AGGIORNAMENTI SU ZAC E PRESIDIO A TERNI

Diffondiamo:

Un aggiornamento su Zac. A seguire un testo e la chiamata del presidio al carcere di Terni del 25 giugno 2023.

È stata fissata per il 20 settembre a Roma l’udienza del ricorso in cassazione all’esito del riesame del 6 aprile, che ha confermato la misura cautelare in carcere per Zac.

Per scrivere a Zac:
Marco Marino
C.c. di Terni
Via delle Campore,32
05100 Terni (TR)


Per un mondo senza galere e senza la società che le produce.

Qui il testo pdf

Il 28 marzo il compagno anarchico Zac è stato arrestato in maniera preventiva a seguito di un’indagine ancora in corso per 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo), che coinvolge altre 13 persone, disposta inizialmente dai PM Antonio Ardituro e Gianfranco Scarfò e poi rilevata dal PM Maurizio De Marco. Zac viene accusato di 280 bis (atto di terrorismo con ordigni micidiali e esplosivi) e 270 quinquies (autoaddestramento) per un’azione incendiaria avvenuta il 4 marzo 2021 davanti al consolato greco di Napoli, collocata dall’accusa all’interno della campagna di solidarietà con il prigioniero rivoluzionario Dimitris Koufontinas, all’epoca in sciopero della fame nelle carceri greche. Il 3 aprile Zac è stato trasferito dal carcere di Secondigliano alla sezione di Alta Sicurezza (AS2) del carcere di Terni, e si trova in cella con Juan, compagno anarchico condannato in secondo grado a 14 anni di carcere dal tribunale di Treviso, perché accusato di un attacco esplosivo contro la sede della Lega nord di Villorba (Treviso). Cioè contro i responsabili stragisti della morte di migliaia di migranti lasciati affondare nel Mediterraneo, e di un decreto sicurezza che ha portato fino a 12 anni le pene possibili per i picchetti e i blocchi stradali. Infami promotori di un delirante securitarismo di destra, che fa coppia fissa col più ottuso giustizialismo di sinistra, come volti indistinguibili di una società sempre più carcerogena.  Vogliamo quindi ribadire la nostra solidarietà e complicità con Zac e Juan, con chi è accusato/a di attaccare il sistema economico-politico di carcere e frontiere, e con chiunque si ribella alle imposizioni di questa società. Sempre al fianco di chi lotta e contro chi si arricchisce soffiando sui venti di guerra. Contro chi crede di aver già scritto e prescritto un futuro tecno-militare di controllo totale, calando ogni giorno un po’ di più la ghigliottina atomica sospesa sulle nostre teste e usando lo stato di emergenza permanente (covid, terrorismo, clima, guerra, immigrazione) come tecnica di governo. Ma senza aver fatto i conti con l’imprevedibilità del vivente, che non può rientrare in alcun calcolo predefinito e definitivo. Che i loro conti non tornano lo hanno dimostrato tanto i fiumi che hanno rotto gli argini, portando a galla anni di cementificazione della natura e ingegneria ambientale senza scrupoli, quanto le quotidiane resistenze nei lager di Stato (carceri, cpr e simili). La richiesta di più secondini e corpi speciali avanzata dai servi sindacali in divisa non basterà a prevenire l’insorgere dell’imprevedibile. Come non servirà il miserabile tentativo di psichiatrizzare la tensione anarchica come patologica “condotta” di personalità disfunzionali. Disfunzionali ad alimentare questo stato di cose lo siamo di certo, ma non c’è categoria giuridica o psicologica che può costringerci nella sua morsa, o che può anche solo presumere di riuscire a dire chi siamo, cosa facciamo e cosa vogliamo.  