UN TESTO SUI SABOTAGGI AVVENUTI IN FRANCIA IN OCCASIONE DEI GIOCHI OLIMPICI

Di seguito un testo sui sabotaggi avvenuti in Francia in occasione dei Giochi Olimpici.

Nord-Sud-Est-Ovest

La sera dello scorso 25 luglio, a Parigi, l’eccitazione era alle stelle. (Quasi) tutti gli occhi erano puntati sulla Ville Lumière: l’indomani sarebbe stato il grande giorno, quello dell’apertura ufficiale della XXXIII edizione dei Giochi Olimpici. Gli organizzatori avevano pre-annunciato un’inaugurazione all’altezza della grandeur francese — una sfilata «audace, originale, unica» sulla Senna. Lo sgradevole ricordo della precedente edizione giapponese, rimandata di un anno causa morbo minore e tenutasi davanti agli spalti vuoti, doveva essere cancellato. Questa volta nulla e nessuno avrebbe potuto ostacolare lo sfarzoso ritorno dei Giochi  nella patria del loro creatore, il barone De Coubertin. Né un eco-sistema stremato da secoli di industrialismo, né un conflitto locale, possibile scintilla di una guerra mondiale nucleare, né un genocidio in atto.

«E se mai, per mala sorte, avvenisse in un modo o nell’altro qualche cosa di sgradevole, ebbene, c’è sempre il soma che vi permette una vacanza, lontano dai fatti reali. E c’è sempre il soma per calmare la vostra collera, per riconciliarvi coi vostri nemici, per rendervi pazienti e tolleranti»

Per garantire il regolare svolgimento della manifestazione sportiva, ovvero l’assunzione planetaria del soma sportivo, le autorità francesi avevano preso misure di sicurezza eccezionali: 45 mila agenti sparsi in tutta la città, 18 mila militari, 200 teste di cuoio (metà delle quali in ruolo di cecchini sui tetti della capitale francese), un centinaio di sommozzatori. E poi un dispiegamento di droni e barriere marittime atti ad impedire il transito illegale di piccole imbarcazioni attraverso La Manica, lo schieramento di unità di missili terra-aria per la sicurezza aerea, la chiusura dello spazio aereo sulla capitale sorvolato solo da elicotteri militari. E poi la collaborazione con i servizi segreti di 80 paesi, la presenza di agenti di polizia provenienti da decine di paesi, nonché 2 mila agenti di sicurezza privati. E poi il controllo delle acque reflue a caccia di virus, l’installazione di sonar acquatici, un sistema di videosorveglianza basato sugli algoritmi dell’Intelligenza Artificiale. Questo tanto per dare idea dell’importanza dell’evento, tanto per far capire come fosse indispensabile che a partire da quel 26 luglio a Parigi non doveva, non deve e non dovrà accadere nulla.

«Adesso il mondo è stabile. La gente è felice; ottiene ciò che vuole, e non vuole mai ciò che non può ottenere. Sta bene; è al sicuro;… è condizionata in tal modo che praticamente non può fare a meno di condursi come si deve. E se per caso qualche cosa non va, c’è il soma…»

Eppure… merdre! — la mattina del 26 il clima era già rovinato. E non certo dal diluvio già previsto nella serata. No, il problema è un altro: se Parigi è il fulcro della Francia, la Francia non consiste nella sola capitale. Ogni centro, per definizione, ha la sua periferia. Recintare, presidiare, sorvegliare ogni metro quadro di un centro è ambizione a portata di tutte le arroganze. Ma non si può pretendere di poter fare altrettanto con una periferia che, in questo caso, si estende fino ai confini. Un territorio che, per comodità, si può suddividere in base ai quattro punti cardinali.
Ebbene, nella notte fra il 25 ed il 26 luglio, a poche ore dall’avvio dei moderni circenses, a Parigi stessa e nei quattro punti cardinali dell’esagono è accaduto qualcosa. Qualcosa di piccolo, ma dall’impatto enorme. Piccoli sabotaggi della linea ferroviaria dell’Alta Velocità — riusciti al centro, a nord, ovest ed est, fallito a sud — che hanno bloccato per lunghe ore la circolazione verso la capitale.
Incredibile, nevvero? Sono bastate poche bottiglie incendiarie, alcune lame taglienti ed una appassionata passeggiata notturna fra individui complici per spezzare l’incantesimo, anzi, la vera e propria stregoneria che rende accettabile l’aberrante condizione umana.

