MESSINA: CORTEO NO PONTE [12 LUGLIO]

Diffondiamo

12 LUGLIO CORTEO NO PONTE A CONTESSE (Messina)
DIFENDIAMO IL NOSTRO TERRITORIO

Dopo Torre Faro/Ganzirri, l’area di Villaggio UNRRA/Contesse è quella con la cantierizzazione del ponte sullo Stretto più invasiva. Gli abitanti di quei quartieri ne hanno avuto già un triste assaggio a causa dell’utilizzo di un’area prossima alla linea ferrata come sito di stoccaggio dei materiali di scavo provenienti dai cantieri del raddoppio ferroviario Giampilieri-Fiumefreddo, che prevede un percorso prevalentemente in galleria.

Con le terre è arrivato l’arsenico e il sequestro dell’area, successivamente le rassicurazioni e l’invasione dei camion. Ma è solo, appunto, l’anticipo di quanto quella porzione di territorio subirebbe se, malauguratamente, dovessero avere inizio i cantieri del ponte.

Tutto questo sotto lo sguardo compiacente dell’amministrazione e del Consiglio Comunale. Qualche timida protesta all’inizio, certo, ma poi basta. Il Sindaco, la Giunta e il Consiglio Comunale (salvo alcune voci critiche) si stanno assumendo la gravissima responsabilità di cedere il nostro territorio agli innumerevoli cantieri del ponte in cambio di pochi spiccioli per le opere compensative.

In cambio del misero 2% dell’investimento complessivo in opere a loro volta spesso impattanti, viene accettata l’invasione della città (così l’ha definita fino ad un certo punto il Sindaco), la deturpazione irreversibile del panorama dello Stretto, il blocco della circolazione urbana, polveri e rumori senza sosta, la sottrazione di acqua in un territorio in piena crisi idrica.

Si disegna un quadro di invivibilità che perdurerebbe per decenni rendendo la nostra città un luogo da cui scappare, più di quanto non si faccia già adesso a causa di elite politiche locali incapaci e predatrici.

Amministratori e consiglieri risponderanno, per la loro parte, dei disastri causati da cantieri infiniti che vengono spacciati come progresso e modernità, ma che favoriscono solo grandi società di costruzione e piccole lobby locali.
Chiamiamo tutte/i a partecipare al corteo No ponte che si svolgerà giorno 12 luglio, con concentramento alle ore 18.00  in via Calispera (slargo antistante Scuola Salvo d’Acquisto), e che sfilerà per le strade di Villaggio UNRRA e Contesse.

Assemblea No ponte

BOLOGNA: PARCO DON BOSCO. BOLLETTINO E BILANCIO AL 7 MAGGIO 2025

Riceviamo e diffondiamo:

PARCO DON BOSCO: MR. SBATTI LEGALI NON FA PASSI DI LATO. BOLLETTINO E BILANCIO AL 7 MAGGIO 2025

03 aprile 2024.
Bologna, Parco Don Bosco. Mattina presto. Facce assonnate e tè caldo. Si parlotta e si scherza, tensione nell’aria, unx giovane ghirx sbadiglia su un pioppo. Arrivano le camionette, quante ce n’erano? La digos inizia già a filmare. Qualcunx ci parla, chi davvero, chi per scherzo… presto avrebbero invaso i confini del parco che proteggevamo. Le ore passano rapide scandite da grida: “Attenti! Sono entrati di là!”, “Facce schifose”, “Mi fai male!”, “Daje regaaa”. In quel prato verde le creature volevano ancora giocare a tiro alla fune, allo sparviero, all’arrampicata, a guardie e ladri. Vinsero lx ladrx mentre gridavano: “Fuori! Gli sbirri! Dal Don Bosco!”.

03 aprile 2025. La natura del Parco Don Bosco fiorisce per un’altra primavera ancora, ma un’ombra grigia si aggira tra condomini e cantieri, turbando il risveglio delle creature dopo il riposo invernale. Anche le indagini per i fatti relativi al 20 giugno sono state concluse, e la figura del Signor Sbatti Legali di cui abbiamo parlato qualche mese fa ha preso la sua forma definitiva, mostrandosi in tutta la sua arroganza: un decreto penale di condanna per il 29 gennaio, una condanna in primo grado a seguito del vergognoso pestaggio ad unx di noi da parte dei carabinieri la notte seguente al 3 aprile, due fogli di via da Bologna, tre daspo dagli eventi sportivi applicati “fuori contesto” con obbligo di firma in questura, 23 persone denunciate per le giornate di lotta del 3 aprile e del 20 giugno. Vengono contestati i reati di oltraggio, resistenza e aggressione a pubblico ufficiale, omesso preavviso di manifestazione pubblica, travisamento, rifiuto di identificarsi, lancio di oggetti, interruzione di pubblico servizio. Il tutto aggravato dal concorso con altre creature, perché non eravamo mica pochx, ma uno sciame a difesa degli alberi.

Eccoci, dunque, ancora qui. Nell’attesa che Mr. Sbatti Legali convochi tra qualche mese lx imputatx all’udienza preliminare, continuiamo a tracciare sul cemento di questa città una linea, la traccia di una storia che, seppure irregolare, tutt’oggi si scrive.
I ricordi di notti stellate tra i rami rimangono vividi, le cicatrici nei corpi e nei cuori bruciano ancora. È tempo che le creature si siedano attorno al fuoco per trarre un bilancio di quello che è stato il presidio a difesa del Parco Don Bosco.

Giocare è una cosa tremendamente seria, come la lotta; lo sapevamo allora e lo sappiamo ancora meglio adesso.

Per cosa ci battevamo il 20 Giugno? Per il parco? Certo. Per gli alberi? Ovviamente. Contro il tram? Forse. Il passaggio dal “No al progetto per le nuove scuole Besta” all’opposizione ai lavori per la tranvia non era scontato. Basti pensare a metà marzo 2024, quando la comunità del parco assistette inerme e confusa al primo taglio di alberi armato sul terrapieno di Via Serena, propedeutico al cantiere della linea rossa. Non c’è mai stata nei sei mesi del presidio permanente una riflessione condivisa sulla contestazione al progetto del tram, ma i tre mesi che hanno separato marzo e giugno sono stati sufficienti per rendersi conto che la favola di un trasporto pubblico più green non vale il taglio di un albero, né al Don Bosco né altrove. Ci pare che questo sia un aspetto positivo, che racconta di come una comunità in lotta si trasformi e maturi man mano che gli eventi procedono, e con essi cresca e prenda consapevolezza di sé e dei valori per cui battersi.