Contro i responsabili della devastazione di interi territori, garanti della pacificazione di ogni conflittualità sociale e armatori della guerra alla natura e ai poveri. Lobotomici funzionari e religiosi soldati del grigio esercito della servitù volontaria. Megalomani disagiati che scambiano l’innovazione scientifica per creazione divina, e la legge di legno della Giustizia per Grazia dei cieli. Fanatici crociati in prima linea sul fronte dell’avanzamento tecnologico eletto a fede, che intende spazzare via ogni residuo non macchinico di autorganizzazione e autodeterminazione, che vorrebbe schiacciare ogni contenuto sovversivo e riproducibile della storia su un eterno presente di cieco progresso, sempre uguale a sé stesso nella sua logica espansiva, in cui non c’è tempo né spazio per immaginare e desiderare alcun futuro altro. Ma tanti dei rivoluzionari imprigionati da decenni nel carcere di Terni rendono irriducibile la memoria delle lotte che si vorrebbero condannate all’oblio. Costruttori di armi e distruttori di sogni. A sentirsi davvero in pericolo sono loro. La scintilla della solidarietà che potrebbe minacciare interessi economici, ordine politico, obbedienza civile e guadagni militari è infatti il principale obiettivo degli attacchi repressivi – spesso preventivi – contro anarchiche e anarchici. L’accusa di pericolosità sociale con cui lo Stato vorrebbe mettere definitivamente al bando l’anarchia, in quanto pensiero radicalmente pratico, e giustificare nuove misure repressive, non è che il goffo tentativo di prevenire e punire l’esplosione di reti e pratiche di solidarietà tra e verso chi si ribella in questo mondo. In particolare, la solidarietà manifestata nei confronti di Alfredo, prigioniero anarchico che nel 2012 ha rivendicato il ferimento dell’allora Amministratore Delegato di Ansaldo Nucleare, uno dei responsabili della produzione di morte atomica. Dal carcere sardo di Bancali a quello milanese di Opera, Alfredo ha lottato con uno sciopero della fame di sei mesi contro ergastolo ostativo e 41 bis, che sono solo “il grado estremo di accanimento dei regimi differenziati: carceri dove l’isolamento continuato e il sovraffollamento delle sezioni comuni sono le due facce di un sistema teso ad annullare l’individuo. Carceri dove le stragi, quelle vere, si sono verificate e si verificano: nella repressione delle rivolte del 2020, nello stillicidio di suicidi, nel trattamento dei più poveri e fragili tra i prigionieri come “materiale residuale” della società tecno-capitalistica imperante” (dichiarazione di Anna, prigioniera anarchica nel carcere di Rebibbia). La lotta contro il 41 bis non si è conclusa con la fine dello sciopero della fame di Alfredo, che si trova ancora sottoposto a questo infame regime. Né crediamo che sia sufficiente la contestazione “democratica” e benpensante contro questo strumento di condanna a morte, considerato legittimo quando viene applicato ai cosiddetti boss mafiosi, a cui lo Stato stringe la mano, per poi rinchiuderli in una tomba da cui si esce solo con l’abiura e il pentimento, cioè barattando la propria libertà con quella di qualcun altro; o l’umanitarismo ipocrita di chi, appellandosi all’incostituzionalità dei regimi più duri, rivendica un carcere “più giusto”, come luogo di rieducazione (ma poi a cosa? Ai principi di una società che produce morte e devastazione a ogni latitudine?). Il 41 bis e l’ergastolo sono la punta dell’iceberg di un universo carcerario fatto di annientamento fisico e psicologico, che deve essere abbattuto dalle fondamenta. Sappiamo bene che salvare la facciata della democrazia amputandone le terminazioni più cruente non renderà il mondo un posto più libero. Siamo convinte/i che il carcere stesso e non solo i suoi eccessi sia il prodotto non riformabile di una società che opprime. Ai vertici di quest’ultima troviamo la magistratura antimafia e antiterrorismo con la sua presunzione di intoccabilità, che ottiene sacrosanto potere politico, altissima gloria mediatica, grasse carriere e soldi a profusione costruendo teoremi di supercazzole. Con lo scoppio della guerra tra imperialisti occidentali e russi e la conseguente esasperazione della “crisi” economica, la repressione è aumentata in modo da arginare ogni potenziale conflittualità interna agli stati, anche grazie all’accelerazione della pacificazione sociale che è passata