MILANO: TOUT LE MONDE DÉTESTE LA POLICE

Da Galipettes Milano

Domenica notte Ramy Elgaml muore dopo esser caduto dallo scooter su cui viaggiava con un amico inseguiti dai carabinieri per diversi chilometri.
Ramy era un ragazzo di 19 anni che viveva in Corvetto.
Da quando si è saputo della sua morte  numerosi ragazzi e ragazze, suoi amici e amiche, si sono trovati in strada sul luogo dello schianto, accanto alla sua famiglia.
Presto il dolore per la sua morte si è trasformato in rabbia e sete di verità rispetto all’accaduto.
La notte fra domenica e lunedì ci sono stati momenti di scontro con le forze dell’ordine nelle strade del quartiere popolare in cui abitava dove qualcuno aveva iniziato ad incendiare cassonetti e rifiuti.
Anche lunedì sera, per qualche ora la normalità si è fermata e al suo posto sono comparse barricate incendiate e gruppi di persone che si scontravano con la polizia che ha risposto lanciando numerosi lacrimogeni nel tentativo di disperdere la gente che invece non si è lasciata intimorire.
La morte di Ramy è probabilmente la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Chi viene dai quartieri popolari ha a che fare con la polizia tutti i giorni, per un motivo o per un altro. Conosce l’arroganza e la violenza degli sbirri e sa bene cosa significa un fermo di polizia.

Ed è così che la rabbia aumenta.

Alla fine di lunedì sera un ragazzo di 21 anni è stato arrestato e portato a San Vittore mentre a Corvetto restano la collera e la plastica sciolta dei cassonetti sull’asfalto.
Ramy vivrà nei cuori della sua famiglia e dei suoi amici, nella rabbia che incendierà le strade

Fuori gli sbirri dai quartieri.
Libertà per tutti e tutte.

MILANO: NOTTE DI RIVOLTA AL CORVETTO DOPO LA MORTE DEL 19ENNE RAMY ELGAML

Milano. Accertamenti in corso sul possibile impatto tra l’auto dei carabinieri e lo scooter con a bordo i due giovani che, nella notte tra sabato e domenica, si è schiantato contro un muretto in via Quaranta, zona viale Ripamonti, dopo un inseguimento durato diversi chilometri, pare per un mancato fermo. Così è morto Ramy Elgaml, ragazzo di origini egiziane di 19 anni, mentre un amico, alla guida, è rimasto ferito e ora è piantonato in ospedale.

La mossa della Procura segue le denunce di amici e famigliari, che dietro lo striscione “Verità per Ramy” si sono ritrovati a centinaia già domenica nel luogo dell’incidente.

Lunedì sera, 25 novembre, altre proteste e scontri di piazza, stavolta al Corvetto, il quartiere del giovane, con petardi, cassonetti in fiamme, estintori aperti in strada, un bus – il 93 – bloccato. Ci sono state anche diverse cariche della polizia, arrivata con i reparti in antisommossa, con manganelli e lacrimogeni, in viale Omero. Arrestato un 21enne, accusato di resistenza e lancio di oggetti.

La corrispondenza su Radio Onda d’Urto Alfredo, compagno e storico residente nel quartiere Corvetto di Milano. Ascolta o scarica

Le riflessioni di Stefano Nutini, della Rete per il diritto all’abitare e di Rifondazione comunista Zona 4 di Milano sull’abbandono delle politiche abitative e sociali in questi quartieri popolari Ascolta o scarica

BULGARIA: SOLIDARIETÀ ALLE PROTESTE IN CORSO NEI LAGER PER PERSONE IN TRANSITO

Diffondiamo

Domenica scorsa, per la prima volta dopo anni, un nutrito presidio davanti al centro di detenzione di Sofia-Busmantsi ha rotto per un pomeriggio l’isolamento dei e delle detenute immigrate che lì sono recluse. Nonostante i tentativi delle guardie di tenere lontane le persone dalle finestre e i trasferimenti di prima mattina per svuotare le stanze da cui si sarebbe più facilmente potuto comunicare con l’esterno, da dentro hanno potuto sentirci, seguirci e contattarci. E’ stata una boccata d’aria fresca nel soffocante silenzio che circonda i lager bulgari per persone immigrate, di cui solo ora si inizia a parlare, grazie alle lotte da dentro e alla solidarietà da fuori.

