Il 21 gennaio, nel CPR di Gradisca d’Isonzo, la paura e l’isolamento hanno cambiato campo. Dopo due giorni di scontri, diversi fuochi sono stati accesi nella notte. Com’era già successo durante la notte di capodanno, alcuni prigionieri sono saliti sul tetto in segno di protesta. Sono così iniziati degli scontri all’interno del Cpr quasi ininterrotti.
La risposta della polizia è stata manganelli, lacrimogeni e getti d’acqua contro chi si è ribellato alle torture e violenze. Le rivolte hanno portato alla chiusura dell’area rossa e 35 detenuti sono stati deportati in Tunisia e Marocco o trasferiti in carcere.
Torniamo ancora una volta sotto a quel muro che nasconde un lager etnico legalizzato, torniamo per portare solidarietà e rompere silenzio e isolamento verso chi continua a lottare per la libertà e non piega la testa verso uno Stato razzista che vuole l’omogeneità e la pacificazione sociale.
Perché i CPR si chiudono con il fuoco non sia solo uno slogan. SABATO 8 FEBBRAIO ORE 15:30 DAVANTI AL CARA
FREDOOM-HURRIYA-LIBERTÀ Assemblea no cpr
SULLA LOTTA DI INIZIO ANNO NEL CPR DI GRADISCA D’ISONZO:
«È la preparazione della guerra in altri ambiti – politici e sociali – che da lungo si preparano ad essere qui arrivati ad un punto di svolta. Dopo i passi che la legislazione emergenziale ha approntato in questi anni, con il ddl 1660-1236 è la volta di scoprire le carte, con un bel salto in avanti. Il terreno è finalmente fertile per l’accrescersi del sentimento patriottico, il pozzo è avvelenato, la costruzione del nemico è ultimata, le forche sono distribuite ai passanti.»
Domenica 2 febbraio ore 15.30
Presidio davanti alle mura del cpr di Ponte Galeria
Torniamo lì, dove il ferro e il cemento segnano l’invisibilità di chi è reclusx per il solo fatto di esistere, per non essere natx nel luogo giusto. Torniamo davanti alle mura del CPR di Ponte Galeria per essere fianco a fianco di chi, dentro e fuori quelle mura, combatte ogni giorno contro l’annientamento che lo Stato infligge con il razzismo e l’esclusione.
Lo Stato sta affinando la sua guerra e lavora con nuovi strumenti per segregare, selezionare, controllare ed espellere. Il decreto Cutro trasforma ogni angolo della città in un potenziale campo di concentramento. Ogni stanzino di un edificio pubblico può diventare un temporaneo luogo di prigionia e tortura. Deve vincere l’isolamento per evitare che le persone si organizzino insieme, nelle rivolte e nelle evasioni. Ecco che il CPR di Gradisca d’Isonzo, come sta avvenendo nelle ultime settimane, ci parla di dignità, di una parte di popolazione che resiste e un’altra che opprime.
Il razzismo sistemico si riproduce ogni giorno. Ogni volo di linea è un luogo in cui può avvenire un’espulsione e ogni espulsione è questa società che si riproduce nel nome della sicurezza come strumento di propaganda.
Ogni operazione di polizia, ogni retata in quartiere o nelle campagne, è la propaganda del razzismo che si alimenta sulla vita delle persone: è la politica di questo governo, è la natura della sua democrazia.
Ogni zona rossa vuole essere una prigione sotto il cielo. Uno strumento pensato per legittimare sempre più l’uso della polizia e della sua violenza. Lo abbiamo visto a Corvetto, dove il quartiere è diventato una cassa di risonanza per giustificare gli abusi della polizia, ma nello stesso tempo grido di riscatto e coraggio. Dove ogni corpo, ogni volto, viene sottoposto alla violenza del razzismo e della conseguente criminalizzazione. Tutto per difendere la sicurezza dei ricchi di continuare a sfruttare, tutto per alimentare la guerra contro chi non ha diritto di esistere dove ha scelto di stare.