«Io non capisco nulla» rispose lei decisa, determinata a conservare intatta la sua incomprensione. «Nulla. E meno di tutto» continuò con un altro tono «perché non prendete il soma quando vi vengono queste vostre terribili idee. Le dimentichereste tutte. E invece di sentirvi infelice, sareste allegro. Tanto allegro!» ripeté…

Non ci capiscono nulla. Come è possibile che qualcuno abbia cercato di impedire a 800.000 potenziali spettatori di essere presenti e felici quel fine settimana, seduti negli stadi a sventolare bandierine della propria nazione, così vogliosi di cantarne l’inno? Come fa a venire in mente a qualcuno di rovinare le vacanze alle persone dabbene, agli onesti lavoratori che giorno dopo giorno fanno andare avanti questa infame società? Grandi e piccoli animatori dello Spettacolo non se ne capacitano. Perciò, dai protagonisti alle comparse, si sono indignati tutti.
Il ministro dei Trasporti francese, ad esempio, ha definito il sabotaggio delle linee ad alta velocità «un’azione criminale scandalosa», mentre per la sua collega ministro dello Sport si è trattato di un attacco diretto agli atleti e alla propria patria: «Questi Giochi sono per gli atleti che li sognano da anni e che lottano per il sacro Graal di salire sul podio e qualcuno li sta sabotando. Giocare contro i giochi è giocare contro la Francia, è giocare contro la tua squadra, è giocare contro il tuo Paese». Che sia configurabile l’accusa di alto tradimento lo sostiene anche il giovane leader del partito di estrema destra, il quale concorda inoltre con un’esperta in cantieri ferroviari che parla di «attentato contro la libertà di partire in vacanza». Concetto ribadito fra gli altri anche dallo stesso amministratore delegato della SNCF (le ferrovie francesi), secondo il quale «sono i francesi ad essere attaccati».
Ma da chi? Beh, a suo dire da… da… da una «banda d’illuminati, d’irresponsabili»! Una setta di pazzi, insomma. Mentre per il ministro degli Interni francesi, il taglio e l’incendio dei cavi di fibre ottiche che costeggiano i binari sono «un modo d’azione tradizionale dell’ultrasinistra». Ma c’è anche chi ha evocato l’ingerenza straniera, come ad esempio il ministro degli esteri israeliano la cui lingua batte sul dente dolente: a suo dire il sabotaggio «è stato programmato ed eseguito sotto l’influenza dell’asse del male dell’Iran e dell’islam radicale». Addirittura? Ma bisogna capire il delirio del pari israeliano di von Ribbentrop. Lui sa bene che lo scorso 26 luglio 2024 era il 294° giorno del genocidio dei palestinesi…

«Troppo orribile!» ripeteva; e tutte le consolazioni di Bernardo furono vane. «Troppo orribile! Quel sangue!». Fremeva. «Oh, se avessi il mio soma

Quando si parla di Olimpiadi, il coro è unanime: grande festa sportiva, amicizia e fratellanza tra i popoli, tregua olimpica, culto della dedizione e dello sforzo… Una conformità di pareri talmente radicata da rendere inimmaginabile che ci possa essere qualcuno che non solo rifiuta di pensare che l’importante è partecipare (alla competizione, alla ricerca di successo, alla misurazione del tempo, al culto della mera forza fisica, all’apologia del nazionalismo…), ma che ha l’ardire di interrompere questo zelante coro nella consapevolezza che l’importante è impedire di partecipare. Di partecipare alla riproduzione sociale.
Ed ecco che dalla notte del desiderio spuntano le ombre di chi non si presenta alle elezioni, di chi non frequenta salotti televisivi, di chi non lancia né dirige movimenti sociali o partiti politici, di chi non elargisce nessun sorriso compiacente. Perché disprezza qualsiasi pubblico, perché vuole mettere fine ad ogni rappresentazione. E per questo non esita a mettere in piedi nel piatto. Contro ogni ragionevolezza, contro ogni calcolo politico.

«Ma vi piace essere schiavi?» stava dicendo il Selvaggio quando essi entrarono nell’Ospedale. Era rosso in faccia, i suoi occhi mandavano lampi d’ardore e di indignazione. «Vi piace essere dei bambocci? Sì, dei bambocci che vagiscono, che sbavano» aggiunse, esasperato dalla loro bestiale idiozia al punto di lanciare degli insulti a coloro che era venuto a salvare. Le ingiurie rimbalzarono sulla spessa corazza della loro stupidità; essi lo guardarono con una vuota espressione di risentimento ebete e fosco negli occhi.
«Sì, bavosi!» gridò apertamente. Il dolore e il rimorso, la pietà e il dovere, tutto era dimenticato adesso, e, per così dire, assorbito in un odio intenso verso quei mostri meno che umani. «Non volete dunque esser liberi e uomini? Non comprendete neppure che cosa sia lo stato d’uomo e la libertà?» L’ira lo rendeva eloquente; le parole arrivavano facilmente, fluenti. «Non comprendete?» ripeté, ma non ricevette risposta alla domanda. «Ebbene, allora» riprese torvo «ve lo insegnerò io, vi costringerò a essere liberi, lo vogliate o no»

