GIOCHI OLIMPICI. LA PAROLA ALLA «DELEGAZIONE INATTESA»

Diffondiamo la traduzione della rivendicazione integrale (uscita sul blog «Reporterre») dei sabotaggi all’Alta Velocità in occasione dell’inaugurazione dei Giochi Olimpici a Parigi. Nel giorno dell’inaugurazione dell’evento, infatti, diversi attacchi coordinati hanno mandato completamente in tilt la circolazione dell’Alta Velocità (TGV), mentre tra domenica e lunedì scorso sono state registrate azioni di sabotaggio ai cavi della fibra ottica.

La chiamano festa? Noi ci vediamo una celebrazione del nazionalismo, una gigantesca messa in scena dell’assoggettamento delle popolazioni da parte degli Stati. Dietro un’atmosfera giocosa e conviviale, i Giochi Olimpici offrono un campo di sperimentazione per la gestione poliziesca delle folle e il controllo generalizzato dei nostri movimenti.

Come ogni grande evento sportivo, le Olimpiadi sono ogni volta anche l’occasione per venerare i valori che fondano il mondo del potere e del denaro, della competizione generalizzata, del rendimento a tutti i costi, del sacrificio per l’interesse e la gloria nazionale.

L’ingiunzione di identificarsi con una comunità immaginaria e di sostenere il proprio presunto campo di appartenenza non è meno nefasta dell’incentivo permanente a vedere la propria salvezza nella buona salute della propria economia nazionale e nel potere del proprio esercito nazionale.

Oggi c’è bisogno di dosi sempre maggiori di malafede e di negazione per non riuscire a vedere tutto l’orrore che la società dei consumi e la ricerca del cosiddetto “benessere occidentale” generano. La Francia vorrebbe fare di questa grande messa la vetrina delle sue eccellenze. Essa potrà cullare d’illusioni sul suo ruolo virtuoso solo chi ha deciso di mettersi i paraocchi, e che vi si adatta. Madiamo loro il nostro più profondo disprezzo. L’influenza della Francia passa attraverso la produzione di armi, il cui volume di vendite la colloca come il secondo esportatore al mondo. Lo Stato è orgoglioso del suo complesso militare industriale e del suo arsenale “made in France”. Diffondere i mezzi del terrore, della morte e della devastazione in tutto il mondo per garantire la prosperità? Cocoricooo!

Senza offesa per gli ingenui che ancora credono alle favole democratiche, lo Stato francese usa la sua panoplia repressiva anche per affrontare la propria popolazione. Per sedare le rivolte dopo l’omicidio di Nahel da parte della polizia nel giugno 2023 o di recente per cercare di fermare la rivolta anticoloniale a Kanaky. Finché esisterà, lo Stato non smetterà mai di usarla per combattere coloro che sfidano la sua autorità.

Le attività delle imprese francesi nel mondo rendono sempre più manifeste le devastazioni sociali e ambientali che il sistema capitalista produce. Quelle necessarie a riprodurre l’attuale organizzazione sociale, e quelle inerenti al progresso scientifico e tecnologico. Progresso che percepisce la catena di catastrofi passate, presenti e future solo come un’opportunità per un balzo in avanti.

Total continua a saccheggiare e a spogliare nuove terre in cerca di petrolio e di gas di scisto (Africa orientale, Argentina, ecc.). Sotto la copertura della sua nuova etichetta verde, l’industria nucleare e l’esportazione delle conoscenze francesi in questo settore ci garantiscono, a più o meno breve termine, un pianeta irradiato, quindi letteralmente inabitabile. Nient’altro che un’altra crisi da gestire per i promotori dell’atomo. Loro che non possono fare a meno della cooperazione con lo Stato russo attraverso il colosso Rosatom e del sostegno del suo esercito per reprimere la rivolta nel 2022 in Kazakistan, importante paese fornitori di uranio. Questo materiale che alimenta i cinquantotto reattori francesi.

E allora qual è il costo umano, sociale e ambientale che garantisce a qualche privilegiato di spostarsi velocemente e lontano in TGV? Infinitamente troppo alto. La ferrovia non è d’altronde un’infrastruttura banale. È sempre stato un mezzo per la colonizzazione di nuovi territori, un passo preliminare per la loro devastazione e un percorso ben tracciato per l’estensione del capitalismo e del controllo statale. Il cantiere della linea denominata Tren Maya in Messico, al quale collaborano Alstom e NGE, ne è un buon esempio.

E le batterie elettriche indispensabili alla pretesa “transizione energetica”? Parlatene, ad esempio, con i lavoratori della miniera di Bou-azeer e con gli abitanti delle oasi di questa regione marocchina che stanno subendo le conseguenze della corsa all’ora del XXI secolo. Renault vi estrae i minerali necessari a fornire una coscienza pulita agli ecologisti delle metropoli a scapito delle vite sacrificate. Parlatene con i “popoli delle foreste” dell’isola di Halmahera, nel nord-est dell’Indonesia, con gli Hongana Manyawa che disperano di veder distrutta la foresta in cui vivono sull’altare della “transizione ecologica”. Lo Stato francese, attraverso la società Ermet, partecipa alla devastazione delle terre finora risparmiate. Allo stesso modo, non molla la Nuova Caledonia per continuare a strapparle il prezioso nichel.

Ci fermeremo qui nell’impossibile inventario delle attività mortali e predatorie proprie di ogni Stato e di ogni economia capitalista. Del resto, ciò non aiuterebbe a rompere con una vita insipida e deprimente, con una vita di sfruttamento, e a fronteggiare la violenza di Stati e leader religiosi, capifamiglia e pattuglie di polizia, patrioti e milizie padronali, così come quella di azionisti, imprenditori, ingegneri, progettisti e architetti della devastazione in corso. Per gran fortuna, l’arroganza del potere continua a scontrarsi con la rabbia degli oppressi/e ribelli. Di sommosse in insurrezione, durante le manifestazioni offensive, attraverso le lotte quotidiane e le resistenze sotterranee.

Che dunque oggi risuonino, attraverso il sabotaggio delle linee TGV che collegano Parigi ai quattro angoli della Francia, il grido “donna, vita, libertà” dall’Iran, le lotte degli amazzonici, i “fotti la Francia” che provengono dall’Oceania, il desiderio di libertà che giunge dal Levante e dal Sudan, le battaglie che continuano dietro i muri delle prigioni e l’insubordinazione dei disertori del mondo intero.

A coloro che rimproverano a questi atti di rovinare il soggiorno dei turisti e di perturbare le partenze per le vacanze, rispondiamo che è ancora così poco. Così poco se paragonato a quell’evento al quale desideriamo partecipare e che auspichiamo con tutto il cuore: il crollo di un mondo basato sullo sfruttamento e sul dominio. Allora sì che avremo qualcosa da festeggiare.

Una delegazione inattesa

SOLIDARIETÀ DI FRONTE ALLA REPRESSIONE DELLE LOTTE CONTRO I CRA E SOSTEGNO A TUTTE LE PERSONE IMPRIGIONATE

Nell’ambito di un’inchiesta sulle lotte contro la costruzione di centri di detenzione amministrativa (CRA), mercoledì 29 maggio una compagna italiana è stata perquisita e messa sotto custodia dalla polizia. All’uscita dal tribunale, è stata informata che era soggetta a un ordine di rimpatrio (OQTF) per “minaccia all’ordine pubblico” e a un divieto di viaggiare sul territorio francese per 2 anni (ICTF), e che la prefettura chiedeva il suo immediato collocamento in detenzione amministrativa. È stata portata direttamente al centro di detenzione di Mesnil-Amelot, nonostante il giudice istruttore avesse escluso la custodia cautelare.