Se non ci fosse stata la resistenza del Comitato Besta, delle creature del parco, dei collettivi cittadini e di tutte quelle persone e figure leggendarie che animavano il presidio, non avremmo visto nessun passo di lato da parte del sindaco, nessuna ritirata da parte delle guardie il 3 aprile, ma solo una grossa colata di cemento sul parco. Chi oggi si trova imputatx, verrà giudicatx per azioni compiute per ragioni che hanno già vinto sul piano politico pubblico, dal momento in cui l’amministrazione ha compiuto il suo “passo di lato” bloccando un progetto di scuola ingiustificabile e insostenibile nonostante le sue stesse bugie. Invece i cantieri della tranvia proseguono, collassando la viabilità urbana e portando a un aumento di più del 50% il costo dei biglietti per il trasporto “pubblico”. Peccato che quella pista ciclabile green che avrebbe dovuto affiancare i binari di Via Aldo Moro, costata la vita ad alberi sani e adulti e qualche osso rotto ad indomite creature, non sia mai stata realizzata. Al suo posto… lo stesso marciapiede rinnovato e lo stesso terrapieno, su cui svettano oggi giovani alberi appena piantumati che impiegheranno decenni a ripristinare il ruolo ecosistemico che avevano i loro predecessori. Anche la logica ingannevole delle compensazioni si mostra nella sua ridicola limitatezza.

Il presidio al Don Bosco ha messo in seria crisi la governance cittadina. Non ha raggiunto potenzialità destituenti, ma in prospettiva ne ha avute: il moltiplicarsi dei comitati cittadini, la solidarietà proveniente da tutta Italia, gli strani e inattesi legami di complicità che si stringevano al parco. Tutto ciò ha aperto lo spiraglio di una contestazione non solo al progetto delle Nuove Scuole Besta, ma alle modalità della trasformazione urbanistica tout court. Ma anche oltre il piano locale, gli esempi di lotte territoriali sono innumerevoli e costellano tutto lo spazio nazionale. Dalla Val Susa allo Stretto di Messina, da Gallarate a Vicenza, che sia per la difesa del verde urbano o contro opere infrastrutturali e strategiche, dovunque si odono i sussurri o le grida di chi pretende e pratica modi diversi di abitare i territori. Sta a noi mettere in relazione queste esperienze e queste voci per inceppare il meccanismo di questa macchina in avaria.

La violenza subita al parco e la repressione che ne è seguita vanno comprese alla luce di questi ultimi aspetti, ma storicamente non rappresentano una novità o una variabile. Il tentativo è stato quello di disinnescare “l’effetto Besta”, scongiurare nuove “commistioni pericolose” e spezzare i legami di solidarietà attraverso il solito braccio forzuto di uno Stato sempre più armato, levatosi a difesa e con la complicità di un’inquietante amministrazione di sinistra, il cui consenso è sempre più fragile. Una debolezza di senso svelata nelle scioccanti scene in cui le forze dell’ordine si aggrappano alle gambe nude di persone arrampicate sugli alberi. Ecco la stupidità ingiustificabile di chi è cieco e sordo, in contrapposizione agli sguardi spaventati e i sussurri di incoraggiamento provenienti dallx bambinx delle scuole Besta, che ci guardavano incredulx attraverso il cortile.

A riprova di quanto fosse pericolosa la commistione che si era creata al parco (citazione letterale del preoccupato Questore), la mano della legge ha estratto dalle varie aree che formavano l’eterogenea composizione del presidio: tra le persone denunciate troviamo studentx delle superiori, dei vari collettivi politici, quasi tuttx giovanissimx e non riconducibili al volto pubblico del comitato. Un paio di persone per area sono state isolate, e poi colpite. Nonostante queste tattiche divisive, stiamo assistendo all’effetto opposto all’isolamento: la solidarietà come arma trasversale, orizzontale e universale.

Siamo consapevoli che i mesi trascorsi dalla fine del presidio abbiano lasciato in moltx un vuoto difficile da colmare. Ma crediamo anche che tante delle energie che avevano trovato nel parco un luogo in cui confluire scorrano ancora per le vie di Bologna: le occupazioni studentesche, le rivolte per Ramy, le manifestazioni contro il genocidio palestinese e tutte le guerre colonialiste, i movimenti contro la precarietà abitativa e salariale, le piazze contro la violenza di genere e il patriarcato o le politiche securitarie, sono i segni di un quadro che si stravolge. Forse quel vuoto non chiede di essere riempito con le risposte corrette, ma con le giuste domande.

L’esito del processo giudiziario dipenderà anche da quella variegata comunità e dalla sua capacità di ribaltare nuovamente i rapporti di forza e restare unita. Una lunga attesa ci si para davanti: anni di una lentezza giudiziaria inconciliabile con l’incalzare frenetico del sistema capitalista. Di questo ritmo rallentato vogliamo fare tesoro, calandoci nei ricordi e passandoli alla memoria collettiva, affinché possano ispirare futuri orizzonti di lotta.

Creature contro la repressione
7 maggio 2025

DENY, DEFEND, DON BOSCO!

Puoi continuare a sostenerci nelle spese legali con un bonifico da inviare a:

IBAN: IT75 G050 1802 4000 0002 0000 431
Intestatario: Rete Ecologista Solidale Emilia Romagna
Causale: “Sostegno spese legali vertenza ecologista
parco Don Bosco”


Pdf per stampa e diffusione:
Parco Don Bosco_bollettino_7_maggio

BOLOGNA: RADICI PROFONDE CONTRO LA REPRESSIONE

Diffondiamo:

Il sole splende ancora sul parco Don Bosco nel quartiere San Donato a Bologna. Dopo mesi di resistenza, manifestazioni e presidio quotidiano, abbiamo evitato che il parco fosse distrutto dalle ruspe e dalle motoseghe del Comune di Bologna. Ma alla nostra vittoria è seguita la repressione giudiziaria: circa una ventina di noi, per la maggior parte giovani, deve ora fare i conti con delle denunce pesanti. Aiutaci a sostenere le spese legali perché nessun* sia lasciato sol*!

https://www.produzionidalbasso.com/project/radici-profonde-contro-la-repressione-dona-per-sostenere-chi-ha-salvato-il-parco-don-bosco/

QUEST’ULTIMA GOCCIA NON FA TRABOCCARE IL VASO. RIFLESSIONI SULLA SICCITÀ A MESSINA E IN SICILIA, TRA SVENDITA DELLE INFRASTRUTTURE IDRICHE E “GRANDI OPERE”

Riceviamo e diffondiamo

Quest’ultima goccia non fa traboccare il vaso di acqua ma, per l’ennesima volta, rende piena d’incertezze e lascia a sé stessa una cittadinanza sempre più delusa.
Non vi sono zone della città che non siano in qualche modo colpite dalla mancanza di erogazione idrica nelle abitazioni. Intere palazzine a secco da giorni, alcune superano la settimana. Segnalazioni arrivano da ogni angolo, da Punta Faro sino a Larderia, ove si possono constatare variegate situazioni di disagio. Probabilmente la suddivisione in aree di gestione dell’emergenza voleva suggerire una localizzazione del problema, facendo trapelare il totale essere sotto controllo della mancanza d’acqua. Ma la realtà suggerisce un quadro molto più ampio e fosco. Il piano d’emergenza emesso dall’AMAM fa “acqua” da tutte le parti, triste metafora in questo momento. In fin dei conti sembra solo aver riempito le strade di autobotti che invadono la città, affannandosi, nel travasare qualche metro cubo di acqua nei vari serbatoi dei condomini in giro per l’area urbana di Messina. Ad essere messa in discussione non è qui la buona volontà di operatori ed operatrici che cercano di districarsi, anche loro come vittime, in questa massa piena di disagio e sentimento di abbandono; piuttosto, la riflessione dovrebbe superare la mera ricerca delle inefficienze quotidiane nella c.d. gestione della crisi e non incagliarsi nei tecnicismi infrastrutturali di condutture, inclinazioni e vari livelli di pressione.

