FIRENZE: UN TESTO SUL RECENTE SGOMBERO DI CORSICA + ASSEMBLEA IN DIFESA DEGLI SPAZI OCCUPATI

Diffondiamo dalla pagina fb Patrizia Corsica:

Nell’agosto fiorentino si sa, le sorprese non mancano. Il periodo perfetto per qualunque operazione antipopolare: tagliare gli alberi sani di un viale, vietare piazze storiche del centro a chi non paga 10 euro per un drink, sgomberare una casa o chiudere un intero stabilimento produttivo lasciando a casa centinaia di operai.
Così, anche il turno della “nuova Corsica”(v. Ponte di Mezzo 32) è arrivato, con centinaia di sbirri che ancora una volta invadono le strade di Rifredi con la solita arroganza e violenza.

Ripercorriamo I fatti: due compagn* riescono a salire sul tetto, dove resisteranno per tre giorni difendendosi dai furti(acqua, cibo e vestiti) e le vessazioni della Digos. Nel frattempo, i primi solidali che accorrono in strada per solidarizzare con chi resiste sul tetto, vengono fatti caricare con “punitiva” violenza e tentativi di strangolamento, una compagna viene tratta in arresto dopo essere stata immobilizzata a terra senza apparente motivo. Il giorno dopo verrà scarcerata dal tribunale, l’arresto è illegittimo, un video mostra chiaramente quanto il fermo fosse immotivato oltre che pericolosamente violento. Nel frattempo, in barba alla paura che la polizia voleva infondere, i solidali sono aumentati e ai giardini di via mariti prende vita un campeggio che sarà il fulcro di iniziative, volantinaggi e cortei per i giorni successivi. Il campeggio è una comune viva e attiva nelle strade del quartiere, si sta insieme, si parla, ci si aiuta e si portano calorosi saluti a chi resiste sul tetto. Dopo 3 giorni asserragliate in mezzo alle guardie le compa scendono dal tetto, il presidio solidale le riabbraccia. Corsica82 è stata sgomberata ma nessuno si abbatte di animo: la città per quanto sia in mano ad affaristi e turisti è ancora la nostra. Il corteo del giorno dopo attraverserà i quartieri di Rifredi e S.Jacopino con numerosi interventi contro carovita, sfruttamento, caro affitti, guerra e politiche securitarie, raggiungendo poi il centro cittadino e intonando cori contro il turismo, principale attore della vita misera che questa città vorrebbe propinarci. La manifestazione terminerà quindi in santo spirito, riconquistando così una delle piazze che il turismo ha sottratto agli abitanti della città.

Ancora una volta Firenze si è distinta come una città mostruosa, dove la polizia sfrutta l’occasione di una bambina rapita per tentare di annientare i pochi spazi di incompatibilità rimasta in città. Ma Firenze dimostra anche di essere una città ancora viva, piena di persone pronte a difendere ciò che è giusto e prezioso. Alle persone solidali che hanno difeso Corsica in questo agosto come nel marzo 2022 va tutto il nostro affetto ed il nostro ringraziamento. Vogliono annientare ogni forma di critica e opposizione reale, a Firenze come in tutta Italia. Episodi come l’arresto della nostra compagna molto spesso finiscono con pesanti condanne, sta volta un video fatto da un solidale e un giudice non asservito alle volontà della procura hanno permesso che così non fosse. Arresti, sgomberi e violenze sono frutto della loro paura, lo sappiamo bene, temono la rabbia di quelle persone che non arrivano più a fine mese, di quelle che hanno scoperto loro malgrado che la sanità è sempre meno accessibile, mentre i miliardi che estirpano dalle buste paga di chi ha ancora un contratto decente vanno in armi ad uso delle politiche NATO. Temono la rabbia dei ragazzini figli di migranti, razzializzati dallo stato ed abbandonati alla povertà e ai soprusi degli sbirri. Temono la rabbia dei tanti che sempre meno credono a giornalisti e politicanti. Temono chi si oppone e chi resiste, come gli operai di mondo convenienza a campi Bisenzio in lotta da mesi per avere condizioni e paghe degne.
Il loro futuro ha paura di noi, è questa la verità, per questo cercano di istillare quotidianamente il terrore, caricando picchetti e manifestazioni, denunciando ed arrestando. Lo sappiamo bene, per questo non abbiamo più paura, e non siamo certo soli.
Proprio la volontà di rompere l’isolamento ci sembra essere uno dei fili rossi che lega le lotte presenti: dalla val Susa alle lotte operaie fino alle occupazioni abitative e le lotte studentesche la forma del presidio permanente diventano i pochi momenti di scambio reale e diretto tra persone, nuovi luoghi per immaginare ed organizzare un mondo migliore.
Come avrete capito non siamo ancora pronti a rassegnarci alla città vetrina e le sue telecamere.
Stay tuned, Corsica 83 attende tutti coloro che vorranno scrivere nuove pagine colorate nella grigia storia della Firenze votata al turismo.


ASSEMBLEA PUBBLICA IN DIFESA DEGLI SPAZI OCCUPATI

Intanto rilanciamo l’assemblea fiorentina prevista per venerdì 25 agosto in difesa degli spazi occupati alle 18 in piazza Tasso.

FIRENZE: SGOMBERO STUDENTATO AUTOGESTITO PDM27 + ASSEMBLEA PUBBLICA IN DIFESA DEGLI SPAZI OCCUPATI

Dopo l’occupazione Corsica della settimana scorsa un’altra esperienza di autogestione è stata sgomberata ieri mattina in via Ponte di Mezzo a Firenze: si tratta dello studentato autogestito dal 2016, PDM27.

Fin dalle prime ore del giorno un elicottero ha sorvolato la zona per impedire alle persone di salire sul tetto, mentre un ampio dispiegamento di uomini e mezzi ha nuovamente militarizzato il quartiere.

Dai media apprendiamo che, come per Corsica, anche in questo caso “il provvedimento di sgombero è stato emesso dal giudice per le indagini preliminari di Firenze su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia”, un’operazione che “si inquadra nella direttiva inviata dallo stesso ministro dell’Interno Matteo Piantedosi a tutti i prefetti d’Italia, in cui si sollecita a procedere con forza contro le situazioni di illegalità.”

Un intervento che evidenzia come l’antimafia sia sempre più interessata e coinvolta nella repressione politica di movimenti e dissidenze.

Dal Viminale applaudono all’operazione sottolineando come si tratti di “interventi fondamentali per il ripristino della legalità, necessari a garantire migliori condizioni di sicurezza ai cittadini”.

Il solito mantra della sicurezza, quella stessa sicurezza che continua a sacrificare la vita di persone e territori sull’altare della speculazione e del profitto, costruendo città sempre più invivibili ed esclusive.

Lo Stato non si sta facendo scrupoli a strumentalizzare quanto avvenuto all’ex Hotel Astor per far fuori quelle esperienze che si oppongono ad una realtà fatta di solitudine e sfruttamento, e alla turistificazione selvaggia di interi quartieri.

L’immobile secondo la stampa sarebbe destinato ad un progetto di “housing sociale” per persone con vulnerabilità psichica, senza vergogna lo Stato non esita a manipolare l’opinione pubblica sbandierando progetti di interesse sociale per coprire la violenza con cui intanto reprime, sgombera e rade al suolo esperienze di riappropriazione, mutualismo e autogestione.

Solidali con chi resiste!


Intanto rilanciamo da La Polveriera:

ASSEMBLEA PUBBLICA IN DIFESA DEGLI SPAZI OCCUPATI

Vogliono fare il deserto ma non glielo permetteremo.

“Chiamiamo a raccolta tutti coloro che avranno voglia di mettersi in gioco per costruire una resistenza collettiva e cittadina agli sgomberi.”

Venerdì 18 agosto alle 18 in piazza Tasso assemblea pubblica in difesa degli spazi occupati.

