebbero essere curati in ospedale.

Vengono attaccate stazioni di polizia e parlamenti regionali. La Camera dei Rappresentanti indonesiana ha approvato una revisione della Legge militare, che consente agli ufficiali militari di assumere più incarichi di governo e di assumere incarichi civili senza dimettersi dalle Forze armate nazionali indonesiane.

Per protesta, dal 20 marzo studentx, anarchicx e altrx antiautoritarix stanno organizzando manifestazioni di piazza simultanee in diverse città del Paese in risposta alla promulgazione della legge.

I critici sostengono che tale cambiamento potrebbe portare ad abusi di potere, violazioni dei diritti umani e impunità politica per il personale dell’esercito, ricordando l’era del dittatore Suharto, che ha lasciato l’incarico nel 1998.


RIVENDICAZIONE DELL’AZIONE INCENDIARIA DI RIFIUTO DELLA LEGGE SULL’ESERCITO NAZIONALE E CONTRO LA BANCA MONDIALE. SCRITTO DA UN GRUPPO DI AFFINITA’ INFORMALE.

Rifiutiamo la legge sull’esercito nazionale – Niente Regole, Solo Caos – Brucia la Banca Mondiale

Siamo responsabili dell’incendio di due bancomat della Hana Bank, dell’edificio degli uffici della Hana Bank, di un cartellone pubblicitario di proprietà di qualche capitalista e di un veicolo appartenente all’Esercito Nazionale Indonesiano. L’incendio doloso è avvenuto dopo una manifestazione contro l’approvazione della Legge sull’Esercito Nazionale Indonesiano (Legge TNI); il fuoco è stato appiccato a Bandung, Giava Occidentale, venerdì 21/03/2025.

L’azione condotta dai manifestanti davanti alla Camera dei rappresentanti regionale (DPRD) non è stata affatto ignorata dalla polizia antisommossa, nonostante il lancio di molotov, propano, pietre e petardi sulla terrazza dell’edificio. Finché, alla fine, abbiamo optato per un’azione diretta bruciando diversi punti della zona.

Siamo completamente al di là dell’autorità del linguaggio dello Stato e del capitalismo; siamo l’irrazionalità, siamo una forma illogica di fronte all’autorità del linguaggio stesso. Siamo una delle organizzazioni informali apocalittiche che non credono nell’avvento dell’illuminazione domani, perché per noi il futuro è una nuova forma di sofferenza. Siamo un fuoco che nella notte divora interi edifici cittadini. Non crediamo nella rivoluzione della sinistra o di altri anarchici sociali. Siamo scrittori e poeti; l’insurrezione è poesia, la poesia è insurrezione.

Morte allo Stato!
Morte all’esercito nazionale!
Morte a tutta la civilità!
Bruciate la Banca Mondiale!
Viva la Cospirazione delle Cellule di Fuoco!
Viva la Libera Associazione del Fuoco Autonomo!
Viva la FAI/FRI!
Viva l’anarchia!

TORINO: PRESIDIO SOTTO LE MURA DEL CPR E ASSEMBLEA PUBBLICA

Diffondiamo:

I CPR BRUCIANO ANCORA:
CONTRO IL RAZZISMO DI STATO E I SUOI COMPLICI

PRESIDIO SOTTO LE MURA DEL CPR
DOMENICA 30 MARZO ORE 14.30
C.SO BRUNELLESCHI ANGOLO VIA MONGINEVRO

Dopo due giornate di presidi e cortei per le strade adiacenti al Cpr di corso Brunelleschi, che hanno bloccato la normalità del quartiere di Pozzo Strada per qualche ora e dimostrato la propria ostilità nei confronti della riapertura di un lager di stato, sentiamo la necessità di continuare a stare sotto quelle mura per portare solidarietà a chi viene privato della libertà.

Poco più di due anni fa, il CPR di Torino veniva distrutto dalla rabbia dei reclusi, rendendo materialmente più fragile un tassello della macchina delle espulsioni. Dopo quelle infuocate giornate invernali, numerose sono state le rivolte, le evasioni e gli scontri con la polizia, che hanno caratterizzato e continuano tutt’ora a scandire la quotidianità all’interno dei centri di detenzione amministrativa. Per due anni Torino è stata privata di uno strumento di tortura e deterrenza verso le persone senza un documento europeo; ora il governo italiano, con la complicità del nuovo ente gestore Sanitalia, a partire dallo scorso lunedì 24 marzo ha reso di nuovo operativo il Cpr per continuare a propagandare e guadagnare sulla vita delle persone razzializzate e povere.

Sta a noi cercare di ostacolare il razzismo di Stato e rendere la solidarietà il più tangibile possibile: è sempre più urgente e fondamentale provare a stare in strada, creare nuove complicità e supportare chi è costretto a subire la violenza strutturale della detenzione amministrativa.

AGGIORNAMENTI DAL CPR DI TRAPANI MILO

Continuiamo a diffondere gli aggiornamenti della rete siciliana contro il confinamento, chiedendo la chiusura immediata di tutti i CPR !

Violenza strutturale, grida di aiuto, rivendicazioni di dignità e libertà: voci dal CPR di Trapani

Circa 150 persone si trovano trattenute in queste ore nelle gabbie del CPR di Trapani.
Il CPR è uno strumento di deterrenza e tortura volto a soggiogare le persone, minarne i desideri, impedire la libertà di movimento.

Ieri le persone trattenute hanno iniziato uno sciopero della fame, contro la detenzione e contro le condizioni disumane in cui sono costrette nella vita quotidiana. Chiedono libertà e dignità.