Il presidio è stato organizzato in solidarietà alle numerose proteste nei centri di detenzione e di accoglienza bulgari dell’ultimo mese. A Busmantsi (il centro di detenzione nella periferia della capitale), le persone hanno protestato contro nuove arbitrarie restrizioni sulle visite e sui pacchi e si sono rifiutate per qualche ora di entrare nelle loro stanze in segno di protesta. Nei giorni successivi, a molte persone sono stati sequestrati i telefoni cellulari (che possono regolarmente avere, a patto che siano senza fotocamera).
Nel centro di accoglienza di Harmanli, che si trova nel sud del paese e vicino al confine con la Turchia, i rifugiati siriani stanno protestando da settimane contro i respingimenti di massa delle loro richiesta di asilo. Nel centro ci sono attualmente circa 900-1000 persone che, dopo aver fatto richiesta di asilo, sono in attesa dei colloqui e di ricevere una decisione sulla loro domanda. Tra settembre e ottobre però sono state respinte la maggior parte delle richieste asilo degli uomini soli. Solo le famiglie continuano (a stento) a ricevere la protezione internazionale. Il 18 ottobre hanno iniziato una protesta e dichiarato uno sciopero della fame.
La risposta dell’amministrazione è stata che ora la Siria è un Paese sicuro, con riferimento al fatto che chi fugge dai bombardamenti israeliani nel sud del Libano si rifugia in Siria. Questa logica perversa e nuova preoccupante tendenza non è ovviamente solo una sadica invenzione dell’Agenzia di Stato bulgara per i rifugiati: negli ultimi anni anche altri Paesi europei stanno iniziando a respingere chi proviene dalla Siria come già fanno sistematicamente con le persone provenienti da altre aree devastate dalla guerra.

Da Busmantsi ci è invece arrivata una lettera aperta che recita: “76 siriani, tra cui 8 bambini, stanno soffrendo condizioni dure durante la loro detenzione a Sofia. Sono state date loro due opzioni: Un anno e mezzo di prigione per aver minacciato la sicurezza nazionale della Bulgaria, oppure firmare un ordine di deportazione in Siria. Un rappresentante dell’ambasciata siriana li ha già visitati minacciando di deportarli entro 21 giorni una volta che il numero di persone che accettano di essere deportate sarà pieno *(probabilmente, quando ci saranno abbastanza persone per organizzare una deportazione di massa)*.
I rifugiati vivono in condizioni di vita difficili, non hanno accesso alle cure mediche e si vedono negare le più elementari necessità della vita quotidiana. Sono sfruttati dalle guardie del campo, perché sono costretti a pagare grandi somme di denaro per piccole quantità di cibo; pagano fino a 100 euro per una piccola quantità di verdure”. Notizie simili ci arrivano dall’altro centro di detenzione bulgaro, a Lyubimets.

Le terribili condizioni di vita all’interno dei campi aperti e chiusi per migranti in Bulgaria sono oggetto di rapporti e dibattiti a livello europeo da anni ormai.

A settembre, una delegazione del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) del Consiglio d’Europa ha effettuato una visita ad hoc in Bulgaria, a causa delle preoccupazioni “legate alle inadeguate condizioni materiali, alle attività e all’assistenza sanitaria, nonché alla mancanza di informazioni sui diritti e di accesso all’interpretazione”.

