IN SOLIDARIETÀ AD ALFREDO, CONTRO IL CARCERE E IL 41 BIS

In solidarietà ad Alfredo, con gli anarchici e le anarchiche sotto processo per l’op scripta manent, contro il carcere e il 41 bis sono state organizzate due giornate di iniziative nel Sassarese.

Sabato 25 una quarantina di compagne/i hanno aperto con lo striscione “41 bis = tortura di Stato” un volantinaggio itinerante che ha attraversato il Centro storico della città di Sassari. Si sono alternati cori e interventi durante i quali sono stati volantinati diversi contributi: il portato del processo Scripta Manent, il regime di 41 bis e il ruolo della Sardegna nel panorama penitenziario italiano. Molte delle persone incontrate si sono fermate ad ascoltare gli interventi e a dialogare con interesse.

Domenica 26 un partecipato presidio si è svolto sotto  le mura del carcere di Bancali, dove Alfredo è rinchiuso in regime di 41bis. Dalle sezioni comuni i prigionieri hanno risposto calorosamente, anche se la distanza dalla struttura rendeva talvolta di difficile comprensione le loro parole. Tuttavia chiare e forti sono arrivate le rivendicazioni di “ore d’aria, acqua e vitto”, così come è stato ben visibile un lenzuolo bruciato e ben udibili i cori contro la celere, cori continuati anche quando il presidio si era sciolto. Dopo essere state/i oltre un’ora sotto la sezione dei comuni, ci si è addentrate/i nel campo che costeggia il carcere con la speranza di farci sentire anche da Alfredo. Durante il presidio sono stati fatti numerosi interventi e sono stati letti alcuni estratti di lettere scritte da prigionieri rinchiusi in 41 bis a Bancali e una parte dell’intervista ad Alfredo rispetto all’azione contro Adinolfi. Il filo conduttore che ha legato gli interventi è stato quello della solidarietà a tutte le prigioniere e tutti i prigionieri. La necessità di opporsi al 41 bis, la più brutale espressione della privazione della libertà e di annientamento della persona, è stata inserita all’interno di un bisogno più ampio: quello di opporsi ad un sistema basato su sfruttamento, nocività e guerra.
Sulla via del ritorno dal presidio sotto il carcere di Bancali, in una ventina ci si è diretti ad Alghero per proseguire nella diffusione, in contesti cittadini, dei temi portati nel pomeriggio sotto le mura di Bancali. Abbiamo deciso di intervenire durante il concerto di Ginevra di Marco e, poco prima dell’ inizio, ci siamo messi davanti al palco con due striscioni con scritto “Nessun carcere è giusto” e “Il 41bis è tortura di Stato”. Con un megafono abbiamo scandito un intervento in cui, oltre a ribadire il ruolo del sistema carcere in questa società, si è detto chiaramente di quali azioni sono accusati i/le compagni/e anarchici/e attualmente in carcere e si è espressa ancora una volta la nostra solidarietà nei loro confronti e verso chiunque diffonda e pratichi l’azione diretta. Le numerose persone presenti hanno, sorprendentemente, risposto con applausi di sostegno. Se lo Stato vuole che cali il silenzio su chi viene seppellito vivo in quelle gabbie di cemento, quantomeno è necessario prendersi degli spazi di interruzione della normalità per dar voce a chi viene negata.

In questi due giorni compagne e compagni di diverse provenienze geografiche si sono incontrate costruendo una mobilitazione territoriale, pur non conoscendosi, ma mossi da un comune e sincero sentimento di solidarietà verso tutte le persone indagate nel processo Scripta Manent e tutte le prigioniere e i prigionieri. Auspichiamo che iniziative di questo e altro tipo si moltiplichino, convinte/i che la determinazione e la voglia di mettersi in gioco siano una linea tagliafuoco all’avanzare della vendetta di Stato contro i suoi nemici e disertori.

OPUSCOLO: DALL’ALTRA PARTE

Raccolta di lettere e scritti di donne in carcere

Riceviamo e diffondiamo questo opuscolo.