Se la frammentazione in aree della città afflitte dalla crisi idrica può dare un’idea di localizzazione del problema, seguendo le segnalazioni dei cittadini e delle cittadine ci rende presto conto che la mappa dell’emergenza attraversa, se non tutto, un’ingente parte dell’urbanizzato messinese. La gente ha potuto fare affidamento su qualche autobotte o sul proprio ingegno e possibilità organizzativa (in termini soprattutto economici). Ed in questo quadro di essiccamento colposo le beffe non sono affatto poche:

In primo luogo, la privatizzazione dell’infrastruttura idrica, ossia laddove non è possibile impossessarsi dell’acqua, si sono svenduti i rubinetti. Qui subentra ATI, ossia Assemblea Territoriale Idrica, ente pubblico cui compito è la gestione delle varie infrastrutture idriche territoriali, subentrata ad EAS (Ente Acquedotti Siciliani) commissariato da ormai parecchio tempo. Per quanto riguarda la conduttura del messinese, ATI sembrava intenzionata, in un primo momento, a determinare una gestione a carattere totalmente pubblico. Nel giro però di pochi mesi da questo tipo di delibere (nn. 10,16,28 del 22), cambia tutto, e dall’ente si decide di cercare invece un partner privato che co-gestirà l’infrastruttura idrica detenendone il 49% della proprietà. Nel frattempo, alcuni “commissari ad acta” della Regione Sicilia determinano il compimento dell’iter burocratico per dare vita alla Messinacque S.p.a., società cui destino, aiutato dalle continue proroghe di ATI sul bando di ricerca del partner privato per la gestione dell’apparato idrico messinese, sembra voler riservare quel 49 % menzionato sopra. L’ultima proroga portava la scadenza al 10 luglio 2024, data oltre la quale non sembrerebbe esserci stata alcun’altra proroga per il bando; si può presupporre che Messinacque S.p.a. si sia adesso presentata ad accaparrarsi la “conduttura promessa”.

Le conseguenze di questo passaggio di questa grande fetta di proprietà dell’infrastruttura idrica avranno ripercussioni già immaginabili, prima fra tutte il levitare del costo dell’acqua stessa; beffa oltre il danno in tempi di crisi totale ed assenza di acqua corrente. -Ci chiediamo quale ruolo abbiano Comune ed AMAM in questo furto bello e buono. Ci chiediamo se il ricorso al TAR dei Comuni, rigettato recentemente, sia bastevole nel garantire a noi tutti e tutte un dignitoso accesso a questo bene primario.

Già solo questo basterebbe a farci accapponare la pelle, ma le controversie non finiscono qui; prime fra tutte l’incombere della cantierizzazione della città tutta per far spazio al mostro ponte.

Che con la stessa prepotenza di chi ce lo impone farà breccia nelle nostre esistenze, determinando uno scossone senza precedenti nelle nostre quotidianità. La domanda sorge spontanea: “ma forse sarà che l’acqua la vogliono portare con il ponte?!” Mentre Webuild, (la stessa azienda incaricata di costruire il ponte sullo Stretto) tiene sotto scacco l’intera area dei villaggi della zona sud fino a Fiumefreddo, Messina resta a secco. Allo stesso tempo, interi pozzi d’acqua sembrerebbero essere dati in totale monopolio ai cantieri. Le loro talpe, scavatrici di tunnel della devastazione, l’acqua per funzionare la trovano sempre; quella per impastare il cemento, sigillo sulla natura, la trovano sempre. Il loro impianto di betonaggio, a Savoca, è sempre in funzione. Assumendo furbamente le sembianze di progresso, il raddoppiamento ferroviario che interessa il messinese ha assunto tutte le caratteristiche che si prospettano per i futuri cantieri del ponte, mentre i mezzi pesanti transitano ormai da mesi nelle aree abitate di Roccalumera, Nizza, Savoca, Sant’Alessio, rendendole invivibili per gli abitanti stessi.

La prepotenza dei portatori d’interesse che, in barba ai dubbi sollevati dalle varie giunte comunali, sembrano procedere a spron battuto, senza troppo badare alle preoccupazioni di chi quei luoghi li abita.

Reputiamo non più sopportabile accettare questa svendita a trecentosessanta gradi delle nostre esistenze. Siamo continuamente sotto il ricatto di chi questi luoghi li vede solo come cave di denaro, continuamente sottoposti e sottoposte ad uno stato emergenziale che riduce sempre più le nostre esistenze ad una mera gestione tecnico-amministrativa. La Provincia assiste già alle prime frane; a sempre più persone manca l’acqua in casa; ancora e sempre più su tutti noi pende la spada di Damocle della cementificazione totale, della svendita delle nostre vite tutte ai signori del cemento e della digitalizzazione. Diventerà il loro hub logistico, per le loro merci, per i loro capitali, ma la Vita, in questi luoghi, sembra essere sempre meno benvenuta.

Riappropriamoci della nostra storia, del nostro territorio, delle nostre vite.
Creiamo insieme gli spazi che sogniamo.

PDF VOLANTINO: Quest’ultima_goccia_non_fa_traboccare_il_vaso

BOLOGNA: SUL PARCO DON BOSCO SPLENDE ANCORA IL SOLE, MA LA REPRESSIONE PIOVE SU CHI LO HA DIFESO [23 SETTEMBRE PRESIDIO AL TRIBUNALE]

Riceviamo e diffondiamo:

Bologna, Parco Don Bosco, 4 Aprile, Ore 02:21.
10 agenti dell’Arma dei carabinieri sono in agguato attorno al presidio. si preparano a tentare l’arresto di 4 soggettività del Parco, ancora al lavoro per fortificare le barricate difensive, quelle stesse barricate sulle quali neanche 24 ore prima si è combattuto il primo tentativo di sgombero della straordinaria esperienza di autogestione collettiva al Don Bosco. Sono tutti e 10 armati, tra taser e manganelli, guanti e spray urticanti. sono acquattati lungo il lato del cantiere di via Fani, come per un assalto a sorpresa, nascosti e probabilmente in cerca di una forma di vendetta. Quello che succede dopo lo sappiamo già.
Avevano un feroce bisogno di attaccare e criminalizzare quello che stava succedendo a Bologna dopo i fatti del giorno prima, della mattina del 3. In quell’occasione la forza dei comitati cittadini, dei collettivi e delle singole anime che insieme avevano portato avanti la lotta per il Don Bosco, dove avevano imparato a conoscersi e a potenziarsi l’un l’altra, aveva umiliato le armate poliziesche: resistendo a ore di cariche, arrivando a scacciare la celere con corpi e desideri, a furor di popolo.  Si era finalmente risposto alla violenza delle istituzioni.
E così, quando il movimento vince, quando dal basso ci si inizia a imporre con decisione sui  territori, sugli spazi in cui viviamo, sulla ricchezza che ci dovrebbe appartenere, la controparte e il suo braccio armato aumentano il livello della repressione.
Come possiamo continuare a manifestare al giorno d’oggi se ogni corteo studentesco, picchetto antisfratto o occupazione viene represso nella violenza dei manganelli prima, e  in quella della famigerata legge italiana dopo?