Non abbiamo bisogno di queste inutili mascherate, che fanno finta che ci sia uno standard da raggiungere, affinché le persone in questi lager possano vivere decentemente. Al presidio è stato gridato in ogni lingua: i centri di Busmantsi e Lyubimets non sono “Case speciali per la sistemazione temporanea degli stranieri”. Sono prigioni a tutti gli effetti, il cui scopo è controllare, reprimere e sfruttare le persone immigrate in transito in Bulgaria.
Ne è dimostrazione il fatto che una parte delle persone è detenuta con l’accusa di costituire una “minaccia alla sicurezza nazionale”. Questo è il pretesto per detenere ed espellere gli individui scomodi, come molti curdi provenienti dalla Turchia e ricercati dal regime di Erdogan, o i dissidenti politici in fuga da Iran, Bielorussia, Russia. C’è anche chi, come il nostro amico Nidal Hassan, è sopravvissuto al genocidio in corso a Gaza e ora si trova detenuto in Europa. Lo stesso pretesto con cui il nostro compagno e dissidente saudita Abdulrahman Al-Khalidi è detenuto da quattro anni. Quattro anni di ricorsi e tribunali per ricevere la protezione internazionale che non arriva mai a causa delle pressioni dell’Arabia Saudita, che ne chiede l’estradizione per poterlo punire per i suoi crimini d’opinione contro il regime.

Anche la criminalizzazione delle persone immigrate è una politica a impronta UE che lo Stato bulgaro applica con zelo, senza preoccuparsi troppo delle superficiali accuse di non rispettare le convenzioni sui diritti umani. Era la moneta di scambio per entrare nell’UE e ora per entrare nell’area Schengen. Di conseguenza, la detenzione amministrativa assume tutte le forme di quella penale. Formalmente è una detenzione temporanea finalizzata all’identificazione e all’espulsione. In realtà, è una punizione.
Non vogliamo rimanere in silenzio di fronte a questa vergogna, come fanno tutti i media mainstream in questo Paese. Continueremo a sostenere le spinte verso la libertà di chi sta fuori e dentro i centri di detenzione e di accoglienza, alle frontiere e per le strade delle nostre città.

MACOMER: BELLO COME UN CPR CHE BRUCIA

Diffondiamo questo resoconto di un saluto al CPR di Macomer, ostacolato dalle guardie e conclusosi con le notifiche di denunce e fogli di via allx compagnx:

Domenica 17 novembre ci siamo recati ancora una volta al CPR di Macomer per portare solidarietà ai prigionieri e per tentare di comunicare con loro. Il sentiero carrabile che si affaccia sulla struttura e che normalmente utilizziamo per fare i saluti, contrariamente ad altre volte era presidiato da una jeep dei carabinieri. Tuttavia, senza fatica siamo riusciti ad eludere la sorveglianza sino a giungere nel punto stabilito dove abbiamo montato casse e microfono mettendo musica, facendo interventi e urlando cori. Per la prima volta dopo due anni di visite costanti, non c’è stata nessuna risposta, né un urlo, né un fischio, niente di niente. Un silenzio tombale che stride moltissimo con le rumorosissime e talora “focose” risposte che abbiamo avuto altre volte. Come consuetudine passati una ventina di minuti arrivano quattro pattuglie di sbirri (polizia e carabinieri) che ci intimano di andarcene. Dopo i controlli di rito e dei momenti di tensione, per gli atteggiamenti provocatori degli sbirri, prima di lasciarci andare ci hanno notificato altri fogli di via da Macomer e denunce per un’altra iniziativa, effettuata il 2 giugno, fuori dal carcere di Badu ‘e Carros. Ci siamo allontanati rimandando ai prigionieri tutta la nostra solidarietà e vicinanza, ricordando agli sbirri che non ci fermeranno quattro notifiche, denunce e fogli di via e che torneremo molto presto e in molti di più fuori da quel lager di merda. A tal proposito, la sera dello stesso giorno siamo stati a Nuoro, dove c’è la questura che ha emesso i fogli di via e gli avvisi orali. Nuoro è una piccola città fortemente militarizzata e repressa, solitamente la sera si contano più pattuglie che persone per strada. Però quel giorno la città era animata in occasione della manifestazione “Autunno in Barbagia”. Ne abbiamo approfittato facendo un volantinaggio, per ribadire che nonostante le minacce del questore Polverino non lasceremo nel silenzio la rivolta dentro il CPR (lasciamo il volantino a fine testo).