per la gestione iperautoritaria del covid con misure fino a quel momento ritenute inaccettabili, come lockdown, coprifuoco, green pass, obbligo vaccinale, divieto di manifestazione. Pandemia, nucleare, economia di guerra: questi i terreni su cui sperimentare il controllo sulle popolazioni secondo logiche militari, e dare il colpo di grazia a ogni forma di opposizione attraverso l’applicazione di strumenti emergenziali di irreggimentazione di massa. Proprio l’accettazione sociale di questi ha reso possibile isolare e stigmatizzare quelle poche frange di persone che non hanno voluto adeguarsi a un sistema asfittico e impersonale. Si è così permesso allo stato di spogliarsi delle pur poche ipocrisie garantiste, dando inizio a una caccia spietata verso quelle minoranze politiche che hanno continuato ad avere una voce dissenziente all’interno del deserto che chiamano società. Non a caso nell’ultimo anno operai, studenti, organizzazioni sindacali, disoccupati e movimenti sociali hanno subito pesanti attacchi da parte della magistratura con denunce, condanne e arresti, come quello di sette sindacalisti delle organizzazioni di base la cui lotta per il miglioramento delle condizioni lavorative è stata equiparata al reato di “estorsione” e la rabbia ai tempi del covid messa sotto accusa con l’“aggravante camorristica” (negli scontri di ottobre 2020 a Napoli per esempio). Imbarazzanti capriole linguistiche vomitate dalla fusione di antiterrorismo e antimafia. Tocchiamo oggi con mano come la progressiva sparizione della conflittualità non ha fatto altro che peggiorare le condizioni di vita, alimentare sistemi di sfruttamento e controllo, così come di sofferenza e disagio. Mentre si agita l’emergenza del terrorismo islamico, del terrorismo rivoluzionario e del sistema mafioso riempiendo le galere di mezza Italia, vengono intanto criminalizzate intere comunità di islamici e meridionali, le loro reti affettive e lavorative, di sopravvivenza materiale e culturale, solidarietà, recalcitranza (verso lo Stato), innanzitutto perché storicamente migranti e colonizzate, poco integrabili, povere, ricattabili, sfruttabili, e quindi condannabili. E al tempo stesso la critica e la violenza rivoluzionaria vengono mostrificate dalla retorica infamante delle inchieste giornalistico- giudiziarie antianarchiche costruendo immagini consumabili via cavo che azzerano ogni concetto critico, mentre la condivisione degli stessi ideali viene costipata nella categoria giuridica di “associazione terroristica”. Lo Stato colpisce gli/le anarchici/che non necessariamente e non solo per l’effettiva offensività o per la disponibilità al rischio mostrata anche nei momenti più bui della storia recente di questo Paese, ma come monito e laboratorio di pratiche repressive con cui liquidare ogni forma di dissenso e ogni individualità che resiste al setaccio. Del resto, inesorabile destino del re è quello di rimanere nudo a ogni giro di vite. Per quanto l’ipocrisia democratica vorrebbe a tutti i costi conciliare autorità e libertà, con bastone in pugno e carota alla mano, esse restano del tutto incompatibili. Basta già solo uno sforzo di logica per intuirlo. La menzogna sistematica che si fa Stato è al servizio del potere di pochi, e per questo non ha niente a che vedere con la libertà. Quindi non riconosciamo e non ci interessa la distinzione tra colpevoli e innocenti, che è degno prodotto di questa cultura, puro arbitrio dell’Inquisizione, e trappola verbale di un linguaggio manipolato e manipolatorio costruito ad arte per far piovere anni di galera su chi non si è integrato a dovere. Spezziamo l’isolamento carcerario imposto dalla tecnocrazia che chiude a chiave i corpi e militarizza le menti dentro e fuori le mura di questa galera a cielo aperto. Non potranno disporre mai a loro pieno piacimento della vita di chi la libertà se la porta dentro e l’ha condivisa qui e ora, in anni di lotte, amore e rabbia.