 

FIRENZE: CORTEO CORSICA OVUNQUE

Mentre continua la resistenza sul tetto e per le strade, diffondiamo la chiamata al corteo previsto per domani venerdì 11 agosto alle 19, con partenza dal presidio permanente in via dei Martiri. Corsica ovunque! Altri aggiornamenti sulla pagina facebook occupazione.

L’occupazione di Corsica 81, sia nella sua prima, sia nell’ultima versione attualmente sotto sgombero, nasce con l’intenzione di rispondere a due bisogni primari. Da un lato è una risposta alla difficoltà che giovani studenti e precari riscontrano nel reperire una casa in affitto a prezzi accessibili; questa difficoltà a Firenze, dove l’immobiliare ha sempre rappresentato una delle forme di investimento privilegiate, è storica, ma si è in particolar modo accentuata negli ultimi anni con l’esplosione del fenomeno AirB&B. Firenze è una città nella quale per mantenere un tenore di vita decente, lavorare spesso non basta. Figuriamoci se il lavoro risulta essere precario o sottopagato, come spesso accade nella ristorazione o nei settori legati all’organizzazione di eventi, che rappresentano l’indotto maggiore. L’occupazione rappresenta per molti l’unica possibilità di avere un tetto sopra la testa, ma anche la liberazione dalla necessità di pagare l’affitto, e la possibilità dunque di poter liberare tempo di vita da dedicare maggiormente alla cura di sè e degli altri.
Dall’altro lato c’è la questione sociale, e in particolare la questione della socialità. Anche qua negli ultimi anni abbiamo vissuto un restringimento sempre maggiore degli spazi di agibilità. Pian piano tutto ciò che era libero, o comunque alla portata di tutti, ha finito con lo scivolare nei meccanismi della valorizzazione. A ciò contribuisce senz’altro il fenomeno generale dell’aumento dei prezzi che le classi più povere stanno pagando in prima persona. Ma su questo la governance cittadina ha sicuramente contribuito non poco. Non sono solo gli sgomberi dei centri sociali ad essersi susseguiti negli anni, ma anche gli sgomberi di varie piazze del centro storico dove si riusciva ancora a coltivare forme di socialità non mercificate. Su questo aspetto la repressione è stata forse meno spettacolare, ma non di certo meno dura. Corsica 81 è stata ed è tutto questo. E’ casa per alcuni, posto per organizzare la lotta per le proprie necessità e i propri diritti per molti, spazio aperto di cultura e ricreazione per tutti.
Il secondo sgombero in due anni è un attacco a tutto questo. E’ un tentativo netto di far cessare qualsiasi forma di organizzazione pratica a Firenze che tenti di costruire spazi di autonomia esterni ai meccanismi della speculazione e del mercato.
Nella capitale del Rinascimento, dove il turismo rappresenta una vera e propria industria pesante, la classe dirigente non può tollerare forze che si oppongono alla valorizzazione del più minuscolo metro quadro.
L’orgoglio e la forza di chi vive questa città però è molto più grande. Così da giorni ci troviamo a resistere in centinaia nelle vie che siamo abituati ad attraversare e in cui abitualmente lottiamo. Così venerdì vorremmo costruire un momento per trovarci ad attraversare queste strade collettivamente. Un corteo che parta dalle strade di Rifredi ed attraversi la città, per capire insieme cosa ci porta ancora oggi, nonostante tutto, ad essere felici di resistere per giorni sopra un tetto per la vita che vogliamo, per costruire insieme la nostra vita di domani, vita che parte imprescindibilmente dagli spazi che abitiamo e che si trovano ancora una volta sotto attacco.

TRADUZIONI IN CASTIGLIANO DI ALCUNI TESTI SULL’ALLUVIONE PUBBLICATI DI RECENTE

Riceviamo e diffondiamo le traduzioni in castigliano di alcuni contributi pubblicati di recente sull’alluvione.

Reflexiones de un compañero el día siguiente a la inundación

Aluvión, mi solidaridad es selectiva

CON EL AGUA AL CUELLO. Una visión anarquista del aluvión en Romaña


Reflexiones de un compañero el día siguiente a la inundación:

Mientras algunos ríos en Emilia y en Romaña siguen desbordados, con muchos pueblos y ciudades de la llanura inundados y el fango que sigue avanzando aguas abajo, siento la exigencia de expresar algunas reflexiones en caliente sobre los que está ocurriendo en el territorio donde vivo desde hace unos años. No cabe duda que la cantidad de agua caída estos días es excepcional, sin embargo hace tiempo que sabemos, cada vez con mayor certeza, que los eventos atmosféricos extremos son y serán cada vez más frecuentes. A pesar de esto, palpar las consecuencias de unas precipitaciones tan fuertes y concentradas en pocas horas, es algo que me coge desprevenido, emotiva y materialmente. Me he visto en un intercambio continuo de mensajes y llamadas para tener actualizaciones de la situación que están viviendo varias personas de mi entorno, mirando con preocupación al cielo, las laderas de colinas y montañas que van dejando detritos en cada chaparrón, los lechos de torrentes normalmente amigables, cada vez más caudalosos y amenazantes. El verano pasado decíamos una frase medio en broma, para quitar un poco de hierro al asunto: “es el verano más caliente que he vivido. Pero también es el más fresco de los que viviré”. Si traslado este discurso a la pluviometría me produce escalofríos. Escalofríos de miedo, porque está en juego la integridad y la seguridad de personas queridas. Y escalofríos de rabia, porque se que ya hay quienes se están frotando las manos pensando en el dinero que harán con la reconstrucción. Y son los mismos que engordan en un sistema en el que yo y quienes me rodean peleamos por la mera supervivencia material, cuando va bien. El simulacro de la seguridad y de la invulnerabilidad es algo que quiero destruir y dejar atrás, pero para dar cabida a un modo diferente de vivir, de establecer vínculos y compromisos con el carácter imprevisible del ambiente de mi entorno. No para garantizar el tranquilo engorde de quienes reproducen un mundo basado en el dominio. Entonces impedir esa cantera, esa ampliación de la autopista, ese remonte, esa presa, se vuelve algo mucho más urgente, porque lo que está en juego no es algo futuro, imaginario, simbólico o ideal. Es en el presente donde ejercen su furia homicida. Son nuestras propias vidas las que ya están en juego. Ahora que esto me ha quedado más claro, puede que necesite menos valor para arrojar el corazón por encima del obstáculo.

Traducidos de: https://brughiere.noblogs.org/post/2023/05/20/sullalluvione-in-emilia-romagna/#PENSIERI


Aluvión, mi solidaridad es selectiva

Artículo publicado en Bezmotivny, año III número 10

Aproximadamente a partir del martes 16 de mayo, y al hilo de la emergencia del aluvión que ha golpeado parte de la región de Emilia-Romaña, los exponentes de algunas organizaciones políticas autoproclamadas antagonistas del territorio boloñés y algunos grupos de personas congregadas espontáneamente han decidido crear Brigadas de solidaridad con el objetivo de “autogestionar” intervenciones de ayuda a las poblaciones de Emilia-Romaña afectadas por el aluvión de las que todavía se habla mucho. Quizás no sea oportuno detenerse sobre cómo se habla de este aluvión que, ciertamente no es una excepción ni una calamidad inesperada sino que se inserta en la cadena de catástrofes producidas por el modo de producción que devasta la vida y los lugares donde habitan millones de explotados y otros seres, así como por los hombres y mujeres con responsabilidades políticas, técnicas y decisorias concretas a nivel municipal, regional y nacional; ni sobre la forma en que los principales periódicos y medios del régimen afrontan el aluvión, en qué tono (más bien sosegado) y con qué contenidos (dirigidos a no cuestionar seriamente la sociedad que produce estas catástrofes y a salvaguardar la imagen de los responsables de carne y hueso de las mismas).