A Quarticciolo la guerra assume l’altra faccia della stessa medaglia. La polizia, le retate, i modelli Caivano, le deportazioni: una guerra che fa leva sull’umiliazione, sulla separazione, sull’esclusione. È la guerra dei governi, la guerra sulla pelle di chi non può essere altro che una merce da spostare, da annientare, da sottomettere.
A chi si ribella, a chi prova ad alzare la testa, lo Stato risponde con la sua violenza. La risposta è un corpo strappato via dalla vita, deportato in un lager legalizzato, pestato e torturato affinché non si ribelli, affinché non sia di esempio.
Vogliamo tornare là, davanti alle mura di Ponte Galeria, dove l’unica sezione femminile del Paese è chiusa in un angolo dimenticato posto ai confini della città.
Per sostenere le resistenze quotidiane di chi è reclusx, chi lotta ogni giorno per la propria libertà, per la propria dignità. Vogliamo tornare là per dire, ancora una volta, che non avranno il silenzio di cui necessitano le torture.
Hanno un solo nome: infami.
Vogliamo tornare davanti alle mura di Ponte Galeria, dove ogni giorno si riscrive la storia di chi rifiuta la prigione: nelle sezioni che prendono fuoco, nelle evasioni, nella dignità della vita in un sistema di morte.
Dal 2006 un pezzo del territorio del comune di Bari è occupato da una struttura detentiva per migranti, ieri CIE oggi CPR.
Secondo la “legge” (infame) i responsabili della presenza di questi lager sono: Ministero dell’Interno, Presidenza del Consiglio dei Ministri e Prefettura di Bari.
– Col ministero e il Ministro Piantedosi ce la prenderemo al momento giusto, ora ci concentriamo su altro –
Abbiamo la certezza di chi sono i soggetti giuridici responsabili grazie ad una sentenza del Tribunale di Bari e dopo della Suprema Corte. La sentenza condanna il Ministero dell’Interno e la Presidenza del Consiglio dei Ministri a risarcire al Comune di Bari e alla Provincia (oggi città metropolitana) di Bari il relativo danno, liquidato in € 32.766,00, oltre accessori. DI CHE DANNO SI PARLA? Danno all’immagine di comunità capaci di accoglienza, consacrata nella secolare storia di dominazioni straniere e di intrecci di culture religiose e laiche, di rapporto con l’Est Europa ed il Mediterraneo, simboleggiati dal culto di S.Nicola, in comune con la Russia e il mondo ortodosso.
DaL 2006 lx cittadinx di Bari, il comune e qualsiasi altra istituzione coinvolta con l’esistenza e il funzionamento del CPR di Bari Palese sono responsabili delle torture subite nei centri, per le torture e morti subite subite nei paesi di rimpatrio e per tutto lo schifo subito nei lager del XXI secolo.
Il comune e il prefetto sono enti separati ma complici. – Non ci dilungheremo a lungo sui dettagli, ci saranno altre occasioni –
__Vogliamo rivendicare l’azione a danno del comune e d’intimidazione alla Prefettura e al Prefetto Russo__
A Novembre un’operazione “straordinaria di controllo del territorio” effettuata dall’arma dei carabinieri e della polizia di stato, con una “specifica interlocuzione con la prefettura”, ha portato all’espulsione di 17 irregolari. Anche la Polizia Locale ha partecipato all’operazione.
Il 18 novembre un fratello di 42 anni proveniente dal Senegal, di cui i media non hanno rilasciato il nome poiché è solo un “migrante senzatetto” è morto in strada, da solo, probabilmente al freddo, diventato da un essere vivente a un pretesto per i consiglieri di Fratelli d’Italia per fare propaganda contro il degrado.
Il 22 novembre, alla vigilia dei funerali del 33enne Bangaly Soumaoro, avviene un’operazione della Polizia volta a individuare e ad espellere cittadini irregolari che “vivono” “abusivamente” nel CARA di Bari. Probabilmente una ritorsione per la protesta che aveva attraversato la città nei giorni precedenti.
Il 30 novembre, in seguito a un aumento dei controlli della Polizia Locale nella zona dei portici di Via Capruzzi, un cittadino irregolare è stato identificato e portato nel Cpr di Brindisi in attesa di espulsione.
