BOLOGNA: STREET SOTTO ASSEDIO IN VIA PRATI DI CAPRARA

Diffondiamo:

Ieri la polizia in assetto antisommossa ha bloccato entrambe le uscite della TAZ di via Prati di Caprara per impedire alla street chiamata dalle occupanti di partire, di fatto, bloccando e circondando da ogni lato e per diverso tempo un centinaio di persone.  Nel tentativo di non lasciare nessuno indietro, appena presa la strada, il corteo è stato attaccato sulla coda. Non ci sono stati nè arresti nè feriti, la street ha poi proseguito sul suo percorso. Ingentissimo lo schieramento di blindati e polizia.

BOLOGNA: CONTRO LO STATO, CONTRO LA SCHEDATURA GENETICA

Diffondiamo un intervento portato al presidio che si è svolto oggi contro il prelievo coatto del DNA a cui saranno sottoposti 19 compagnx.

CONTRO LO STATO, CONTRO LA SCHEDATURA GENETICA

La mobilitazione che l’anno scorso ha sostenuto il compagno Alfredo Cospito in sciopero della fame contro il regime di 41-bis e l’ergastolo ostativo ha coinvolto moltissime persone in tutti i continenti, persone con convinzioni ed esperienze politiche anche diverse, ma che, ognuna con le proprie pratiche, si sono mosse per squarciare il muro di silenzio, ipocrisia e omertà sulla tortura del carcere duro.

Anche a Bologna in tantə si sono attivatə in questa lotta accanto ad Alfredo, contro il proposito dello Stato di murare il nostro compagno in una tomba per vivi sperando così di tappargli definitivamente la bocca: non sono mancati momenti collettivi, momenti di piazza, azioni, presidi, cortei, street parade… E’ giusto perciò restituire pubblicamente cosa sta accadendo a 19 compagnx, che nei prossimi giorni saranno sottopostx a prelievo coatto del DNA.

Per farlo bisogna partire da un’indagine per associazione con finalità di eversione dell’ordine democratico aperta in città per colpire la solidarietà che si è mossa, vivace e trasversale, un’ipotesi associativa che vedrebbe coinvolte 11 persone, più altre 8.

Un’operazione che si è articolata in modo inconsueto, connotata fin da subito da tecniche di indagine pseudo-scientifiche:
– nessuna roboante richiesta di misure cautelari
– perquisizioni a diversi mesi dalla notifica di apertura delle indagini
– accertamenti tecnici irripetibili su materiale repertato, che necessitano, per essere seguiti, di costosi periti
– disposizione generalizzata di prelievo coatto del DNA, anche a persone che hanno portato la loro solidarietà solo ad un presidio.

Parliamo di quella stessa pseudo-scienza con cui oggi il potere cerca di irregimentare la sua forza in ogni campo, ammantandola di oggettività.

Un’indagine che riflette un cambio di paradigma della procedura repressiva: se prima si dovevano avere delle prove da associare a dei presunti sospettati, adesso si trovano dei sospettati predeterminati su cui cucire delle prove.

É evidente che questa richiesta di prelievo coatto si inserisce nella progressiva e sempre più pervasiva necessità di sorveglianza da parte dello Stato: se a livello internazionale massacri, guerre e genocidi si intensificano, a livello locale aumenta lo sfruttamento, il disciplinamento e il controllo sociale.

Lo Stato teme le idee anarchiche perché c’è un contesto che sempre più ne da’ ragione!

In ogni città sfratti e sgomberi sono all’ordine del giorno, le lotte per la casa, così come quelle ambientali ed ecologiste, vengono duramente represse! La scuola mostra sempre più il suo volto di agenzia al soldo del potere, volta a selezionare la nuova classe dirigente e la nuova classe da sfruttare, sempre più territorio di conquista militare. Ciò che rimane della sanità pubblica e territoriale viene inesorabilmente smantellato e privatizzato, per privilegiare paradigmi discrezionali di stampo classista e autoritario. Dentro le carceri, nei cpr, alle frontiere, si muore, mentre all’esterno vivere diventa sempre più difficile per moltx.

Un mondo che assomiglia sempre più ad un carcere a cielo aperto, dove mentre nelle stanze ai piani alti tecnici e padroni ingrassano, ai piani inferiori sfruttatx e oppressi muoiono di solitudine, povertà, deprivazione e isolamento.