Lejos de juzgar negativamente a las diversas personas (sin importar si son compañeros o no) que espontáneamente han decidido intentar ayudar con sus propios medios, también y sobre todo individualmente en lugar de organizándose informalmente con los propios amigos, es decir, sin crear organismos de carácter parapolítico (por estar ligadas a organizaciones políticas y/o sindicales – más o menos institucionales – preexistentes), quiero reflexionar de forma polémica sobre esas organizaciones (sin perder tiempo citando sus siglas) que se han aprovechado inmediatamente de la disponibilidad de muchas personas no afectadas directamente por el aluvión de implicarse en la organización de iniciativas de solidaridad genérica, si queremos llamarla así.

Y así es como, en los días sucesivos a los acontecimientos más críticos, en un grupo telegram de coordinación y organización de las ayudas vinculado a una de estas organizaciones “antagonistas” se manifestaba el entusiasmo suscitado por el hecho de que varios periódicos hubieran nombrado las siglas de esta misma organización con elogios, que en las redes sociales se hubieran republicado numerosas veces las fotos de los activistas de la organización junto a otros “voluntarios” –presumo ingenuamente desconocedores de estas payasadas políticas– dispuestos a retirar fango en las localidades afectadas del ayuntamiento de Castel Bolognese.

Apesta, en definitiva, y, que quede claro, no porque personalmente haga apología de las prácticas de ayuda “desinteresada” y religiosamente dirigida a todos los seres humanos (por ejemplo, entre tantos afectados para mí no es prioritario ayudar a burgueses a salvar los bienes encerrados en la mansión de tres pisos); apesta porque quien se llena la boca de solidaridad y apoyo mutuo no tiene reparos en tratar de obtener consenso, visibilidad y reconocimiento político instrumentalizando ciertas tensiones y de ciertas prácticas, hegemonizándolas y haciéndolas pasar por “autogestión desde abajo”.

La solidaridad para mí no es algo universal, es resumen, no es algo que quiera dirigir a todo el mundo, a cualquier ser humano en cuanto tal, para limpiar mi conciencia y olvidarme del hecho de que, cada día, si no cuestiono realmente la sociedad industrial, el capitalismo voraz de recursos, energía y metales raros, la explotación, la gentrificación, el consumo de suelo desenfrenado a beneficio de grandes y pequeñas empresas capitalistas (por lo que respecta a la logística por ejemplo, el Instituto Superior para la Protección y la Investigación Ambiental, certifica un récord absoluto para la región de Emilia-Romaña, que entre 2006 y 2021 ha ocupado casi 400 hectáreas construyendo almacenes y polos logísticos), estoy alimentando y legitimando este ciclo de catástrofes. Si la solidaridad en estas contingencias es prestar ayuda a no importa quien entonces no soy solidario, entonces no me importa una mierda implicarme en la ayuda, y participar en la creación de brigadas a uso y consumo de politicuchos leninistas de poca monta.

Yo decido a quien doy solidaridad, ayuda y cercanía, en base a mis conocimientos, mis afinidades, mis relaciones de confianza y amistad, pero también a una conciencia de clase. La solidaridad que concibo es una solidaridad selectiva, no me avergüenzo de tal afirmación.

No quiero servir de mano de obra a las perspectivas políticas de organismos políticos que desprecio y que me hacen vomitar, no quiero obtener ningún consenso de las prácticas de ayuda y cercanía, no quiero explotar la dialéctica de socorrista-socorido para “consolidarme” políticamente, para mostrar a la gente que soy capaz de tapar los agujeros producidos por la sociedad del Estado y Capital. Quizás valga la pena tener en cuenta este aspecto de selectividad en la práctica de la solidaridad, a fin de evitar dejarse instrumentalizar, para tener la certeza de autogestionar realmente esas prácticas de asistencia y ayuda evitando que se conviertan en un instrumento de chantaje, de espectacularización política, y humanamente, añadiría, en un rito de redención.

Traducidos de: https://brughiere.noblogs.org/post/2023/05/20/sullalluvione-in-emilia-romagna/#SOLIDARIET%C3%80%20SELETTIVA


CON EL AGUA AL CUELLO
Una visión anarquista del aluvión en Romaña

Después del fin de la llamada segunda fase del aluvión, hace unos diez días, he estado en Romaña. Siendo sincera, lo que me ha empujado a acercarme ha sido un espíritu espontáneo de solidaridad hacia humanos y animales. Solidaridad de clase o “selectiva1”. Cierto, lo doy por descontado, pero lo especifico para evitar malentendidos. No estoy hablando de una solidaridad entendida de modo genérico, hacia todo el género humano. No puedo amar a quien me explota. La solidaridad la siento hacia mis similares: los/las oprimido/as, los/las explotados/as, los/as excluido/as. Es con estos con quienes intento crear dinámicas de apoyo-mutuo. En el texto la palabra solidaridad va entendida en este sentido.

Consciente de que en situaciones de emergencia el Estado pone en marcha sus dispositivos, decidí acercarme a un refugio que en ese momento alojaba animales inundados a poca distancia de las zonas más afectadas. Esto me hacía temer una eventual colaboración/compromiso con las autoridades, con las cuales como anarquista no quería tener nada que ver, aunque sabía que seguramente me los encontraría en las “zonas calientes”. Mi intento de mantenerme alejada de estos lugares no tuvo éxito. Una vez en el lugar, pude ver que la emergencia animal estaba controlada y que no hacía falta ayuda en el refugio. Así, me dirigí a los pueblos más afectados por el aluvión, algunos de los cuales estaban afrontando la “segunda emergencia2”.

El instintivo espíritu de solidaridad que me empujó a moverme venció mis temores al compromiso. No sólo me ha dado la oportunidad de ver de cerca un dispositivo de emergencia, también ha regulado mis acciones. No me dí cuenta de ello hasta más tarde. Al principio entré en los pueblos con pies de plomo.

Ciudadanos sin Estado

Mi miedo al compromiso con las autoridades se desvaneció de inmediato. Entrando en los pueblos descubrí que Protección Civil no trabajaba en las casas, su papel era meramente “presencial”. Las fuerzas desplegadas eran escasas o nulas. Por ejemplo en Santa’Agata sul Santerno había vehículos y personal uniformado concentrados cerca del ayuntamiento. Estos medios estaban prácticamente parados y muy limpios, incluso al final del día. Para la retirada de las montañas de residuos que cubrían las calles, los habitantes debían acudir al Ayuntamiento y solicitarlo mediante un formulario. Los medios de los Bomberos también eran escasos y estaban dedicados a situaciones puntuales. Las asociaciones humanitarias no aparecieron, a excepción de algunos grupos (como los scouts o Greenpeace). Según algunos habitantes, en los peores momentos del aluvión los medios de rescate no estaban disponibles o eran incapaces de cubrir las necesidades de la mayoría de la población. Estos pueblos se han visto y siguen en un estado de total abandono. Reporto estas informaciones no para levantar una oleada de indignación hacia el Estado y “pedir” algún tipo de intervención. La finalidad de este texto, más allá de describir la situación que he observado, es tratar de comprender las finalidades inherentes al modelo de gestión adoptado en esta emergencia.

En Ravenna los Bomberos pasaban por las calles ordenando la evacuación por megafonía. Las personas, una vez fuera, se encontraban las calles cerradas por lo que se veían obligadas a regresar a sus casas. En Conselice las autoridades dieron la orden de evacuar el pueblo, pero buena parte de la población se negó. Así, la gente se ha quedado encerrada en casa durante 12 días sin agua, gas ni electricidad a causa de la inundación. Los únicos que han llevado comida y bienes de primera necesidad han sido campesinos que se han organizado con tractores, junto a algunos solidarios con botes neumáticos. Esto ocurría a pesar de que los bomberos ordenaban a los solidarios que abandonasen el lugar por riesgo biológico3.