Alla destra, al di là di plateali ipocrisie, non interessa nulla della libertà; intende solo instaurare l’ordine. Ma la sinistra, soprattutto quella estrema, quando non è intenta ad asciugare lacrime e sudore esortando alla resilienza, si compiace di tanto in tanto di atteggiarsi a paladina della libertà. Basta che questa libertà sia coniugata rigorosamente al plurale, come opera strategica collettiva di conquista di maggiori diritti. Ebbene questa sinistra, tronfia di successo elettorale e assetata di composizione militante, come ha reagito ai sabotaggi avvenuti? Nei palazzi si va dall’indignazione socialista («Questa è destabilizzazione, è sabotaggio, è rimettere in discussione l’immagine della Francia») alla senilità indomita («Denunciamo questi atti dolosi e inviamo tutto il nostro sostegno ai ferrovieri mobilitati sul campo e che lavoreranno giorno e notte per garantire il ritorno alla normalità il prima possibile»). Nelle piazze, silenzi imbarazzati a parte, spiccano solo gli interessati e nauseabondi ammiccamenti di chi si precipita a precisare che il sabotaggio è «al servizio di un mondo migliore» (come insegnato da Mao ed imparato dagli odierni capibastone di movimento).

«Distribuzione di soma» gridò una voce forte. «In buon ordine, per favore. Spicciatevi laggiù»

Dopo gli atti di sabotaggio, il ministro dei Trasporti ha assicurato che sono stati messi in campo «mezzi considerevoli» per «rafforzare» la sorveglianza dei 28.000 km attraverso cui si dipana la rete ferroviaria francese: «un migliaio di agenti della manutenzione della SNCF», coadiuvati da «250 agenti della polizia ferroviaria», con l’appoggio di 50 droni e degli elicotteri della Gendarmeria, veglieranno «fino a nuovo ordine» sul ritorno alla normalità.
Ah, il ritorno alla normalità, ossessione di tutti i politicanti: che tutto torni a scorrere come prima, la sveglia al primo mattino e la fatica alla sera, lo sfruttamento sul lavoro e della vita, le chiacchiere idiote fra amici e colleghi, la devastazione di ecosistemi e di immaginari, le file ai semafori e alle casse dei supermercati, la repressione di proteste e desideri, l’intrattenimento televisivo e digitale, il massacro di popolazioni e di sogni, l’affitto da pagare e le bollette da saldare, la sorveglianza totale di spazi e di pensieri, la scelta del cinema o del locale dove andare, l’addomesticamento di ogni slancio e di ogni singolarità, le merci da vendere o da comprare, il rispetto e l’obbedienza per le istituzioni.
Ecco qual è la normalità da ripristinare. E chi osa sfidarla viene minacciato di possibili condanne fino a 20 anni di carcere!

«Improvvisamente dall’apparecchio di musica sintetica una voce prese a parlare. La Voce della Ragione, la Voce del Buon Senso. Il rullo d’impressioni sonore si dipanava per trasmettere il Discorso Sintetico numero Due contro le Sommosse (forza media). Sgorgando dal fondo di un cuore non esistente “Miei cari, miei cari!” disse la voce tanto pateticamente, con una nota di rimprovero così infinitamente tenera, che, dietro le loro maschere antigas, persino gli occhi dei poliziotti furono momentaneamente pieni di lacrime “cosa vuol dire questo? Per qual ragione non siete tutti insieme felici e buoni? Felici e buoni” ripeté la voce “in pace, in pace?” Tremò, si affievolì in un sospiro, disparve un attimo. “Oh, come desidero che siate felici!” riprese con calore di convinzione. “Come desidero che siate buoni! Vi prego, vi prego di essere buoni…”
In due minuti la voce e i vapori di soma avevano prodotto il loro effetto»

No, le chiacchiere stanno a zero. La normalità, già finita definitivamente con la pandemia di servitù volontaria, non risorgerà certo in mezzo ai bagni di sangue. Questa spietata civiltà di massacratori e di influencer non conoscerà nessuna pietà. Dopo aver puntato il coltello alla gola a chiunque ed aver iniziato con lo sgozzare i dannati della terra, i Signori e i loro tirapiedi pretendono pure di essere trattati con cortesia e buone maniere? La normalità, quella dell’autorità e del denaro, se la possono dimenticare per sempre.
Ed infatti, già nella notte fra il 28 ed il 29 luglio una nuova ondata di sabotaggi ha colpito la Francia. Questa volta ad essere tagliate sono state le autostrade digitali di fibra ottica in almeno dieci dipartimenti, a nord e a sud del paese, incrinando così una spina dorsale di internet: ovvero una rete backbone, in questo caso quella dell’operatore di infrastrutture SFR, utilizzata per connettere ad alta velocità di trasmissione molte reti all’interno di una più grande. Per questo motivo questi ultimi sabotaggi hanno avuto conseguenze anche su molti altri operatori delle telecomunicazioni.
Per la segretaria di Stato responsabile del Digitale si è trattato di «azioni vili e irresponsabili», mentre la Federazione Francese delle Telecomunicazioni «condanna fermamente questo caso di vandalismo che colpisce la vita dei francesi, nel momento in cui il mondo intero ha gli occhi puntati verso i Giochi Olimpici e Paraolimpici».