Siamo di fronte al tentativo di schedare coloro che non fanno mistero di manifestare la loro ostilità a un sistema capitalista e patriarcale sempre più predatorio che annienta l’esistenza di individui, comunità e territori.

Una schedatura genetica su base ideologica che oggi colpisce le anarchiche e gli anarchici, e chi ha portato loro solidarietà, e domani chissà!

Non si tratta perciò solo di banale violazione della privacy, istanza che piace molto a progressisti e sinceri democratici, ma di una raffinata tecnica di controllo di massa che ha lo scopo di spaventare, annichilire e contrastare tutti coloro che non hanno intenzione di rassegnarsi a questo stato di cose, né di smettere di portare avanti piani di conflittualità.

Se tenteranno di spaventarci e dividerci, risponderemo ancora più unitx! Fanculo al prelievo del DNA, fanculo alla schedatura genetica.

BOLOGNA: PRESIDIO CONTRO LA SCHEDATURA GENETICA

Diffondiamo:

In seguito alle lotte contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo dell’autunno-inverno scorso, 19 compagni/e saranno sottoposti/e al prelievo coatto di DNA. Il loro profilo genetico sarà loro estorto per essere infilato nei database dei carabinieri che su di loro stanno indagando.

SABATO 16 DICEMBRE sotto le due torri a Bologna alle 17:30

CONTRO LA PROFILAZIONE DEL DNA
CONTRO LA SCHEDATURA SU BASE IDEOLOGICA

BOLOGNA: NUOVA OCCUPAZIONE IN VIA PRATI CAPRARA

Diffondiamo:

Santa Lucia porta nuova luce in città: TAZ TAZ TAZ! Dal 13/12 al …

NUOVA OCCUPAZIONE TAZ IN VIA PRATI DI CAPRARA 10, BOLOGNA

Contro questa città e il suo governo torniamo a occupare ancora.

Dopo 5 giorni senza leggi e senza costrizioni non ne volevamo sapere di tornare nelle nostre piccole e anguste case, per questo oggi apriamo uno spazio per lanciare un messaggio a noi stesse, a chi ci è complice: ribellarsi è possibile, praticare questa libertà è possibile. Diventiamo implacabili e disperdiamoci ovunque.

Altri giorni insieme senza leggi, vincoli, capi o costrizioni. Porta la tua distro, cosa, banchetto, fai la tua assemblea, se vuoi cucinare.. cucina, gioca! Pittate libere, tira su il rusco. Riempi lo spaziotempo come piace a te e coinvolgi chi ti sta attorno.

Solo autogestione per nuove cosmogonie sovversive.

Non vi libererete mai di noi, il possibile è ovunque.
https://balotta.org/event/nuova-occupazione-taz-di-santa-lucia

BOLOGNA: CARCERE DELLA DOZZA AL GELO

Il carcere della Dozza è al gelo: sui media locali si parla di una sola caldaia in funzione per tutto il carcere, di temperature insostenibili, acqua e docce fredde. Al di là del sensazionalismo e delle lamentele delle guardie, si tratta di una situazione che si ripete cronicamente da anni, non solo alla Dozza, estati bollenti ed inverni al gelo. Nei giorni scorsi alcuni detenuti avrebbero dato fuoco alla loro cella.

BOLOGNA: SENZA CHIEDERE PERMESSO

Giovedì 7 dicembre abbiamo partecipato con la nostra distro alla seconda edizione della rassegna SENZA CHIEDERE PERMESSO – Mercatino autogestito delle autoproduzioni, ogni primo giovedì del mese in Bolognina.

È con piacere che diffondiamo qualche foto della serata, un momento di riappropriazione nella cornice di un quartiere di cui si vorrebbe cancellare finanche la storia, una boccata d’aria per ridarsi spazio e contestare una sedicente “piazza pubblica” privatizzata, parlare di antirazzismo con un fumetto incredibile e rompere l’isolamento contro la repressione e la violenza di Stato. 💜

Rap con i Senza Palle
Mostra sul DL Caivano

Mostra: Un deserto chiamato sicurezza
Digiuno

Non poteva mancare un pensiero ai caduti durante il violento sgombero dell’occupazione abitativa Social Housing in via di Corticella 115, mentre contemporaneamente veniva sgomberato anche lo Student Hostel occupato in Viale Filopanti 5/A.

In serata il corteo che dalla prefettura ha attraversato la città contro l’attacco sferrato alle lotte per la casa e l’abitare ha raggiunto la tettoia, unendo le voci del corteo a quelle del mercatino, contro la violenza di Stato.

