Appunti sulla psichiatrizzazione e sulla contenzione della dissidenza

Qualcuno volo sul nido del cuculo di Milos Forman 1975
Foto di scena della Fantasy Film and United Artists Corporation USA


“Quadro di personalità allarmante”
“Inclinazione alla violenza”
“Sintomatico di una personalità incapace di controllare l’impulso criminale”

Queste sono le parole usate di recente dal Gip per descrivere i fatti di Torino.

Lo Stato risponde alle sollevazioni di malcontento prospettando anni di carcere e guai per qualche vetrina del lusso in frantumi confermando il suo cieco ruolo di tutore dell’ordine e garante dei privilegi: i poveri devono rimanere poveri, chi è ai margini deve rimanere ai margini a guardare le scintillanti vetrine.

Si parla di ‘punire’ le famiglie delle persone coinvolte con la sospensione del reddito di cittadinanza e non si esita a psichiatrizzare il comportamento individuale.

Rompere una vetrina diventa “Sintomatico di una personalità incapace di controllare l’impulso criminale”.

La psichiatrizzazione del comportamento considerato ‘oppositivo’ ha origini lontanissime, l’estensione capillare che oggi viene fatta del paradigma psichiatrico in  ogni ambito della vita – vedi la medicalizzazione dell’infanzia nelle istituzioni scolastiche – viene ad assumere una valenza enorme che riporta al centro del discorso collettivo la contenzione, la medicalizzazione e la stigmatizzazione psichiatrica dei comportamenti, paradigmi e pratiche coercitive e spersonalizzanti che vanno  a sostenere ‘profili criminosi’ e ‘quadri di personalità’ usati come arma per togliere di mezzo il dissenso.

Ad un anno dalla strage di Stato nelle carceri

Un intervento letto a Modena il 6 marzo sotto al carcere Sant’Anna:

Sono qui fuori perché credo che quello che succede dietro quelle mura ci riguardi tutte e tutti!

E’ passato un anno da quei giorni di marzo. 
Ricordo che seguivo le notizie al computer, e la conta dei morti continuava a salire!

Dicono che sono morti di overdose, lo hanno detto dal primo giorno, ma queste sono morti di Stato e qui fuori lo sappiamo bene!

Io non sono un medico ma ho avuto le mie esperienze, e so, che anche con l’assunzione di quantitativi rischiosi ed elevati di metadone, la morte per insufficienza respiratoria non sopraggiunge subito, ci sono segnali, sonnolenza, diminuzione delle capacità vitali, è un processo non immediato, che avrebbe permesso ad eventuali soccorsi di intervenire.

Ma chi interviene se chi ha la tua vita in mano è lo stesso che ti ha riempito anche di calci e manganellate? Se è proprio lui che vuole la tua morte?

Quattro morti sono sopraggiunte durante e dopo i trasferimenti in altri carceri, questo conferma che non sono stati soccorsi!

Il silenzio di medici e infermieri è assordante rispetto gli abusi compiuti in quei giorni e rispetto agli abusi che si perpetuano ogni giorno in tutte le carceri! Infermieri, medici, tecnici, operatori, complici di un sistema che li vede colpevoli per l’omertà con cui attraversano quelle mura.

Perché al carcere è evidentemente riconosciuto il diritto di provocare  malattia, menomazione e anche di uccidere!

Lo ha detto la procura di Modena: “Indagini da archiviare”

. Nessuna responsabilità! Sono morti per overdose. Nessun pestaggio. Assistenza sanitaria garantita. Tutto a posto.

Vogliono mettere a tacere non solo le ragioni delle rivolte, ma tutto ciò che ne è seguito.

Non possiamo permetterlo! Non dobbiamo permetterlo! Perché ne approfitteranno per stringere una morsa ancora più stretta intorno a chi vive l’oppressione carceraria!

In carcere si muore, oggi come ieri, oggi piu di ieri. I suicidi sono in continuo aumento!

Questa pandemia ha portato allo scoperto l’incompatibilità della condizione detentiva con qualsiasi concetto di salute, non solo per le ridicole condizioni igieniche, per il sovraffollamento, o per l’assistenza sanitaria inesistente, ma strutturalmente: il carcere è in sè stesso l’antitesi della salute, della prevenzione e della cura per la violenza e la deprivazione su cui si fonda.

Isolamento, solitudine, sradicamento, attese e procedure alla mercé completa della discrezionalità di guardie e direzione, sono la prima fonte di deterioramento psicologico per chi subisce la reclusione.

L’impossibilità di comunicare annienta e distrugge corpi e menti, generando handicap, disturbi e malattie psico-somatiche.

Il carcere non deve esistere e le persone devono uscire!

Sovvertire le ingiustizie è l’unica possibilità che abbiamo per non soccombere allo schifo che ci circonda e la solidarietà è l’arma che il potere teme di più!

Se il carcere è lo strumento che lo Stato ha per mantenere le diseguaglianze,  controllare il conflitto sociale e far si che nulla cambi, combatterlo è una necessità per tutte e tutti noi!

Cinque detenuti hanno avuto il coraggio e la determinazione di esporsi e alzare la testa, si sono messi a rischio scegliendo la loro coscienza al silenzio!

Ma più saremo, ad alzare la testa, piu qualcosa potrà cambiare.

Soltanto lottando possiamo rompere il filo spinato dell’omertà che avvolge queste mura affinché le rivolte, e il sacrificio di chi non c’è più non siano stati inutili!