Per un mondo altro da questo e una vita senza capi, né sbirri, né sbarre. Al fianco di tutti i rivoluzionari e rivoluzionarie prigioniere/i nelle carceri di tutto il mondo Finché ogni gabbia non sarà distrutta.

ASSEMBLEA NAPOLETANA CONTRO CARCERE E REPRESSIONE

25 GIUGNO 2023, ORE 15:00 PRESIDIO AL CARCERE DI TERNI

CONTRO IL PONTE, CONTRO QUESTO MONDO

Diamo diffusione ad un volantino distributo a Messina al corteo No ponte il 17 giugno 2023

CONTRO IL PONTE, CONTRO QUESTO MONDO

Il progetto del ponte prevede di sacrificare questi luoghi e la vita di chi li abita, ignora senza difficoltà tutte le ragioni tecniche e di buon senso contrarie alla sua realizzazione, si propone di schiacciare qualsiasi opposizione materiale ad esso. Tutto per la gloria dello Stato, i profitti del capitale, il ricatto del lavoro, il mito dello sviluppo, nonché il risparmio di tempo per arrivare prima alla morte.
Siamo contro il ponte perché è il prodotto e il simbolo del mondo in cui siamo costretti a vivere, con le sue gabbie di acciaio e cemento, con le sue reti di corpi e merci che devono muoversi senza tregua, sempre più veloci.
Chi è nato è cresciuto in questa terra dovrebbe percepire chiaramente la voracità coloniale di questa grande opera. Dovremmo sentirla sulla nostra pelle, nelle nostre ossa, dopo che ci hanno già imposto l’industrializzazione, i petrolchimici, le basi e i poligoni militari, le politiche agricole europee, con il loro portato di nocività e veleni, di distruzione di luoghi, comunità e forme di vita autonome, di emigrazione forzata, mentre quello che rimane viene trasformato in una vetrina artificiale per turisti annoiati.
Se il progresso tanto sbandierato è il progresso del petrolchimico e delle basi militari perché il ponte dovrebbe essere diverso? Perché dovremmo continuare ad affidarci agli esperti e ai tecnici che da sempre propagandano e legittimano i processi devastanti portati avanti da Stato e Capitale?
Non è possibile separare la lotta contro il ponte da quella contro il mondo che lo vuole, lo progetta e lo produce. L’opposizione al ponte e il suo sabotaggio possono e devono avvenire non solo qui dove intendono realizzarlo, ma ovunque ci sia un’infrastruttura destinata al dominio e alla distruzione del vivente, e che contribuisce a mantenere in piedi questo mondo a noi nemico. Ognuna e ognuno con le proprie pratiche e le proprie tensioni, per un’opposizione continua, diffusa e senza sosta. C’è solo l’imbarazzo della scelta!

TORINO: APPELLO ALLA PRESENZA SOLIDALE DAVANTI AL PALAZZO DI GIUSTIZIA

Lunedì 19 giugno, presso la Corte d’assise d’Appello di Torino, si terrà l’udienza per il ricalcolo delle condanne per gli anarchici Anna Beniamino e Alfredo Cospito, nell’ambito del processo “Scripta Manent”.

Per quanto la Corte Costituzionale abbia dato indicazioni sulla possibilità di considerare alcune  attenuanti in questo ricalcolo, Anna rischia ancora una sentenza a più di 20 anni e Alfredo l’ergastolo.  Fattore non secondario: la giudice che aveva accettato l’eccezione sollevata dalla difesa degli imputati di ricorrere ad una consulta della Corte Costituzionale (rivelando così magari una sua predisposizione a  recepire l’indicazione di tale organismo) nel frattempo è andata in pensione e non si può prevedere come il giudice che presiederà l’udienza intenda comportarsi.