«Nel mondo nuovo l’uso del soma non era un vizio personale; era un’istituzione politica; era l’essenza stessa della Vita, della Libertà e del Perseguimento della Felicità, garantiti dalla Carta dei Diritti. Ma questo preziosissimo fra i privilegi inalienabili dei soggetti era al tempo stesso una delle armi più potenti dell’arsenale del dittatore. Il drogaggio sistematico degli individui per il bene dello Stato (e anche, naturalmente, per il piacere dei singoli) era una piattaforma fondamentale della politica dei Controllori del Mondo»

Se «gli schiavi felici sono i nemici più agguerriti della libertà», è fin troppo chiaro il motivo per cui questa loro felicità vada rovinata. Se le infrastrutture tecniche sparse su tutto il territorio sono i mezzi necessari per diffondere la voce del comando e l’algoritmo dell’obbedienza, è fin troppo esplicita l’urgenza della loro demolizione. Tutto ciò non ha nulla di politico, è vero, ma lasciamo che a battere le strade istituzionali siano i questuanti diritti costituzionali. Tutto ciò non abbisogna di alcun consenso popolare, è vero, basta un po’ di volontà ed il concorso delle stelle.
E non è ciò che resta di meraviglioso?

https://abirato.net/nord-sud-est-ovest/

CREMONA: INFRANTE LE VETRINE DELLA SEDE ELETTORALE DEL CANDIDATO SINDACO DI CENTRODESTRA

Diffondiamo:

Sembra che nella notte tra venerdì e sabato le vetrine della sede elettorale del candidato sindaco del centrodestra di Cremona,  Alessandro Portesani, siano andate in frantumi. Una cloaca che vede riuniti FdI, Forza Italia, Lega, Udc e naturalmente la sua lista civica, Novità a Cremona.

 Secondo i media locali alcuni servi recatisi alla sede sabato mattina con l’intenzione di allestire i propri banchetti di propaganda mortifera, avrebbero trovato il presente. Il Partito Democratico – sempre puntualmente immancabilmente complice – avrebbe fatto sapere: “Tante cose ci dividono ma ci unisce il metodo con il quale facciamo politica, che è quello secondo i principi della nostra costituzione repubblicana antifascista. Oramai non si possono considerare casi isolati gli attacchi ai presidi democratici delle nostre comunità e questo ci deve rafforzare nella convinzione che solo la tolleranza e la solidarietà sono le parole d’ordine per far politica”.

Dovete avere paura.

Complici e solidali con chi agisce 🔥🖤


https://www.cremonaoggi.it/2024/05/18/vandali-in-azione-alla-sede-elettorale-di-portesani-vetrina-distrutta/

CREMONA: CASSONETTO IN FIAMME, VETRINE IMBRATTATE E SCRITTE PER LE STRADE

CREMONA – Ci giunge notizia di un cassonetto andato a fuoco, di vetrine imbrattate e di scritte per le strade. 🔥🖤

“No alle deportazioni di migranti in Albania “25 Aprile non in piazza con gli sbirri”, “Cremona antifascista”.

https://www.laprovinciacr.it/news/cronaca/443238/vetrine-muri-asfalto-imbrattati-in-via-guarneri-del-gesu.html

PARCO DON BOSCO: IL DIAVOLO FA I TAVOLI MA NON LE PANCHE


Riceviamo e diffondiamo questo testo sugli ultimi risvolti al Parco Don Bosco a Bologna.

PARCO DON BOSCO: IL DIAVOLO FA I TAVOLI MA NON LE PANCHE

E come nelle migliori favole bolognesi, oggi sui media mainstream vince l’ipocrisia targata PD.

Il Sindaco Lepore, a nemmeno due giorni dalla brutale aggressione poliziesca al giovane che presidiava il parco, mette in campo le sue armi democratiche invitando il comitato dei cittadini, che attendeva questa possibilità da mesi, al “dialogo”. Parole distensive e tavoli di trattativa in cui sarà presente anche il sedicente “comitato del sì”.

All’indomani del pestaggio e delle taserate notturne, a livello pubblico pare tutto archiviato, quando è evidente che se il parco don Bosco esiste ancora non è perché “ha vinto il dialogo sulla violenza”, ma per la forza e la determinazione con cui nei giorni scorsi una comunità plurale ed eterogenea ha resistito contro la violenza di chi voleva distruggerlo.