Durante la detenzione, è stata prima condotta davanti al giudice di pace (JLD), che ha convalidato il suo collocamento nel CRA. L’appello, che ha avuto luogo pochi giorni dopo, ha confermato questa decisione. Infine, è stata rilasciata dal tribunale amministrativo, che ha annullato il suo foglio di via dopo dieci giorni di permanenza nel CRA.

Queste misure sono la continuazione della repressione politica delle lotte contro i CRA, una repressione che è diventata sempre più dura negli ultimi mesi: controlli di identità, arresti durante i presidi di solidarietà, processi, divieti di visita ai CRA. A questo si aggiunge una copertura mediatica montata da giornalisti di estrema destra, e ora assistiamo all’apertura di un’inchiesta, a pratiche di sorveglianza e alla detenzione amministrativa. La prefettura e il Ministero degli Interni non si fermano davanti a nulla, arrivando persino a scavalcare l’indagine giudiziaria in corso per rinchiudere la nostra compagna, nonostante fosse stata rilasciata dopo il fermo di polizia.

Questa pratica di “doppia pena” (giustizia penale + amministrativa) da parte della prefettura è ben nota e riflette le testimonianze delle persone del CRA. Non appena vengono rilasciate dal carcere o anche dalla custodia della polizia, e senza essere prevenute, vengono direttamente rinchiuse nel CRA per ordine della prefettura e, se la procedura va a buon fine, espulse. Questa è l’ossessione di Darmanin, il ministro degli interni francese, e della sua ultima legge, che conferma il naufragio securitario e razzista in corso costruendo la figura dello “straniero delinquente”. Rinchiudere della nostra compagna nel CRA è un buon esempio di una delle principali linee guida della legge di Darmanin: rendere più facile la revoca del permesso di soggiorno, l’emissione di OQTF, la detenzione e l’espulsione di persone con la motivazione vaga, completamente arbitraria e altamente politica della “minaccia all’ordine pubblico”.

Ma non si tratta di una tendenza completamente nuova. Questa motivazione viene usata sistematicamente contro alcuni gruppi di persone europee o con documenti europei. Il semplice fermo di polizia per motivi banali come oltraggio e resistenza può rientrare in questi quadri giuridici vaghi, anche senza che si arrivi a una condanna. I centri di detenzione sono pieni di cittadinx rumenx e bulgarx che ogni settimana vengono deportati nei loro paesi d’origine. La cosiddetta libertà di circolazione nell’area Schengen esiste solo se hai i soldi, se sei abbastanza biancx e se non dai fastidio agli sbirri e a quelli che vengono protetti dagli sbirri.

Negli ultimi anni, la detenzione amministrativa è diventata anche uno strumento di repressione contro gli e le militanti stranierx, europex e non. Ecco alcuni esempi: nel 2016, tre compagne italiane sono state arrestate durante una manifestazione a Calais e messi nel CRA; stessa storia nel 2019, per due compagni italiani arrestati durante presidio fuori dal CRA di Vincennes, ai quali sarà vietato l’ingresso in Francia per 2 anni; qualche mese dopo, un altro compagno italiano è stato rinchiuso nel centro di detenzione di Vincennes per un mese, nell’ambito del movimento dei Gilets Jaunes; più recentemente, nel maggio 2023, una compagna tedesca è stato rinchiusa nel centro di detenzione di Mesnil-Amelot dopo essere stata arrestata durante la manifestazione del Primo Maggio; nel giugno 2023, cinque compagnx antifascistx sono statx anch’essx rinchiusx nel centro di detenzione di Mesnil-Amelot e di Vincennes, usciranno anche loro con dei divieti di accesso al territorio francese (qui un approfondimento).

Dall’inizio delle mobilitazioni per la Palestina e contro il genocidio sionista, questa pratica sembra essere diventata ancora più comune. Nell’ottobre 2023, l’attivista palestinese Mariam Abu Daqqa è stata arrestata a Marsiglia, rinchiusa nel CRA ed espulsa con divieto di ingresso, sempre per “disturbo dell’ordine pubblico”. Molte altre persone sono state arrestate durante le prime settimane del movimento e rinchiuse nel CRA (qui un comunicato al riguardo).

Se lo Stato francese, e in particolare il governo Macron, si è distinto per questo tipo di misure repressive, non è certo il solo in Europa. Per fare un esempio recente: nel maggio di quest’anno, dei e delle compagnx hanno tentato di occupare l’università di Atene, in Grecia, in solidarietà con la resistenza dei palestinesi e contro lo sterminio della popolazione di Gaza. Delle 26 persone arrestate, le 9 che non avevano documenti greci sono state messe nel centro di detenzione di Amygdaleza, dove sono rimaste per una decina di giorni prima di uscire con un foglio di via. Una dinamica simile è in atto in Italia, dove oltre ai centri di detenzione, lo Stato sta ricorrendo anche alle prigioni : da diversi mesi sono detenuti con l’accusa di terrorismo 3 palestinesi per il loro sostegno alla resistenza, uno dei quali è stato inizialmente minacciato di estradizione verso le prigioni israeliane.

Questo elenco è tutt’altro che esaustivo: possiamo solo immaginare quantx militanti stranierx, con o senza documenti, con ile quali non avevamo alcun legame, sono statx repressx ed espulsx dalla Francia (e dagli altri paesi europei) a causa delle lotte che conducevano…

In questo contesto repressivo, c’è una specificità nel caso della compagna italiana arrestata a Parigi : la detenzione amministrativa accompagna un’indagine, ancora in corso, che vuole colpire la lotta contro i CRA e chi collabora alla macchina della detenzione e dell’espulsione. Non possiamo che essere solidali con lei e con tutte le persone rinchiuse nei centri di detenzione, con tutte le persone colpite dal razzismo di Stato e con tutte e tutti coloro che, in vari modi, lottano e attaccano il funzionamento di una vera e propria industria dell’ingabbiamento e dell’espulsione.

Che brucino i centri di detenzione e le prigioni !

(qui la versione originale del testo )

GRECIA: SCIOPERO DELLA FAME PER LA PALESTINA NEL CENTRO DI DETENZIONE DI AMYGDALEZA

Diffondiamo la dichiarazione di una compagna reclusa nel centro di detenzione di Amygdaleza, che ha iniziato lo sciopero della fame

https://athens.indymedia.org/post/1630533/

SCIOPERO DELLA FAME PER LA PALESTINA NEL CENTRO DI DETENZIONE DI AMYGDALEZA

Mi chiamo Léa Courtois Dakpa e sono una dei nove detenuti europei che attualmente rischiano la deportazione presso il centro di detenzione ed espulsione di Amygdaleza, in seguito al nostro rapimento illegale da parte della polizia greca durante un’azione politica. Questa azione faceva parte del movimento studentesco globale che chiedeva alle università di disinvestire dall’entità sionista e di porre fine al genocidio e all’occupazione palestinese.

Siamo stati arrestati mercoledì 15 maggio, che è il giorno della Nakba, e siamo stati trattenuti per una settimana senza alcuna condanna penale o possibilità di difenderci in tribunale. Si tratta chiaramente di un atto di ritorsione da parte dello Stato greco per mettere a tacere il movimento di solidarietà con la Palestina. In effetti, il motivo addotto per la nostra deportazione è la nostra classificazione come individui che rappresentano una minaccia per la sicurezza nazionale. Ma come può essere, se nessuno di noi è stato condannato per alcun crimine, e tanto meno sottoposto a processo? La classificazione come minaccia alla sicurezza nazionale è una chiara manovra del governo fascista greco per rivolgere l’opinione pubblica contro il sostegno al popolo palestinese, come è stato chiarito dalla dichiarazione del primo ministro Mitsotakis il giorno del nostro arresto: “Se alcune persone pensano di poter ripetere ciò che hanno visto in altri paesi e occupano università, piantano tende e fanno disastri, si sbagliano profondamente”. È chiaro quindi che la nostra classificazione ha poco a che fare con il fatto del nostro arresto ed è invece una tattica politica usata dal governo per zittirci.