Dall’introduzione:

“Le parole che seguono vengono da quella parte. Parole che spero possano apportare alle riflessioni che tante di noi stanno facendo sul carcere femminile. Un pretesto per riflettere sui nostri orizzonti limitati e guardare dall’altra parte… Oltre. Cercando di costruire una riflessione ampia su questo mondo e le sue forme di oppressione e repressione. Inoltre la possibilità di far circolare le parole delle compagne, che lontane dai nostri schermi, restano troppo spesso inudite dalle nostre parti.
Perché le parole, come le scintille nel vento trovino ciò che
ormai secco è pronto per bruciare.”

CONTRO IL 41-BIS, CONTRO OGNI PRIGIONE

Il 27 giugno si terrà presso la corte di Cassazione l’ultima udienza del processo “Scripta Manent”. Lo scorso 5 maggio il compagno Alfredo Cospito, imputato in questo processo, è stato sottoposto al regime di 41 bis e trasferito al carcere di Bancali. Un regime di tortura e annientamento all’apice del sistema repressivo dello Stato italiano.

SABATO 27 GIUGNO ALLE 19
Iniziativa itinerante, Piazza Tola, Sassari

DOMENICA 26 GIUGNO ALLE 17
Presidio sotto al carcere di Bancali (SS)

NO AL 41 BIS, LIBERX TUTTX

Il 25 maggio, la Corte di Cassazione deciderà in merito al processo relativo all’inchiesta Scripta Manent, processo nel quale una compagna, Anna, è stata condannata a 16 anni e 6 mesi, e tre compagni, Nicola, Marco e Alfredo rispettivamente a 13 mesi, 21 mesi e 20 anni.

Fra i reati per cui sono stati condannati, oltre all’associazione sovversiva e i reati fine ad essa collegati, per alcuni di loro vi è quello di strage. Come al solito lo Stato attua la politica dell’inversione delle responsabilità, quando nella realtà è lo stesso Stato che ogni giorno commette stragi impunite nelle guerre, nelle carceri, nei mari, sul lavoro, nelle strade, in una costante pratica affermata del monopolio della violenza.

Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale, viene duramente represso. Per questo, sotto processo ci sono le pratiche rivoluzionarie che gli anarchici e le anarchiche hanno sempre sostenuto e che da sempre fanno parte del loro percorso.

Dietro a questa, come ad altre vicende giudiziarie, c’è il tentativo degli inquirenti di voler rileggere sotto la loro lente di ingrandimento la storia del mondo anarchico, dividendolo tra buoni e cattivi.

Finalità del processo è la volontà di zittire i compagni distribuendo anni di galera. A conferma di tutto ciò, dallo scorso 5 maggio ad Alfredo è stata applicata la tortura legalizzata del 41-Bis, il più pesante regime di isolamento previsto dallo Stato italiano.

Opponiamoci a queste logiche repressive, rimandiamo al mittente la responsabilità delle stragi, difendiamo le pratiche rivoluzionarie.

No al 41-Bis, liber* tutt*!

Sabato 21 maggio saremo in strada a Torino, ore 10 P.zza Borgo Dora, zona Balon.

Cassa Antirepressione Alpi Occidentali

Saluto a Santa Maria Capua Vetere

Riceviamo e diffondiamo:

Domenica scorsa, alcune decine di solidali transfemministx hanno portato un saluto alle persone recluse dentro il carcere di Santa maria capua vetere in occasione del secondo anniversario della “mattanza della settimana santa” del 6 aprile 2020. Le urla da dentro si sono alzate mentre ancora si stava raggiungendo il punto più vicino possibile alle finestre. Tante erano le persone detenute che si sono affacciate chiedendo aiuto e libertà; molte delle grida raccontavano dell’assenza di acqua e cibo immangiabile, nonché delle condizioni pessime e insostenibili della vita dentro. I tentativi di parlare con loro sono stati quasi subito impediti dalle sirene accese dalla penitenziaria per ostacolare la comunicazione e intimidire lx solidalx. Da dentro alcuni hanno iniziato a gridare di andare via per segnalarci l’arrivo delle guardie.