Il 3 dicembre due cittadini irregolari sono stati colpiti da un decreto d’espulsione, uno dei due, un ragazzo di 19 anni è stato portato al Cpr di Bari Palese.
Il 9 dicembre alcunx compagnx riferiscono di un rastrellamento contro poveri e migranti sempre in Via Capruzzi, nessun media riferirà notizia.
Questi sono alcuni dei vostri crimini, questa lista è per rendervi consapevoli che c’è chi vi guarda e non resta indifferente.
Inizieremo a colpire, a volte colpiremo forte, altre neanche ve ne accorgerete, siete tuttx obbiettivi, dal vigile al generale, dal comune alla prefettura. – Sopravvivere e sabotare, individuare e colpire – Il fuoco necessario a chiudere I CPR può essere acceso solo dalla rabbia dex reclusx, noi saremo il fuoco della vendetta.
Nemiche di ogni gabbia – Nemiche di ogni stato e istituzione – Solidarietà a tuttx lx anarchicx colpite dalla repressione dell’operazione “Scintillla” – Solidarietà a tuttx lx anarchicx colpite dalla repressione dell’operazione “NotteTempo” – In memoria di Kyriakos e tuttx lx anarchicx rivoluzioinarix – FUOCO AI CPR – Per Ramy e contro tutta la polizia – Che la paura cambi campo.
“Non è forse questa guerra?!” è stato scritto cercando di portare nella discussione collettiva, o individuale che sia, alcune tematiche riguardanti gli intrecci tra alcuni luoghi della Terra, nella fattispecie le rive dello Stretto, e le dinamiche predatorie del capitalismo.
La domanda che titola queste riflessioni e colletta di informazioni non vuole essere retorica, ma la messa a fuoco di un totale dilagare della forma guerra. La riorganizzazione dell’economia mondo sul modello del conflitto totale porta con se un alito mortale di cambiamenti e rinnovate frenesie; il nuovo capitale espande i suoi confini e necessita di tutta una rete di rinnovate infrastrutture a questo dedicate.
Nel corso di queste pagine si sono voluti mettere in evidenza alcuni processi o progetti che costituiscono parte degli sforzi indirizzati alla riorganizzazione del territorio sulla base delle necessità di un élite sempre più lontana dalle persone sulle quali impone i propri piani di accumulo. Qui la questione non è prendere il loro posto, bensì puntare un faro sul come e il chi ci affligge una tale prospettiva talmente mefitica e comprendere come scardinarne l’esistenza.
Elemento fondamentale di questa riflessione è il sempre più acuto sistema repressivo che il legislatore sta mettendo in atto nei confini del ‘bel paese’. Un sistema, quello paventato dal nuovo decreto sicurezza, sempre più stringente ed improntato sulla restrizione della libertà delle persone e la loro sempre più eventuale localizzazione forzata nelle varie forme detentive previste dalla genetica dell’ordine costituito. L’intento che ha mosso la stesura delle pagine di “Non è forse questa guerra?!” è stato quello di raccogliere tra loro dei tasselli che agli occhi di chi scrive costituiscono un più complessivo piano di appropriazione delle esistenze o, quanto meno, una replica di quanto già messo in atto altrove tanto nel suo complesso quanto in maniera frammentata. Dal progetto ponte, alle “smart cities” sino agli interessi che si cuciono sui corpi reclusi, migranti, arginati, incarcerati si evince l’esistenza di un filo rosso, pesante come mille catene, che svela gli intenti di quelle manacce che si allungano minacciose su queste zone del pianeta.
Con la coscienza che questa è una delle tante interpretazioni possibili di elementi ed avvenimenti, si vuole porre nel dibattito questo modo di intrecciarli tra loro. Condividere saperi e percorsi di significazione e conoscenza vuole essere un passo verso una sempre più fitta condivisioni di pratiche. Le informazioni raccolte nel corso di “Non è forse questa guerra?!” sono intrise delle emozioni di chi le intercettava e queste pagine non vogliono essere un triste nenia di rassegnazione, quanto un punto segnato in una, necessariamente, più vasta costellazione emozionale che sia invito ad un’azione sempre più di massa, ossia sempre meno mediata da strutture di delega e rappresentanza.