Crescendo come persona nera, sia in Europa che in Africa, ho assistito in prima persona ai resti dell’oppressione coloniale e alla lotta per l’autodeterminazione. In Europa ho dovuto affrontare il razzismo sistemico e l’emarginazione sociale, mentre in Africa ho visto gli impatti duraturi dello sfruttamento coloniale. Queste esperienze fanno eco alle lotte dei palestinesi sotto l’occupazione sionista, evidenziando l’interconnessione delle nostre battaglie per la giustizia. Queste lotte mi toccano profondamente e alimentano il mio impegno per la giustizia globale.

Durante la nostra detenzione, siamo stati testimoni di numerose violazioni dei diritti umani, non solo contro noi stessi, ma anche contro altri residenti privi di documenti privi di tutela legale.

Negligenza medica:

– Uno del nostro gruppo ha bisogno di farmaci giornalieri, ma abbiamo dovuto lottare ogni giorno per accedervi, con il risultato che non abbiamo ricevuto le dosi.
– La richiesta di cure psichiatriche di un altro detenuto è stata respinta, con gli appuntamenti posticipati fino a dopo il rilascio.
– Il medico del campo è raramente disponibile e In caso di emergenza, l’assistenza medica subisce pericolosi ritardi a causa dell’isolamento del campo.

Restrizioni alimentari:

– Il cibo dei detenuti è difficilmente commestibile e nutrizionalmente insufficiente. Abbiamo trovato residui blu sospetti nei nostri pasti, sollevando preoccupazioni sulla contaminazione da farmaci. Nonostante le normative, ai nostri visitatori è stato negato il permesso di portarci cibo e siamo stati costretti ad acquistare dal minimarket troppo caro del campo, rifornito di prodotti che sostenevano il regime sionista.

Manipolazione dei diritti di visita:

– I nostri diritti di visita sono stati gravemente violati, con accesso limitato e nessun incontro privato con i nostri cari.
– Ciò contravviene alle linee guida fornite dalle nostre ambasciate, che garantiscono visite più frequenti e private.

Diniego del diritto all’informazione:

– Le autorità greche tentano abitualmente di farci firmare documenti senza traduzione, violando il nostro diritto di comprenderne le implicazioni.
– Inizialmente, non venivano fornite traduzioni per i nostri ordini di espulsione e, quando lo facevano, gli interpreti erano poliziotti sotto copertura, con l’obiettivo di estorcere informazioni in modo ingannevole.

In risposta a queste ingiustizie, sto iniziando uno sciopero della fame che durerà finché le nostre richieste non saranno soddisfatte e finché sarò detenuta in questo campo.

Le mie richieste sono le seguenti:
1. Un’indagine sui residui blu presenti nel nostro cibo e la fine delle pratiche che indeboliscono i detenuti attraverso la dieta.
2. Consentire ai detenuti di ricevere cibo e acqua da visitatori esterni.
3. Garantire la presenza quotidiana di un medico del campo. Garantire che i detenuti sottoposti a cure mediche ricevano i farmaci prescritti come indicato.
5. Fornire visite mediche tempestive a tutti i detenuti.
6. Rispettare i diritti di visita dei detenuti secondo gli standard internazionali.
7. Garantire la presenza quotidiana di traduttori in francese, inglese, arabo e farsi.
8. Porre fine alla nostra detenzione illegale e annullare l’ordine di espulsione emesso prima del nostro processo.

Ricordo al mondo il motivo per cui siamo detenuti: la Palestina è sotto l’occupazione militare sionista dal 1948, soggetta all’apartheid e al genocidio. La nostra detenzione è una mossa politica per soffocare la solidarietà con la Palestina. Ciò non avrà successo.

L’intersezionalità ci insegna che le lotte per la giustizia sono interconnesse. Riflettendo sulla mia eredità africana, la resilienza e il coraggio dei miei antenati contro il dominio coloniale mi ispirano a continuare a combattere contro ogni forma di oppressione. I parallelismi tra le lotte di liberazione africane e la ricerca palestinese per la libertà sono chiari, evidenziando la lotta universale per la dignità, la giustizia e i diritti umani.

Mi unisco alla lunga tradizione di prigionieri politici e detenuti amministrativi che usano i propri corpi in segno di protesta. Il mio sciopero della fame è una presa di posizione contro le ingiustizie degli stati fascisti. Qualunque cosa mi accada durante questo sciopero è esclusivamente responsabilità dello Stato greco.

Nel mio sciopero della fame a tempo indeterminato, le mie uniche integrazioni saranno acqua, zucchero, sale, tè e vitamina B1.

Le nostre convinzioni sono più forti della vostra repressione. Palestina libera! Liberate tutti i prigionieri politici! Porre fine a tutte le detenzioni amministrative!

Léa Courtois Dakpa 24/05/2023, Centro di detenzione di Amygdaleza

BREVE AGGIORNAMENTO DALLA GRECIA E RIFLESSIONI A MARGINE

Diffondiamo:

Nella data di venerdì 24 maggio, i giudici si sono espressi sulla detenzione di solo 3 dellx 9 solidali reclusx ad Amygdaleza, decretandone il rilascio. Per lx altrx 6 decideranno altri due giudici che però hanno pensato di rimandare la decisione a lunedì. Continua quindi la detenzione amministrativa di 6 solidali nel cpr greco.
Cos’è per loro d’altronde qualche giorno in più o in meno di reclusione deciso sulla pelle dei corpi altrui..!
Continua intanto lo sciopero della fame di 40 persone migranti principalmente di origine egiziana recluse all’interno dello stesso CPR in protesta contro le condizioni detentive.
Seguiranno aggiornamenti.

Solidali con la resistenza palestinese, al fianco di chi è reclusx, di chi è in sciopero della fame e di chi si rivolta nei CPR, condividiamo qualche brevissima riflessione a margine.

Ci preme ricordare che solo nelle ultime settimane, lo strumento della detenzione amministrativa sembra aver ampliato le sue maglie a fronte dell’ampliarsi della solidarietà con il popolo palestinese.
Così ricordiamo il caso di Seif, un educatore algerino che da anni vive a Roma con status di rifugiato, a cui, per un commento pro Palestina all’interno di chat private, è stato revocato lo status di rifugiato e portato nel cpr di ponte Galeria, dove è rimasto per qualche giorno e al momento è in attesa dell’esito del ricorso contro la revoca dello status di rifugiato e l’espulsione.
Non dimentichiamo che pur, con strumenti giuridici diversi, l’Italia sarebbe pronta a consegnare a Israele tramite estradizione i 3 palestinesi, Anan, Ali e Mansour, attualmente detenuti nelle carceri italiane.

In Francia, sono avvenuti dal 7 ottobre diversi casi di detenzione amministrativa di persone con documenti non europei – palestinesi ma anche di altri paesi – per aver espresso solidarietà alla resistenza palestinese contro il genocidio di Israele. D’altra parte la detenzione amministrativa è uno strumento repressivo ampiamente usato dallo stato francese già da diversi anni anche contro persone con documenti europei, considerate una minaccia per l’ordine pubblico. Una tendenza che si andrà generalizzando grazie a quanto previsto dall’ultima legge sull’immigrazione, perfettamente allineata con le politiche di morte richieste dal patto europeo su migrazione e asilo, diventato operativo da aprile 2024.