Le urla erano forti e determinate, il tempo a disposizione poco. Appare quantomeno necessario diffondere queste poche notizie sulle condizioni pessime e al limite della sopravvivenza. Nonostante la visibilità mediatica data a ciò che accadde due anni fa e al processo tuttora in corso a carico delle guardie per torture, pestaggi e omicidio colposo, le condizioni per chi è reclusx lì dentro continuano a essere inumane. Questo a dimostrazione che per Stato e istituzioni, ciò che non è sotto i riflettori, può tranquillamente continuare a marcire.

Che delle galere restino soltanto macerie.
LIBERTA PER TUTTE LE PERSONE RECLUSE

Niente da spartire

Di seguito diffondiamo un volantino distribuito ieri a Bologna:

NIENTE DA SPARTIRE

– Niente da spartire nè col machismo omofobo, transfobico, misogino e assassino di Putin, nè con la chiamata alle armi del buon padre di famiglia Draghi e dei suoi alleati Nato pronti a dividersi il mondo a costo di un bagno di sangue.

– Niente da spartire con le analisi geopolitiche, non è affar nostro scegliere sull’altare di quale stato e a quali interessi si può sacrificare la vita delle persone.

– Niente da spartire con i mercanti e produttori di armi, prestigioso comparto dell’export Made in Italy che fanno soldi a palate e non hanno cessato i loro sporchi traffici neanche un giorno in piena pandemia, attività essenziali, dicevano, mentre milioni di persone vivevano confinate nelle loro case senza deroghe a costo di sofferenze mentali e fisiche.

– Niente da spartire con l’economia della guerra su cui il capitalismo strutturalmente si regge.

– Niente da spartire con lo spettacolo della guerra. I media sciacalli vanno in cerca instancabilmente di immagini e storie tragiche da dare in pasto all’opinione pubblica al servizio della propaganda guerrafondaia dell’Occidente.

– Niente da spartire con il pietismo sulle badanti ucraine che fino a quando non sono diventate funzionali alla narrazione dei governati di casa nostra erano invisibili, democraticamente sfruttate e ricattatte col cappio al collo dei permessi di soggiorno.

– Niente da spartire con il razzismo dell’accoglienza per cui sulla linea del colore si decide chi far passare e chi far inseguire coi cani alle frontiere e far morire in mare.

– Niente da spartire con i signori del nucleare e della guerra (che sono gli stessi, fatalmente) quelli che di mestiere producono devastazione ambientale e morte.
Sono il problema e non la soluzione.

– Niente da spartire con chi ha fatto dei nostri territori una polveriera disseminando basi Nato massicciamente nel sud dell’italia e nelle isole,e reprimendo duramente chi vi si oppone. In queste periferie dell’impero, a Taranto, in Sardegna e in Sicilia le acciaierie e l’industria pesante avvelena e fa ammalare ad ogni respiro e uno dei motivi per cui non si può dismettere è la natura “strategica” della produzione per l’autarchia dell’industria bellica.

Sappiamo di vivere in un mondo che si regge sulle stragi in mare, al lavoro, nelle carceri, nelle case, nei campi di concentramento ai confini dell’Occidente in cui milioni di persone vengono usate come strumenti di pressione e merce di scambio, una guerra a bassa intensità in cui, come per la pandemia, il problema dei governanti è stabilire quante morti e quanta sofferenza è “tollerabile” dalla società civile come danno collaterale procurando di spostare il limite sempre un po’ più in là.
Sappiamo altresì che la rimozione collettiva di questa ferocia serve allo Stato per conservare saldamente il primato della violenza.

Guerra alla vostra guerra e Guerra alla vostra pace

Niente da spartire – pdf

PER UN MONDO SENZA PSICHIATRIA, SENZA CARCERE E SENZA FRONTIERE

A luglio del 2021 è stata aperta una sezione ‘nido’ al femminile della Dozza proprio accanto alla sezione psichiatrica – la cosi detta ‘sezione articolazione salute mentale’, l’unica femminile in Emilia Romagna.

Il carcere che annienta gli adulti si è organizzato per l’infanzia: un nido dietro le sbarre accanto al repartino psichiatrico, due dispositivi che insieme esprimono tutta la ferocia del sistema carcerario.