La insuficiente movilización de fuerzas por parte del Estado ha creado un gran sentimiento de desconfianza y mucha rabia hacia la Protección Civil, las administraciones municipales y regionales, las fuerzas del orden, equipos de salvamento, periodistas y políticos que venían de visita. En Sant’Agata sul Santerno, el prefecto de Ravenna fue perseguido por los habitantes pala en mano. En Conselice (y en algunos otros pueblos que no recuerdo) los alcaldes iban escoltados por Carabinieri. En Lavezzola el jefe de una importante empresa agroalimentaria se enfrentó con la alcaldesa (del PD), la Protección Civil, el Consorcio ‘di bonifica’ y los Carabinieri. El Destra Reno estaba por desbordarse y la compuerta para evacuar el agua al canal de drenaje que desembocaba en el Reno –cuyo nivel del agua era mucho más bajo– no se abría a causa de la falta de mantenimiento. Las autoridades habían acudido al lugar pero se limitaban a tomar nota de la situación. Mientras tanto, el empresario se había organizado por sus propios medios para desviar el agua con el apoyo de los habitantes del pueblo. Pero la Alcaldesa no estaba de acuerdo con esta intervención porque no estaba autorizada. Ante la rabia de los habitantes (allí presentes) y la amenaza del jefe –que la ordenaba apartarse, de lo contrario se la habría llevado por delante–, la Alcaldesa no tuvo más remedio que irse, escoltada por los Carabinieri. Así se evitó la entrada de más agua.

Obviamente, este ejemplo no es para demostrar la filantropía de un patrón. Está claro que tenía unos beneficios que proteger. Seguramente era el único capaz de “salvar el pueblo” precisamente porque, en cuanto jefe, dispone de medios y de grandes cantidades de dinero. En este episodio he visto una contradicción del Estado que, bajo el ropaje de Alcaldesa, no ha podido –o no ha querido– tutelar esa parte de población, la burguesía, a la que normalmente representa.

Narración VS realidad

Antes de partir, me informé para ver que carreteras eran transitables. La percepción que tuve al leer varias advertencias era la de una situación similar al primer confinamiento. Carreteras cortadas, controles policiales, control de los movimientos de la población. Por la E45 también vi carteles que sugerían dejar libres las carreteras para que los medios pesados de Protección Civil, Bomberos y Ejército pudieran circular sin problemas. La narración que se estaba construyendo sobre un gran tráfico de vehículos pesados de las autoridades resultó ser falsa. Las carreteras, tanto las principales como las secundarias estaban libres. El tráfico era regular y había pocos vehículos pesados de las autoridades.

Se podía entrar en los pueblos inundados. Encontré controles policiales a la entrada de Sant’Agata sul Santerno que impedían el acceso a los no residentes. Pero los Carabinieri y la Policía Local tenían cierta dificultad para parar a las personas que, con determinación, argumentaban que debían circular libremente. Algún solidario se dejaba intimidar o creía a los Carabinieri que afirmaban que en el pueblo “todo estaba en orden y no se necesitaban voluntarios”, y se daba la vuelta. Pero la mayoría de las personas pasaban de todos modos. O a pié, o cambiando de camino, o inventándose alguna excusa. Dado el gran número de solidarios, a las fuerzas del orden les resultaba muy difícil controlar a todos, a pesar de que en algunos casos había dos filtros para entrar al pueblo.

Unas palabras respecto a la aplicación VolontariSOS… Según las autoridades, solo los registrados podían acceder a las zonas rojas y ayudar a la población. Esto por motivos de aseguración en caso de accidentes, de control y de organización. En esta app, el voluntariado tenía que dar sus datos personales y reservar un “turno”. En la práctica, la mayoría de personas que me he encontrado no se habían registrado. Algunas estaban en contra, y veían en esta app un intento de control y rastreo. Los que se habían registrado contaban que esta aplicación era un rotundo fracaso, ya que todos los “turnos” resultaban ocupados. A pesar de ello, estas personas se habían acercado al lugar igualmente, considerando que era más fácil ir casa por casa ofreciendo ayuda en lugar de depender de una plataforma digital.

Por tanto, se puede afirmar que la circulación de solidarios en estos pueblos estaba bastante fuera del control de las autoridades. Lo mismo se puede decir respecto a la gestión de algunos centros de clasificación de mercancías. En Conselice, por orden del Ayuntamiento, había un gran centro dedicado exclusivamente a la recepción de ayudas. Los bienes, una vez clasificados, tenían que llevarse a los puntos de distribución, a los que la población acudiría a por aquello que necesitase. En la práctica, las personas se acercaban directamente a este centro a por los bienes necesarios y partían con los coches llenos para ir repartiendo calle por calle a quien lo pidiera. Esto gracias al buen criterio de las personas que pasaban por el, que de mutuo acuerdo, decidieron que tenía más sentido distribuir directamente en lugar de acumular bienes en un almacén central y dejar con las manos vacías a las personas como había ordenado el Ayuntamiento.

En este sentido, hay que señalar que, llegados a cierto punto, el Prefecto de Ravenna hizo llamamientos públicos para que los voluntarios abandonasen las zonas inundadas porque molestaban en la operaciones de las autoridades.

A propósito de los Ángeles del fango

La combinación de personas acudidas a ayudar ha resultado ser una mezcla interesante. Conspiracionistas, anti vacunas, animalistas de todas las edades, no green pass… Personas que por un motivo u otro, hace tiempo que habían madurado una conciencia crítica y unas prácticas, no necesariamente bajo la bandera de algún grupo u organización. De hecho muchos han acudido individualmente, desconfiando de grandes organizaciones centralizadoras, metiendo en el coche todo lo que podía ser útil (limpiadoras de presión, comida para animales, ropa, mantas) y yendo por los pueblos ofreciendo la propia disponibilidad en lugar de acudir a las convocatorias gestionadas por las autoridades.

La retórica de los ángeles del fango propuesta por los medios era ridiculizada por la mayoría de la gente y escucharlo no generaba orgullo, mas bien ponía de los nervios. Muchos voluntarios eran personas afectadas por la inundación que, una vez arreglada su casa donde “el agua les había llegado al cuello”, fueron donde todavía hacía falta, interrumpiendo sus actividades cotidianas, incluido el trabajo. He respirado un clima de colaboración y amigabilidad, privo de prejuicios (por ejemplo ligados al género) y he encontrado a personas con una sensibilidad particular. Una tarde, estando con otras personas ayudando a una familia que estaba viviendo un gran sufrimiento psicológico a causa del aluvión. En un momento dado a alguien del Ayuntamiento se le ocurrió mandar una pareja de Policía Local. Corrí fuera para ver que querían, pero antes de mí, una mujer había salido y les estaba diciendo a los guardias que se fueran inmediatamente, porque la situación era tranquila y ellos sólo habrían causado problemas.

Durante la jornada se alternaban momentos de trabajo duro, momentos de discusión a 360º. Una exigencia común era precisamente la de hablar juntos: del Covid, de la guerra, de estas continuas emergencias que parecen no terminar nunca, de los responsables de todo esto.

Otro aspecto importante ha sido compartir el dolor y el sufrimiento. Puesta en común especialmente “demandada” por las personas afectadas por la inundación que, con frecuencia, te paraban por la calle para charlar, para llorar, para desahogarse. Detrás de estos arrebatos, la conciencia que el aluvión no ha sido simplemente una catástrofe natural imprevista. Sino una catástrofe provocada y no anunciada, o anunciada con gran retraso, con responsables concretos: Protección Civil, Consorcios ‘di bonifica’4, administraciones municipales y regionales.

Resumiendo, esta experiencia ha sido, a pesar del drama, en términos humanos un soplo de aire fresca. Puede que la humanidad todavía sea un riesgo a correr.

¿Qué protocolo?