Rimangono in secondo piano le responsabilità del Sindaco e della sua giunta, che solo una manciata di ore fa smanganellava per tagliare metà parco, e oggi ne esce quasi come protagonista vittorioso del “dialogo”, mentre Nordio e Piantedosi riempiono le pagine di “conflitto democratico”, “legalità” e “proporzionalità” contro “i violenti”.

Quello che è successo nella notte i giorni scorsi al presidio ci riguarda tuttx: due taserate sui nostri corpi non possono essere acqua passata.

Dopo la sperimentazione avviata a settembre 2018, è dal febbraio del 2022 che la polizia bolognese ha in dotazione la pistola elettrica. Il 10 marzo a Bologna anche al Cas di via Mattei un ragazzo è stato colpito col taser dalle forze dell’ordine.

Persone colpite ripetutamente, cardiopatici, persone fragili rischiano di morire se colpite da queste armi di “deterrenza”. Abbiamo rischiato il morto nella rappresaglia poliziesca dell’altra notte, mentre si blatera di “democrazia”.

Tavoli per distendere la tensione, tavoli per pacificare la rabbia, tavoli per dividere e abbassare la forza di un movimento che sta raccogliendo troppo consenso.

La “partecipazione” svela il suo volto repressivo: se non si sottostà alla progettualità imposta dall’alto si può essere smanganellati e taserati. Lo ha dichiarato il questore Sbordone qualche giorno fa alla stampa: le proteste sono accettabili solo quando sono inefficaci.

Perché non si tratta solo del Parco Don Bosco ma di un intero territorio che subisce da anni e anni la morsa di scelte imposte e non volute: una città sempre più escludente ed esclusiva dove le lotte ecologiste, per la casa e per altri mondi possibili vengono duramente represse, e vivere diventa sempre più difficile per moltx.

Riusciremo a sovvertire finali già visti in città? Di proposte inaccettabili? Di ipotetiche modifiche al progetto che non cambieranno nulla e magari permetteranno all’amministrazione di rivendicarsi anche di averci provato, mentre il parco verrà tagliato?

Alcunx abitantx in lotta

AGGIORNAMENTI SUI FATTI DI MALPENSA

Diffondiamo:

Mercoledì 20 Marzo si è venuti a conoscenza dell’imminente deportazione di Jamal, compagno torinese trattenuto nel CPR di Gradisca d’Isonzo. Appena ricevuta la notizia alcuni compagni e compagne si sono mossi verso l’aeroporto di Milano Malpensa dove i solidali sono riusciti ad accedere alle piste e mettersi davanti all’aereo della Royal Air Maroc diretto a Casablanca, bloccandolo e ritardando la partenza del volo. Si è scoperto in seguito che Jamal era stato portato all’aeroporto di Bologna e da lì deportato in Marocco. Sull’aereo bloccato a Malpensa era comunque presente una persona la cui espulsione è stata probabilmente impedita grazie al blocco dell’aereo e al successivo rifiuto del pilota di eseguire la deportazione.
I compagn sono stat trattenut fino a tarda serata; una compagna è stata poi rilasciata con la denuncia di interruzione di pubblico servizio, gli altri si trovano invece in carcere in attesa della convalida di arresto e sono accusati di resistenza a pubblico ufficiale, interruzione di pubblico servizio e attentato alla sicurezza dei trasporti.
Di fronte alla violenza sistemica della macchina di gestione ed espulsione di persone senza documenti europei, questi momenti di coraggio e determinazione ci ricordano che non è tutto inevitabile e che inceppare il meccanismo è possibile. Se l’obiettivo statale è la normalizzazione delle pratiche di espulsione, l’isolamento e il silenziamento delle proteste e delle rivolte che infiammano i centri di detenzione dal canto nostro non lasceremo solo chi si oppone a ciò  dentro come fuori.

Bloccare le deportazioni è possibile, scendere sulle piste degli aeroporti ancora di più!
Peppe, Josto, Miriam, Elena liberi
Libertà per tutti e tutte!

Per scrivere ai compagni:
Giuseppe Cannizzo
C.C di Busto Arsizio
via Cassano Magnago 102
Busto Arsizio (VA) 21052

Josto Jaris Marino
C.C di Busto Arsizio
via Cassano Magnago 102
Busto Arsizio (VA) 21052

Per scrivere alle compagne:
Elena Micarelli,
C. C. Francesco di Cataldo (San Vittore)
piazza Gaetano Filangieri 2
Milano 20123

Miriam Samite
C. C. Francesco di Cataldo (San Vittore)
piazza Gaetano Filangieri 2
Milano 20123

ROMA: IL CORTEO PER ILARIA E LE ALTRX ANTIFA BLOCCATO PER ORE E CARICATO

Diffondiamo:

“Dall’Ungheria alla Palestina Free Them All: al fianco di Gabri, Ilaria, Tobias e i/le compagn* sotto processo, detenut*, ricarcat* “

Il corteo in solidarietà a Ilaria e a tuttx i/le prigionierx è stato bloccato per circa due ore nei pressi dell’ambasciata dell’Ungheria e poi attaccato con una pesante carica per impedire ai compagnx di raggiungere il corteo per la Palestina. Alle 17.30 il corteo è riuscito a ripartire.