In Grecia, a seguito dell’arresto di 26 persone per l’occupazione dell’Università di Atene in solidarietà alla resistenza palestinese, lx 9 internazionali sono statx portatx al cpr, in applicazione di una legge greca che consente la detenzione amministrativa, anche di persone con cittadinanza europea, che siano segnalate come indesiderabili per ragioni politiche dallo stato greco e quindi espellibili. Evidente in questo caso è l’utilizzo di tale strumento per prendere di mira i moti di solidarietà per la Palestina.

La detenzione amministrativa rappresenta il fondamento del sistema frontiere nella civiltà Europea, dove migliaia di persone migranti vengono imprigionate per non avere i documenti. E rappresenta anche uno degli strumenti principali della civiltà israeliana nel condurre il genocidio palestinese. In entrambi i casi, si tratta di uno strumento volto all’annientamento psico-fisico dellx individux individuati come nemicx nell’attuale società.

La detenzione amministrativa sembra aver ampliato il suo campo di applicazione in questo momento di guerre, quale strumento di contenimento dei nemici interni individuati su basi politiche, nella forma più arbitraria che consente di oltrepassare le seppur minime garanzie previste dai sistemi penali.

Queste forme detentive, praticate anche dal fascismo, e da tutti i regimi, sono la normalità nei sistemi giuridici delle civiltà occidentali.
Uno dei motivi in più per augurarcene attivamente al più presto l’inesorabile tramonto.

COMUNICATO COMPAGNX GRECI: IN SOLIDARIETÀ CON LX COMPAGNX DETENUTX, CON LA PALESTINA E CON TUTTX DETENUTX E PRIGIONIERX POLITICX

Da: La Vampa, tradotto da athens.indymedia.org.

La sera del 13 maggio, lx studentx di Atene si sono unitx al movimento globale dell’Intifada studentesca in solidarietà con la Palestina e, con il sostegno dx solidalx, hanno occupato la facoltà di Giurisprudenza di Atene. Hanno chiesto alle università greche di interrompere qualsiasi cooperazione sotto forma di progetti di ricerca o programmi di scambio e finanziamento con lo Stato israeliano. La mattina dopo, la polizia ha fatto irruzione nello spazio occupato e ha arrestato 28 persone. La polizia ha confiscato una serie di oggetti dal terreno dell’università, senza che vi fossero prove per collegare questi oggetti a qualcun dellx arrestatx.
Dopo la finalizzazione della legge che consente la presenza della polizia greca all’interno dei campus universitari, l’anno scorso si sono scatenate ondate di violenza contro gli studenti nei loro stessi campus, mentre quest’anno si è assistito a un percorso accelerato verso la privatizzazione delle università. L’aumento della presenza della polizia e le tattiche di intimidazione in spazi un tempo liberi e autonomi si estendono oltre le mura dell’università. Eventi, attività e riunioni collettive in spazi pubblici – siano essi politici o meno – sono presi di mira dalla presenza della polizia, dalla repressione e dalla violenza. La posizione aggressiva dello Stato è un tentativo di reprimere qualsiasi forma di solidarietà, di modalità anticapitalistiche, di libera circolazione e di lotta dei migranti.

Lx 28 arrestatx nella Facoltà di Giurisprudenza di Atene sono statx immediatamente trasferitx alla stazione centrale di polizia di Atene (GADA). Agli avvocati è stato consentito l’accesso ai detenuti solo otto ore dopo il loro arresto, e la polizia ha cercato di costringere lx detenutx a fornire le impronte digitali prima dell’arrivo dei loro avvocati. Nel frattempo, centinaia dx solidalx si sono riunitx davanti alla GADA, chiedendo l’immediato rilascio delle persone arrestate e affermando il loro sostegno a una Palestina libera. Dopo aver ricevuto l’informazione che tuttx lx 28 arrestatx sarebbero statx incriminatx, sono statx costrettx a passare la notte a GADA.

Il giorno successivo, il tribunale avrebbe dovuto svolgersi a mezzogiorno, ma è stato deliberatamente ritardato di qualche ora. Lx solidalx erano presentx in tribunale per mostrare il loro sostegno allx arrestatx, con canti che chiedevano una Palestina libera e la fine delle tattiche di intimidazione. Alla fine, lx 28 sono statx portatx davanti al pubblico ministero e la decisione è stata quella di rilasciare tutti e rinviare il processo al 28 maggio con le accuse di: vandalismo, disturbo dell’ordine pubblico, rifiuto di collaborare con le procedure di polizia (impronte digitali) e possesso di “armi”. Nonostante la decisione del tribunale penale di rilasciare tuttx lx detenutx, la polizia ha deciso diversamente; il dipartimento di sicurezza dello Stato ha registrato lx nove compagnx internazionali non greci come “indesideratx” e ha deciso di procedere con una detenzione amministrativa. Gli avvocati sono stati informati della decisione che la detenzione dellx nove compagnx internazionali sarebbe proseguita in via amministrativa e che sarebbe stato emesso anche un ordine di espulsione; uno sviluppo senza precedenti per i cittadini europei. Lx compagnx sono statx prima inviatx alla Divisione Stranieri della Polizia di Attica e successivamente otto delle nove sono state trasferite al Centro di detenzione preventiva di Amygdaleza, mentre l’unico compagno maschio è rimasto solo alla Divisione Stranieri.

La detenzione amministrativa e le deportazioni sono strategie quotidiane che lo Stato greco pratica come una delle componenti profondamente razziste della micidiale Fortezza Europa. Il palese razzismo dello Stato è evidente negli arresti, nelle detenzioni, nelle torture e nelle deportazioni su larga scala che avvengono quotidianamente e che passano per lo più inosservate alla società.

La sfacciataggine con cui lo Stato greco agisce si spiega anche con anni di applicazione di una politica di frontiera micidiale nei confronti di rifugiati, migranti e persone senza documenti. In Grecia esistono quattro motivi per l’espulsione amministrativa, il che dà alla polizia piena libertà di giudicare se una persona è una minaccia per l’ordine pubblico e, senza un processo penale, la persona può essere detenuta ed espulsa con procedure amministrative. La detenzione e la minaccia di deportazione dei nove detenuti, con cittadinanza italiana, spagnola, francese, tedesca e britannica, è una nuova applicazione di questi ordini repressivi che intimidiscono e prendono di mira il movimento di solidarietà con la Palestina.

La tecnologia utilizzata dallo Stato greco nei suoi respingimenti violenti e mortali dei richiedenti asilo si basa sulla ricerca e sulle tecnologie di contenimento, sorveglianza e controllo che lo Stato israeliano sperimenta sui palestinesi di Gaza e della Cisgiordania. Il dissenso contro lo Stato israeliano, la sua occupazione militare della Palestina e le guerre che conduce a Gaza, in Libano e in Siria, è una minaccia per l’UE e per il complesso di sicurezza militare dei confini della Grecia.

I media di destra greci hanno diffuso informazioni sulla detenzione e la deportazione dei nove individui prima che qualcuno di loro o i loro avvocati ne fossero informati, una mossa che sottolinea l’uso dei media da parte dello Stato come strumento di guerra psicologica e la loro fedeltà ai media rispetto ai processi legali formali. Venendo a conoscenza del loro destino attraverso i media piuttosto che attraverso i canali legali, lx detenutx sono statx privatx della loro capacità di agire e sono statx gettatx nell’incertezza. Queste sanzioni e reazioni legali sono risposte severe e senza precedenti alle accuse di reati minori.