Sería demasiado fácil afirmar que el Estado no estaba preparado para esta inundación, así como decir que no ha sido capaz de gestionar la situación por culpa de la falta de medios, de un exceso de burocracia o de la incompetencia. Sus acciones son el fruto de una suma de circunstancias y elecciones. Seguramente la población local y los solidarios han creado dificultades a las autoridades. El intento de controlar los movimientos (mediante app y controles policiales), de evacuar zonas enteras, de centralizar la distribución de bienes, de vacunar a la mayor parte de la población… por lo que he visto no ha tenido mucho éxito. Por otro lado, el estado de abandono de estos pueblos me ha dado que pensar. Obviamente se trata de una elección deseada y motivada. Sinceramente a día de hoy no encuentro respuestas definitivas. Se me ocurren hipótesis, pero considero necesario iniciar un debate sobre las formas mediante las que el Estado afronta este tipo de emergencias locales. Visto el próximo colapso al que la sociedad industrial nos está llevando, estas catástrofes serán cada vez más frecuentes. ¿Tal vez el Estado pretenda acostumbrar a la gente a la posible falta de agua, gas, electricidad y bienes de primera necesidad durante días? ¿o bien abandona por completo a la población de modo que esta reclame “más Estado”? ¿O hay intereses que desconocemos en desalojar estos territorios concretos afectados por el aluvión?

Creo que es urgente reflexionar de forma colectiva, sobre todo con quien ha vivido más de cerca el aluvión. Con la experiencia de la pandemia, me he acercado a estos territorios esperando encontrar un determinado dispositivo (militarización, control de desplazamientos, imposibilidad de acceder a las zonas rojas), en la práctica me he encontrado con algo totalmente distinto y eso, debo decirlo, me ha tomado por sorpresa. Entonces, puede que sea importante seguir hablando sobre los estados de emergencia que se nos imponen continuamente, con el objetivo de orientar nuestro actuar. Para transformar una pequeña grieta en el sistema en una vorágine.

Una anarquista

1Alluvione, la mia solidariettà è selettiva, Bezmotiivny, anno III, numero 10

2Con este término entiendo la fase en la que una vez desalojada el agua, toca encontrar material, retirar fango, tirar todo lo dañado y la posterior limpieza.

3NdT – Básicamente “riesgo de infección, intoxicación/envenenamiento, alergia”. Me parece interesante poner el foco en la segunda. ¿Qué pasaría si unas lluvias torrenciales inundan Huelva, con un vertedero de fosfoyesos a 500m. de la ciudad, que además de muy tóxico también es radioactivo?. Es sólo uno de los muchos ejemplos que se podrían citar dentro del legado tóxico de esta sociedad tecnoindustrial. Seguro que se te ocurre algún ejemplo por tu zona…

4NdT – Bonificare, en italiano la primera acepción es: “Rehabilitar tierras pantanosas para hacerlas productivas; drenar, escurrir”. Romaña es una región con importante producción agrícola y numerosos canales.
Las responsabilidades de las administraciones puede referirse, entre otras, a la superficie cementada (y por tanto impermeabilizada): 650ha en un año, en una zona donde el 80% es de riesgo hidrológico. O en el caso del Consorcio de Bonifica, los trabajos de cementar los fondos de los canales y eliminar la vegetación de los lados realizados hace pocos años.

PDF – CON EL AGUA AL CUELLO

Traducidos de: https://brughiere.noblogs.org/post/2023/05/20/sullalluvione-in-emilia-romagna/#ACQUA%20ALLA%20GOLA

COME UNA FORESTA IN CITTÀ

Bologna – Ieri sera dopo la proiezione di “Come una foresta in città”, documentario sulla storia di Xm24, un corteo spontaneo ha attraversato la Bolognina fino a raggiungere il cantiere dell’Ex Mercato. Una parte della recinzione in legno è stata abbattuta. L’amministrazione ha già provveduto a chiudere il varco.

BOLOGNA: LA GUERRA DEI TANUKI NELL’EPOCA DELLA GENTRIFICAZIONE [PROIEZIONE]

Diffondiamo:

*INIZIATIVA ANNULLATA*

Mercoledì 28 al parchetto di via Fioravanti proiezione di:

Pom Poko – La Guerra dei Tanuki del Periodo Heisei, regia di Isao Takahata (Giappone, 1994)

Nel pieno del boom economico del Giappone, la città di Tokyo necessita sempre più di spazi da cementificare per accogliere la sua crescente popolazione. Un progetto di espanzione urbana, che minaccia la deforestazione e la distruzione di una collina, vede un’inaspettata quanto improbabile opposizione in un gruppo di coraggios* Tanuki, piccoli mammiferi simili ad un misto tra cane e procione dotati di particolarissimi poteri. Riusciranno i simpatici animaletti a difendere il proprio habitat dalle grinfie dell’Uomo? Dallo storico Studio Ghibli (fondato dal maestro Hayao  Miyazaki e dallo stesso Takahata) una piccola perla dell’animazione nipponica che getta uno sguardo particolare sul problema della cementificazione e sulle ricadute che le attività umane hanno sull’ambiente naturale.

Mercoledì 28 giugno al calar del sole ci ritroviamo al parchetto di via Fioravanti per la proiezione del film, per ri-appropiarci della socialità e degli spazi che i progetti di cementificazione e gentrificazione tentano di toglierci. Proprio come i Tanuki scegliamo di resistere e opporci al modello capitalista di questa società, che sempre di più agisce su di noi cercando di reprimerci. Per questo motivo ribadiamo che gli spazi siamo noi a crearli e non aspettiamo che ce li diano.
Ci rivendichiamo la solidarietà come strumento di lotta e resistenza davanti ad uno stato che oggi più che mai ci vorrebbe zitti e omologati.
Esprimiamo la nostra solidarietà agli indagati per 270 bis e a chi lotta dentro e fuori le carceri.

Prima della proiezione dibattito su cementificazione/gentrificazione, per riflettere collettivamente e pensare a nuove prospettive.
Tutti i banchetti sono benvenuti (portati tavolo e luci!).
Il tutto sarà animato da dj set con cenetta a cura del collettivo cannibale.

Resistere è meglio che cementificarsi

CONTRIBUTI SULL’ALLUVIONE IN EMILIA ROMAGNA

Abbiamo deciso di raccogliere in questa pagina scritti e contributi sull’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna. Voci dai territori, esperienze e riflessioni

Sull’alluvione in Emilia Romagna
Pensieri di un compagno il giorno dopo l’alluvione
Alluvione, la mia solidarietà è selettiva
Con l’acqua alla gola

Qui le traduzioni dei testi in castigliano.
Per inviare testi e contributi: brugo@autistiche.org


SULL’ALLUVIONE IN EMILIA ROMAGNA – Brughiere

20 maggio 2023

È il tempo delle emergenze e delle catastrofi, oltre che delle narrazioni traumatiche per amministrare il disastro, magari con la sottomissione sostenibile delle masse, in particolare quelle povere e sacrificabili. Disastri che assumono sui media l’aspetto di calamità, nonostante siano drammaticamente annunciati e tragicamente frutto di questo modello di sviluppo insensato. Mentre l’Emilia Romagna viene devastata dall’alluvione, sui media si sprecano gli appelli istituzionali alla solidarietà e all’unità da parte degli stessi responsabili del danno. Una solidarietà che dalle poltrone di chi governa questa Regione suona un po’ “pelosa” per non dire sfacciatamente ipocrita. Si tratta infatti degli stessi che hanno sempre avvantaggiato palazzinari e speculatori a scapito di chi non arriva alla fine del mese. Gli stessi che hanno promosso la cementificazione selvaggia dei territori, la costruzione su aree “protette”, zone a pericolo di frana, intorno ad aree alluvionali. Gli stessi che permettono la predazione di ogni angolo di territorio con scellerati progetti di “riqualificazione” , sempre rigorosamente “green”.

Tutta la nostra solidarietà a chi, magari già in difficoltà prima, sta vivendo in queste ore ulteriore solitudine e disperazione. Non dimentichiamo chi sono i responsabili. Sosteniamoci e sosteniamo la solidarietà dal basso che si sta muovendo.