Sabato 22 gennaio dalle 18:00 alle 18:30 su Mezz’ora d’aria, trasmissione radio anticarceraria bolognese sulle frequenze di Radio Città Fujiko, una puntata per parlare di carcere femminile, infanzia reclusa e psichiatria.

PER UN MONDO SENZA PSICHIATRIA, SENZA CARCERE E SENZA FRONTIERE

Il podcast della puntata

La puntata si troverà anche sul sito della trasmissione
https://www.autistici.org/mezzoradaria/

Diffondi

Il 15 febbraio 2021 muore Isabella P., 37 anni,  ‘temporaneamente trasferita’ dall’articolazione femminile di Bologna in quella di Pozzuoli per il tempo dei lavori di ‘ristrutturazione’ nel repartino psichiatrico della Dozza.

Una crisi respiratoria.

Isabella è solo un nome in più nell’elenco dei tanti morti di carcere e di psichiatria.

Isabella non c’è più, l’articolazione ‘salute mentale’ c’è ancora, oggi con una sezione ‘nido’ accanto.

Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza (Rems): i nuovi manicomi

Contributo su carcere, psichiatria e Rems a cura del Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud di Pisa per l’agenda “Scarceranda 2022”

La Legge n°81 del 2014 ha disposto la chiusura degli OPG (Ospedali Psichiatrici Giudiziari) e ha previsto l’ entrata in funzione delle REMS (Residenze per l’Esecuzione Misure Sicurezza) su tutto il territorio nazionale. La misura di affidamento ai servizi sociali e sanitari, anziché a quelli giudiziari, costituisce un passo in avanti nella riduzione delle misure reclusive totalizzanti, ma, mantenendo inalterato il concetto di pericolosità sociale, non cambia l’essenza della questione.

Come si finisce in una REMS ? In Italia, in caso di reato, se vi sia sospetto di malattia mentale, il giudice ordina una perizia psichiatrica; se questa si conclude con un giudizio di incapacità di intendere e di volere dell’imputato, lo si proscioglie senza giudizio e se riconosciuto pericoloso socialmente, lo si avvia ad un percorso in una REMS o in una struttura residenziale psichiatrica per periodi di tempo definiti o meno, in relazione alla pericolosità sociale.

La legge 81/2014 non ha intaccato il sistema del “doppio binario”: quello che riserva agli autori di reato – se dichiarati incapaci di intendere e di volere per infermità mentale – un percorso giudiziario speciale, diverso da quello destinato agli altri cittadini. Chiudere i manicomi criminali senza cambiare la legge che li sostiene vuol dire creare nuove strutture, forse più pulite, ma all’interno delle quali finiscono sempre rinchiuse persone giudicate incapaci d’ intendere e volere. Una carenza che non ha reciso la logica sottesa al trattamento dei “folli rei”, quella del mancato riconoscimento di una piena dignità alle persone, anche attraverso l’attribuzione della responsabilità per i propri atti.

Per superare realmente il modello manicomiale occorre non riproporre i criteri e i modelli di custodia e metter mano a una riforma degli articoli del codice di procedura penale che si riferiscono ai concetti di pericolosità sociale del “folle reo, di incapacità e di non imputabilità”, che determinano il percorso di invio alle REMS.

Al contrario con le REMS viene ribadito il collegamento inaccettabile cura-custodia riproponendo uno stigma manicomiale. Ci si collega a sistemi di sorveglianza e gestione esclusiva da parte degli psichiatri, ricostituendo in queste strutture tutte le caratteristiche dei manicomi. La proliferazione di residenze ad alta sorveglianza, dichiaratamente sanitarie, consegna agli psichiatri la responsabilità della custodia, ricostruendo in concreto il dispositivo cura-custodia, e quindi responsabilità penale del curante-custode. Tradotto significa l’inizio di un processo di reinserimento sociale infinito, promesso ma mai raggiunto, legato indissolubilmente a pratiche e percorsi coercitivi, obbligatori, e contenitivi.