I migranti e i senza documenti che esercitano il loro diritto alla libertà di parola essendo politicamente attivi sono ora esposti a un rischio maggiore di deportazione e di azioni legali violente. Questo è esemplificato dal caso del nostro compagno egiziano che, avendo partecipato a manifestazioni pro-Palestina, è stato minacciato di espulsione dall’ambasciata egiziana. I governi e i media collaborano per criminalizzare e delegittimare gli sforzi a sostegno della lotta palestinese, dipingendo gli individui come minacce alla sicurezza nazionale. Queste azioni rivelano la disperazione dello Stato nel mantenere il controllo e reprimere la resistenza. Sottolineano la necessità di media alternativi e reti di solidarietà per contrastare queste tattiche di intimidazione. Solidarizzando con le persone prese di mira, possiamo smascherare i meccanismi oppressivi dello Stato e continuare la lotta per la vera liberazione, dai palestinesi ai detenuti. È necessario rendere concreta la nostra solidarietà, agire, intensificare, far capire a voce alta che né le intimidazioni né le incarcerazioni e le deportazioni indeboliscono la lotta. La resistenza non morirà mai, la Palestina non morirà mai! Queste intimidazioni e tattiche repressive non possono e non potranno mettere a tacere la nostra rabbia, né fermare la nostra solidarietà con la Palestina.

CHIEDIAMO QUANTO SEGUE:
– NESSUNA DEPORTAZIONE PER LX NOVE INTERNAZIONALI CHIEDIAMO IL LORO RILASCIO IMMEDIATO SENZA RESTRIZIONI FINO ALLA DATA DEL PROCESSO.
– CHIEDIAMO LA COMPLETA ABOLIZIONE DELLA DETENZIONE AMMINISTRATIVA PER LE PERSONE SENZA DOCUMENTI, I MIGRANTI, I RICHIEDENTI ASILO IN GRECIA INSIEME ALLA LEGGE RAZZISTA DELLA DEPORTAZIONE AMMINISTRATIVA.
– L’INTERO MECCANISMO È UNA PRATICA RAZZISTA CHE INCARCERA LE PERSONE NON BIANCHE SENZA ACCESSO AI DIRITTI UMANI FONDAMENTALI.
– SIAMO CONTRO I MEDIA, CHE COLLABORANO CON LA POLIZIA E CHE CERCANO DI DIFFONDERE IL TERRORE CONTRO LE PERSONE CHE LOTTANO E ALZANO LA VOCE PER UNA PALESTINA LIBERA.
LA LOTTA CONTINUA
FERMATE IL GENOCIDIO!
FINE DELL’OCCUPAZIONE DELLA PALESTINA!
TUTTI GLI OCCHI SU RAFAH!

TORINO: AGGIORNAMENTO DAL CILE + PRESENTAZIONE “TINTA DEL FUGA”, RIVISTA ANTICARCERARIA

Diffondiamo:

GIOVEDI’ 16 MAGGIO dalle ore 18 all’Ex Lavatoio Occupato

AGGIORNAMENTO DAL CILE – PRESENTAZIONE DEL PROGETTO EDITORIALE “TINTA DE FUGA”

A fronte della continua repressione, a differenti latitudini, di ogni forma di lotta e di dissenso, vediamo come non c’è esitazione, da parte degli Stati, nell’infliggere condanne elevatissime a compagni e compagne che portano avanti lo scontro tramite l’attacco diretto ai responsabili primi del dominio.

Se in Italia viene definitivamente chiuso, con la Cassazione dello scorso 24 aprile, il processo Scripta Manent che vede comminata ad Alfredo Cospito, rinchiuso in 41 bis, una condanna di 23 anni e ad Anna Beniamino di 17 anni e 9 mesi; in Cile pochi mesi fa’ si è concluso il
processo di 1° grado nei confronti di Francisco Solar e Monica Caballero, con le rispettive pene a 86 anni e 12 anni. Sempre in Cile continua la lotta in sostegno a Marcelo Villaroel, rinchiuso da anni e anni per via di quelle che erano le leggi esistenti durante dittatura e
il corrispettivo tribunale speciale militare.

Di tutto questo ne parleremo con un compagno di Santiago del Cile.

FREE THEM ALL: SETTIMANA DI MOBILITAZIONE

Dal 18 al 23 marzo 2024
Per mantenere viva l’attenzione, per non lasciare nessuno indietro, per impedire l’estradizione di Gabriele, per una società libera da ogni carcere: in Ungheria, in Italia o in Palestina. Mobilitiamoci per una settimana, ognun come crede, con ogni mezzo che si ritiene opportuno.

  • 23 marzo Roma: corteo né prigione né estradizione
  • 28 marzo Milano: udienza per l’estradizione di Gabriele
  • 28 marzo Budapest: processo a Ilaria e lx altrx antifa

BOLZANO: ABBATTERE LE FRONTIERE DAL BRENNERO ALLA PALESTINA – CORTEO

Manifestazione “From Gaza to Brennero smash the borders”

3 marzo 2024, ore 14.30

Via Museo/Cassa di Risparmio (Bolzano)

Diffondiamo:

Mentre viene trasmesso in diretta televisiva l´orrore del genocidio del popolo palestinese, il prossimo 5 marzo la Corte di Cassazione si pronuncerá sulle condanne per la manifestazione contro il muro del Brennero del maggio 2016. Se saranno confermati i 130 anni complessivi inflitti in appello, per alcune decine di compagni/e si apriranno le porte del carcere.

A distanza di otto anni il senso di quella giornata é sempre piú attuale. Guerre, razzismo, frontiere, muri e filo spinato sono l´emblema del nostro presente. Dalla guerra fra NATO e Russia in Ucraina alla Gaza sotto assedio totale in cui la popolazione é alla fame, dai lager della Libia ai morti nel Mediterraneo e al Brennero, le frontiere continuano a determinare la vita o la morte di chi prova a superarle. Se a Gaza e nel resto della Palestina una parte di umanitá considerata “di scarto” é direttamente sterminata, nel resto d´Europa gli immigrati “indesiderabili” senza documenti vengono sfruttati o rinchiusi nei CPR, strutture di detenzione amministrativa, dove spesso trovano la morte.

Oggi come ieri scendiamo in piazza, certi di essere dalla parte giusta della storia, quella degli oppressi e di chi lotta per la propria libertà ed emancipazione. Con il cuore gonfio di rabbia per il genocidio in corso in Palestina, con il cuore pieno di amore per tutti i compagni che nel 2016 hanno messo in gioco la propria libertá per rompere l´indifferenza e l´apatia con cui troppo spesso vengono accettati i peggiori crimini compiuti dal potere.

Con il cuore a Gaza ed agli oltre 9000 prigionieri palestinesi vessati nelle carceri israeliane.