Proprio in questi giorni (inizio Settembre) vediamo svolgersi la seconda parte delle violenze di cui abbiamo parlato. Vengono aperti una dozzina di procedimenti contro altrettante soggettività, definendo “condotta violenta” l’azione di resistenza. Qual è realmente la condotta violenta?
Difendere un parco con i propri corpi, o invaderlo picchiando alla cieca con l’antisommossa?
Recuperare pezzi di legno per strada, o pestare unx singolx con taser e spray?
Per non parlare di tutte quelle occupazioni abitative con famiglie sgomberate, delle botte ai picchetti dei lavoratori in sciopero (ultimo esempio ne è Mondoconvenienza), di tutti quei cortei studenteschi caricati, da Pisa a Torino a Roma e in tantissime altre città. Neanche un mese dopo gli eventi di aprile, il 3 maggio a Genova alcunx compagnx vengono circondati durante una serata benefit e attaccati brutalmente da decine e decine di sbirri, accompagnati anche da alcuni militari, con l’uso massiccio di taser.
Dove sta il torto?Basta avere una divisa addosso, e tutto diventa legittimo?

Il 3 aprile c’eravamo tuttx a riempire quei cordoni. Ed è stato proprio il fatto che volevamo difendere a tutti i costi il parco ed il presidio, il fatto che i nostri corpi si sono opposti all’unisono, che ci ha permesso di avere quella vittoria. Soprattutto, ci ha permesso di dimostrare che saremmo stati disposti a proseguire ad oltranza nei mesi successivi. Determinazione che ha agito da deterrenza per la controparte fino alla capitolazione definitiva del progetto.

Ci saremo tuttx, per i nostri territori, con i nostri corpi, contro la loro brutale repressione, anche il 23 settembre, alle 14, davanti al Tribunale in via d’Azeglio 56, in occasione del processo in direttissima a una soggettività del parco per i fatti della notte tra il 3 e il 4 aprile, per una giornata di solidarietà che finirà attraversando le strade della città e ribadendo ciò che ci ha portato fin qui.

Tuttə liberə, liberə subito!⁩

IL SOLO PONTE È LA SOLIDARIETÀ TRA INSORT*

Diffondiamo da Stretto LibertAria

“A te, uccel di bosco,
bellissima natura in un mondo di calcoli e cemento.
È per te, per la tua umanità e per quelli come me, cuori ardenti.
Dovunque tu sia.
Libero.”

Per il secondo anno si è svolto il corteo contro il ponte sullo Stretto nel centro della città di Messina, in pieno agosto.

Le ultime novità riguardo il progetto del ponte sono la sua lottizzazione, per cui non è più necessario che esso sia definitivo per la messa in cantiere dell’opera; ed ancora, una serie di provvedimenti giuridici che comportano l‘aumento delle pene per chi protesta contro le grandi opere da un lato e la tutela delle forze dell’ordine dall’ altro, garantendo loro il pagamento statale delle spese processuali in caso venissero inquisiti per abusi.

Le liste degli espropri restano in aria, come un “cemento mori”; liste di proscrizione; chiamate al loro fronte del progresso già come vittime. Il ticchettio di un conto alla rovescia opprimente, il loro piano, quello dell’invasione della proprietà privata tende sempre più a stralciare il dissenso in mere gestioni economiche. Per loro, tutto si basa su un’analisi costi-benefici, tutto ha un prezzo, tutto é acquisibile con la giusta somma o pressione. Ci hanno collocati nel loro scenario come caduti e cadute della loro battaglia contro l’arretratezza e ci garrotano al collo un cartello con scritto “Vendesi”, sbarrato da una crudele barra rossa. La vigile attesa sul porticato del ‘pater familias’, che sia per firmare un contratto di (s)vendita o per opporre quella ‘resilienza’ permessa dalle norme, è tutta esaltata. Il tessuto sociale non conta, ad interlocuire è solo il privato con un altro privato. Un colosso (Webuild) contro tante piccole tribù. Il luogo sacro? Un cassetto digitale con un numero catastale; siete state selezionate? Bene, allora pronte al rendez-vous con il peggior offerente. La vita ha già un costo, non ci sono trattative e, tra le altre cose, sembrerebbe già essere acquistata.

L’UNICO PONTE È QUELLO TRA INSORT*
Una settimana precede il corteo, un caldo sempre più asfissiante, lo Scirocco ci graffia la pelle con il suo desertico contenuto. Il mondo procede a passi da maratoneta, ogni istante tutto sembra cambiare, di volta appesantendosi di volta nebulizzandosi nelle solite vecchie promesse. Quest’aria color ocra porta in se già un’elettricità. Lo Stretto, frontiera, panorama di mille speculazioni, diventa adesso un canale di incontro, un’infrastruttura di insubordinazione. Migliaia di persone, emigranti in ferie e vacanzieri in cerca d’ avventura, sfilano e condividono i propri umori, sudano insieme per le vie della città, che altrimenti sarebbe vuota. Gridano la contrarietà nei confronti di un’opera che in tutto il suo fantasmatico bagliore intende celebrare l‘utopia del capitale.

Ci si reincontra tra amici e conoscenti dopo un anno di lavoro, si ride, si chiacchiera e ogni tanto si grida qualche slogan. Mi ricorda la festa del santo del paese alla quale partecipavano ogni anno con la famiglia, mia madre che saluta tutti, un clima di festa e di comunità ritrovata..peccato durasse quella settimana all’anno e basta. Oggi dura un giorno, ma dura anche da tutto un anno fatto di incontri, scontri, complicità e complessità; anche noi vogliamo ritrovare la festa e chissà, forse farla a qualcuno.

Il gioco contro lo spettacolo delle opinioni che si fanno liturgia.
Alcune compagne, alcuni compagni cospirano insieme; certamente alcune vedute assumono tinte differenti, mischiate insieme si trasformano in un profondo nero, quello delle “notti belliss(im)e” che, con piccoli orrori ortografici, dimenticanze, diventa un grido su uno striscione nero pollock. Tenuto alto sui volti delle complici, sfilerà poi nelle strade di Messina. L’incontro di diversi respiri si trasforma presto in un urlo che giunge, sotto forma di richiamo, fiumi di parole, per chi da diverse latitudini sente un accorato disprezzo per l’opera usurpatrice, scure statale ed intrallazzo globale.  Lo sentiamo, ci serve spazio; la piazza, le spiagge, le tende, il focolare che ci ha riunite in cerchio di sonno/veglia in attesa del giorno seguente.