A fronte di una sistematica privazione dei telefoni cellulari, della distruzione delle telecamere dei dispositivi talvolta concessi, e della soppressione violenta dei tentativi di queste persone di documentare la vita in questi luoghi, alcune di loro sono riuscite a farci arrivare le loro voci, i loro pensieri, le loro grida di aiuto.

h.18,00 – 24 Marzo 2025

M.
„Vogliono prenderci il telefono per non farci raccontare cosa succede. Siamo in sciopero della fame. Non ce la facciamo più a stare qui. Non ce la facciamo più. Abbiamo cominciato oggi 24 marzo.”

A.
“Un tunisino ed un egiziano una settimana fa hanno fatto la corda [ndr. hanno provato ad impiccarsi] perché sono da tanti anni in Italia, e piuttosto che il rimpatrio è meglio la corda.”

M.
“Ora sono qui fuori con caschi e manganelli per picchiarci. Tra poco ci toglieranno anche questo telefono che usiamo in 40. Hanno rotto il video del telefono, prima di darcelo. Ora vogliono togliercelo. Perchè?
Ecco stanno entrando con i bastoni per menarci.
Aiuto. Abbiamo bisogno di aiuto. Perché tutto questo?
BASTA. Basta. Aiuto. Aiutateci.”

h. 2.00 – 25 Marzo 2025

A.
“Ci hanno riempito di botte. Ci sono 9 feriti. Qui ci sono tanti “piccoli”, ragazzi di 19, 20 anni. Dormono adesso. Sono tutti stanchi.
Siamo trattati peggio degli animali. Peggio dei cani.
Abbiamo letti di cemento e lenzuola di carta.
Ci danno un rotolo di carta igienica per 15 giorni.
Fate vedere dove viviamo e come viviamo.”

https://sicilianoborder.noblogs.org

NUOVA PUBBLICAZIONE: ALCUNI SCRITTI SU KAMINA LIBRE. IDENTITÀ IRRIDUCIBILI DI UNA LOTTA ANTICARCERARIA

Diffondiamo

È uscito il libro “Alcuni scritti su Kamina Libre, identità irriducibili di una lotta anticarceraria”. Il libro, nato dalla tesi di laurea del compagno prigioniero Francisco Solar e poi ampliato, racconta l’esperienza del collettivo di prigionieri Kamina Libre nato nel 1995 nel carcere di Santiago del Cile, che per anni ha portato avanti uno scontro permanente all’interno del Carcere di Alta Sicurezza (CAS) cileno fino ad ottenere il “ritorno in strada” di tutti i suoi membri. La prima presentazione è avvenuta all’interno della sedicesima Tatoo Circus benefit per prigionier* a El Paso (Torino). Nella discussione di sabato 15 l’esperienza di lotta del Kolektivo Kamina Libre tra gli anni Novanta e i Duemila nelle carceri cilene è stata messa a confronto con altre esperienze di lotta dei/delle detenuti/e, come la COPEL in Spagna negli anni Settanta, per riflettere da differenti prospettive sull’autorganizzazione dei/delle prigionieri/e e sul rapporto dentro-fuori dalle mura del carcere. Perché parlare di Kamina Libre oggi? Come espresso da Francisco nella sua prefazione al testo “l’esperienza di Kamina Libre ci mostra l’importanza di portare avanti un atteggiamento combattivo in carcere, di portare avanti in modo autonomo giornate di lotta al suo interno, così come di generare legami di complicità con ambienti solidali, sostenendo una pratica reale di attacco. Scrivere oggi di Kamina Libre significa parlare di scontro e autonomia”.

Dall’introduzione italiana:

Identità irriducibili. Contributo alla traduzione italiana

Oggi attraversiamo un momento cruciale della situazione giuridica del compagno Marcelo Villarroel Sepúlveda nelle carceri cilene, da qualche mese è iniziato un ricorso per cercare di annullare le condanne inflitte dalla giustizia militare durante il periodo di Pinochet che persistono sul compagno.

Marcelo fu arrestato per la prima volta nel novembre 1987, all’età di 14 anni, accusato di aver svolto attività di propaganda armata contro la dittatura all’interno di un liceo di Santiago e per la sua militanza nel MAPU-LAUTARO, un’organizzazione politico-militare marxista-leninista attiva contro la dittatura di Pinochet e nella successiva transizione democratica. Nel 1992 venne di nuovo arrestato dopo due anni di clandestinità nei quali fu ricercato sempre per la sua militanza nel MAPU-LAUTARO, che intanto, dopo la fine della dittatura di Pinochet nel 1990, aveva deciso di continuare la lotta armata “contro il riposizionamento capitalista mascherato da democrazia”. L’operazione antiterrorismo coinvolse trenta agenti e culminò in uno scontro armato che procurò a Marcelo tre ferite di arma da fuoco. Nel 1994 fu inaugurato in Cile il regime di alta sicurezza nel quale Marcelo fu trasferito insieme ad altri 33 prigionieri. In questo primo periodo di detenzione a partire dal 1995 prese parte al Kolektivo Kamina Libre. Successivamente è stato accusato di aver preso parte alla rapina al Banco Santander del settembre 2007 a Valparaíso e alla rapina al Banco Security dell’ottobre 2007 a Santiago, durante la quale l’agente Luis Moyano è morto in una sparatoria. Dopo un periodo di clandestinità, Marcelo fu arrestato il 15 marzo 2008 insieme a Freddy Fuentevilla a Neuquen, in Argentina. Furono poi estradati in Cile il 15 dicembre 2009. Il 2 luglio 2014 il tribunale cileno lo ha condannato a 14 anni di carcere per le due rapine, successivamente si sono poi aggiunte altre accuse, arrivando a un totale di 46 anni di carcere:

-Associazione terroristica: 10 anni e 1 giorno.
-Danneggiamento di un’auto della polizia con gravi lesioni ai carabinieri: 3 anni + 541 giorni.
-Coautore dell’omicidio qualificato come terrorista: 15 anni e 1 giorno.
-Furto con intimidazione, legge 18.314: 10 anni e 1 giorno.
-Attentato esplosivo contro l’ambasciata spagnola: 8 anni.