Chi lotta non é mai solo. Dalla Palestina all´Italia solidarietà internazionalista contro guerre e frontiere! Free all political prisoners!

freepalestinebz@inventati.org

Während der grauenvolle Völkermord am palästinensischen Volk live im Fernsehen übertragen wird, fällt das Kassationsgericht am 5. März die Urteile für die Demonstration im Mai 2016 gegen die Brenner-Mauer. Wenn die insgesamt 130 Jahre Gefängnis, die im Berufungsverfahren erhoben wurden, bestätigt werden, landen mehrere Dutzend Genoss:innen im Gefängnis.
Nach acht Jahren wird die Bedeutung dieses Tages immer aktueller. Kriege, Rassismus, Grenzen, Mauern und Stacheldraht sind emblematisch für unsere Gegenwart. Grenzen entscheiden nach wie vor über Leben und Tod derer, die versuchen, sie zu überschreiten – vom Krieg zwischen NATO und Russland in der Ukraine bis zum vollständig belagerten Gazastreifen, in dem die Bevölkerung verhungert, von den Lagern in Libyen bis zum Tod im Mittelmeer und am Brenner. Während in Gaza und im restlichen Palästina ein Teil der Menschheit, der als “Abfall” betrachtet wird, direkt ausgelöscht wird, werden in Europa “unerwünschte” Einwanderer:innen ohne Papiere ausgebeutet oder in Präventivhaftanstalten eingesperrt, wo sie allzu oft zu Tode kommen.
Heute wie gestern gehen wir auf die Straße, in der Gewissheit, dass wir auf der richtigen Seite der Geschichte stehen, auf der Seite der Unterdrückten und derjenigen, die für ihre Freiheit und Befreiung kämpfen. Mit dem Herzen voller Wut über den andauernden Genozid in Palästina, mit dem Herzen voller Liebe für all die Genossinnen und Genossen, die 2016 ihre Freiheit aufs Spiel gesetzt haben, um die Gleichgültigkeit und Apathie zu brechen, mit der allzu oft die schlimmsten Verbrechen der Machthaber:innen hingenommen werden.
Unsere Herzen sind in Gaza und bei den mehr als 9.000 palästinensischen Gefangenen, die in israelischen Gefängnissen schikaniert werden.
Wer kämpft, ist nie allein. Internationale Solidarität gegen Kriege und Grenzen, von Palästina bis nach Italien! Free all political prisoners!
freepalestinebz@inventati.org

CILE: CONCLUSIONE DEL PROCESSO E DICHIARAZIONI FINALI DI FRANCISCO SOLAR E MÒNICA CABALLERO

Diffondiamo:

Nell’ultima settimana si sono tenute le udienze finali del processo di primo grado contro i compagni anarchici Mónica Caballero e Francisco Solar, arrestati il 24 luglio 2020 e accusati (il solo Francisco) dell’invio dei pacchi-bomba al 54° commissariato dei carabineros e a Rodrigo Hinzpeter, ex ministro dell’interno e della difesa nazionale, nonché dirigente del gruppo Quiñenco (25 luglio 2019), ed entrambi del duplice attacco esplosivo nell’edificio dell’immobiliare Tánica (27 febbraio 2020), situato nel quartiere borghese di Vitacura (nell’area metropolitana di Santiago) e avvenuto nel contesto della rivolta generalizzata scoppiata in Cile nell’ottobre 2019. L’azione contro il 54° commissariato e Hinzpeter venne rivendicata dai Cómplices Sediciosos – Fracción por la Venganza, mentre quella nell’edificio Tánica dalle Afinidades Armadas en Revuelta.

Nel dicembre 2021 Francisco si è assunto la responsabilità per entrambe le azioni, sostenendone le ragioni, la scelta degli obiettivi e la significatività rivoluzionaria.

Il 10 agosto 2022, dopo una serie di proroghe al periodo d’indagine, si sono concluse le udienze preliminari e sono state rese note le richieste di condanna: 30 anni di carcere per Mónica e 129 anni per Francisco (secondo il sistema giudiziario vigente nello Stato cileno la procura esprime le richieste prima dell’inizio della fase dibattimentale vera e propria, il juicio oral). Il 18 luglio di quest’anno, dopo un rinvio, è quindi iniziato il processo, cui i compagni hanno assistito in presenza solamente nel corso delle prime e delle ultime udienze, assistendo in videoconferenza per le restanti. Durante quella del 18 luglio il pubblico ministero, rimodulando le richieste iniziali, ha dichiarato che la procura intende infliggere una condanna tra i 20 e i 25 anni a Mónica e una di oltre 150 a Francisco. Durante l’udienza del 19 luglio Francisco ha ribadito l’assunzione di responsabilità per tutte le azioni.

L’arresto e le udienze contro i compagni sono state costantemente seguite dai mass-media in Cile, vista la rilevanza del processo, volto a dare un monito agli anarchici e alle forme di guerriglia sviluppatesi nella realtà sociale cilena in particolare negli ultimi anni, a partire dalla rivolta generalizzata del 2019-‘20. Alle udienze processuali è coincisa una mobilitazione solidale con attività di agitazione e propaganda, trasmissioni sulle frequenze radiofoniche solidali, iniziative in strada e dibattiti, la pubblicazione di un numero unico (“Complicidad y sedición”).

Riportiamo qui di seguito l’aggiornamento sul verdetto e le dichiarazioni finali dei compagni, presenti in aula durante l’udienza del 6 novembre (si tratta di trascrizioni, pertanto non essendovi una stesura scritta la punteggiatura è stata definita da chi ha tradotto).


Verdetto contro i compagni anarchici Mónica Caballero e Francisco Solar

Ieri, 7 novembre 2023, mentre all’esterno si teneva un presidio solidale, il tribunale – dopo quattro mesi di processo – ha emesso il verdetto contro i compagni Mónica e Francisco.

Francisco è stato dichiarato colpevole come autore per:

– due invii di ordigni esplosivi (alla 54° comisaría dei carabineros e a Hinzpeter);
– un tentato omicidio nei confronti dei carabineros;
– un reato di lesioni gravi nei confronti di un agente dei carabineros;
– un reato di lesioni;
– cinque reati di lesioni lievi;
– un danneggiamento (54° comisaría);
– un tentato omicidio nei confronti di Hinzpeter;
– due reati di collocazione di ordigno esplosivo (edificio Tánica).

È stato assolto dall’accusa di usurpazione di identità.

Mónica è stata condannata in qualità di complice per due reati di collocazione di ordigno esplosivo (edificio Tánica), mentre è stata assolta dall’accusa di possesso di marijuana.

Riassumendo, il tribunale ha accolto quasi tutte le richieste della procura, tranne, nel caso di Francisco, una delle imputazioni di tentato omicidio (che è stata derubricata in lesioni) e l’accusa di furto d’identità (per cui è stata disposta l’assoluzione); nel caso della compagna Mónica ha modificato la sua posizione da “autrice” dei fatti a “complice” e ha rigettato alcune aggravanti richieste dagli inquirenti.

Il tribunale dovrebbe emettere la sentenza definitiva, comprensiva degli anni di condanna che peseranno su ciascuno di loro, il prossimo 7 dicembre.

Salutiamo i cuori neri che assumono il compito di colpire i potenti.

Amore e anarchia per Mónica e Francisco.


Dichiarazione di Francisco Solar Domínguez

Buongiorno,

le azioni delle quali mi sono già assunto la responsabilità, che ho rivendicato politicamente e per le quali verrò condannato, fanno tutte parte di una lunga tradizione storica, specificatamente anarchica, che si incarica di restituire, in prima persona e senza necessità di intermediari, i colpi dei potenti e dei repressori; perché se qualcuno pensava che le loro politiche del terrore, basate su imposizioni e restrizioni di ogni sorta, così come su ondate repressive in cui addirittura, spesso e volentieri, calpestano la loro propria legalità (che tanto dicono di difendere e rispettare), sarebbero passate inosservate e non avrebbero suscitato risposte, si sbagliava di grosso.

Siamo in molti a saper aspettare il momento giusto per agire, a concepire la memoria non come un baule in cui riporre ricordi da contemplare e lamentele, ma piuttosto come un motore, che dà impulso all’azione vendicatrice come parte di una nostra pratica politica permanente, che si nutre della nostra storia, con i nostri successi e le nostre sconfitte.