Di questo processo abbiamo già detto molto, soprattutto grazie allo sciopero della fame di Alfredo e la  mobilitazione che questa sua iniziativa ha reso possibile. Innanzitutto abbiamo cercato di evidenziare  come questa operazione di criminalizzazione di alcune idee e pratiche dell’anarchismo possa rivelarsi in  prospettiva un pericoloso precedente per la persecuzione delle azioni conflittuali, da qualunque  componente sociale o politica queste vengano messe in atto.
Per farla breve: quando si procede per “strage contro l’incolumità dello Stato” per sanzionare azioni che  non hanno fatto morti, feriti e neppure danni materiali rilevanti, l’oggettiva dinamica messa in atto dallo  Stato è quella di un irrigidimento repressivo che supera non solo il buon senso ma le stesse consuetudini giudiziarie. Uno “stravolgimento” dei termini e delle conseguenze penali che, facile prevedere, a cascata riguarderà anche altre azioni simili o, in proporzione, anche fatti di portata “minore”.
Ma non è questo l’unico motivo per cui riteniamo sia importante una presenza solidale significativa per  l’udienza del 19 giugno. Due altre questioni vorremmo sollevare o ricordare per evidenziare l’importanza di questo appuntamento.
La prima è la constatazione che queste condanne non vengono dal nulla ma sono frutto anche del  disinteresse che, a parte alcune componenti anarchiche e comuniste, ha accompagnato l’andamento del processo “Scripta Manent”. Considerata da molti, anche in ambito antagonista, come l’ennesima  operazione che andava a colpire i soliti, ritenuti marginali, ambiti dell’anarchismo d’azione, la mancanza di un’attenzione diffusa e “trasversale” rispetto alle sorti dei/delle compagn* imputat* ha lasciato la  mano libera ai vari inquirenti per “andarci giù pesante”. Non è la prima volta che accade certo, ma  altrettanto certamente è una questione su cui riflettere perché in futuro non ci si debba ritrovare, a giochi ormai fatti, a sbalordirsi per la dismisura delle pene comminate. E perché, soprattutto non ci si ritrovi  con la consapevolezza che nulla o poco si è fatto per impedire che, a uomini e donne che hanno lottato,  le sbarre chiudessero l’orizzonte per decenni se non per tutta la vita.
La seconda questione che, a nostro avviso, motiva con forza la partecipazione a questo momento  solidale sta nella coerenza con quanto si è espresso mille volte durante la mobilitazione degli scorsi  mesi: non solo non avremmo mai lasciato soli gli/le compagn* che con lo sciopero della fame ci hanno  messo il loro (tantissimo), ma l’impegno collettivo a rompere il silenzio che avvolge il 41-bis, l’ergastolo ostativo, la persecuzione dei/delle rivoluzionari*, l’inasprimento repressivo generalizzato sarebbe andato
avanti al di là della specifica iniziativa dei/delle compagn* in sciopero.
Ora che si gioca una decisiva partita per il futuro di Alfredo e Anna, non possiamo relegare ai passati  mesi di forte mobilitazione la giusta tensione per contrastare la dinamica repressiva che vuole seppellirli in una cella e per continuare la lotta per una società senza oppressione né galera.

Il 19 giugno, dobbiamo esserci, in tant*,  fuori e dentro il Palazzo di Giustizia di Torino dalle 8.30!  Per chiudere ci sembra opportuno ricordare che il 19 giugno, ogni anno, ci si mobilita in molte zone del  globo per la Giornata Internazionale del Rivoluzionario Prigioniero, data che rinnova la solidarietà a  tutt* i/le militanti imprigionat* in memoria del massacro di quasi 300 prigionier* politic* compiuto nel  1986 dall’esercito nelle carceri peruviane.