Lo Stato, i suoi meccanismi ideologici e il capitale tentano ancora una volta di seppellire le fila del movimento combattente, di fare calare il silenzio sui contenuti politici, le scelte di lotta e i decenni di tradizione rivoluzionaria. Compagni in ogni dove (Cile, Italia, Grecia, Spagna ecc…) hanno dedicato, oggi come ieri, la loro vita alla lotta contro l’oppressione per costruire un mondo di uguaglianza e libertà, assumendosi le responsabilità e compiendo scelte che hanno portato alla prigionia o alla morte, dando anima, corpo e pensiero alla causa rivoluzionaria. Tali scelte sono parte integrante di una continuità storica insurrezionale che mantiene viva nei nostri cuori e nelle menti la visione della rivoluzione sociale.

Esportare l’isolamento

Già da fine Ottocento le polizie europee stavano cercando un coordinamento per reprimere il movimento anarchico (le leggi antianarchiche approvate a partire dal 1890 in vari Stati europei e la sistematizzazione della pratica della schedatura politica prendendo a modello la polizia asburgica ne sono un esempio), oggi siamo davanti a una vera e propria globalizzazione della repressione e della controrivoluzione. In questo contesto di coordinamento repressivo tra Stati, l’Italia si sta ponendo come modello nella differenziazione carceraria e nell’isolamento dei prigionieri. Soltanto nell’ultimo anno le democrazie francese e cilena hanno avviato interlocuzioni con i professionisti dell’antimafia e dell’antiterrorismo italiani per esportare nei loro paesi, entrambi attraversati negli ultimi anni da un forte livello di conflittualità sociale, il modello del 41bis.

“Al mattino il Ministro Darmanin e la delegazione sono stati ricevuti alla casa circondariale di Roma Rebibbia dalla capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria facente funzioni, Lina Di Domenico, e guidati dal Direttore del Gom – Gruppo operativo mobile, hanno visitato la sezione destinata ai detenuti sottoposti al regime del 41bis. […] A seguire, hanno incontrato il Procuratore Nazionale antimafia, Giovanni Melillo, presso Palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia.”[1]

Secondo le dichiarazioni di Darmanin la prima struttura di alta sicurezza ispirata al modello italiano dovrebbe essere completata a fine luglio 2025, con almeno altre due a seguire negli anni successivi. Se in Francia il 41bis è tornato solo oggi un tema della discussione politica nazionale, giustificato anche in questo caso dalla lotta alle mafie e al narcotraffico[2], da oltre un anno nel nuovo Cile democratico di Boric è in corso un dibattito sull’opportunità di implementare il regime del 41-bis, nel contesto più ampio di una riforma della gendarmeria e del regime penitenziario. Per il procuratore nazionale cileno Angél Valencia “È importante guardare all’esperienza italiana, gli italiani hanno ottimizzato i loro sforzi per combattere la criminalità organizzata, hanno creato nuove carceri rispettando gli standard europei sui diritti umani”[3]. Nel settembre 2024 l’ambasciata d’Italia a Santiago ha organizzato un incontro per presentale alla Corte costituzionale cilena il modello del 41-bis e la sua storia[4], tenuto dal Professor Antonello Canzano dell’Università Roma Tre il quale ha sottolineato come la sua genesi si trovi in ben trent’anni di storia repressiva dello Stato italiano.

“Questo quadro non è il risultato di un singolo intervento, ma di una graduale evoluzione normativa nel corso di 30 anni, continuamente adattata in base alla sua efficacia”, ha affermato il professore durante la sua esposizione in Aula, al termine della quale si è generato un interessante dialogo in chiave comparata a cui hanno partecipato anche i ministri Miguel Ángel Fernández, Nancy Yáñez, Héctor Mery e Marcela Peredo. Ampia attenzione è stata dedicata al cosiddetto “modello italiano” di lotta al crimine organizzato, di cui parte integrante rappresenta il regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario italiano, volto a neutralizzare la possibilità che gli autori di reati più gravi, soprattutto legati alla criminalità organizzata, possano condurre attività illecite dal carcere.”[5]

La visita di Canzano in Cile, lungi dall’essere un evento isolato è stata preceduta pochi mesi prima da quella del magistrato Giovanni Tartaglia Polcini, Consigliere del Ministero degli affari Esteri e vicedirettore del programma europeo EL PACCTO 2.0[6], il programma europeo di cooperazione con il Sud America per la lotta alla criminalità organizzata, non a caso con L’Italia come paese coordinatore. Degna di menzione è anche la nuova legge antiterrorismo cilena approvata a inizio febbraio 2025, più “moderna, efficace e democratica” che andrà ad ampliare il reato di associazione terroristica, permettendo la detenzione anche in assenza di reati specifici per chi all’occorrenza ne sarà considerato membro o anche solo “finanziatore” di un’associazione terroristica, andando a colpire in maniera più efficace anche la solidarietà fatta di benefit per i prigionieri.