Sarà forse che gli sgherri hanno sempre le orecchie troppo lunghe, ma la piazza, il pomeriggio del 10 agosto, pullula di sbirri. Camionette ed impostori voyeuristi di Stato si aggirano con quel ghigno intorno al corteo, intorno a tutte noi.

In questo equilibrio tra gioia della condivisione e necessità di rendere un minimo pratica una critica che muore non appena si riduce a opinione, nell’intento di creare uno spazio di fuga dal grande occhio dello Stato che si manifesta in centinaia di telecamere, in una dinamica che non ha dimenticato di mettere al primo posto il gioco e la presa bene, ci siamo ritrovati dentro un quadrato di striscioni, dentro il quale c’erano le nostre risate, cori e parole che, nell’estate torrida delle rivolte nelle carceri e delle morti in mare, manifestavano vicinanza a chi lotta dentro ogni luogo di reclusione e qualche pistola ad acqua per allontanare gli sguardi indiscreti; il quadrato ha lasciato alcune scritte per le strade e sui muri della città, ne avremmo volute di più, ma i controllori dell’ordine si sono concentrati tutti su questa testuggine di striscioni che sfilava per le strade, sconcertati da qualcosa di mai visto da queste parti.

Il contenuto non è certo fatto da una muta ostilità, nè di certo ci imbrogliamo che qualche sputo e un pò d’acqua sia una bastevole misura contro questi imbufaliti esecutori della repressione statale, risultava però fondamentale in qualche modo rendere evidente,coi nostri corpi, la critica alle nuove norme in materia di repressione del dissenso. Quegli impiegati che stanno lì a rosicchiare straordinari non sono nostri amici, sono coloro che permettono che quei decreti liberticidi e criminalizzanti si concretizzino. Inoltre, in un momento in cui la presenza di cantieri e altri obiettivi materiali ancora non c’è, cominciare a esplicitare a noi stessi e al resto del corteo la necessità di un modo di stare in piazza che si farà sempre più necessario con la messa in opera del progetto ci è sembrato doveroso e abbiamo constatato con gioia che questo, nella maggior parte delle persone al corteo, non ha prodotto inimicizia o diffidenza ma curiosità e solidarietà. Seppure l’attenzione era comunemente indirizzata a quelle telecamerine degli inquisitori, sappiamo bene che sono solo l’ultimo anello di questa squallida catena, di questo tremendo giogo. Essere ed esserci ha portato con se una deflagrazione di gioia, forme di complicità erranti, erotiche ed eretiche nell’incontrarsi; ci difendevamo a vicenda, cacciando sbirri, facendo festa. La gioia feroce contro questo ennesimo monumento alla rapina di Stato ha lasciato segni al nostro passaggio e ha saputo ispirarci anche gioco, serenate rivolte a sodali al balcone; corse collettive, fuorvianti per chi credeva di starci addosso e divertenti per noi.

La noia, infatti, ora strumento di potere si è insinuata sotto forma di riformisti mai disposti alla messa in discussione radicale delle logiche dominanti. Ad essere in gioco è l’avvento di nuove forme di produzione, ‘sostenibili’ per spalle resilienti, promuovono solo nuove forme di oppressione, di interdizione del sentire. Nuove le forme di produzione, sempre uguali restano le sacchette che si ingrossano; sempre gli stessi i corpi espropiati. Se il loro è il regno della tristezza, del funebre, allora non c’è da fidarsi di nessuna innovazione proposta da questi succhia sangue. Non sono altro che rinnovati sistemi di afflizione affilati su corpi sempre meno corpi e sempre più ombre. Non si tratta più di poter prendere un qualunque tipo di ruolo attivo nelle scelte del “proprio territorio”, se mai fosse stata questa la questione. Distruggere questo ‘processo decisionale’, incepparlo, non prendervi parte con una qualche vana speranza che possederlo significhi veramente inibire tutto il suo potenziale fagocitante. Disertare e sabotare ogni tentativo di appropriazione delle nostre vite tutte, in un mondo dove cemento e repressione avanzano a spron battuto, diventa così l’unico vero sorridere all’esistenza.

“La gioia è mortale all’interno dello spettacolo del capitale. Tutto, qui, è tetro e funebre, tutto è serio e composto, tutto è razionale e programmato, proprio perché tutto è falso e illusorio.”

Il corteo é passato, i giorni si scandiscono tra albeggiare e tramonti. I rubinetti si sono trasformati in contagoccie da ste parti, il vaso è traboccato e l’ultima goccia è già scesa parecchi giorni fa. Le strade sono deserte, desertificate; occupate solo da mezzi di emergenza. Ora auto-botti, ora pompieri, ora esercito, ora protezione civile etc. etc. etc.. Le abitazioni sono coltivazioni di bidoni per stoccare acqua, anche i c.d. “giorni di erogazione” non garantiscono affatto il flusso da tutte noi tanto anelato. La vita é qui scandita dall’emergenza, un perenne stato d’emergenza, continua gestione tecnica ed amministrativa delle esistenze. L’estate é ancora molto calda e si prevedono ondate di calore consistenti e poco timide nello spingersi in quei mesi di solito avversi alle alte temperature. Un’estate ancora ricca di appuntamenti e momenti di condivisione; altri, chissà, ancora da sognare insieme. L’aria asfissiante non fermarà questo co-respiro. Come gatte, “insuscettibili di ravvedimento”, torneremo a mordere la mano di tutti questi ladroni e lacchè dal facile giudizio.

Ascoltiamoci, esploriamoci, organizziamoci.

“Le Bastiglie le abbattono i popoli: i governi le costruiscono e le conservano.”

IL VOSTRO PROGRESSO, LA NOSTRA COLONIZZAZIONE. NOTE DA SUD, TRA SCILLA E CARIDDI

Da Stretto LibertariA, diffondiamo questo testo in vista del corteo No Ponte del 10 agosto a Messina.

Il mese scorso, le commissioni Giustizia e Affari costituzionali della Camera hanno approvato un emendamento al pacchetto sicurezza che intende inasprire le pene per chi protesta contro le grandi opere infrastrutturali, come il ponte sullo Stretto o la TAV (tra le tante in corso di realizzazione o di progettazione).

L’emendamento, proposto da un deputato leghista e sottoscritto anche dagli altri partiti di maggioranza, intende colpire chi protesta in modo “minaccioso o violento” contro la costruzione di una grande opera pubblica o di un’infrastruttura strategica, rischiando oltre 25 anni di carcere. Si introduce poi una nuova aggravante del reato di resistenza a pubblico ufficiale: le pene aumentano “se la violenza o la minaccia è commessa nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero con armi; o da persona travisata; o da più persone riunite; o con scritto anonimo o in modo simbolico”.