Assemblea contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo – Torino

TRENTO: DISCUSSIONE SULLA SENTENZA DI APPELLO DEL PROCESSO BRENNERO 2

Diffondiamo:

Le motivazioni della sentenza di appello del processo Brennero 2 (devastazione e saccheggio) dovrebbero arrivare entro il 15 giugno. Abbiamo pensato di trovarci tra imputati/e e solidali per affrontare collettivamente un attacco repressivo che coinvolge tanti compagni e compagne, discutendone sia dal punto di vista giudiziario che sul piano della solidarietà. Ci troviamo domenica 2 luglio alle 11 al terreno No Tav a Mattarello, vicino a Trento. Per informazioni scrivere a trochilidae@autistici.org

Comunicato dell’Assemblea della D.I.L.D.A post Adunata degli alpini a Udine

Riceviamo e diffondiamo:

Da dove siamo partite

A prescindere da quanto successo l’anno scorso, noi la D.I.L.D.A – Distruggi Infùriati Lìberati e Debella gli Alpini! (sono tutti imperativi quindi non abbisognano di schwa cretini!)- per questa adunata l’avremmo fatta lo stesso. Il motivo è presto detto: l’unica eccezione di Rimini rispetto alle adunate precedenti non è stato il numero di molestie, ma l’attenzione mediatica sulle stesse.
Maschilità egemonica, tanti uomini uniti sotto il vessillo nazionalista e militare in un cameratismo da spogliatoio e imbevuti nell’alcol come ciliegine sotto spirito sono l’humus ideale per il proliferare della cultura dello stupro.
Non ci aveva stupito minimamente nemmeno la retorica cuscinetto che ne era seguita che funge solo da conferma, ovvero quella della GIUSTIFICAZIONE. Le mele marce, gli infiltrati col cappello piumato finto, la goliardia, invece di parlare di molestatori in branco, tutta roba che segue pedissequamente il solito copione mediatico.
Quindi un safer space andava creato.
Abbiamo attivato anche un numero di telefono per eventuali condivisioni e offrire ascolto, dicendo fin da subito che non siamo operatrici sociali, facendo intendere che il numero avrebbe avuto un ruolo di supporto e non necessariamente di denuncia pubblica.
Mantenere l’anonimato e la segretezza di tutto ciò che sarebbe ed è passato da lì, dire che quel mezzo era fatto per prendersi cura di noi, per solidarizzare e non per offrire sponde a carriere, giornalisti, tribunali, sbirri o altro.
Ci dispiace solo per le chiamate perse a notte fonda: semmai leggiate questo comunicato, sappiatelo.

Separatismo femminista, estimatrici e detrattori

Sicuramente siamo felici che la D.I.L.D.A sia riuscita ad essere un luogo accogliente: ce lo testimoniano i ringraziamenti delle persone che hanno potuto passare con noi qualche ora serena e complice e anche di quelle che non sono potute essere presenti, ma che ci hanno fatto sapere di aver provato sollievo nel sentire che in città esisteva un luogo di resistenza all’invasione. Come ben sappiamo, è vitale la presenza di spazi e tempi per noi. A chiunque abbia letto nel termine “separatismo” solo la parola “esclusione”, sbattiamo in faccia la realtà dei fatti: la tre giorni è stata condivisione, discussione, leggerezza e cura ed è stata costruita da (e dedicata a) persone che, invece, l’esclusione la vivono davvero, quotidianamente e su più livelli.
E’ anche importante rilevare che una visibilità mediatica espressa in termini talvolta pruriginosi e talvolta scandalistici, per niente ricercata da parte nostra, sia stata probabilmente la causa di alcune sgradite visite: persone non bene intenzionate si sono avvicinate allo spazio in occasioni diverse con fare provocatorio. Hanno provato ad entrare o hanno tentato di suscitare reazioni da parte nostra, nel tentativo -immaginiamo- di avere la scusa per passare al sodo. Tutti sono stati fatti sloggiare! Evidentemente molti UOMINIETEROCIS sono spaventati dall’esistenza di un luogo che pone in discussione la loro libertà di mettere piede e becco in cose che non li riguardano 365 giorni l’anno e 24/7. Riveliamo loro un piccolo segreto: ce ne saranno ancora di momenti così, quindi dormite pure sonni tranquilli. O agitati. O non dormite: tanto che ce ne frega, a noi?