LIBERTÀ PER TUTTX LE ANTIFA!

26 FEBBRAIO – 5 MARZO MOBILITAZIONE IN SOLIDARIETÀ AGLI IMPUTATI/E DEL PROCESSO BRENNERO

Diffondiamo da Abbattere le frontiere:

Il 5 marzo (data da confermare) la Corte di Cassazione si pronuncerà sulle condanne per il secondo troncone del processo per il corteo del Brennero del marzo 2016.

L’abbiamo già scritto tante volte, ma vale la pena ricordarlo: in quegli anni si assisteva allo spostamento dalla rotta mediterranea a quella balcanica e nel 2016, per fermare i migranti che dall’Italia provavano a raggiungere il nord Europa, l’Austria aveva deciso di costruire un muro al passo del Brennero, uno dei più utilizzati.

Il luogo non era certo dei migliori per organizzare un corteo il cui obiettivo era bloccare le vie di comunicazione (“se non passano le persone, non passano nemmeno le merci”), ma in tanti e in tante siamo andate fino al confine, a urlare con slogan e sassi che non avremmo lasciato che il muro venisse costruito impunemente. Nei mesi precedenti e in quelli successivi sono state tante le azioni, più o meno incisive, con cui abbiamo ribadito da che parte stiamo: al fianco di chi sceglie di fuggire da guerre, devastazioni ambientali e povertà.

L’Austria ha poi rinunciato a costruire il muro, ma l’attraversamento delle frontiere è diventato di anno in anno più difficile e letale.

Oggi, con la guerra in Ucraina e il massacro in atto in Palestina, il nesso tra guerra e frontiere è più evidente che mai e purtroppo il significato di quella giornata di lotta è sempre più attuale.
La guerra parte da qui: dai laboratori, dalle industrie, dalle università della Fortezza Europa.
Oggi come allora ci sono cose che ci risultano inaccettabili e abbiamo l’esigenza quasi fisica di palesarlo: come era scritto nel testo di indizione del corteo “Provare ad abbattere le frontiere è anche un impegno a non accettare l’inaccettabile. Un esercizio di etica del linguaggio, una pratica di libertà, un incontro possibile tra compagni di rotta”.

I più di 130 anni di carcere con cui lo Stato vuole mettere a tacere questo slancio di solidarietà non sono un peso solo per coloro che potrebbero vedere le loro condanne confermate il marzo prossimo. Sono un’ipoteca sulla possibilità collettiva di lottare, non perché smetteremo di farlo, ma perché quando il prezzo da pagare si alza sono meno le persone disposte a rischiare e questo costituisce un pericolo per la libertà di tutti e tutte.

L’unico modo per non farci schiacciare è continuare a tenere la testa alta, a dire forte e chiaro quello che pensiamo e a comportarci di conseguenza.

Intrecciare legami di solidarietà con coloro con cui condividiamo le lotte e con coloro sui quali più pesano le conseguenze del capitalismo.

Sabotare i piani di chi è disposto a uccidere e sfruttare altri esseri umani e devastare il mondo in cui viviamo, spesso senza nemmeno sporcarsi le mani, solo per mantenere in vita un sistema mortifero.

Facciamo capire chiaramente che non ci faremo spaventare dalle loro condanne, che le ragioni di quella lotta sono ancora le nostre, che non riusciranno mai a metterci a tacere perché oggi lottare è un’esigenza imprescindibile.

Che vogliamo restare umani.

Sono tanti i modi per declinare la solidarietà a chi era al Brennero quel 7 maggio: la lotta contro le frontiere è lotta contro la guerra.

Dal 26 febbraio al 5 marzo facciamo capire che chi lotta non è mai solo/a!