NOTE A MARGINE SULLE PERQUISIZIONI DI BOLOGNA

Riceviamo e diffondiamo un testo a cura di alcunx indagatx con qualche riflessione a seguito delle 19 perquisizioni avvenute il 16 novembre scorso tra Bologna, la Lombardia e il Trentino. Qui la versione in pdf.

NOTE A MARGINE SULLE PERQUISIZIONI A BOLOGNA

Dopo una pigra estate di accertamenti da parte dei RIS di Parma sui materiali rinvenuti nei luoghi dei fatti contestati, l’indagine che vedeva 6 compagni/e coinvolte ha preso un nuovo slancio. Le perquisizioni avvenute a metà novembre a carico di 19 persone (due in trentino, una nel bergamasco e le restanti a Bologna) ci rendono noto come il bacino di accusati/e si sia allargato. La presunta associazione con finalità di eversione dell’ordine democratico è ora a carico di 11 persone, cui ne vanno aggiunte 8, considerate di fatto alla stregua di pedine, a cui sono addossati alcuni dei fatti specifici.
Tutte le azioni – e più in generale la finalità della presunta associazione – avrebbero come movente la solidarietà ad Alfredo, la lotta al 41bis e al carcere in generale e, nel caso di alcuni ripetitori incendiati, l’opposizione alla partecipazione dell’Italia alla guerra in Ucraina. Questi fatti ci danno l’opportunità di spendere qualche parola di carattere generale su quello che sta accadendo a noi e ad altri compagni/e in questo paese.

L’azione repressiva che ci coinvolge va ovviamente interpretata nel contesto più ampio della stagione anti-anarchica che sta seguendo la campagna di lotta contro il 41bis e per la libertà di Alfredo.
Ci pare chiaro il presupposto da cui partono le procure di tutta Italia e i ROS.
Si tratta dello stesso sillogismo fatto proprio dal ministro Nordio, e che sta tenendo Alfredo al 41bis: la lotta anarchica porta ad organizzarsi senza scrupolo di legge, l’assenza di legge è violenza, dunque l’anarchismo è violenza e criminalità finalizzata a ricattare lo Stato.

Muovendo da questo assunto, la strategia della Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo che sta dietro l’azione degli sgherri dell’Arma sembra articolarsi su due fronti.
Da una parte la proliferazione di operazioni di piccola entità calate sulle specificità locali, ma con un impianto accusatorio simile. Il fine è che in questa gran massa ne scappi fuori qualche precedente utile per la futura repressione a tappeto di ogni manifestazione dell’attività anarchica.
Dall’altra, sebbene non si tratti di una novità, ci pare aver subìto un’accelerata in una sorta di “banalizzazione” del reato di terrorismo. Passateci il termine, lo usiamo in mancanza di altro, lungi da noi affermare che ci sia una corretta applicazione del reato in questione e dichiararci vittime di un’aberrazione dello stato di diritto. Quello che vogliamo dire è che ci troviamo di fronte ad un’applicazione su vasta scala del reato in questione, e per altro non solo ai danni dell’azione anarchica, volta ad aggravare atti di limitata gravità penale (reati di opinione, manifestazioni non autorizzate, danneggiamenti, imbrattamenti).

UN TERRENO DA TESTARE

Azioni repressive simili sono avvenute in tutta Italia. Ognuna con le sue specificità e con l’obiettivo di colpire specifici gruppi di compagne/i, ma tutte accomunate da un rinnovato 270 bis. Rinnovato, ahinoi, sulla base della sentenza Scripta Manent, di cui nelle carte a noi presentate troviamo un vero e proprio copia-incolla. Un insieme di anarchici/che in lotta diventerebbe di necessità “un’associazione di stampo anarco-insurrezionalista che si propone il compimento di atti di violenza con finalità di eversione dell’ordine democratico, strutturata in modo non gerarchico e spontaneista secondo il patto di ‘mutuo appoggio’ ed attraverso la ‘solidarietà rivoluzionaria’ (…) con l’accordo sulla scelta dell’azione diretta compiuta mediante l’uso di ogni mezzo”. A ciò è bene aggiungere come il codice penale italiano detti che “sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che (…) sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto”. Nel caso di questa inchiesta non si parla nemmeno di “poteri pubblici” ma delle politiche delle multinazionali. Si legge infatti nelle carte che l’associazione in questione si prefiggerebbe l’obiettivo di compiere azioni dirette e/o di sabotaggio, tutte connotate da violenza politica, aventi come fine ultimo la cessazione delle politiche perseguite dalle grandi multinazionali italiane anche in ragione del recente conflitto russo-ucraino, la liberazione da tutte le carceri e la liberazione del militante Cospito Alfredo dal regime detentivo previsto dall’art. 41 bis dell’ordinamento penitenziario.