Caccia alla streghe

Già alcune settimane prima dell’inizio di questo evento è cominciato il can can antifemminista, lo spauracchio delle molestie, il fantasma con il volto di donna che avrebbe aleggiato, vendicatore, su tutta l’adunata.
Leggiamo in questi primi giorni post evento, dei tristi racconti di tutte quelle lingue morse per evitare leggiadri commenti o complimenti, naturalmente goliardici. “Hey scusa, sai, ti direi che hai delle belle tette, ma ho davvero paura che poi mi denunci”. Poveretti questi alpini, tra una birra rinforzata alla grappa e l’altra, costretti a trattenersi in questa dittatura del consenso! Un’adunata proprio goduta a metà, anzi un coito interrotto!
Peccato comunque che le lingue morse si siano limitate alla vetrina in centro città, infatti nelle zone limitrofe si consumava l’immancabile degrado e la perdita di diplomazia alpinesca. Zombie con il cappello con la piuma barcollanti, lo sguardo vitreo, ogni tanto uno che crollava a terra come un caco maturo, qualcuno che vomitava nelle siepi di giardini privati sotto le bandierine tricolore, messe come segno di benvenuto (magari volevano restituire l’apprezzamento!). Se dovevano pisciare non facevano né tanti complimenti né un paio di metri per farla nei cessi attrezzati apposta. Ma poi in effetti perché usare quelli? Tanto erano “di bellezza” per far vedere che Udine era organizzata bene e che in un paio di ore tornava uno specchio! Ci ha fatto proprio sorridere che il furgoncino della protezione civile locale fosse usato come vespasiano Noi di certo non ci mettiamo a giudicare se hanno deciso di pisciarsi uno sull’altro eh! Ognunx ha il suo kink!
Ci fa piacere che abbiate temuto, che abbiate vissuto male quella libertà che pensate di avere sui nostri corpi, ma che non avete. E questo non perché odiamo gli uomini tout court, come qualcunx ha voluto far passare, ma perché disprezziamo la maschilità egemonica e la sua enfatizzazione (ancora peggio se dipinta in mimetica) e la combatteremo sempre. Se vi abbiamo fatto paura, allora avevamo proprio ragione!

Di video (che non ci sono) in video (che ci sono)

Come si diceva poco sopra, giravano inviti beceri tra le chat alpine che invitavano a fare attenzione alle femministe che avrebbero invaso l’adunata apposta per farsi palpeggiare. Da qualche parte si invitavano gli uomini a riprendere le scostumate provocatrici, come prova che “hanno iniziato loro!”; da altre si presentava la minaccia di complici poco distanti pronte a riprendere le manate calamitate volontariamente da scollature esibite allo scopo.
Peccato che la preoccupazione espressa sia girata sempre attorno alla presenza di una telecamera (sia come “arma” di difesa che di attacco) e non al fatto che il primo pensiero del branco sia quello di allungare le mani: un’abile e collaudata giravolta patriarcale che getta sempre e comunque tutte le responsabilità su chi questi gesti li subisce.
Allo stesso tempo, sembra che in pochx, in questi giorni, si stiano facendo le giuste domande sulla presenza di un filmato -questa volta reale- che ha trovato spazio senza vergogna e senza problematizzazione di sorta anche sui siti delle testate nazionali e che riprende un atto sessuale avvenuto in pubblico durante l’evento. L’assenza di scrupoli nel condividere queste immagini, in un misto tra voyeurismo, risatine e gomitate complici descrive ancora una volta lo spessore dei soggetti di cui stiamo parlando. Purtroppo siamo ben consapevoli di come funzionano le cose, in questi casi: esprimiamo pertanto la nostra massima solidarietà alla ragazza ripresa, nella speranza che la sua identità rimanga ignota, se è quello che desidera e che, eventualmente, possa trovare il supporto necessario ad affrontare i commenti del popolo del web, sempre pronto ad adulare le prestazioni muscolari dei pornodivi (anche improvvisati) e a seppellire di insulti le donne presenti negli stessi frame.