Come se non bastasse, lo Stato potrà anticipare le spese legali agli “ufficiali o agenti di pubblica sicurezza indagati o imputati per fatti inerenti al servizio”, dunque accusati di violenza nei confronti dei manifestanti; addirittura raddoppiano il budget che passa da 5000 a 10000 euro per ciascuna fase del procedimento processuale. In totale, per la difesa degli sbirri violenti vengono stanziati 860mila euro l’anno, a partire dal 2024.

In una spirale di forsennato giustizialismo e legalismo nel nome del “progresso”, la scure della repressione si abbatte sulle individualità in lotta per sottrarre alle sporche mani di Stato e capitale tutti quei territori, come anche quello ‘libidico’, presi costantemente di mira da interessi di speculazione e mero guadagno economico.

Mentre la Sicilia è in piena emergenza idrica e interi quartieri della città di Messina si ritrovano senza più acqua nelle case – è notizia recente che in questo contesto, come sempre avviene nei momenti emergenziali, la rete idrica di Messina e provincia è stata privatizzata – continuano spietati i piani di dominio e distruzione del vivente, che intendono sacrificare corpi, comunità e territori sull’altare del progresso. Così in nome di questo presunto sviluppo si giustificano enormi appropriazioni indebite delle nostre esistenze tutte: il loro progresso è solo un ricatto, la loro visione di “migliore”, intrisa di un ‘do ut des’ spietato ed unicamente a nostre spese, non propina mai sviluppo se non in cambio del nostro esistere, dell’essere al mondo. Così che il fetido avanzare delle frontiere del capitale necessita dell’innervatura linfatica affinché questo corpo, formato da diversi organi, possa crescere e crescere, senza mai badare alla distruzione del suo passare.

Di certo non si considera la costruzione delle infrastrutture del capitale mai priva di compromessi e devastazione, ma i contorni si fanno ancora più cupi quando un mega progetto infrastrutturale, come quello del ponte sullo Stretto, finisce con il diventare il ‘pivot’ di ogni altro progetto, assorbendo in sé ogni piano pregresso e futuro circa quel determinato territorio. In poche parole, un ricatto bello e buono. Così che mentre si aspetta l’ufficiale iniziare di trivellazioni, espropri e furti vari, insomma della cantierizzazione totale, i detrattori del nostro presente e futuro hanno gia portato qui tutte le loro macchine di morte, che si infiltrano nel nostro humus vitale come talpe.

Ci chiediamo allora quale progresso possa essere quello che ha trasformato la Sicilia in una terra di petrolichimici, basi e poligoni militari, raffinerie, galere ed emigrazione forzata. Un “progresso” che vende posti di lavoro in cambio di veleni e malattie, radiazioni elettromagnetiche e militari per le strade. Supposti sviluppi arrivati in Sicilia promettendo futuri radianti e dignità a colpi di lavoro: lo abbiamo già visto, ad esempio, con il polo petrolchimico nel siracusano, una zona ormai compromessa da esalazioni e corrosione degli spazi. Case vennero abattute per fare largo a questi mostri, lavoro venne promesso; ed infine, crescita economica a dismisura per tutti e tutte. Quello che si è ottenuto è povertà, monopolio dell’indotto lavorativo della zona, malattia ed aria cancerogena. Dov’è finito il futuro radioso? Quale riscontro con la realtà avevano le promesse vuote di signori della politica e del business? Quelle torri che esalano fumo nero simboleggiano, tronfie e prepotenti, l’inganno del progresso e della delega che ha trasformato in mera gestione amministrativa lo stesso processo vitale. Rappresentano le grinfie del luminoso oblio entro la quale ci vorrebbero costringere. Rappresentano anche quello stesso inganno che si sta profilando per le persone dello Stretto.

Il progetto del ponte sullo Stretto, nella retorica dei detrattori della vita, sarebbe funzionale ad accelerare i processi di turistificazione, fonte a loro volta di lavoro precario e sottopagato per chi in questi territori ci vive e non viene in vacanza. La solita storiella che eguaglia turismo e ricchezza diffusa per gli abitanti di un luogo non è altro che l’ennesima menzogna malcelante un futuro (immediato) di estrazione forzata e devastazione diffusa, in cambio di sole briciole (come se poi un qualunque supposto guadagno potesse essere bastevole per la posta in gioco).
Se dunque da una parte la Sicilia viene venduta come una vetrina per turisti, una sorta di paradiso terrestre dove trascorrere le ferie, andare al mare e degustare il buon cibo locale; dall’altra parte si concretizza come una tra le frontiere che continua a uccidere quotidianamente, trasformando il Mediterraneo in un cimitero per chi non ha avuto il privilegio dei “requisiti” giusti per attraversarlo. Ricco, bianco e occidentale?! Allora benvenuto; se sei povero, migrante e non bianco, invece, la deportazione verso il CPR o carcere più vicino diventa come un percorso naturale, una sorte quasi scontata.

Strumenti, quelli detentivi, di messa a profitto di quei corpi “altri” da cui immunizzarsi! Solo su quest’isola ci sono ventitre istituiti detentivicinque hotspotsdue CPR (più il CPRI di Pozzallo), che rendono la Sicilia una vera e propria colonia penale. Quindici tra basi e installazioni militari USA, due (quelle ufficiali) basi NATO, tre raffinerie.
Uno scenario devastante, un territorio violato e violentato nel nome del profitto e dell’estrazione di risorse. Terre evidentemente da rendere inabitabili, da spopolare e mettere a servizio di loschi affari; come la costituzione di poligoni di tiro, dove fare il “giochetto” della guerra, stesso giochetto che garantisce morte e conquista altrove (e neanche troppo altrove); estrazione di energia rinnovabile, nuove strutture del capitale, al servizio sempre della sola produzione e, dunque, della schiavitù umana; costituzione di hub logistici, stesso piano entro cui si inscrive la costruzione del ponte sullo Stretto; e a rischio di ripetizione, il proliferare dei luoghi di detenzione, della localizzazione forzata delle persone, muri che sono argini per la gioia umana.

Ed arriviamo alla Calabria, costellata di cattedrali nel deserto e opere incompiute.

Mentre la nostra sfera del desiderio, ricca dello Stretto indispensabile, va letteralmente in fumo insieme ai nostri boschi secolari, le nostre sorgenti sono secche e le falde ormai prosciugate, le cattedrali nel deserto continuano a configurarsi come l’unica possibilità per i nostri territori, monumenti a scempio delle nostre vite sacrificate sull’altare di un presunto sviluppo di cui non sentiamo alcun bisogno, approccio coloniale dello stato italiano garantito dall’avallo colluso della classe politica regionale e locale e dal malaffare ‘ndranghetista. Opere pubbliche se completate lasciate marcire nel degrado, oppure a malapena cominciate e poi abortite, benché finanziate con grande sperpero di pubblico denaro. Uno sfacciato spreco di risorse economiche che avrebbero dovuto essere impiegate altrove. E così non smettiamo di essere terra di incessante emigrazione e di mancata accoglienza, di servizi e trasporti pubblici assenti.