Sarebbe interessante conoscere la genesi dell’indagine a cui siamo sottoposte/i. Assistiamo infatti, per certi aspetti, a un copione inedito: nessuna pomposa operazione da prima pagina con misure cautelari fondate su roboanti reati associativi, che poi si cerca di validare in corso d’opera.
Invece, dopo un anno e mezzo di indagini si richiedono analisi di laboratorio che informano 6 compagne/i, (già oggetto, negli ultimi tre anni, chi di operazioni analoghe con tanto di misure cautelari a seguito, chi di condanne definitive e chi di richieste di sorveglianza speciale) di essere sottoposti ad un’indagine per 270bis con diversi reati specifici (tra cui un 280bis); dopo altri 5 mesi seguono un ampliamento della rosa delle persone indagate e 19 perquisizioni. Ci pare verosimile che a questo punto gli inquirenti vogliano arrivare a richiedere delle misure cautelari fondate su qualcosa di ben architettato, e chissà, magari trovare finalmente il modo di liberarsi per un pò di questi sei personaggi scomodi”. Interpretare questo nuovo copione ci risulta difficile; possiamo tuttavia ipotizzare che, almeno sul piano locale, la memoria dell’operazione Ritrovo del 2020 possa avere indotto la controparte ad adottare un approccio più cauto, almeno sin qui.

SULLA BANALIZZAZIONE DEL REATO DI TERRORISMO

Merita notare che in questa indagine lievi reati di piazza contestati alle 8 persone non incluse nell’associazione diventino però, grazie all’aggravante dell’eversione dell’ordine democratico, un pretesto per avviare intercettazioni, richiedere il prelievo di DNA, avanzare possibili richieste cautelari.
Capiremo col tempo se un giudice si prenderà effettivamente la briga di firmare un’ordinanza per il prelievo coatto del DNA, per tutte le persone coinvolte nelle perquisizioni, indipendentemente dall’entità dei fatti di reato contestati.
Pare che sul movimento anarchico si stia tentando un intervento simile a quello impiegato nel contrasto al cosiddetto “islamismo jihadista” che, seppur distante anni luce dall’idea anarchica, è stato un fenomeno sulla cui gestione lo Stato ha dovuto scervellarsi producendo strumenti giuridici e impianti accusatori che oggi si prova a impiegare nella repressione anti-anarchica. Sebbene la tattica e gli strumenti impiegati differiscano, la strategia è la medesima: applicare una sanzione spropositata per gesti di incisività modesta. Visitare il sito sbagliato, frequentare la piazza sbagliata, sventolare la bandiera sbagliata, urlare lo slogan sbagliato sono il pretesto per trasformare qualcosa che un tempo avremmo concepito come semplice dissenso, in terrorismo. Così facendo anche gesti banali diventano impraticabili, figurarsi poi cosa può diventare un’azione un po’ più decisa. Su certi pensieri e pratiche cala una pesante cappa di paura, e il terrore che rimane fa tabula rasa di ogni pensiero sovversivo e radicale.

Il recente pacchetto sicurezza varato dal governo sulla scia dei DL Cutro e Caivano, la repressione delle lotte del sindacalismo di base e dei movimenti ambientalisti, la repressione contro i “no vax”, così come la recente repressione anti-anarchica, stanno tutte assieme nel clima di attuale irrigidimento securitario.
Perché lo Stato stia agendo così è una domanda che merita porsi. Esiste un governo che necessita di nemici e emergenze costruite ad arte, di un fronte interno insomma da combattere per deviare l’attenzione dal fatto che il vento di cambiamento che da anni la destra ha promesso all’elettorato, è evidente, sarà men che un alito, e che le condizioni di vita andranno irrimediabilmente peggiorando. Gente insomma cui addossare i mali di un’Italia in declino. Ed esiste poi uno Stato che, ci pare, ha almeno due orizzonti che ne muovono l’azione: la possibilità di una guerra in cui sarà necessario in un prossimo futuro dover intervenire direttamente, e la necessità di una riconversione energetica. A fronte di ciò è necessario perseguire non tanto la pace sociale, che è traguardo ormai utopico per chi ci governa, ma una società accettabilmente pacificata, dove gli inevitabili conflitti risultino gestibili e bastonabili prima che deraglino.
Se da una parte è sempre stato proprio dello Stato italiano negli ultimi decenni quello di abbassare gradualmente, o per piccoli balzi, il livello del conflitto ed impegnarsi in una repressione dal carattere costante e preventivo, ci pare che questa ampia diffusione repressiva sia sintomo di un’altrettanto diffusa paura, fra chi ci governa, della possibilità che situazioni difficilmente gestibili e pericolose si possano improvvisamente verificare. In questo senso le rivolte nelle carceri del 2020 sono state davvero un inedito e possibile avviso di quello che significa perdere il controllo della situazione. Cose simili è imperativo che non succedano, si stanno ripetendo i governanti.