L’inasprirsi delle tensioni internazionali, sociali e politiche dovute alla tendenza alla guerra e alle contraddizioni insite a questo sistema capitalista richiedono agli Stati un’azione sempre più preventiva, una contro-insurrezione in assenza di insurrezione, per garantire la tenuta del fronte interno in un periodo storico in cui il recupero delle lotte da parte dello Stato portato avanti tramite welfare e piccole concessioni non è ormai più sostenibile. Il carcere distilla “la quintessenza delle pratiche repressive legate alla ristrutturazione sociale e politica, in forme più palesemente autoritarie (quelle più asettiche dell’UE e quelle più becere dei sovranismi nazionali sono equivalenti da questo punto di vista, si vedano le politiche antimmigrazione e la propaganda di guerra in corso) in un occidente che ancora non si capacita di essere in piena crisi e cerca con una mano di arginare con manie securitarie le falle di una nave che affonda e con l’altra di arraffare quanto più possibile per riempirsi le tasche prima del naufragio.”[7] È in questo contesto che la guerra sul fronte interno si allarga e accelera il consolidamento di un diritto penale del nemico, con gli ultimi sviluppi repressivi come il DDL 1660 in Italia il quale prevede l’introduzione del reato di “terrorismo della parola”, fino ad ora non codificato ma comunque utilizzato nelle varie operazioni repressive contro la stampa anarchica come Sibilla e Scripta Scelera. Il DDL 1660 non si risparmia inasprimenti di pena anche sul fronte del carcere, aumentando le pene per rivolte e prevedendo un’aggravante per il reato di “istigazione a disobbedire alle leggi” se il fatto è commesso “all’interno di un istituto penitenziario o a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute”[8].

I regimi di alta sorveglianza e di isolamento diffusi nel mondo, con apice nel 41bis, puntano a rompere la solidarietà tra il dentro e il fuori del carcere e tra gli stessi prigionieri attraverso la differenziazione carceraria, anche per questo riteniamo che sia importante tornare a riflettere sulle esperienze di chi, come il Kolektivo Kamina Libre, sia sotto la dittatura, sia nel periodo di transizione alla democrazia, ha continuato a lottare sia all’esterno che all’interno del carcere contro l’oppressione e per una società radicalmente diversa, rompendo la divisione dentro/fuori per ottenere il ritorno in strada dei suoi membri, ma anche inserendosi, con le riflessioni sui prigionieri sociali, in un dibattito che in quegli anni sembrava schiacciato dall’opposizione prigionieri comuni versus prigionieri politici.

Marcelo Villarroel in strada!

Tuttx liberx!


Indice:

-Identità irriducibili
-Intervento di Claudio Lavazza per l’edizione in italiano
-Nota delle Ediciones Abandijas
-Come prologo
-Prologo II
-Introduzione
-Antecedenti generali
-Organizzazione ed espressione nel carcere di alta sicurezza
-L’uso del corpo come simbolo di espressione
-Conclusioni
-Allegati
La gabbia d’oro
Gli echi delle eliche
Pensando, pensando
La lotta dentro e al di fuori
Intervista a Kamina Libre
Detenuti sociali
-Alcuni poster e immagini
-Bibliografia
-Qualche domanda a Marcelo Villarroel
-Poche parole su Edizioni El Buen Trato
-Contributo di Marcelo Villarroel alle Edizioni El Buen Trato

Totale 210 pagine

Per contatti: presospolitico@anche.no

[1] https://ambparigi.esteri.it/it/news/dall_ambasciata/2025/02/italia-francia-nordio-incontra-lomologo-darmanin-3-febbraio/

[2] https://www.lefigaro.fr/actualite-france/gerald-darmanin-justifie-les-prisons-haute-securite-pour-les-narcotrafiquants-pour-affirmer-l-autorite-de-l-etat-20250203

[3] https://www.emol.com/noticias/Nacional/2024/04/22/1128642/carcel-italianas-modelo-chile-crimen.html

[4] https://ansabrasil.com.br/english/news/news_from_embassies/2024/09/06/italy-and-chile-united-in-the-fight-against-organised-crime_3ef7f9a4-9206-42ac-9a7b-3d89dad8b577.html

[5] https://ambsantiago.esteri.it/it/news/dall_ambasciata/2024/09/lambasciatrice-valeria-biagiotti-e-il-professor-antonello-canzano-in-visita-protocollare-al-tribunale-costituzionale/

[6] https://iila.org/it/al-via-la-seconda-fase-del-programma-el-paccto-di-lotta-alla-criminalita-organizzata-transnazionale-panama-11-13-marzo-2024/

[7] https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/02/03/anna-beniamino-fisiopatologia-del-mostro-carcerario-veleni-e-antidoti-ottobre-2024/

[8] Opuscolo “Lo Stato è guerra. Il Fronte interno della guerra. Diritto penale del nemico”

BARI: DI RIVOLTE, IPM, CPR…IN STRADA(?)

Riceviamo e diffondiamo:

Di rivolte in carcere, IPM, Cpr…in strada(?)

Domenica 9 la quiete della città di Bari è stata squarciata dal coraggio e dalla rabbia di alcuni detenuti del IPM “Fornelli” (Istituto penale per minorenni).

Come sempre i media hanno dato voce solo al sindacato dei controllori che, come dopo ogni rivolta o aggressione, non perde tempo per chiedere più repressione e controllo (come per il carcere di Taranto in cui episodi del genere sono all’ordine del giorno); condizioni più severe per l* rivoltos*, chiedendo l’applicazione del regime di sorveglianza particolare e di mettere in forze le procedure che consentono il trasferimento immediato in sezioni speciali lontane dal territorio d’origine per determinat* detenut*. Entrambe previste nell’ordinamento penitenziario.