Il manicomio non è una struttura, bensì un criterio; la continua ridenominazione di tali strutture, infatti, non può nascondere la medesima contraddizione di fondo: l’isolamento del soggetto dalla realtà sociale per la sua incapacità di adattamento nei confronti di un mondo su cui nessuno muove mai alcuna questione e che nessuno mette mai in discussione. Sarebbe essenziale superare il modello di internamento, non riproporre gli stessi meccanismi e gli stessi dispositivi manicomiali. Il manicomio non è solo una questione di dove e come lo fai, se c’è l’idea della persona come soggetto pericoloso che va isolato, dovunque lo sistemi sarà sempre un manicomio.

Non ci aspettiamo che lo Stato cancelli l’articolo che istituisce la pericolosità sociale, visto che negli ultimi anni è stato utilizzato molto dalla magistratura per colpire e reprimere le lotte.

Nelle REMS la durata della misura di sicurezza non può essere superiore a quella della pena carceraria corrispondente al medesimo reato compiuto. Spesso invece accade che le persone che hanno già scontato in carcere tale pena finiscano nelle REMS e non vengano liberati subito e senza condizioni. Infatti la normativa in vigore effettua questa equiparazione solo per la misura di sicurezza definitiva ma questo non vale per le persone che hanno la libertà vigilata con affidamento ai servizi di salute mentale che può estendersi all’infinito. Sono molti anche i pazienti psichiatrici non imputabili detenuti in carcere in attesa di andare nelle REMS, attesa che può richiedere mesi o addirittura anni, con la conseguenza di tenere dietro le sbarre senza limiti di tempo soggetti che non  dovrebbero starci. La soluzione non è certo costruire nuove REMS né aumentarne la capienza.

Le condizioni delle carceri italiane continuano ad essere pessime: le strutture sono fatiscenti, il cibo insalubre, le docce e acqua calda carenti e esiste un sovraffollamento perenne. A tutto questo è da aggiungere annientamento, deprivazione, contenzione fisica, farmacologica, violenza fisica e psicologica.  La reclusione genera disagi, patologie e fragilità che spesso esordiscono in carcere e si protraggono anche dopo la scarcerazione. Nel 2019 sono stati 53 in totale i suicidi negli istituti penitenziari italiani (dato confermato sia dalla fonte del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria che da Ristretti Orizzonti) a fronte di una presenza media di 60.610 detenuti ovvero un tasso di 8,7 su 10.000 detenuti mediamente presenti. Per quanto riguarda gli atti di autolesionismo, nel 2019 svetta il carcere di Poggioreale a Napoli con 426 atti (18,79 su 100 detenuti); mentre il valore più alto ogni 100 detenuti lo detiene l’istituto penitenziario di Campobasso con 110,43 atti ogni 100 detenuti, seguito da quello di Belluno che sfiora quota 100 (98,72).

La salute nei luoghi di reclusione è inesistente, manca personale medico e infermieristico , non si trova un banale farmaco per il mal di stomaco ma i detenuti possono avere accesso a svariati psicofarmaci.

Più di un detenuto su 4 è in terapia psichiatrica, con una media del 27,6%. In alcuni istituti addirittura quasi tutti i detenuti sono in terapia psichiatrica: nel carcere di Spoleto risulta psichiatrizzato il 97% dei reclusi, a Lucca il 90% mentre a Vercelli l’86%.

Noi crediamo nel bisogno e nella costruzione di reti sociali autogestite e di spazi sociali autonomi, in grado di garantire un sostegno materiale, una vita senza compromessi di invalidità o Amministratori di Sostegno che gestiscono le esistenze delle persone seguite dalla psichiatria, nonché un reddito e un lavoro non gestiti dai servizi socio-sanitari, bensì autonomamente dal soggetto.

Un concreto percorso di superamento delle istituzioni totali passa necessariamente dallo sviluppo di una cultura non segregazionista, largamente diffusa, capace di praticare principi di libertà, di solidarietà e di valorizzazione delle differenze umane contrapposti ai metodi repressivi e omologanti della  psichiatria.

Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud-Pisa

per info e contatti:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38 56100 Pisa
antipsichiatriapisa@inventati.org
www.artaudpisa.noblogs.org / 335 7002669