Nella città di Bologna la lotta in solidarietà con Alfredo si è espressa vivace, con azioni diurne, notturne, azioni simboliche, momenti di piazza, iniziative -va pure ricordato- portate avanti non solo da anarchiche/ci. Non certo una situazione che deraglia, ma sicuramente l’espressione di un conflitto vivo, estesosi anche fuori dai margini dell’anarchismo, e quindi fastidioso. Restringere ciò all’azione premeditata di un gruppo di 11 teste calde anarchiche ci pare quantomeno eccessivo. I fatti specifici su cui si fonda questa indagine, lo ripetiamo sono cinque, ovvero: il tentato danneggiamento di alcuni mezzi della MARR, il danneggiamento di alcuni ripetitori, l’interruzione di una messa, l’occupazione di una gru e il blocco di una via con dei cassonetti incendiati; su di essi non ha senso entrare nel merito, se non per dire che sono gesti che riteniamo giusti e assolutamente comprensibili all’interno del clima di lotta in cui si sono espressi. Ci sentiamo semmai di discostarci dall’ennesima trovata associativa della procura di Bologna, proprio perché a livello politico ci addossa la responsabilità di una lotta di cui siamo stati/e partecipanti fra tanti/e; è una responsabilità che, a prescindere dalle implicazioni penali, moralmente non ci sentiamo di avere, non sarebbe giusto nei confronti di tutte quelle persone che hanno lottato per la libertà del nostro compagno. Una libertà che continuiamo a tenere nel cuore.

Alcunx indagatx

BOLOGNA: CONTRO IL RAZZISMO DI STATO SOLIDARIETÀ A CHI SI RIVOLTA

Riceviamo e diffondiamo:

L’11 e 12 giugno 2020 scoppia una rivolta all’interno del CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria) Ex Caserma Serena di Casier, alle porte di Treviso.

In quell’estate di COVID, la gestione statale del virus aveva reso evidente quali fossero le persone che lo stato vuole proteggere a scapito e a danno di quelle da cui si vuole difendere (detenut3, migrant3, non bianch3, pover3 ….).
All’Ex Caserma Serena, mentre un operatore della Cooperativa Nova Facility srl, che gestisce il centro, risulta positivo al tampone, l’ASL locale e la Cooperativa, in collaborazione con Questura e Prefettura, decidono la chiusura totale degli accessi e delle uscite dalla struttura, anche per chi ha un tampone negativo. Centinaia di persone, migranti e non bianche, si trovano quindi di fatto imprigionate, condannate a perdere il lavoro per chi ce l’ha, e esposte più che mai al rischio contagio.

Quell’11 e 12 giugno 2020 chi sta rinchiuso all’ex Caserma decide di ribellarsi, protestando in varie forme.
La questura trasformò questa protesta multipla in responsabilità singola, individuando quattro “ospiti” del Centro come principali fautori e denunciandoli per devastazione e saccheggio, sequestro di persona e resistenza a pubblico ufficiale. Uno di loro, Chaka, morirà nel carcere di Verona, in isolamento, il 7 novembre 2020.

Il 20 ottobre 2023 il Tribunale di Treviso ha pronunciato la sentenza di primo grado nei confronti degli altri tre denunciati: Mohammed, Amadou e Abdourahmane. Cadono tutte le accuse, a parte quelle relative ad un episodio avvenuto il 12 giugno, riconosciuto dal giudice come sequestro di persona. I tre sono stati condannati a 1 anno e 8 mesi (Mohammed e Abdourahmane) e 2 anni (Amadou), ciascuno con pena sospesa.