Ma non siamo più negli anni in cui, in nome del progresso e dello sviluppo di questo stato nazione, che continua a trattarci come colonia da sfruttare e da cui estrarre valore fino alla nuda vita, dobbiamo continuare a barattare il pane con la morte, una Calabria terra di lavoro avvelenato come nell’ex polo chimico Montedison della Pertusola a Crotone, città edificata con i rifiuti tossici e i veleni industriali impastati nei materiali di costruzione di case e strade. Terra di promesse e pacchetti fantasma: il V Centro Siderurgico nella Piana di Gioia Tauro, la Liquichimica di Saline Jonica, impianti morti prima di essere nati, terra di espropri e scempi ambientali, di bonifiche mai effettuate, di discariche private più o meno autorizzate ma sempre supertossiche, di torrenti che straripano e interi territori che franano, di utilizzo delle ‘ndrine per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi, interrati in grotte e fiumi o nelle “navi dei veleni”, carrette del mare stipate di fusti di scorie nucleari, affondate a decine lungo le nostre coste, di dighe costate centinaia di miliardi, come la diga sul Metramo mai collegata alla rete di distribuzione né per uso potabile né per uso irriguo a servizio della Piana di Gioia Tauro,  mentre città e campagne bruciano di sete o bruciano letteralmente negli incendi annualmente programmati all’arrivo del solleone e il deserto continua ad avanzare.

Si esortano le famiglie all’uso consapevole dell’acqua per evitare gli sprechi, ma non si mette in atto alcun intervento per evitare le enormi perdite di acquedotti vecchi ridotti a colabrodo. Così si invoca a gran voce l’arrivo di piogge in piena estate, le uniche che possono salvarci dal morire disidratati. Anzi Sorical ci consiglia di utilizzare per tanti usi l’acqua già usata. Si grida alla siccità ed al pericolo della desertificazione, ma si continuano a tagliare boschi per piantare pale eoliche e costruire le strade solo per il transito dei megatir necessari ai cantieri. Sull’altare della transizione verde lo stato italiano e le grandi multinazionali dell’energia stanno facendo grossi affari e chiunque proverà ad opporsi verrà duramente perseguitato grazie all’ultimo decreto sicurezza. E così su montagne e colline ancora incontaminate e al largo delle nostre coste ioniche svetteranno gigantesche pale eoliche e  i campi agricoli si stanno riempendo di pannelli fotovoltaici. Il Marchesato crotonese, le Preserre catanzaresi e vibonesi, la Locride sono i territori in cui avanza l’aggressione incontrollata dei nuovi megaimpianti eolici: 440 impianti attivi e 157 progetti in corso.

Ma la stessa nuova sfrenata corsa alla produzione di energia green non riesce a staccarsi dalla modalità di lasciarsi dietro delle cattedrali nel deserto. Gli impianti green divorano il nostro territorio, ma troppo spesso sono impianti fantasma: pale eoliche pronte all’uso mai messe in funzione, come le mostruose torri eoliche del crotonese, a centinaia sparpagliate per chilometri ma ne girano pochissime; o interi tetti di scuole ricoperti di pannelli fotovoltaici mai collegati alla rete di distribuzione. Ad Antonimina alle porte dell’Aspromonte, la torre eolica di 150 metri nella magnifica località del monte Trepizzi non ha mai preso a funzionare. In questo assalto ammantato di green si inserisce anche il progetto del rigassificatore alle spalle del porto di Gioia Tauro e proliferano impianti proposti come assolutamente innovativi, come la criminale idea di una centrale idroelettrica di pompaggio dell’acqua del mare che la multinazionale Edison chiede di piazzare poco distante da Scilla in piena zona di protezione speciale della Costa Viola. Appalti milionari per progetti ambiziosi e di interesse nazionale, grazie alle facilitazioni procedurali garantite dal pacchetto energia del Governo Meloni, che pensa alla nostra regione come un hub energetico tutto proiettato all’esportazione dell’energia elettrica prodotta (ne esportiamo già i 2 terzi di quella che produciamo grazie anche alle 4 centrali a turbogas già in funzione). Si continuano a progettare opere prima di aver fatto gli studi adeguati; così poi si trova cobalto radioattivo scavando gallerie, come è stato per l’arteria stradale Sibari- Sila o per l’aviosuperficie di Scalea, costruita sul letto di un fiume ad elevata pericolosità e limitrofa ad una zona di protezione speciale, per di più interessata a fenomeni di erosione.

Come puoi tu, calabrese o siciliano, credere che il Ponte sullo Stretto non rientri in questa logica illogica di (non)costruzione e pura devastazione? Come puoi tu credere più alle parole di un nessuno proveniente da altrove, che ai tuoi occhi e ai disagi che vive la tua gente? E non è lampante dunque che quest’ultima trovata dello spacchettamento del progetto definitivo in fasi costruttive non produrrebbe altro che una nuova annunciata devastante incompiuta di uno sviluppo di cui non abbiamo alcun bisogno?

Sappiamo bene verso dove volgere questi sguardi, sappiamo bene chi e quali strutture ci costringono in queste catene. Sappiamo bene che firma porta la militarizzazione sfrenata ed il profitto sul sangue, sappiamo bene anche chi sono i complici, colpevoli tanto quanto gli ideatori di questi foschi intenti. Leonardo S.p.a. capolista delle fabbriche di morte, paziente zero dell’economia targata bombe e bombardamenti, droni e software di spionaggio utili alla repressione di popolazioni in rivolta. RFI, complice del monopolio armato di capitalisti e statisti firma accordi di precedenza a tutto campo della mobilità militare, immaginando sempre di più la propria infrastruttura a misura bellica. WeBuild, incaricata del riadattamento del manto autostradale per renderlo idoneo al passaggio di mezzi, anche pesanti, militari. Stretto S.p.a., della serie “duri a morire”, ripresenta il tombale volto di Ciucci a rassicurare tutte e tutti circa la cura del territorio di cui è capace una società che, sotto il nome Salini-Impregilio, si è macchiata di crimini orribili durante la realizzazione di mega infrastrutture idro-elettriche in paesi dell’Africa e del Sud-America. Medihospes, società gestrice del hotspot di Messina, vince gli appalti per la gestione dei futuri CPR italiani nei confini albanesi, a braccia aperte brama e produce profitto sull’accoglienza e la CARCERAZIONE dei migranti.

Tutti tentacoli del capitalismo che dirigono ogni loro sforzo e azione verso l’aridificazione della Terra e degli spiriti di chi la abita con la sfacciata connivenza di Stati e governi, con la spietata tutela di sbirri, eserciti e procure che sempre meno lesinano nel premere grilletti, far scoccare manganellate, saturare l’aria di gas lacrimogeni ed infliggere condanne liberticide che si configurano come vere e proprie torture.