Incontro e benefit per le persone recluse nel CPR di Gradisca
17 gennaio 2024 – ore 18
Via Tarabocchia 3, Trieste
La macchina del razzismo istituzionale, in Italia come in Europa, ha potenziato una strumento particolare, quello della detenzione amministrativa. Si tratta di una forma “eccezionale” di trattenimento e segregazione, già ampiamente utilizzato storicamente durante il colonialismo europeo in Africa, in Palestina fin dai tempi del mandato britannico e dal 1948 dall’entità coloniale sionista, per la repressione dei dissidenti e della resistenza, ma anche nel resto del territorio europeo, americano o australiano. Uno strumento che diventa sempre più la norma nella gestione dei cosiddetti flussi migratori e in più generale nel controllo della popolazione straniera.
In Italia trova espressione oggi nei CPR – prima CPT e CIE – cioè nei centri di tortura e deportazione per le persone senza documenti. Ma negli ultimi anni, dalle misure sull’immigrazione (come il “decreto Cutro” o i vari “pacchetti sicurezza”) al nuovo patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, passando per l’accordo Italia-Albania, questo strumento ha trovato nuovi spazi e tempi: è il caso degli hotspot, dove vengono trattenuti per l’identificazione i migranti; dei nuovi centri di detenzione temporanei per le procedure d’asilo ed espulsione accelerate nei luoghi di sbarco – denominati Ctra – per quei paesi di provenienza ritenuti arbitrariamente sicuri; ma anche dei cosiddetti luoghi idonei, individuati nelle camere di sicurezza delle questure o delle stazioni di polizia. Per ragioni di sicurezza, identificazione e deportazione si diffondono sempre più capillarmente nuove forme di restrizione della libertà, applicate senza alcun tipo di garanzia legale, in primis alle persone migranti e razzializzate.
Non si tratta di misure isolate, ma di un complesso di dispositivi di segregazione e controllo che, in un contesto di razzismo sistemico, mirano a ricattare e terrorizzare chi non ha i documenti giusti, e così rafforzare, tra gli altri, i meccanismi di selezione e sfruttamento della forza lavoro immigrata. Vorremmo provare ad approfondire questi temi in una serata di confronto e informazione, in una prospettiva di solidarietà e complicità con le persone che si trovano incagliate in queste strutture (raramente sottomesse, come dimostrano le ribellioni nei CPR e le lotte dei braccianti).
La serata sarà anche un benefit per il sostegno alle lotte e alla solidarietà con quanti si trovano reclusi nelle galere etniche, tra cui il CPR di Gradisca d’Isonzo, a pochi chilometri da Trieste.
Sanitalia si e’ aggiudicata il bando da 8,4 milioni di euro per la gestione del CPR di Torino, chiuso dalle rivolte nel marzo 2023. Dalla partnership con la squadra del TORO, alle cliniche per persone affette da alzheimer, Sanitalia punta anche al business dell’accoglienza. Da 27 mila euro di fatturato nel 2013, passa a 14 milioni nel 2023, soprattutto grazie ai ricchi bandi di gestione di parte della macchina del razzismo di Stato: gestisce CAS nell’astigiano e a Chiaves in val di Susa e nel 2024 tenta la scalata per la gestione dei centri di espulsione in Albania, a Milano e anche a Torino.
La retorica dell’accoglienza dello Stato italiano maschera un sistema razzista che funziona e opera a piu’ livelli: dallo sfruttamento lavorativo, al controllo dei corpi, dei documenti e del movimento.
Il CPR non e’ che una delle parti di questo meccanismo e Sanitalia come tutte le altre aziende, enti e cooperative che collaborano per farlo funzionare ne sono complici dirette.
CONTRO IL RAZZISMO DI STATO, OGNI GABBIA E CHI NE E’ COMPLICE.
A Bari Palese, all’interno della base Aeronautica si trova il CARA, una struttura nata con lo scopo di accogliere le persone richiedenti asilo è diventata invece l’ennesimo luogo di tortura e detenzione delle persone migranti.