Solidarietà a tuttx quellx che hanno disertato l’occupazione militare della città e che hanno avuto il coraggio di esprimere il proprio dissenso.

Quella che si è svolta a Udine dal 12 al 14 maggio è stata una specie di grande sagra che ha visto la città invasa da coglioni invasati col cappello pennato. Ma dietro il grande luna park si celava il vero fulcro della festa: la cittadella allestita al Parco Moretti, vetrina espositiva ed interattiva dei più moderni mezzi ed equipaggiamenti in dotazione alle Truppe Alpine, dove il corpo militare metteva in bella mostra muscoli e armamentario. Si poteva accedere all’area, recintata per l’occasione, solo dall’ingresso principale e attraversando una moltitudine di sbirri d’ogni sorta ed energumeni in mimetica impalati come telamoni ostili, per poi essere accolti da giovani leve con il compito di reclutarti per i campi estivi o gioviali donne alpino (non si declina al femminile, che ci si potrebbe confondere con il fiore!) in carriera, che descrivevano la professione militare come se fosse la più eccitante del mondo, ma che si scandalizzavano se veniva pronunciata la parola GUERRA (no! In guerra no! Non è mica un gioco!). Al parco potevi portare a spasso la famiglia tra cannoni e mortai, fare un salto sul carro armato trasformatosi magicamente in giostra, oppure semplicemente curiosare tra le bancarelle di mitra, fucili e visori notturni… con la stessa serenità con la quale si potrebbe fare un giro alla fiera dei fiori o alla mostra dell’attrezzatura da giardino, senza badare al fatto che si stesse trattando di strumenti di morte progettati e usati con il solo scopo di uccidere altri individui e devastare interi territori! Un dettaglio, al quale nessunx dei presenti pareva badare. Nessun simpatico ubriacone qui, solo giovani leve, veterani nostalgici e alte uniformi a perpetrare e imbastire la cultura della guerra, alla quale pare che moltx siano oramai assuefattx.
Sono già tre anni che ci troviamo in una situazione di emergenza permanente e di stato di polizia. La gestione autoritaria e repressiva dell’epidemia da covid 19 ha rappresentato per lo Stato l’occasione per fare una prova generale di addomesticamento e sottomissione della popolazione, con tanto di confinamenti, coprifuoco, caccia alle streghe renitenti alle politiche di controllo e conseguente loro ghettizzazione.
E ora con la guerra e l’incremento esponenziale dell’industria bellica, vogliono farci accettare tutto: i militari per le strade, l’impoverimento generalizzato, l’obbedienza assoluta verso il potere.
Siamo quindi solidali e complici con le tre compagne che sono state tenute in fermo di polizia per una notte e che sono state denunciate con l’accusa di imbrattamento e vilipendio per possesso di adesivi di protesta contro l’adunata degli alpini e la militarizzazione della società.

Niente fermerà la nostra ribellione, non staremo mai zitte e buone, continueremo a dire NO e a lottare giorno dopo giorno.

D.i.l.d.a

BOLOGNA: PRESIDIO AL CARCERE DELLA DOZZA

Domenica 21 maggio ore 17 presidio al carcere della Dozza. Dopo mesi di mobilitazione a fianco di Alfredo contro 41-bis ed ergastolo ostativo, continuiamo a portare la nostra solidarietà a chi si trova reclusx e vive la sofferenza quotidiana si essere sottrattx della libertà. In presidio per bucare l’isolamento del carcere e contro la repressione. Ritrovo in Piazza dell’Unità alle 16 per andare insieme in bus (linea 25) e in bicicletta.