 

OGNI CUORE É UNA BOMBA A OROLOGERIA

Estratti dal libro “Rote Zora. Guerriglia urbana femminista”  …e un augurio di buon anno nuovo, dalle Brughiere! 🔥🧨

OGNI CUORE É UNA BOMBA A OROLOGERIA

Da sempre le donne hanno combattuto nei gruppi armati, tuttavia la loro partecipazione alla lotta è stata spesso taciuta. Ma i tempi cambiano e, ormai, la partecipazione delle donne alla guerriglia è diventata talmente importante da non poter essere più occultata. Anche la divisione del lavoro secondo la quale le donne si occupano dei compiti relativi all’infrastruttura, mentre gli uomini portano a termine le azioni, è stata superata. I gruppi sovversivi di donne come le Rote Zora sono ancora pochi, ma anche questo cambierà! […]

Le donne sono esposte a ogni livello di violenza: alla violenza indiretta e strutturale di questo sistema sociale che blocca ogni altra possibilità di vita, e ai rapporti di violenza brutale, diretta e personale esercitati dagli uomini. Nel corso degli ultimi anni, abbiamo assistito all’aumento delle violenze contro le donne dei paesi dove la parità dei diritti è riconosciuta formalmente e giuridicamente. Le donne vivono la violenza quotidianamente, sotto forme diverse e su più livelli. Vengono umiliate, sminuite, picchiate, stuprate. Nella RFT ogni 15 minuti una donna viene stuprata! Il 50% delle donne vengono violentate da uomini che conoscono. Ogni anno nella RFT 4 milioni di donne sono maltrattate dai loro mariti! La violenza strutturale è determinata dai maltrattamenti delle donne in seno alla famiglia, dallo stupro, dalla minaccia di stupro e dalla spettacolarizzazione della violenza sulle donne nei media, nella pubblicità e nell’industria della cultura. Comprendere che la violenza contro le donne non è un’eccezione ma un principio generale del dominio maschile, ha permesso di riconoscere quanto la lotta alla violenza sessista vissuta personalmente sia indissociabile dalla lotta contro ogni violenza del sistema. […]

SOTTO L’IMPOTENZA SI NASCONDE LA VIGLIACCHERIA

Ogni donna che ha già tirato una pietra, che non è scappata quando degli uomini l’hanno importunata, ma al contrario ha risposto, potrà condividere il sentimento di liberazione che abbiamo provato quando abbiamo messo una bomba davanti al tribunale costituzionale federale in occasione della decisione relativa all’articolo 218. Nella nostra società la liberazione ha a che fare con la distruzione, distruzione delle strutture che vogliono incatenarci al ruolo di donna. Non riusciremo ad annientare queste strutture finchè non attaccheremo i rapporti che ci vogliono distruggere. Attacchiamoli nelle forme più diverse, ma sempre a partire dal nostro inconciliabile odio per questa società.

ORDIGNO ESPLOSIVO ALLA CORTE COSTITUZIONALE FEDERALE. 4 MARZO 1975, KARLSRUHE

Le Donne delle Cellule Rivoluzionarie hanno compiuto un attacco contro la Corte Costituzionale il 4 marzo 1975. Non per “difendere la Costituzione della Corte Costituzionale” come sostiene il signor Abendroth, ma per difendere noi stesse da questa Costituzione, che fornisce un quadro legale allo sfruttamento quotidiano, all’infiacchimento e al logoramento psichico di milioni di donne e uomini. Una Costituzione che costringe all’illegalità le donne, e molte le uccide quando non lasciano decidere alla mafia dei medici e dei giudici sulla propria sessualità, l’uso del proprio corpo, il numero dei propri figli. Noi non ci uniamo al lamento di coloro che si dolgono perché la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale una legge votata democraticamente dal Parlamento, in quanto non c’è una differenza sostanziale quando 6 o 600 stronzi dettano le condizioni di vita a 60 milioni di persone. Noi facciamo però distinzioni molto nette, nelle attuali condizioni, tra le leggi più o meno dannose nei confronti del popolo, che questo pugno di servi del capitale, pagati con i soldi delle tasse, emana contro di noi. La sentenza terroristica della Corte Costituzionale, che ribadisce essere giusto e legale il divieto di abortire secondo il famigerato “statuto liberal-democratico”, è così intollerabile, per il disprezzo e l’annientamento delle donne che presuppone, che noi la combatteremo con tutti i mezzi possibili. […]
L’articolo 218 non impedisce alcun aborto e questo lo sanno anche coloro che per il suo mantenimento tirano in ballo Dio e gli sbirri.

Lo sanno:
– I tribunali, per i quali da sempre l’assassinio di una donna che si ribella conta meno di quello di un porco oppressore. Siamo solidali con tutte le donne che si liberano dei loro oppressori.
– Le chiese, che nella loro millenaria storia hanno perpetuato la loro struttura fascista, secondo cui le donne non sono persone, ma madri o puttane, “santificate” o punite per la loro sessualità attraverso la gravidanza, poiché sanno bene che è la paura a riempire le loro chiese. Non abbiamo dimenticato che le chiese hanno messo al rogo le nostre sorelle femministe nel medioevo. Noi donne non dobbiamo più andare nelle chiese se non per sconsacrare questi covi di sessismo, per esempio attraverso scritte murali, slogan urlati in coro durante le funzioni, petardi e bombe fumogene… e per dare pubblicamente aria alle tonache ammuffite di preti e cardinali.
– i medici, che tengono per sé sia le loro conoscenze mediche che le loro mancate conoscenze per continuare il loro sfruttamento dell’utero. I quali umiliano e ricattano le donne in cerca di aiuto e anche se le aiutano usano per lo più il metodo pericoloso, sorpassato e brutale del raschiamento, rifiutando di imparare a praticare il sistema innocuo dell’aspirazione. Additiamo pubblicamente questi porci, scriviamolo sulle loro macchine, sulle loro ville. […]

Verrà il giorno in cui le donne si ribelleranno… ma solo se iniziamo oggi!