Un luogo di tortura poiché gli “ospiti” del centro vivono in spazi stretti, fatiscenti e sporchi. Collocato in un area che aumenta la sensazione di isolamento il centro è circondato da un alta recinzione e i controlli vengono effettuati sia all’ingresso della base militare che all’ingresso del centro, un luogo tutt’altro che accogliente insomma…
Un luogo di detenzione poiché l’entrata e l’uscita dal centro sono limitate sia dalla distanza dal centro alla città, raggiungibile solo usufruendo delle pochissime navette messe a disposizione che portano a Bari Palese dove i migranti possono prendere i mezzi pubblici (una vera odissea)sia dagli orari molto restrittivi (6.30-19.30) e per uscite superiori alle 24h gli ospiti devono chiedere una specifica autorizzazione alla polizia, indicando anche un domicilio, se per qualsiasi motivo questo non avviene si perde il “diritto all’accoglienza”, ma che libertà è questa?
Potremmo scrivere pagine su pagine che parlano della situazione disperata del CARA di Bari, ma l’hanno già fatto centinaia di report vecchi e nuovi, l’hanno fatto giornalisti (malintenzionati e non) e l’hanno fatto anche indagini e sentenze di quella farsa che voi chiamate legge. Non è questo il nostro scopo, d’altronde noi non abbiamo bisogno di visualizzazioni non abbiamo bisogno di fare share e non abbiamo bisogno di consensi elettorali, siamo liberi da tutto questo, liberi di attaccare i nemici e veri responsabili di questa situazione, che non sono i 9 medici indagati per la morte di Soumaoro (sicuramente complici di questo schifo) ma le istituzioni come Comune e Asl, le associazioni e le cooperative che lucrano sulla gestione di questi centri guadagnando sulle vite di persone.
Prefetto Francesco Russo, Prefettura e Comune di Bari, La Mano di Francesco Onlus per i tagli all’ambulatorio medico.
Società Cooperativa Auxilium responsabile della gestione generale del CARA.
Ladisa Ristorazione Srl per il cibo di merda che servono mentre registrano una crescita dell’utile netto del 75%.
Lalucentezza Spa per la gestione dell’igiene.
Associazione temporanea di Impresa Gabbiano Magro per la gestione fornitura di vestiario, prodotti per l’igiene, pocket-money e schede telefoniche.
Siete tutti responsabili,siete tutt* nostr* nemici!! Siete tutt* obbiettivi.
Solidarietà a tuttx lx anarchicx colpite dalla repressione dell’operazione “Scintilla”
Domenica scorsa, per la prima volta dopo anni, un nutrito presidio davanti al centro di detenzione di Sofia-Busmantsi ha rotto per un pomeriggio l’isolamento dei e delle detenute immigrate che lì sono recluse. Nonostante i tentativi delle guardie di tenere lontane le persone dalle finestre e i trasferimenti di prima mattina per svuotare le stanze da cui si sarebbe più facilmente potuto comunicare con l’esterno, da dentro hanno potuto sentirci, seguirci e contattarci. E’ stata una boccata d’aria fresca nel soffocante silenzio che circonda i lager bulgari per persone immigrate, di cui solo ora si inizia a parlare, grazie alle lotte da dentro e alla solidarietà da fuori.
Il presidio è stato organizzato in solidarietà alle numerose proteste nei centri di detenzione e di accoglienza bulgari dell’ultimo mese. A Busmantsi (il centro di detenzione nella periferia della capitale), le persone hanno protestato contro nuove arbitrarie restrizioni sulle visite e sui pacchi e si sono rifiutate per qualche ora di entrare nelle loro stanze in segno di protesta. Nei giorni successivi, a molte persone sono stati sequestrati i telefoni cellulari (che possono regolarmente avere, a patto che siano senza fotocamera).