PENSIERI DI UN COMPAGNO IL GIORNO DOPO L’ALLUVIONE:

Mentre ancora i fiumi in Emilia e in Romagna sono in piena, molti paesi e città della pianura alluvionati e il fango continua a muoversi verso valle, sento l’esigenza di esprimere qualche riflessione a caldo su quello che sta succedendo nei territori in cui da qualche anno vivo. La quantità di acqua piovuta in questi giorni è senza dubbio eccezionale, eppure sappiamo da tempo, e con sempre maggiore certezza, che gli eventi atmosferici estremi sono e saranno sempre più frequenti. Ciò nonostante, toccare con mano le conseguenze di una pioggia così forte e concentrata in poche ore, è qualcosa che mi coglie impreparato, emotivamente e materialmente. Mi sono trovato a scambiare messaggi e chiamate continue per avere aggiornamenti sulla situazione che varie persone intorno a me stanno vivendo, guardando con preoccupazione verso il cielo, i versanti di colline e montagne che rilasciano detriti ad ogni acquazzone, i letti di torrenti di solito amichevoli, sempre più gonfi e minacciosi. L’estate scorsa ci si diceva questa frase, un po’ come scherzo,per sdrammatizzare, un po’ no: “è l’estate più calda che ho mai vissuto. Ma è anche la più fresca tra quelle che vivrò”. Se traspongo questo discorso pensando alla pluviometria, mi vengono i brividi. Brividi di paura, perché in gioco c’è l’incolumità e la sicurezza di persone care. E brividi di rabbia, perché so che c’è già chi si sfrega le mani pensando ai soldi che si farà con la ricostruzione. E sono gli stessi che ingrassano in un sistema in cui io e chi mi circonda ci arrabattiamo per la mera sopravvivenza materiale, quando va bene. Il simulacro della sicurezza e dell’invulnerabilità è qualcosa che voglio distruggere e lasciarmi alle spalle, ma per fare spazio ad un diverso modo di vivere, di intessere legami e fare compromessi con l’imprevedibilità dell’ambiente in cui sono immerso. Non per garantire a chi riproduce un mondo basato sul dominio di ingrassare tranquillo. E allora impedire quel cantiere, quell’allargamento dell’autostrada, quell’impianto di risalita, quella diga, diventa qualcosa di molto più urgente, perché in ballo non c’è qualcosa di futuro, di immaginario, di simbolico, di ideale. È nel presente che quei progetti agiscono la loro furia omicida. E in gioco ci sono già le nostre vite. Ora che questo mi è più chiaro, forse mi serve meno coraggio per buttare il cuore oltre l’ostacolo.


ALLUVIONE, LA MIA SOLIDARIETÀ È SELETTIVA
Articolo uscito su “Betzmotivny”, anno III, numero 10

A partire più o meno da martedì 16 maggio e sulla scia dell’emergenza alluvione che ha colpito parte della Regione Emilia-Romagna, i vertici di alcune organizzazioni politiche sedicenti antagoniste del territorio bolognese e alcuni gruppi di persone riunitesi spontaneamente hanno deciso di dar vita a delle Brigate di solidarietà aventi lo scopo di “autogestire” interventi di aiuto alle popolazioni emiliano-romagnole colpite dall’alluvione di cui si continua a parlare molto. Di come se ne parli di questa alluvione che non costituisce certo un’eccezione, una calamità inaspettata, ma che si inserisce nella catena di catastrofi prodotte dal modo di produzione che devasta le vite ed i luoghi di vita di miliardi di sfruttati e altri esseri, nonché dagli uomini e dalle donne aventi specifiche responsabilità politiche, tecniche e decisionali a livello comunale, regionale e nazionale; sulle modalità mediante le quali le maggiori testate giornalistiche ed i media di regime affrontano l’alluvione, con quali toni (piuttosto pacati) e mediante quali contenuti (volti a non mettere seriamente in discussione la società che produce queste catastrofi ed a salvare la faccia ai responsabili in carne ed ossa delle stesse), non è forse il caso di soffermarsi in questa sede.
Lungi dal giudicare negativamente le svariate persone (non importa se compagne o meno) che spontaneamente hanno deciso di darsi da fare per tentare di aiutare coi propri mezzi, anche e soprattutto individualmente piuttosto che organizzandosi informalmente con propri amici, cioè senza dar vita ad organismi di carattere parapolitico (perché effettivamente legati ad organizzazioni politiche e/o sindacali – più o meno istituzionali – preesistenti), voglio invece riflettere polemicamente su quelle organizzazioni (senza perdere tempo a riportare le loro sigle) che hanno cavalcato da subito la disponibilità di non poche persone effettivamente non colpite direttamente dall’alluvione, ad attivarsi nell’organizzazione di iniziative di solidarietà generica, se così la vogliamo chiamare.
Ed è così che su un gruppo telegram di coordinamento ed organizzazione degli aiuti legato ad una di queste organizzazioni ”antagoniste” veniva manifestata – nei giorni immediatamente successivi agli eventi più critici – l’entusiasmo dato dal fatto che svariate testate giornalistiche avevano riportato la sigla di questa stessa organizzazione facendone le lodi, che più volte erano state ripostate sui social le foto degli attivisti dell’organizzazione, assieme ad altri ”volontari”- presumo ingenuamente ignari di queste pagliacciate politiche – intenti a spalar fango nelle località colpite del comune di Castel Bolognese.
Uno schifo, insomma e, intendiamoci bene, non perché personalmente sia un apologeta delle pratiche di aiuto “disinteressato” e religiosamente rivolto a tutti gli esseri umani (ad esempio tanti alluvionati, per me non è prioritario aiutare dei borghesi a salvare i beni racchiusi nella propria villa di tre piani); uno schifo perché chi si riempie la bocca di solidarietà e mutuo aiuto non si fa scrupoli a tentare di ricavare consenso, visibilità e riconoscimento politico dalla strumentalizzazione di certe tensioni e di certe pratiche egemonizzandole e spacciandole poi per “autogestite dal basso”.
La solidarietà per me non è qualcosa di universale, insomma non è qualcosa che voglia rivolgere a chiunque, a qualsiasi essere umano in quanto tale, per lavarmi la coscienza e dimenticarmi del fatto che ogni giorno non mettendo veramente in discussione la società industriale, il capitalismo vorace di risorse, energie e metalli rari, lo sfruttamento, la gentrificazione, il consumo di suolo sfrenato a profitto di grandi e piccole imprese capitalistiche (per quanto riguarda la logistica ad esempio, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale, certifica un primato assoluto per la Regione Emilia-Romagna, che nel periodo tra il 2006 e il 2021 ha occupato quasi 400 ettari nella costruzione di magazzini e poli logistici), sto alimentando e legittimando questo ciclo di catastrofi. Se la solidarietà in queste contingenze è prestare aiuti a chicchessia allora non sono solidale, allora non me ne fotte uno stracazzo di niente di attivarmi nell’aiuto, di partecipare alla costruzione di brigate ad uso e consumo di piccoli politicanti leninisti da strapazzo.
La solidarietà, l’aiuto e la vicinanza decido io a chi portarla, sulla base delle mie conoscenze, delle mie affinità, di miei legami di fiducia e amicizia, ma anche di una consapevolezza di classe. La solidarietà a cui penso è una solidarietà selettiva, non mi vergogno di sostenerlo.
Non voglio fare da manovale per le progettualità politiche di organismi politici che disprezzo e che mi fanno venire il vomito, non voglio ricavare nessun consenso dalle pratiche di aiuto e vicinanza, non voglio sfruttare la dialettica soccorritore-soccorso per “radicarmi” politicamente, per far vedere alla gente che sono capace di tappare i buchi prodotti dalla società dello Stato e Capitale. Forse sarebbe il caso di tenere a mente questo aspetto di selettività nella pratica della solidarietà, onde evitare di farsi strumentalizzare, per avere la sicurezza di autogestirsi veramente quelle pratiche di cura e aiuto evitando di trasformarle in strumento di ricatto, di spettacolarizzazione politica e umanamente, mi viene da aggiungere, in rito di redenzione.