Una rivolta ha rotto il silenzio di Bari, città pacificata e gentrificata, vetrina di una zona d’Italia sempre più interessata da investimenti statali ed esteri, capoluogo di una regione succube del turismo e dello sfruttamento del territorio; non a caso scelta come sede dell’ultimo G7.
La nostra è una zona dove i movimenti sociali sembrano dormire da tempo; ma anche se le rivolte non avvengono in strada e a primo impatto la pace regna sovrana, due Cpr, un Hotspot, tre CARA e migliaia di strutture per l’accoglienza, fanno della Puglia terra di frontiera… dove c’è frontiera non esiste pace.

E mentre leghist* e razzist* propagandano che il problema e’ esclusivamente chi cerca speranza nel nostro paese; con undici carceri, un IPM e centinaia di comunità penali per minori, la verità è che la Puglia è terra di reclusione, repressione e sofferenza per tutt* l* oppress*.

Si rivoltano nelle carceri, negli IPM, nei CARA e nei Cpr. E in strada? Quando accoglieremo l’urlo della rabbia collettiva?

Anche a Bari da poco hanno istituito le zone rosse, a Foggia ci sono da Febbraio e sono stati eseguiti già 5 ordini di allontanamento, il messaggio è chiaro, non ci vogliono nelle “loro” città.

Anarchic* in cerca di rivolta.

CATANIA: ASSEMBLEA PUBBLICA CONTRO OGNI GALERA E FRONTIERA

Diffondiamo

📍Catania 11 Marzo 2025 – Bastione degli Infetti h.17.00

🔴 Continuano le mobilitazioni contro il decreto sicurezza che si appresta ad essere approvato. A subirne maggiormente le conseguenze saranno lx detenutx e lx migranti.

⛓️‍💥 Per questo ci vediamo martedì al bastione degli Infetti h.17.00 per parlare del decreto e degli articoli che riguardano le detenzioni, resistenza passiva, reato di rivolta.

🗣️ Ne parliamo con compagnx della rete, presenteremo una mappa interattiva che ha come intento mappare i centri di detenzione, confinamento e basi militari in Sicilia e riapriremo un discorso sulla cassa anti-carceraria che è attiva a Palermo (vogliamo un mondo senza carceri)

🔴 Sarà occasione per riaprire anche un dibattito sul decreto Caivano che pende sul quartiere S.Cristoforo, luogo dell’assemblea, e delle zone rosse cercando di fare il punto sulla situazione

Sempre al fianco dellx ribelli
Con la Palestina nel cuore
No al decreto sicurezza
Tuttx liberx


Programma

-Aggiornamento dalla rete noddl sicurezza Catania su carcere e cpr

– Presentazione mappa centri di detenzione, confinamento e basi militari in Sicilia

– Cassa permanente per detenutx (Palermo)


Il ddl sicurezza che sta venendo discusso in senato mira a rendere ulteriormente invivibili le vite di chi si ritrova impoverit3, sfruttat3 e detenut3.

L’introduzione del reato di rivolta nelle carceri, oltre alla creazione di nuovi capi d’imputazione, renderà ancora più difficile rompere la parete del silenzio assordante che si sente aldilà delle mura. Proprio mentre dentro e attorno alle carceri stanno succedendo cose sempre più infami.
Quest’anno il DAP regionale ha emesso una nuova circolare che ha misure iper restrittive sui pacchi: quasi niente più cibo, niente più vestiti o coperte calde. Secondo loro, le persone detenute possono continuare a crepare di freddo e gli vengono tolti i cibi per cucinare dentro. Al Cavadonna di Siracusa, al Pagliarelli di Palermo, a Gazzi a Messina, in queste settimane ci sono state delle proteste e alcune hanno portato ad ottenere qualcosa. E ciò ci riempie il cuore.

Ma se il dal passa, anche le battiture e lo sciopero del carrello possono diventare occasione per prendersi altri anni di carcere: da 2 a 8 col nuovo reato di rivolta. Per chi governa, la risposta alla invivibilità dentro è quindi ulteriore detenzione. Oppure lavoro forzato.
Se vuoi provare a guadagnare qualche ora di distrazione dal
vuoto delle giornate e dal sovraffollamento, magari uscire, ti concedono, se ti sei dimostrato docile, di farti sfruttare. Non è cosa da poco quella in gioco, perché dentro ogni cosa può apparire buona quando si tratta di mantenersi in vita e non finire a sentire di doversi ammazzare. Le morti dentro le celle nel 2025 sono già 53, di cui 15 suicidi: non si fa fatica a dire che in Italia esiste la pena di morte. Il suicidio infatti è la principale causa dei decessi nelle carceri: “degli 810 decessi registrati nel quinquennio 2020-2024, 340 sono di persone che si sono tolte volontariamente la vita (il 42% del totale)”.

Il punto è che di fronte a questo stillicidio, quello che fa il Ministero della giustizia è ricattare i detenuti e ribadire che, ai più meritevoli, può essere caritatevolmente concessa la possibilità di una formazione professionale.
Si generano situazioni paradossali, come quella con WeBuild, la multinazionale che sta lavorando al raddoppio della linea ferroviaria a Messina, ovvero che sta sventrando la città e spargendo arsenico su chi ci abita. Situazione che per altro peggiorerà se i lavori del ponte, sempre ad opera di Webuild, inizieranno.

Lo stato italiano ha fatto una convenzione con Webuild che, mentre riceve decine di milioni di euro per avvelenare la nostra terra e le nostre vite, si è proposta di offrire le briciole di una formazione professionale a chi sta recluso. Lavoro non pagato, ancora più infame perché avviene sotto minaccia. Mentre i prezzi dei beni dentro aumentano, mentre i soldi per le attività più libere di formazione e socialità non ci sono. Poi c’è anche quanto sta per incombere su San Cristoforo. Assieme ad altri quartieri di grandi città italiane è diventato un obiettivo specifico del governo: secondo loro è un’area urbana piena di criminali che va bonificata. Il nuovo decreto Caivano sta dando quindi al comune di Catania milioni di euro. Chissà che intende farci oltre a portare altri poliziotti e rendere questo
quartiere militarizzato.