Nel centro di accoglienza di Harmanli, che si trova nel sud del paese e vicino al confine con la Turchia, i rifugiati siriani stanno protestando da settimane contro i respingimenti di massa delle loro richiesta di asilo. Nel centro ci sono attualmente circa 900-1000 persone che, dopo aver fatto richiesta di asilo, sono in attesa dei colloqui e di ricevere una decisione sulla loro domanda. Tra settembre e ottobre però sono state respinte la maggior parte delle richieste asilo degli uomini soli. Solo le famiglie continuano (a stento) a ricevere la protezione internazionale. Il 18 ottobre hanno iniziato una protesta e dichiarato uno sciopero della fame.
La risposta dell’amministrazione è stata che ora la Siria è un Paese sicuro, con riferimento al fatto che chi fugge dai bombardamenti israeliani nel sud del Libano si rifugia in Siria. Questa logica perversa e nuova preoccupante tendenza non è ovviamente solo una sadica invenzione dell’Agenzia di Stato bulgara per i rifugiati: negli ultimi anni anche altri Paesi europei stanno iniziando a respingere chi proviene dalla Siria come già fanno sistematicamente con le persone provenienti da altre aree devastate dalla guerra.
Da Busmantsi ci è invece arrivata una lettera aperta che recita: “76 siriani, tra cui 8 bambini, stanno soffrendo condizioni dure durante la loro detenzione a Sofia. Sono state date loro due opzioni: Un anno e mezzo di prigione per aver minacciato la sicurezza nazionale della Bulgaria, oppure firmare un ordine di deportazione in Siria. Un rappresentante dell’ambasciata siriana li ha già visitati minacciando di deportarli entro 21 giorni una volta che il numero di persone che accettano di essere deportate sarà pieno *(probabilmente, quando ci saranno abbastanza persone per organizzare una deportazione di massa)*.
I rifugiati vivono in condizioni di vita difficili, non hanno accesso alle cure mediche e si vedono negare le più elementari necessità della vita quotidiana. Sono sfruttati dalle guardie del campo, perché sono costretti a pagare grandi somme di denaro per piccole quantità di cibo; pagano fino a 100 euro per una piccola quantità di verdure”. Notizie simili ci arrivano dall’altro centro di detenzione bulgaro, a Lyubimets.
Non abbiamo bisogno di queste inutili mascherate, che fanno finta che ci sia uno standard da raggiungere, affinché le persone in questi lager possano vivere decentemente. Al presidio è stato gridato in ogni lingua: i centri di Busmantsi e Lyubimets non sono “Case speciali per la sistemazione temporanea degli stranieri”. Sono prigioni a tutti gli effetti, il cui scopo è controllare, reprimere e sfruttare le persone immigrate in transito in Bulgaria.
Ne è dimostrazione il fatto che una parte delle persone è detenuta con l’accusa di costituire una “minaccia alla sicurezza nazionale”. Questo è il pretesto per detenere ed espellere gli individui scomodi, come molti curdi provenienti dalla Turchia e ricercati dal regime di Erdogan, o i dissidenti politici in fuga da Iran, Bielorussia, Russia. C’è anche chi, come il nostro amico Nidal Hassan, è sopravvissuto al genocidio in corso a Gaza e ora si trova detenuto in Europa. Lo stesso pretesto con cui il nostro compagno e dissidente saudita Abdulrahman Al-Khalidi è detenuto da quattro anni. Quattro anni di ricorsi e tribunali per ricevere la protezione internazionale che non arriva mai a causa delle pressioni dell’Arabia Saudita, che ne chiede l’estradizione per poterlo punire per i suoi crimini d’opinione contro il regime.
Anche la criminalizzazione delle persone immigrate è una politica a impronta UE che lo Stato bulgaro applica con zelo, senza preoccuparsi troppo delle superficiali accuse di non rispettare le convenzioni sui diritti umani. Era la moneta di scambio per entrare nell’UE e ora per entrare nell’area Schengen. Di conseguenza, la detenzione amministrativa assume tutte le forme di quella penale. Formalmente è una detenzione temporanea finalizzata all’identificazione e all’espulsione. In realtà, è una punizione.
Non vogliamo rimanere in silenzio di fronte a questa vergogna, come fanno tutti i media mainstream in questo Paese. Continueremo a sostenere le spinte verso la libertà di chi sta fuori e dentro i centri di detenzione e di accoglienza, alle frontiere e per le strade delle nostre città.