CON L’ACQUA ALLA GOLA
Uno sguardo anarchico sull’alluvione in Romagna

PDF: Con l’acqua alla gola

La testimonianza che sto per riportare, è sicuramente limitata. Sono stata per pochi giorni in contesti paesani e ad oggi, a parte qualche racconto di alcuni solidali, non so come sia andata nelle città più grandi colpite dall’alluvione. Alcuni dei fatti che riporto mi sono stati raccontati dalla popolazione locale e non vi ho preso parte in prima persona. Non ho avuto modo di verificarli in fonti scritte che, a tal proposito, scarseggiano. Inoltre, non conoscendo la morfologia del territorio, molte delle informazioni che mi hanno dato sulla gestione delle acque in eccesso purtroppo le ho perse. Del resto, prendere appunti durante chiacchierate informali mi sembrava decisamente fuori luogo.

Sant’Agata sul Santerno, Conselice, Lugo (26 – 30 Maggio 2023)

Una decina di giorni dopo la fine della cosiddetta seconda fase dell’alluvione, sono partita per la Romagna. Ciò che mi ha spinto a raggiungere questi luoghi, sono sincera, è stato uno spontaneo spirito di solidarietà nei confronti di umani e animali. Solidarietà di classe o “selettiva1”. Certo, lo do per scontato, ma lo specifico per non creare fraintendimenti. Non sto parlando di una solidarietà genericamente intesa, rivolta a tutto il genere umano. Non posso amare chi mi sfrutta. La solidarietà la provo nei confronti dei miei simili: gli/le oppressi/e, gli/le sfruttati/e, gli/le esclusi/e. È con questi ultimi che provo ad instaurare dinamiche di mutuo-aiuto. Nel testo la parola ‘solidarietà’ va sempre intesa in questo senso.

Consapevole che in situazioni di emergenza lo Stato mette in campo i suoi dispositivi, ho scelto di recarmi presso un rifugio che ospitava in quel momento animali alluvionati, che si trova poco distante dalle zone maggiormente colpite. Ciò mi sollevava dal timore di una eventuale compromissione/collaborazione con le autorità, con la quali in quanto anarchica non volevo avere a che fare, ma che sapevo invece avrei sicuramente incontrato nelle “zone rosse”. Il mio tentativo di stare alla larga da queste zone è però fallito. Una volta giunta sul campo, ho constatato che l’emergenza animali era rientrata e non vi era grossa necessità di braccia al rifugio. Mi sono così recata nei paesi fortemente colpiti dall’alluvione, alcuni dei quali in quel momento si trovavano ad affrontare la “seconda emergenza2”.

Quell’istintivo spirito di solidarietà che mi aveva spinto a partire, ha avuto la meglio sui miei timori di compromissione. Non solo mi ha dato l’opportunità di vedere da vicino un dispositivo emergenziale operativo, ma ha anche regolato il mio agire. Questa consapevolezza l’ho raggiunta solo in un secondo momento. Inizialmente sono quindi entrata nei paesi in punta di piedi.

Cittadini senza Stato

La mia paura di compromissione con le autorità è svanita immediatamente. Entrando nei paesi ho scoperto che la Protezione Civile non era impegnata nelle case, ma aveva un ruolo meramente “di presenza”. Le forze messe in campo erano esigue se non nulle. A Sant’Agata sul Santerno, per esempio, vi erano mezzi e personale in divisa concentrati nei pressi del Comune. Questi mezzi però erano pressoché fermi ed estremamente puliti, anche a fine giornata. Per smantellare le montagne di detriti che palesemente ingombravano le strade, gli abitanti dovevano recarsi in Comune dove, tramite un modulo cartaceo, chiedevano la rimozione del materiale. Anche i mezzi dei Vigili del Fuoco erano esigui e impegnati in situazioni circoscritte. Il mondo delle associazioni umanitarie era assente, ad eccezione di qualche gruppetto (per esempio gli scout, Greenpeace). A detta di alcuni abitanti i mezzi di soccorso, nel pieno dell’alluvione, erano irreperibili o comunque incapaci di far fronte ai bisogni della maggior parte della popolazione. Questi paesi si sono trovati e si trovano tutt’ora in uno stato di completo abbandono. Riporto queste informazioni non per alzare un coro di indignazione nei confronti dello Stato o per “chiedere” un qualche intervento. La finalità dello scritto, oltre quella descrittiva della situazione che ho osservato, è quella di provare a comprendere le finalità insite al modello gestionale adottato in questa emergenza.

A Ravenna i Vigili del fuoco passavano per le strade con l’altoparlante ordinando l’evacuazione. Le persone, una volta uscite, hanno trovato le strade chiuse e dunque sono state costrette a rientrare nelle case. A Conselice le autorità hanno dato ordine di evacuare il paese, ma buona parte della popolazione si è rifiutata. Le persone sono così rimaste chiuse in casa per 12 giorni senza acqua, gas ed elettricità, a causa dell’acqua alta. Gli unici a portare cibo e beni di prima necessità sono stati i contadini che si sono organizzati con i trattori, assieme a qualche solidale con il gommone. Ciò avveniva nonostante i Vigili del Fuoco intimassero ai solidali di andarsene immediatamente per rischio biologico.

La mancata mobilitazione di forze da parte dello Stato ha creato un forte senso di sfiducia e una gran rabbia nei confronti della Protezione Civile, delle amministrazioni comunali e regionali, delle forze dell’ordine, dei soccorsi, dei giornalisti e dei politici in visita. A Sant’Agata sul Santerno, il Prefetto di Ravenna è stato rincorso dagli abitanti con i badili in mano. A Conselice (e in qualche altro paese che non ricordo) i sindaci girano per il paese scortati dai Carabinieri. A Lavezzola è accaduto che un padrone di un’importante azienda agroalimentare, si è scontrato con la Sindaca (del PD), la Protezione Civile, il Consorzio di bonifica e i Carabinieri. Il Destra Reno stava per esondare e la chiusa per far defluire l’acqua nel canale di bonifica che sfociava nel Reno – il quale aveva il livello dell’acqua molto più basso – non si apriva a causa della scarsa manutenzione. Le autorità erano accorse sul luogo, ma stavano semplicemente prendendo atto della situazione. Nel frattempo l’imprenditore si era organizzato con mezzi propri per bypassare l’acqua, sostenuto dagli abitanti del paese. La Sindaca però non era d’accordo con questo intervento, in quanto non autorizzato. Di fronte alla rabbia degli abitanti (accorsi sul luogo) e alla minaccia del padrone – che le intimava di spostarsi altrimenti l’avrebbe presa sotto – la prima cittadina non ha potuto far altro che andarsene, scortata dai Carabinieri. L’acqua così è stata bypassata.

Questo esempio, chiaramente, non è riportato per dimostrare la filantropia di un padrone. Quest’ultimo, è chiaro, aveva il suo profitto da salvaguardare. Era sicuramente l’unico ad avere la possibilità di “salvare il paese” appunto perché, in quanto padrone, proprietario di mezzi e con grandi disponibilità di denaro. Ho visto in questo episodio una contraddizione dello Stato che, nelle vesti della Sindaca, non è stato in grado – o non ha voluto – tutelare quella parte di popolazione, la borghesia, che è solito rappresentare.