Alla luce di questo quadro disarmante crediamo sia necessario incontrarci per discutere tuttx assieme dei risvolti che avrà il ddl sui corpi delle reclus3 e l’approvazione del modello Caivano sul quartiere S.Cristoforo.
CI VEDIAMO MARTEDI’ 11 MARZO AL BASTIONE DEGLI INFETTI H.17.00

BOLOGNA: PRESIDIO AL CARCERE DELLA DOZZA [15/3/2025]

Diffondiamo aggiornamento:

Vista la situazione meteo il presidio sotto al carcere della Dozza previsto per sabato 15 marzo alle 15 è anticipato alle 10:30 del mattino.
Ci vediamo perciò sotto le sezioni maschili (Stradello sterrato – via del Gomito) alle 10:30!

Contro l’istituzione di un nuovo regime speciale per “giovani adulti problematici” (provenienti da istituti minorili) all’interno del carcere della Dozza.
Contro i trasferimenti annunciati per il 15 marzo.
Contro il 41 bis, l’alta sicurezza e tutti i regimi speciali.
Contro il DDL sicurezza e il razzismo di stato.

NE’ RECLUSI, NE’ TRASFERITI, TUTTX LIBERX


Di seguito un volantino diffuso sotto al carcere minorile del Pratello il 25 febbraio. Se in un primo momento i trasferimenti sembrava fossero previsti per quel giorno, nei giorni successivi sono stati annunciati per il 15 marzo -> IL CARCERE FA SCHIFO

COME PROVANO A RIEMPIRE UN CPR. AGGIORNAMENTI SU PRIGIONI, RAZZISMO DI STATO E RIVOLTE IN SICILIA

Diffondiamo da Sicilia No Border:

In questi ultimi giorni il Cpr di Trapani Milo ribolle.

Sono i giorni in cui i famigliari di Moussa Balde e Ousmane Sylla si trovano in Italia per ribadire con forza che i loro cari sono stati uccisi dai Cpr e dal regime di frontiera dello stato italiano.

Ousmane, prima di doversi togliere la vita nel Cpr di Ponte Galeria a Roma, dove “i militari italiani non conoscono altro che il denaro”, è stato detenuto 4 mesi a Trapani Milo. Da qui, a fine gennaio 2024, era stato spostato come molti altri, perché le rivolte che si susseguivano avevano infine reso inagibile la struttura.

Nell’Ottobre 2024, Milo ha riaperto. A novembre una prima nuova rivolta al suo interno, a mostrare che la situazione lì dentro è irrevocabilmente insostenibile: da un lato 5 celerini di Palermo che si certificavano feriti, dall’altro due fratelli tunisini portati prima nella camera di sicurezza della questura di Trapani, e poi in carcere. In questi giorni si vedono tanti furgoni di celerini entrare, almeno un’ambulanza con una persona dentro uscire.

Le storie di chi si trova intrappolato in questa prigione per migranti continuano a dare un’immagine chiara delle diverse funzioni a cui assolvono questi luoghi, oltre che delle tremende condizioni di vita all’interno e della costante violenza poliziesca.

Già conosciamo il ruolo minimo che il CPR di Trapani svolge all’interno del regime di frontiera: il collegamento logistico con l’hotspot di Pantelleria, i ripetuti trasferimenti delle persone identificate nell’hotspot di Pozzallo, Lampedusa o Porto Empedocle. Ma nelle ultime settimane si sta cercando di far tornare a funzionare il Cpr a capienza piena. Alla riapertura in Ottobre si parlava di circa 80 posti, circa un terzo di quanti ce ne fossero prima delle rivolte di Gennaio 2024, ma in questi mesi i detenuti sono aumentati e i posti previsti da bando della prefettura sono i 200 di prima. Mentre dall’alto dello scranno ministeriale si mandano ordini a prefetti e questori di tutta Italia per aumentare gli arresti e le detenzioni di persone immigrate, il Cpr di Trapani si va riempiendo rapidamente di umanità eccedente, in arrivo da ogni parte: dalla Sicilia, dal resto d’Italia, da altri Cpr, dalle carceri, dalle città e dalle campagne. Tutto a grosso profitto degli enti gestori: le cooperative sociali “Vivere Con” e “Consorzio Hera” prima e “Officine sociali” ora.

Ora i reclusi sono circa 130 e la situazione all’interno è totalmente militarizzata e invivibile.

Ma andiamo con ordine.

A inizio Gennaio, al carcere Cavadonna di Siracusa, più di seicento detenuti iniziano una protesta contro la circolare del provveditorato siciliano del DAP in cui si vieta l’ingresso in carcere di molti cibi, tra cui la farina, e vestiti invernali. Viene negato calore. Materiale, perché come ci si scalda senza vestiti in strutture che son senza riscaldamento e acqua calda? E simbolico, quello delle relazioni, del poter ricevere cose da fuori e, dentro, poter cucinare e condividere momenti di socialità. E’ una questione di sicurezza, dicono i carcerieri, declinandola in una retorica paradossale. Si tratterebbe, infatti, di evitare che nei pacchi entrino beni pericolosi non solo perché infiammabili, ma perché “voluttuari”, perché mostrano posizioni “di privilegio” tra detenuti. Secondo il provveditore sarebbe infatti questo a non permettere “una gestione penitenziaria equilibrata ed equa”.