La repressione che i tre hanno subito fino a qui ha voluto fin da subito essere esemplare: si voleva punire una rivolta per dare un segnale a tutte le altre, in un’estate in cui le proteste si moltiplicavano in tutti i luoghi di reclusione per persone immigrate in italia.
Abdou, Mohammed e Amadou, dopo tre anni di carcere, arresti domiciliari, obblighi di firma, sono liberi con pena sospesa. Eppure ancora sotto il ricatto quotidiano di non riuscire più a ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno, di non avere abbastanza mezzi economici e reti sociali per sostenere non solo le spese legali, ma anche quelle quotidiane e relative alla loro salute, peggiorata di molto dopo questi tre anni.

Per parlare di questa storia e per confrontarci sulle rivolte, sul razzismo di stato, sulla repressione e sulle solidarietà, venite numeros3 al benefit in sostegno ai tre compagni ! Sarà il 9 dicembre alla casa del mondo, via di vincenzo 18a (Bologna)

In programma :
– Alle 18.30 discussione sui fatti dell’ex caserma e sulle lotte delle persone immigrate dentro all’accoglienza
– Alle 21
Zazza e Dj Nosci (rap + dj set)

Ci sarà un bar e cibo per tutt. Il tutto per sostenere i tre compagni inguaiati. Fate girare!

Se la solidarietà è un’arma, bisognerà anche cominciare ad usarla.
tutt3 liber3!

BOLOGNA: CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO

Diffondiamo un testo scritto a Bologna da alcune compagne eretiche, transfemministe e antiautoritarie:

CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO. Ci proteggono le nostre compagne non il pacchetto sicurezza 

Abbiamo appreso con rabbia e dolore che Giulia Cecchettin è la 105esima vittima di femminicidio di quest’anno. Vorremmo dirci stupite, ma lo sapevamo già tutte. È la storia che si ripete da secoli, a ciclo continuo, che stronca le vite di compagne e sorelle per il desiderio maschile di dominarle, assoggettarle, annichilirle.

Negli ultimi mesi abbiamo assistito ad una crescente spettacolarizzazione dei casi di violenza di genere che hanno ricevuto attenzione mediatica, la dinamica è sempre la stessa, mentre si racconta morbosamente la violenza nei minimi dettagli, costringendo la persona coinvolta a ripercorrere costantemente l’accaduto, si cerca di fissare una distanza tra chi commette violenza e la società civile. Lo abbiamo visto succedere a Palermo e lo stiamo rivedendo accadere in questi giorni: chi ci stupra o uccide diventa il “mostro”, il “pazzo”, l'”animale”, troppo difficile ammettere che invece si tratta di una persona “inserita”, conosciuta, un compagno, un amico, un familiare, un conoscente, “quello che non farebbe male a una mosca”, è lo stesso motivo per cui in tante circostanze non siamo credute. È questa normalità che riproduce relazioni di potere e assoggettamento che combattiamo, in famiglia, nelle case, sul lavoro, per le strade.

Si è parlato in questi giorni con indignazione del risentimento che l’assassino mostrava nei confronti della laurea imminente di Giulia, incapace di accettarne l’autonomia, i traguardi, ma se scaviamo, l’odio covato da quest’uomo non ci stupisce e ritorna ben presto familiare. Lorenzo Fontana, attuale Presidente della Camera ed ex ministro della famiglia e della disabilità, figura cardine del Congresso Mondiale delle Famiglie di Verona del 2019, nel suo testo “La culla vuota della civiltà: all’origine della crisi” senza tanti giri di parole accusa della crisi in corso proprio le donne. Donne che studiano, pensano, si laureano, non si dedicano alla famiglia e non fanno figli. Secondo l’ex ministro attuale Presidente della Camera sono le donne che si sottraggono al loro ruolo di riproduttrici e ancelle del focolare che creano la crisi della nostra società, non chi sfrutta e si arricchisce sulla pelle di comunità e territori, annientandoli. Fontana del resto non fa altro che inserirsi in una lunga genealogia di attacco ai nostri corpi: non dimentichiamo che l’aborto, oggi più che mai minacciato – anche a causa di una normativa che spesso impedisce fattivamente di abortire – era, secondo il codice Rocco, un reato contro «l’integrità e la sanità della stirpe». Una donna non può scegliere se essere madre o se non esserlo: deve riprodurre la società che le uccide, altrimenti è una donna snaturata. Mentre sui giornali si parla di emergenza femminicidi e di uomini impazziti che cedono a raptus, ci si dimentica della continuità storica tra la violenza istituzionale nei confronti delle donne e ciò che si riproduce nelle case e per le strade. Una lunga tradizione di oppressione se si pensa che oltre alla negazione del diritto all’aborto, in Italia il delitto d’onore e il matrimonio riparatore sono rimasti in vigore in Italia fino al 1981.