Narrazione VS realtà

Prima della partenza mi sono informata per capire quali strade erano percorribili. La percezione che ho avuto leggendo vari avvertimenti era quella di una situazione simile al primo lockdown. Strade chiuse, posti di blocco, controllo dei movimenti della popolazione. Anche lungo la E45 ho visto vari cartelli che suggerivano di lasciare libere le strade per permettere ai mezzi pesanti di Protezione Civile, Vigili del Fuoco ed Esercito di circolare più liberamente. Ciò che veniva narrato, ovvero un grande traffico di mezzi pesanti delle autorità nei luoghi colpiti, si è rivelato falso. Le strade, sia quelle principali che le secondarie all’interno delle campagne, erano libere. Il traffico regolare e i mezzi pesanti in circolazione pochi. L’accesso ai paesi alluvionati era libero. Mi è capitato di trovare dei posti di blocco in entrata a Sant’Agata sul Santerno, che vietavano ai non residenti l’ingresso in paese. I Carabinieri e la Polizia Locale avevano però una certa difficoltà a fermare le persone che, con determinazione, sostenevano che dovevano circolare liberamente. Qualche solidale si faceva intimidire, oppure credeva ai Carabinieri che affermavano che in quel paese “tutto era a posto e non c’era bisogno di volontari”, così tornava indietro. La maggior parte delle persone però passava lo stesso. O a piedi, o cambiando strada, oppure inventandosi qualche scusa. Visto il gran numero di solidali accorsi, era molto difficile per le forze di polizia poter controllare tutti, nonostante in alcuni casi ci fossero due filtri per l’ingresso ai paesi.

Due parole anche sull’applicazione VolontariSOS… A quanto detto dalle autorità, solo chi era registrato a questa applicazione poteva recarsi ad aiutare la popolazione ed entrare nelle zone rosse. Questo per motivi di assicurazione in caso di incidenti, di controllo e organizzativi. In questa applicazione il volontario doveva inserire i suoi dati e prenotarsi un “turno”. Nella realtà, la maggior parte delle persone che ho incontrato non si erano affatto registrate. Alcuni erano contrari alla registrazione in sé e vedevano in questa applicazione un tentativo di controllo e tracciamento. Chi invece si era registrato, raccontava di come questa applicazione fosse totalmente fallimentare, dal momento che i “turni” risultavano tutti occupati. Nonostante ciò, queste persone si sono recate sul posto lo stesso, pensando fosse più semplice passare casa per casa a chiedere se c’era bisogno, piuttosto che affidarsi ad una piattaforma digitale.

 Si può affermare quindi che in questi paesi la circolazione dei solidali fosse abbastanza fuori controllo per le autorità. Lo stesso si può dire anche in merito alla gestione di alcuni hub di smistamento merci. A Conselice, su ordine del Comune, vi era un grande hub dedicato solo alla ricezione degli aiuti. La merce smistata doveva poi essere portata ai singoli punti di distribuzione, dove la popolazione si recava a prendere ciò di cui aveva bisogno. Nella realtà in questo hub venivano direttamente le persone a prendersi la merce che serviva e da lì partivano macchine cariche che, strada per strada, distribuivano merce a chi chiedeva. Ciò grazie al buon senso delle persone che attraversavano quel luogo e che, di comune accordo, avevano convenuto che aveva più senso distribuire direttamente, piuttosto che accumulare merce nell’hub centrale e lasciare le persone a secco, come il Comune aveva ordinato di fare.

A tal proposito va segnalato come, ad un certo punto, il Prefetto di Ravenna ha fatto pubblicamente degli appelli affinché i volontari abbandonassero le zone alluvionate, perché di intralcio alle operazioni delle autorità.

A proposito di Angeli del fango

La composizione delle persone accorse ad aiutare si è rivelata un mix interessante. Complottisti, no vax, animalisti di tutte le età, no green pass… Persone che, per un motivo o un altro, avevano da tempo maturato una coscienza critica e una pratica, non necessariamente sotto la bandiera di qualche gruppo o organizzazione. Molti infatti sono accorsi individualmente, diffidando di grandi organizzazioni accentratrici, caricandosi la macchina di quanto poteva essere utile (idropulitrice, cibo per animali, vestiti, coperte) e girando nei paesi offrendo la propria disponibilità, anziché presentarsi ai coordinamenti gestiti dalle autorità.

La retorica degli angeli del fango proposta dai media, veniva derisa dalla maggior parte delle persone e sentirne parlare non era una bandiera di vanto, piuttosto faceva innervosire. Tanti volontari erano persone alluvionate che, una volta sistemata la loro abitazione dove “l’acqua era arrivata alla gola”, si sono recati da chi aveva ancora bisogno, mettendo in pausa le proprie attività quotidiane tra cui il lavoro. Ho respirato un clima di collaborazione e amicizia, privo di pregiudizi (per esempio legati al genere) e ho incontrato persone con una sensibilità particolare. Un pomeriggio, ero con altre persone ad aiutare una famiglia che stava vivendo un forte disagio psicologico a causa dell’alluvione. Ad un certo punto qualcuno dal Comune ha ben pensato di mandare due guardie della Polizia Locale. Sono corsa fuori per vedere cosa volessero ma, prima di me, una donna era uscita e stava dicendo alle guardie di andarsene immediatamente, perché la situazione era tranquilla e loro avrebbero solo creato problemi.

Durante la giornata si alternavano momenti di lavoro duro a momenti di discussione a 360°. Un’esigenza condivisa era proprio quella di parlare insieme: del Covid, della guerra, di queste continue emergenze che sembrano non finire mai, dei responsabili di tutto questo.

Un altro aspetto importante è stata la condivisione del dolore e della sofferenza. Condivisione fortemente “richiesta” dalle persone alluvionate che, spesso, ti fermavano per la strada per scambiare due chiacchiere, per piangere, per sfogarsi. Dietro questi sfoghi, la consapevolezza che l’alluvione non è stata semplicemente una catastrofe naturale improvvisa. Ma una catastrofe provocata e non annunciata, o annunciata con grande ritardo, con dei responsabili precisi: Protezione Civile, Consorzi di bonifica, amministrazioni comunali e regionali.

Insomma questa esperienza è stata, nonostante il dramma, in termini umani un vento d’aria fresca. Forse l’umanità è ancora un rischio da correre.

Quale protocollo?

Troppo facile sarebbe sostenere che lo Stato era impreparato a questa alluvione, come anche dire che non è stato in grado di gestire la situazione a causa della mancanza di mezzi, della troppa burocrazia o dell’incompetenza. Il suo operato è frutto di un insieme di circostanze e di scelte. Sicuramente la popolazione locale e i solidali hanno dato del filo da torcere alle autorità. Il tentativo di controllare i movimenti (tramite app e posti di blocco), di evacuare intere zone, di centralizzare la distribuzione di beni, di vaccinare la maggior parte della popolazione… da come ho visto non è riuscito molto. D’altra parte, però, lo stato di abbandono di questi paesi mi ha dato da pensare. Evidentemente si tratta di una scelta voluta e ragionata. Sinceramente non riesco ad oggi a darmi delle risposte definitive. Mi vengono in mente delle ipotesi, ma ritengo sia necessario avviare un dibattito sulle modalità con le quali lo Stato affronta queste emergenze locali. Visto l’ormai prossimo collasso a cui la società industriale ci sta conducendo, queste catastrofi saranno sempre più frequenti. Forse lo Stato vuole abituare le persone al fatto che possa mancare per giorni l’acqua, l’elettricità, il gas e i beni di prima necessità? Oppure trascura completamente la popolazione di modo che quest’ultima reclami “più Stato”? O ci sono degli interessi, che non conosciamo, a sgomberare nello specifico questi territori colpiti dall’alluvione?

Credo sia urgente riflettere insieme, soprattutto con chi ha vissuto più da vicino l’alluvione. Avendo l’esperienza della pandemia, mi sono recata in questi luoghi aspettandomi di trovare un determinato dispositivo (militarizzazione, controllo degli spostamenti, impossibilità di accedere alle zone rosse), nella realtà ho trovato tutt’altro e ciò, devo dire, mi ha spiazzato. Allora, forse, diventa importante continuare a ragionare sugli stati di emergenza che ci vengono continuamente imposti, al fine di orientare il nostro agire. Per trasformare una piccola crepa nel sistema in una voragine.

un’anarchica

1 Alluvione, la mia solidarietà è selettiva, “Betzmotivny”, anno III, numero 10

2 Con questo termine intendo quella fase in cui, defluita l’acqua, arriva il momento di reperire il materiale, spalare il fango, gettare tutto ciò che è stato danneggiato ed eseguire i lavori di pulizia.