Molto equa ed equilibrata sarebbe allora invece la detenzione al CPR di Milo, dove l’unico cibo fa per tutti schifo e i pacchi sono ritenuti ancora più “voluttuari”. Possono contenere cibo e vestiti senza zip e cappucci, no ai libri. Possono essere depositati in teoria ogni giorno, tranne la domenica, fino alle 20, ma poi chissà quanto ci mettono ad arrivare tra le mani dei reclusi. Nei CPR siciliani il cellulare non lo puoi tenere e a Milo le telefonate costano care e se non hai contanti non chiami proprio nessuno. E sparisci. Anche per il tuo avvocato. E ti isolano. E ti fanno sentire ancora di più che potresti sparire da un momento all’altro.

A Siracusa lo sciopero del carrello, della cucina e le battiture, hanno consentito ai detenuti di negoziare sulla circolare, riducendo il numero di beni vietati all’ingresso. Nelle settimane successive sappiamo di un aumento di detenuti, soprattutto egiziani, al Cpr di Trapani in arrivo dal Cavadonna di Siracusa. Non è chiaro se si tratti di trasferimenti espressamente punitivi o (più probabilmente) per fine pena e mancanti rinnovi del permesso di soggiorno dentro il carcere, fatto sta che i trasferimenti sono coincisi con la mobilitazione che ha messo in seria difficoltà le autorità carcerarie e che ha visto la protesta allargarsi da Siracusa al Pagliarelli di Palermo, dove più di quattrocento detenuti sono stati per due settimane in sciopero del carrello. Chissà cosa succederà quando il ddl sicurezza entrerà in vigore: tutte queste minime pratiche di autodifesa costeranno un’incriminazione per rivolta e da 2 a 8 anni di carcere.

Sappiamo che da tempo ogni mese da Roma parte un charter di deportazione verso l’Egitto che fa scalo anche a Palermo. Aeroitalia è l’ultima compagnia che sta facendo i voli in questi mesi. E’ plausibile che i trasferimenti dal carcere di Siracusa a Milo facciano parte della macchina della deportazione: che preparino l’imbarco o un rilascio con un ordine di espulsione.

Ma al Cpr di Milo non ci arriva soltanto chi è già recluso in Sicilia. A metà febbraio un volo charter ha portato al Cpr di Trapani una decina di detenuti del Cpr di via Corelli a Milano. Lì era sovraffollato, mentre a Trapani c’era posto e il Cpr andava riempito, c’è da arricchire il nuovo ente gestore. Cosa di meglio se non trasferire un po’ di eccedenza umana, magari provando a liberarsi di chi disturba la “quiete” del Corelli.

Continuano anche i trasferimenti dall’hotspot di Pantelleria, dove ci sono stati sbarchi nelle scorse settimane: si parla di decine di persone che stanno così ingrossando il numero dei prigionieri e le tasche dell’ente gestore.

Nel frattempo, mentre a Catania il prefetto ha istituito le zone rosse in gran parte del centro cittadino, utilizzando argomentazioni esplicitamente razziste che prendono di mira lavoratrici sessuali straniere e negozianti gambiani e senegalesi, a Palermo (ma anche a Messina), fermi e raid polizieschi delle ultime settimane hanno portato diverse persone a finire ingabbiate a Milo. Persone che spariscono nelle caserme e solo giorni dopo vengono ritrovate rinchiuse in Cpr.

Per non parlare di quanto successo a Ribera. Il 10 febbraio, nel pieno centro del paese dell’agrigentino, in questo periodo pieno di lavoratori stagionali per la raccolta dell’arancia dichiarata DOP in Europa, un ragazzo tunisino, Mahjoub Aymen, è stato freddato da tre colpi di pistola. Una settimana dopo, polizia e altra gendarmeria ha portato in commissariato decine di persone come parte delle indagini. Sono andati a prendere gente allo stesso bar dell’omicidio, ma anche negli insediamenti informali dove lavoratori stagionali stanno in questo periodo di raccolta. Molti di loro non sono più usciti liberi dalla caserma, ma rinchiusi anch’essi al Cpr di Milo.

Ci sono due elementi che meritano attenzione in questo rinnovato protagonismo del Cpr di Milo.

Il primo è legato al ruolo che continuano ad assumere le cooperative sociali che si susseguono nella gestione del CPR di Trapani: “eccellenze” siciliane che tenendo insieme accoglienza e detenzione hanno fatto fortuna e vincono bandi in tutta Italia.

La società cooperativa sociale onlus “Consorzio Hera” con sede a Castelvetrano (TP), ha gestito il CPR di Trapani per anni, fino a novembre 2024. Nasce nel cuore del più grosso distretto di olive da tavola di Italia, è un attore ben posizionato nel mercato della detenzione, gestendo anche l’hotspot di Pozzallo, il Ctra di Modica-Ragusa e il Cpr di Brindisi, dove gestisce anche il CARA e non dimentichiamo che ha provato a guadagnarsi anche la gestione dei centri Albania, poi vinta da Medihospes. Ma, soprattutto, è molto presente con centri di accoglienza, CAS e centri per minori nelle campagne tra la provincia di Trapani e quella di Agrigento. La sappiamo gestire diversi centri d’accoglienza a Campobello di Mazara, dove ogni anno da Settembre centinaia di lavoratori soprattutto West Africani si ritrovano per la raccolta delle olive e si organizzano contro la macchina dello sfruttamento e del razzismo. È lì che nel 2021 ha perso la vita Omar Balde, lavoratore morto bruciato nell’incendio del ghetto, ed è da lì che quando il ghetto è stato sgomberato, nell’estate del 2023, alcune persone sono state portate al Cpr di Milo. Cosa non strana, perché ogni anno, fuori dalla stagione di raccolta, raid polizieschi portano persone da Campobello al Cpr di Milo.