Omicidi e violenze non sono casi isolati, non sono emergenze improvvise dove lupi venuti dal nulla fanno sembrare la nostra rassicurante quotidianità una serie di true crime. La violenza di genere non è un “problema di ordine pubblico” ma qualcosa di strutturale e sistemico che pervade ogni ambito della nostra normalità. Le lacrime di coccodrillo di una società ipocrita a pochi giorni dal 25 novembre non ci interessano.

Amaramente possiamo pensare che, sì, i nostri corpi valgono, amaramente… perchè nella società capitalista e coloniale i nostri corpi valgono solo quando la loro messa a valore è funzionale a riprodurre lo stato nazione bianco, quando reggiamo le famiglie sulle nostre spalle, quando scandiamo la nostra esistenza tra il lavoro salariato sfruttato e gli istanti di un lavoro domestico invisibilizzato. I nostri corpi valgono se siamo dispensatrici univoche di cura, dedite all’uomo, al padre, al capo, sempre disponibili al ruolo di accudimento. I nostri corpi valgono nella misura in cui sono utili alla propaganda dell’emergenza del politicante di turno che vuole assicurarsi qualche voto in più promettendo “sicurezza contro le barbarie”. Una sicurezza che si pretende arrivi senza che sia messo in discussione l’assetto sociale, e che si traduce nel razzismo sulle persone migranti, nella classificazione di “zone della paura”, nell’aumento di militari e polizia per le strade, in retate nei quartieri, arresti e carcere.

Secondo i dati istat, i crimini violenti si sono sistematicamente ridotti dal 1980 a oggi. L’unico dato in lieve aumento sono appunto i femminicidi. Quella che è cambiata radicalmente, in questi anni, è la percezione di un’assenza di sicurezza. Addomesticatx da anni di retoriche dell’emergenza, ci siamo piegatx alla paura, sempre più alienatx. E così ritorna il vecchio motivetto colonialista e fascista: bisogna proteggere le nostre donne dal pericolo nero. Si legifera sui nostri corpi per assoggettare altri corpi, generalizzando risposte punitive e repressive su parti di popolazione proveniente da specifici contesti sociali e territoriali. Il nome di un luogo che ha visto coinvolti ragazzi minorenni in gravi atti di violenza di genere, diventa il nome di una legge in cui la violenza di genere non è assolutamente il focus dell’intervento ma soltanto il pretesto per prendere provvedimenti di natura autoritaria verso fasce di popolazione già marginalizzate come i minorenni delle periferie.

A Bologna in questi giorni un giornale locale riportava che “sono stati soprattutto giovanissimi nordafricani gli autori di violenze sessuali in luoghi pubblici a Bologna.” Giovane, nordafricano, stupratore. Questa l’equazione di chi vuole parlare alle pance per raccogliere consenso.

Non ci rende sicure una società che si autoassolve e che delega a esercito e militari un problema sul quale essa stessa si basa. La divisa che ci bastona per le strade e ci incarcera quando ci difendiamo o lottiamo per una vita radicalmente diversa fa parte del problema, non è la soluzione. Di questa sicurezza che istituzionalizza e riproduce l’uso patriarcale della forza e della prevaricazione non ce ne facciamo nulla. Non sarà armare di più le forze dell’ordine a renderci sicure. Non sarà un inasprimento delle punibilità su chi usa violenza, che fermerà la violenza.

Desideriamo ripensare a tutto un altro genere di sicurezza, a tutto un altro genere di famiglia, a tutto un altro genere di comunità e di vita, che metta in discussione alla radice la violenza maschile e lo sfruttamento predatorio che si abbatte anche sugli altri corpi, che rimetta al centro la sorellanza, la solidarietà tra oppressx, la lotta per un mondo di libere e uguali, la cura reciproca e l’autodeterminazione.

Bologna, novembre 2023

Alcune compagne eretiche, transfemministe, antiautoritarie