 


L’anno scorso… https://brughiere.noblogs.org/post/2022/12/29/estratti-dal-libro-di-mau-quelli-erano-i-tempi/

UDIENZA D’APPELLO OPERAZIONE SENZA NOME

Diffondiamo

Oggi, lunedì 23 ottobre, si è tenuta l’udienza di appello dell’operazione cosiddetta “senza nome”. Agnese era accusata di aver favorito la latitanza di Juan e di fabbricazione di documenti falsi. Massimo di estorsione per aver chiesto ad una radio locale la lettura di un testo sulle morti in carcere del marzo 2020. Juan invece di un attacco al Tribunale di Sorveglianza di Trento del 2014.
Questo l’esito della sentenza:
Agnese è stata condannata per il solo favoreggiamento a 8 mesi. La pena in primo grado era di due anni.
Massimo è stato condannato a 6 mesi per violenza privata, in primo grado invece aveva ricevuto una pena ad un anno e un mese per estorsione.
Juan, con nostra grande gioia, è stato assolto.

Sempre avanti, per la libertà!
JUAN LIBERO, STECCO LIBERO, NASCI LIBERO!
Tutti liberi, tutte libere!

SENTENZA D’APPELLO PROCESSO BRENNERO

Da La Nemesi

Il 17 marzo, presso il tribunale di Bolzano, è stata emessa la sentenza d’appello del processo per la manifestazione contro le frontiere del maggio 2016 al Brennero.

Se c’è stato un generale abbassamento delle pene (da 150 a 123 anni complessivi, con 8 assoluzioni per avvenuta prescrizione del reato), il bilancio è comunque pesante (teniamo presente che il processo era in abbreviato). 28 tra compagne e compagni hanno ricevuto pene sopra i 2 anni, mentre 5 compagni hanno preso più di 4 anni (la condanna più alta è stata a 5 anni e 1 mese di carcere) per concorso in resistenza aggravata, violenza privata, lesioni ecc. Non ha retto, come già in primo grado, l’accusa di devastazione e saccheggio.

Altro elemento significativo è che il giudice ha negato a tutte e tutti coloro che ne hanno fatto richiesta la possibilità di accedere alla cosiddetta riforma Cartabia. Benché la data della sentenza fosse stata rinviata formalmente per consentire a imputati e imputate di ricorrere alla nuova legge, la richiesta di accedervi è stata negata con il pretesto dei precedenti penali e della “pericolosità sociale” di imputate e imputati. Ma c’è un dato ancora più emblematico: l’argomento principale per il rigetto delle “pene sostitutive” è stata la mancata abiura delle proprie condotte da parte degli imputati. La natura sempre più apertamente premiale delle sentenze non vale solo per la magistratura di sorveglianza, ma anche per i tribunali ordinari. A fare la differenza sul tipo di pena non è tanto il reato in sé, ma il “ravvedimento” o meno dell’accusato.

Per più di 30 imputati e imputate, quindi, potrebbero aprirsi in futuro le porte del carcere.

Questa sentenza non fa che prolungare la violenza strutturale del razzismo di Stato, quell’insieme di leggi, pratiche neocoloniali, detenzione amministrativa e dispositivi polizieschi che producono stragi, morti in serie e un’umanità costretta in condizioni di semi-schiavitù. Dalla raccolta nei campi ai tanti settori dell’“economia informale”, dal ricatto del permesso di soggiorno – che pesa sulla logistica, sull’edilizia, sulla ristorazione, sui “lavori di cura”… – al grasso mercato degli affitti in nero, il terrore esercitato dalle frontiere è parte strategica quanto innominabile dello sfruttamento capitalistico.

123 anni di carcere per un corteo ci dicono in modo plateale che siamo in guerra, che i margini del dissenso consentito si restringono e che il conflitto non negoziato è una diserzione dal fronte da punire in modo esemplare.

Il muro anti-immigrati al Brennero – che la polizia austriaca aveva definito una mera “soluzione tecnica”… – non è stato costruito. Forse grazie anche a chi quel 7 maggio 2016 si è battuto con generosità e coraggio.

Solidarietà alle compagne e ai compagni condannati.