Il Consorzio Hera, che prova a ripulirsi la faccia pubblicamente parlando di diritti e progetti di inclusione, con tanto di servizio civile e progetti di etnopsicologia, è in realtà attore cruciale della macchina dello sfruttamento e della detenzione degli immigrati in Italia (e ne trae pure un bel profitto!).

Lo stesso si può dire per l’ente che da qualche mese lo sta ora gestendo: Officine Cooperative sociali, con sede a Siracusa. E’ anch’essa molto abile nel tenere insieme business detentivo e accoglienza: ora gestisce il CPR di Palazzo San Gervasio (PZ), di Macomer (NU) e di Bari, nonché il CARA di Borgo Mezzanone, l’hotspot di Taranto, il CPA di Pian del Lago (CL). Il suo bilancio è passato dai 559.106 euro del 2021 ai 5 milioni del 2023, fino a raggiungere più di 14 milioni di euro nell’ultimo anno, proprio in coincidenza con l’ottenimento della gestione delle due strutture di Caltanissetta prima e Trapani poi. Bel risultato per una cooperativa che è nata nel 2016 con l’obiettivo di “promuovere inclusione sociale e lavorativa”.

Da questa prospettiva, è chiara la necessità di continuare a prendere consapevolezza che non ci si può troppo perdere in distinzioni e distinguo tra detenzione e accoglienza, come non si stancano di ripetere da anni i richiedenti asilo costretti a vivere al CPA di Pian del Lago, a Caltanissetta, che è contiguo al CPR e condivide con questo parte delle stesse recinzioni. Ancora nell’estate del 2022 hanno più volte occupato le strade del centro città, denunciando le condizioni di detenzione di fatto prodotte dall’effetto combinato di sorveglianza costante, minacce da parte del personale, sottrazione del pocket money, assenza di cure mediche, limitazioni delle possibilità di uscita e 7 chilometri di distanza dal centro cittadino in assenza di alcun tipo di collegamento.

Chiara risulta anche la necessità di ribadire che il CPR è una struttura detentiva, espressione del razzismo di stato, che si articola e riproduce insieme agli interessi del capitale privato, quello dell’agroindustria in primis.

Il secondo elemento è che la rinnovata centralità di Trapani Milo è dovuta anche allo svuotamento del Cpr di Caltanissetta (sappiamo anche di trasferimenti da Pian del Lago a Milo) in previsione dei lavori di ristrutturazione. Infatti è cosa nota che le continue rivolte di questi anni hanno ridotto grandemente la capacità di recludere del centro. E così, gli 11 milioni messi a bando l’anno scorso per l’ampliamento del Cpr stanno trovando concretezza nei lavori che dovrebbero iniziare in queste settimane. Come è possibile ricostruire dal bando della Prefettura di Caltanissetta, l’ampliamento porterà a un incremento di ulteriori 56 posti che si aggiungono ai 92 posti attualmente disponibili. A occuparsi dell’ampliamento e a costruire gli immancabili nuovi uffici per il nuovo personale delle forze dell’ordine che verrà mobilitato all’interno, saranno la Sicil Techno Plus s.r.l, la M.E.GAS. s.r.l. e la Conpat scarl, le prime due con sedi legali rispettivamente a Belpasso e Bronte (CT), la terza proveniente da Roma. A dicembre 2024, secondo quanto è stato possibile ricostruire, i reclusi effettivamente presenti dentro il CPR erano circa una trentina.

L’ampliamento del CPR rafforzerà la capacità di cattura di questa macchina della deportazione, che si salda direttamente con la macchina dello sfruttamento delle persone razzializzate in Sicilia, con un elevato numero di reclusi catturati direttamente dalle campagne siciliane, come nel caso dei lavoratori stagionali della fascia trasformata ragusana. Qui i padroni ne sfruttano la condizione di deportabilità attraverso la messa a lavoro in condizioni disumane per poi denunciarne la condizione di “irregolarità” per evitare di pagarli. Una macchina di sorveglianza e cattura che sembra estendersi a macchia d’olio anche in città, in una Caltanissetta sempre più “smart”, con il moltiplicarsi di videocamere di sorveglianza a seguito dei “nuovi patti per la sicurezza urbana” che il Prefetto Armenia ha siglato con i sindaci di Caltanissetta e Gela a ottobre 2024. Che si aggiungono agli occhi sempre presenti delle guardie in pattuglia, che soprattutto in Piazza si possono vedere passare decine di volte in poche ore. A questo si aggiunge la recente “svolta per la sicurezza urbana”, ossia l’assegnazione da parte del Comune di Caltanissetta dei lavori per la “riqualificazione” del chiosco tra due delle principali vie del centro storico all’associazione “Formazione Sicurezza” che dovrà ristrutturarlo perché sia utilizzabile per le “associazioni di volontariato” delle forze dell’ordine. Così, a quanto annuncia la Prefettura, questa ex edicola diventerà ulteriore spazio di vigilanza sul centro storico.

È probabile che il Cpr di Pian del Lago chiuderà per un periodo per garantire la sicurezza dei lavori, e che Milo diventerà ancora più centrale in tutti i meccanismi detentivi sull’isola (e non).

Pian del Lago poi riaprirà, pieno di speranze repressive e telecamere di ultima generazione.

E poi entrambi verranno distrutti, ancora una volta.

Finché non ce ne libereremo, di questi come di tutti i Cpr, grazie al fuoco dei reclusi e a quello della solidarietà.