Ed è stato questo esercizio mnemonico a nutrire le azioni individuali che realizzai negli anni 2019 e 2020; azioni individuali che non necessitavano né del consenso né dell’accordo collettivo, ma che furono il risultato dell’analisi, della decisione e della volontà personali, azioni che per alcuni altri furono parte e indubbiamente fortificarono la guerriglia urbana anarchica, la quale non scompare a prescindere dai costanti colpi repressivi, dimostrando nei fatti la praticabilità e l’efficacia delle relazioni informali orientate all’azione rivoluzionaria. Dimostrando peraltro come non sia necessaria una grande struttura organizzativa per la realizzazione di azioni incisive.

In questo senso, è importante far notare come le grandi organizzazioni rigide e stabili si trasformino rapidamente nel proprio stesso fine, cioè si organizzano nient’altro che per fortificare l’organizzazione stessa, a differenza delle organizzazioni informali che basano le proprie relazioni sull’attacco, cosa che conferisce loro quel dinamismo che previene l’irrigidimento e la comparsa di logiche burocratiche.

Le azioni, oltre a essere colpi diretti a dei rappresentanti e a dei simboli del potere, e oltre a dimostrare che è possibile realizzare i suddetti attacchi, costituiscono un mezzo per la diffusione di idee e messaggi, messaggi di ribellione e libertà, che verranno recepiti e posti in pratica da chiunque lo desideri. Messaggi che solo collegati con queste azioni costituiscono un reale pericolo per l’ordine imposto.

E parlo di ordine imposto perché in questa società non esiste un contratto sociale per il quale gli individui abbiano delegato la propria libertà allo Stato in cambio di libertà e sicurezza – impostazione che per inciso costituisce le fondamenta degli Stati moderni – ma, al contrario, lo Stato si fonda sulla spoliazione storica delle libertà degli individui, sottomettendoli e limitandoli in sempre più aspetti della loro vita, cosa che fortifica e perpetua il dominio statale. Lo Stato non è più solo un’istituzione, ma lo si ritrova in ognuna delle nostre relazioni, rendendo ancora più complesso ed esteso il dominio statale, e pertanto azioni contro lo Stato non solo sono giustificate, ma assolutamente necessarie. E, certo – come ha detto anche il signor Pubblico Ministero nella sua requisitoria finale – “concediamogli pure la parola!”, ma una parola che sia vincolata all’azione rivoluzionaria, perché una parola che pretenda costruire nuove relazioni, scevre di qualunque autorità, deve necessariamente andare di pari passo con l’azione rivoluzionaria.

Non si può negare la crescita e la proliferazione dei gruppi anarchici, negli ultimi tempi, cosa che ha comportato il fatto che i discorsi e le pratiche antiautoritarie siano presenti in gran parte delle mobilitazioni e delle rivolte attuali. Vedendo l’anarchia come una tensione piuttosto che un punto d’arrivo, e intendendola al pari di una lotta permanente contro ogni espressione dell’autorità piuttosto che una società perfetta o un paradiso terrestre, come in molti suggeriscono, si comprende come queste azioni individuali violente siano una parte imprescindibile di questo percorso di liberazione. Voglio lasciar intendere molto chiaramente che, lungo questo percorso, azioni come queste non sono le prime né saranno le ultime, ma come ho già detto precedentemente sono parte di un continuum storico che non sparirà; nonostante ci condannino a decadi di reclusione, e persino se ci uccidessero, ci saranno sempre individui e gruppi di individui che sono disposti a rispondere alla brutalità dello Stato e del capitalismo: ciò è inevitabile.

Infine, voglio approfittare di questa occasione per mandare un saluto complice ai prigionieri e prigioniere, anarchici e sovversivi, che lottano nelle carceri di questo paese.

Viva l’anarchia!

[6 novembre 2023]


Dichiarazione di Mónica Caballero Sepúlveda

Cercherò di essere abbastanza breve, visto che avevo deciso di non prendere la parola in questa sede, però reputo che sia necessario precisare una serie di questioni piuttosto specifiche rispetto ad alcune affermazioni in prevalenza del Pubblico Ministero.

Dunque, ho deciso di rilasciare una dichiarazione finale in questo processo, che mira a essere una punizione esemplare, perché non posso lasciar passare l’opportunità di difendere e chiarire una serie di aspetti che hanno a che fare con le idee e le pratiche che ho difeso e adottato praticamente negli ultimi 20 anni della mia vita.

Il signor Pubblico Ministero ha chiesto al mio coimputato se sono anarchica. E sì, certo che sono anarchica, però questo che significa? Dicendo anarchismo mi riferisco a un insieme di idee e pratiche che, inquadrate in principi che sono, ad esempio, il mutuo appoggio, la solidarietà, l’autogestione, costruiscono idee e pratiche che si iscrivono nella distruzione e nella costruzione, che voglio dire con questo?, la costruzione di ciò che è…

Quando mi riferisco all’anarchismo, intendo quell’insieme di idee e pratiche che in base a principi come il mutuo appoggio, la solidarietà e l’autogestione, costruiscono le condizioni affinché tutti gli individui… costruiscono le condizioni affinché tutti e tutte ci sviluppiamo in maniera integrale, tuttavia allo stesso tempo queste condizioni mirano alla distruzione di ogni forma di dominio.

Cosa intendo con “ogni forma di dominio”? Quelle forme di dominio che sono, ad esempio, l’attuale sistema di oppressione economica imperante, ciò vale a dire il capitalismo, e anche l’egemonia del potere politico, ovvero l’attuale Stato.

All’interno di queste pratiche noi anarchici possediamo un ampio ventaglio, come ben diceva il Pubblico Ministero. Tra le pratiche anarchiche esiste la violenza, ma ciò non è appannaggio unicamente dell’anarchismo, e allo stesso modo l’anarchismo non contempla la violenza come sua unica espressione pratica; e sì, ci sono compagni che hanno collocato degli ordigni, o che hanno spedito ordigni esplosivi, ma insisto: questa pratica di violenza politica non appartiene al solo anarchismo e l’anarchismo non esercita unicamente la violenza politica.

In relazione a tutto ciò, devo necessariamente porre una domanda e contemporaneamente rispondermi: che cosa caratterizza la pratica anarchica? Le pratiche anarchiche, violente o meno, si inscrivono e traggono ispirazione necessariamente all’interno delle idee antiautoritarie. Non possiamo separare l’idea dalla pratica antiautoritaria anarchica, finanche rivoluzionaria in un ampio spettro, senza tenere in considerazione la complementarietà tra idea e pratica. Vale a dire che le pratiche anarchiche non si sostengono senza la colonna vertebrale delle idee. Mettendo in chiaro tale questione rilevante tra idea e pratica, posso categoricamente dire che una pratica anarchica, violenta o no, non sarà mai indirizzata in maniera indiscriminata.

Il Pubblico Ministero, in una delle sue repliche, chiedo venia, durante la sua requisitoria, ha menzionato un concetto molto azzeccato e antico di noialtri anarchici: si è riferito alla propaganda con il fatto. La prospettiva del Pubblico Ministero sulla propaganda con il fatto, o ciò che ha cercato di spiegare in relazione a questo concetto, è una maniera molto miope di vederla, fondamentalmente perché ha tentato di inquadrarla nel contesto storico in cui ebbe il suo apogeo. Se non ricordo male, tra la fine dell’‘800 e l’inizio del 1900, durante un congresso a Londra, un gruppo di anarchici di diversi luoghi del mondo assunsero come pratica la propaganda con il fatto, e questa propaganda con il fatto la incarnarono attraverso assassinii, collocazioni di ordigni esplosivi, e una lunga lista di altri episodi. Ma la propaganda con il fatto è molto più di questo. Ciò che io sto facendo, ciò che sta facendo il mio coimputato in questo stesso processo, con le nostre parole, è propaganda con il fatto; questo è il punto: tutto ciò va molto più in là del mero esercizio della violenza, e nello specifico degli ordigni esplosivi.