Lo Stato italiano tortura, lo fa attraverso il braccio armato dei suoi sgherri; lo fa finanziando lager in LibiaCPR in Albania, con ogni esternalizzazione delle frontiere e la complicità di Frontex o altre cooperative intrallazzate nella c.d. “accoglienza”. La morsa repressiva non smette di stringersi, si adopera con nuovi strumenti legislativi ed esecutivi, innervando le città di occhi elettronici e dotando di sempre più strumenti offensivi gli operatori di polizia. Quanto più aumenta il potenziale di conflitto determinato dalla pressione oppresoria dello Stato, tanto più aumenta il pericolo per il loro monopolio della violenza, tanto più per noi è un segno che le gambe del Leviatano adesso tremano. Più la bestia affila gli artigli più significa che si sente sotto attacco; tanto più si avvicinano le ‘notti bellissime’ tanto più si inasprirà il conflitto interno ad opera delle istituzioni contro i vagabondi di pensieri erranti, di logiche e pensieri ‘altri’, completamente stranieri, completamente indefinibili e, dunque, liberi.

Un pensiero non può che essere allora rivolto a chiunque lotta contro le galere; a chiunque continui a bruciare quei centri di detenzione e rimpatrio; a tutte quelle persone che quotidianamente sfidano la fissità dei confini; a chiunque resista e combatta questa macchina fagocitante e distruttiva. Ad ogni compagna e compagno con lo sguardo incendiario che non permetterà mai a nessuno di occultarlo ne tantomeno di spegnerlo. Ad ogni insurrezione, personale o collettiva che sia; ad ogni diserzione, e che queste si moltiplichino infrangendosi contro il loro regno del cieco asservimento.

Col cuore in gola diciamo che a questa menzogna del progresso e dello sviluppo non ci crediamo; e che, all’ennesimo progetto coloniale, continueremo ad opporci con ogni mezzo necessario.

SABATO 10 AGOSTO CORTEO NO PONTE, MESSINA, ORE 18:30 P.ZZA CAIROLI.

BOLOGNA: SU RESISTENZA E REPRESSIONE AL PARCO DON BOSCO

Con un po’ di ritardo ma ancora attuali, riceviamo e diffondiamo queste riflessioni su resistenza e repressione al Parco Don Bosco.

Commento acido al video https://kolektiva.media/w/wYBrSUUKwcG7Fiod7rc5xa

La messa in sicurezza dei cantieri secondo le giunte di sinistra attraverso l’intervento di squadroni di speciali “sostituti tecnici” i quali strizzando le palle e tirando per le tette lavorano strenuamente quali difensori dell’ordine pubblico nonostante le fastidiose interruzioni del servizio da parte dell’inaudita violenza di pericolose frange antagoniste, la stessa “melassa” (o come viene identificata la galassia anarcoide) che pur girando disarmata ancora osa abitare / vivere / ripensare i quartieri dal basso, intromettendosi così in questioni lobbistiche, e ciò addirittura spaziando, come si faceva per le grandi opere, dalla stesura minuziosa di controperizie fino a ingiuriose minacce vandaliche. Per ovviare a questo senso di solidarietà tra generazioni non arrese ed al travalicare della precarietà dell’autogestione tanto da minare la tranquilla mafia degli appalti “metropolitanizzati”, va da sé che a chi protesta contro l’estensione di simili cantieri inutili e non voluti si dovranno accollare esarcerbanti minchiate penali che fungano da deterrente, non tanto delle sollevazioni ecologiste e lotte affini e storicamente intrecciate, ma, in primis, per continuare a disinnescare la coscienza critica dei lettori/elettori, o di quel che resterebbe della cosiddetta “massa popolare” secondo spazi e tempi di pianificazione economica che la vorrebbe silente, passiva, ..conforme. Invece, la comunità di quartiere – e non solo – che si è spontaneamente ritrovata a presidiare il Parco Don Bosco da gennaio, giorno e notte, lasciando qualche traccia più definita dei propri intenti come Comitato Besta, ha da offrire molto di più degli investitori stessi:

e proprio perché va dritta ai nostri cuori – oltre che abbracciando gli ultimi polmoni verdi rimasti – diviene l’ennesima esperienza non vendibile da abbattere senza badare a spese, onde evitare che riesca ad espandere la propria radicalità.

Non cambierà forse la percezione ormai normativizzata dunque, quella alla quale pur quando si riesca ad informarsi sul proprio contesto di vita e sulle prospettive rimaste, non rimangono appigli interpretativi ..se non il finire a recepire le vicende soltanto per il capovolgimento infame che ne fanno le pagine di giornale. Tuttavia, qualche ripresa degli accadimenti in certe situazioni di “scontro” secondo una prospettiva non mediata dagli interessi locali, la si ha da diffondere pure noi..! In questo caso, dall’estrapolato non retribuito si può osservare lo strattonamento di compagnx per tirarlx giù dagli alberi senza mezzi termini, appena arrivati gli esperti del manganello con gli operai, nonché lo sfilamento in altezza delle loro corde tramite motoseghe, il resto del tempo azionate tutti’intorno e nondimeno sotto i punti di imbragatura e appoggio dex compagnx…

[warning, disclaimer, wtf : la professionalità delle truppe da cantiere è tutta merito dell’attenta supervisione nei pestaggi di Marotta e delle promesse di un sindaco che quando ancora fingeva di volere essere conciliante con gli ultimi scorci di lotte ancora aperte già lavorava per conservare la linea del superamento a destra, la decennale politica delle ruspe in salsa bolognese. Ecco perché ci scappa della triste ironia: solo una supercazzola su simili muffe amministrative potrebbe rendere retta(l)mente la descrizione storica di cotanto impegno consiliare]. Ci si augura che certe scene possano smuovere qualcosa dentro.. eppure non dovrebbe essere così necessario documentare, tantomeno dover comprovare le distorsioni operate delle autorità nei confronti della nostra realtà quotidiana, per capire come si svolgono determinati processi urbanistici.

Ma per quanto servi e mandanti cerchino di trasformare molteplici approcci alla resistenza in “tentati delitti” pur di togliere presa all’autodeterminazione collettiva.. si può ancora scegliere da che parte stare.

#lovepeacefuckpolice (cit)

BOLOGNA: VIOLENZA POLIZIESCA IN QUESTURA

A seguito di un fermo di polizia, una giovane di Extinction Rebellion è stata tradotta in questura, e lì è stata fatta spogliare e costretta a fare dei piegamenti, completamente nuda, in un bagno fetido col pavimento ricoperto di sporcizia. Inoltre, sarebbe stato messo a verbale il suo rifiuto di farsi assistere da un avvocato durante la perquisizione, ma secondo la giovane tale domanda non le sarebbe mai stata rivolta. Gli altri attivisti, fermati dopo aver appeso su palazzo d’accursio uno striscione contro il G7, sono rimasti in stato di fermo per 7 ore senza cibo né acqua, infine sono stati rilasciati all’una di notte con denunce come “delitto tentato” o “violenza privata”.

Secondo gli sbirri “è prassi”, “una prassi che avrebbero dovuto applicare a tutti ma che, per gentilezza, sarebbe stata applicata a una sola persona”.

La conosciamo bene la loro prassi fatta di abusi, torture e umiliazioni nelle questure, nelle caserme, nelle celle delle carceri, per le strade. Quella prassi che fa morire persone a forza di botte e colpi di manganello.

Oggi come sempre
Sappiamo chi è STATO