Devo anche sottolineare come in questo processo, così come in tutti gli altri processi penali in cui sono stata e in quelli di cui sono stata spettatrice, nei confronti di compagni e compagne tanto in Cile come in altre parti del mondo, si è sempre assimilata la nostra visione politica a dei fatti delittuosi, e mi pare curioso, per non dire altro, che si stia negando questo aspetto investigativo, altrimenti che senso avrebbe avuto il sequestro delle decine, per non dire centinaia, di libri, le centinaia o migliaia di volantini, poster, opuscoli, e così via? Non capisco se non abbia altro scopo che lo studio della nostra concezione del mondo o del nostro modo di intendere la politica o lo scontro con il dominio, e non comprendo la negazione di questo aspetto.

Come già dicevo prima sono anarchica, pertanto nemica di ogni forma di dominazione, sottomissione od oppressione realizzata attraverso qualsiasi struttura di potere, per cui lo Stato, in tutte le sue forme e rappresentazioni, è illegittimo. Partendo dall’idea per cui questo, lo stesso Stato, si creò e consolidò a partire dall’idea del bene comune, o per lo meno il bene della gran maggioranza, cosa che è assai lontana dalla verità, vivo in un mondo in cui un gruppo privilegiato esiste al prezzo della miseria della grande maggioranza. Costruire forme antagoniste alle relazioni di potere è necessario affinché esista uno sviluppo integrale di tutti gli abitanti di questo mondo, tanto umani quanto animali.

Infine, posso dire a tutti i presenti che aspetto piuttosto tranquillamente il verdetto di questo tribunale, perché so che le idee di emancipazione alle quali ho dedicato buona parte della mia vita trascendono me stessa.

In ultimo, ai presenti e ai miei compagni e compagne presenti, come a coloro che ascolteranno o leggeranno in seguito le mie parole, posso dire che fino all’ultimo respiro che mi rimanga, sempre affermerò: morte allo Stato e che viva l’anarchia!

[6 novembre 2023]

Qui il PDF del testo.

 

“Dal fuoco alle esplosioni, percorriamo lo stesso percorso di vendetta. Solidarietà e complicità con Monica e Francisco”

“Che i prigionieri escano e le carceri brucino. Monica, Francisco e Marcelo in strada! Morte allo Stato, viva l’Anarchia!”

TRENTO: A PRECIPIZIO [TESTO]

Diffondiamo il testo di un volantino diffuso a Trento da compagne e compagni anarchici che ci sentiamo di condividere. Lo condividiamo introducendolo con questa poesia.

Mentre prepari la tua colazione, pensa agli altri,
non dimenticare il cibo delle colombe.
Mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace.
Mentre paghi la bolletta dell’acqua, pensa agli altri,
coloro che mungono le nuvole.
Mentre stai per tornare a casa, casa tua, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende.
Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
Mentre liberi te stesso con le metafore, pensa agli altri,
coloro che hanno perso il diritto di esprimersi.
Mentre pensi agli altri, quelli lontani, pensa a te stesso,
e dì: magari fossi una candela in mezzo al buio.

Mahmoud Darwish (1941-2008),
poeta palestinese

Di seguito il testo del volantino:

A PRECIPIZIO

Mentre la repressione dello Stato colpisce sempre più duro, a Gaza si stanno spalancando le porte dell’abisso.

Ciò che da anni si sperimenta anche qui contro le minoranze ribelli – una mistificazione costante sul concetto di «terrorismo», l’isolamento carcerario di compagne e compagni per impedire loro persino di leggere e di scrivere, la chiusura di siti e la detenzione dei redattori di un quindicinale anarchico – si sta allargando a chiunque dissenta o anche solo ricordi quella storia che la propaganda di guerra vorrebbe cancellare. Direttori di giornali che auspicano nei salotti televisivi la distruzione di Gaza, studenti picchiati a Livorno per uno striscione che dice «Né con Israele né con Hamas», i governi francese e tedesco che vietano le manifestazione in solidarietà con la popolazione palestinese in quanto «apologia del terrorismo» – tutto questo sta dicendo anche ai più distratti una cosa ben precisa: siamo in guerra.

La spirale in atto non è né sorprendente né casuale. Più la classe dominante occidentale si sente fragile e più diventa feroce. Da un lato deve imporre quella violentissima ristrutturazione della società chiamata quarta rivoluzione industriale, dall’altro vede vacillare – in Ucraina, in Niger e ora con lo shock per il crollo del mito dell’invincibilità dei muro israeliano – il proprio potere globale. E allora colpisce a casaccio: ecologisti dai propositi ben poco rivoluzionari ed ex ambasciatrici che ricordano l’oppressione storica dei palestinesi, passando per un ricercatore universitario fino a ieri simbolo della libertà di parola incarcerata dalla dittatura egiziana, e ora in odore di «terrorismo» per le parole contro Netanyahu. Se all’intellettuale scomodo si tirano le orecchie, il terrore poliziesco vero e proprio è riservato ai giovani proletari di periferie sempre più grandi ed esplosive, e alle masse dei poveri in fuga. Un’umanità da tenere sotto il tallone di ferro anche grazie a quella detenzione amministrativa – cioè all’imprigionamento in assenza di qualsiasi reato – sperimentata proprio in Israele o oggi estesa in tutto il mondo.

La propaganda totalitaria ricalca sempre gli stessi schemi: non accetti la gestione autoritaria del Covid, e allora sei un «negazionista»; non ti schieri con la NATO, e allora sei un «filoputiniano»; consideri il 41 bis una forma di tortura, e allora stai con i mafiosi. Questa logica binaria sta raggiungendo ora il più ignobile parossismo: mentre in Israele giornalisti e persino ex capi dell’esercito o dei servizi segreti definiscono il governo di Netanyahu una banda del Ku Klux Klan (e come altro definire dei ministri che sostengono apertamente la superiorità del sangue ebreo e la natura animalesca dei palestinesi?), in Italia chi dice molto meno finisce alla gogna mediatica o sotto i manganelli della polizia.

Mentre quasi un milione di palestinesi sono in fuga da un lato all’altro della prigione di Gaza con un’unica destinazione consentita: il deserto del Sinai, per sopravvivere nel quale l’ONU si dichiara pronta ad offrire ai fuggiaschi delle generose tende; mentre il ministro della guerra israeliano definisce gli abitanti di Gaza «animali dalle sembianze umane» e una deputata suo stesso partito Likud invoca il «giudizio finale» con la distruzione totale dei gazawi; mentre in quelle terre l’utopia anarchica di una libera federazione, egualitaria e senza Stati, tra arabi ed ebrei giace nel fango e nel sangue, è necessario più che mai non rinunciare né alla propria umanità né alla propria facoltà di giudizio. Il nostro campo è quello delle sfruttate e degli sfruttati contro tutti gli Stati e tutte le borghesie. Siamo senza alcuna ambiguità con le masse palestinesi contro il colonialismo e il razzismo del sistema-Israele. Se affermiamo chiaro e tondo che la violenza dell’oppresso è sempre responsabilità dell’oppressore, l’unica violenza che difendiamo è quella liberatrice e rivoluzionaria: una violenza che non colpisce nel mucchio, che distingue governi e popolazioni, classi dominanti e classi dominate. Dal momento che è proprio per aver sempre difeso – e, nel limite delle nostre capacità, praticato – questo posizionamento etico e sociale che veniamo colpiti dal carcere e dalla repressione, saranno gli stessi princìpi a orientarci anche nel precipizio dell’orrore e delle parole che lo giustificano.

anarchiche e anarchici