Siamo rammaricati per non avere ricevuto risposta da dentro e non capire il perché questo sia accaduto. Ci chiediamo se si sia innalzato il livello di repressione all’interno della struttura con il cambio di gestione e/o come conseguenza delle ultime proteste o se si sia verificato qualcos’altro che non riusciamo ancora a spiegarci. Intanto tentiamo di muoverci nelle strade e nei centri della Sardegna per cercare di evitare che altri migranti, sfruttati nelle campagne e nell’industria turistica, ma privi di documenti, vengano prelevati da qualche pattuglia per essere ingoiati nel nulla del lager di Macomer.

Cerchiamo di mettere un po’ di sabbia nella macchina razzista e coloniale dello Stato, a fuoco le galere.

Qui il volantino diffuso a Nuoro:

BELLO-COME-UN-CPR-CHE-BRUCIA-1

 

PALERMO/POLIZZI GENEROSA: DISERTARE! DUE GIORNI CONTRO L’IDEOLOGIA DEMOCRATICA E LA GUERRA DEGLI STATI

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DISERTARE! DUE GIORNI CONTRO L’IDEOLOGIA DEMOCRATICA E LA GUERRA DEGLI STATI

Dalla guerra per procura fra Nato e Russia sul suolo ucraino al genocidio portato avanti da Israele a Gaza, uno scontro diretto per l’egemonia geopolitica gra le maggiori potenze si fa una possibilità sempre meno virtuale. In questo quadro, la mobilitazione ideologica alla guerra in difesa della democrazia e dell’occidente si è messa in moto, preparando il campo a quella “reale” che ci vorrebbe trasformare tutti/e in carne da cannone per gli interessi di Stati e padroni: come resistere alla prima per non farsi trovare impreparati dalla seconda?

23 NOVEMBRE
VIA CARRETTIERI 14 (PALERMO)
CONTRO LA DEMOCRAZIA. DISERTIAMO LA MOBILITAZIONE ALLA GUERRA! H 19:30
Da Israele come faro per le democrazie occidentali, al popolo palestinese come cavia su cui sperimentare i dispositivi repressivi dello stato da applicare anche in occidente. Ne parleremo con i redattori e le redattrici dell’opuscolo “Democrazie reali. Israele come modello della nuova modernità per un occidente sempre più in crisi”
H 19:30 CIBO BIRRETTE E DISTRO/ H 21:00 DISCUSSIONE

24 NOVEMBRE
ALAVO’, LABORATORIO PER L’AUTOGESTIONE, VIA DUCA LANCIA DI BROLO (POLIZZI)
CONTRO LA GUERRA DEGLI STATI CONTRO IL GENOCIDIO: NON SI PARTE!H 17:00
Dal movimento siciliano “Non si parte!” ad oggi, sui sentieri della diserzione: ne parliamo con Letizia Giarratana e Pippo Gurrieri delle edizioni “la Fiaccola – Sicilia punto L” (Ragusa). A seguire piccola mangiata popolare

RIVOLTA NEL CPR DI TRAPANI MILO

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Dai media apprendiamo della rivolta avvenuta sabato scorso nel CPR Trapani Milo. Tutti gli articoli riportano la stessa velina diffusa da un sindacato di polizia, che racconta di una perquisizione nel CPR, contrastata dalle persone recluse, con lanci di oggetti e danneggiamenti. Sarebbe intervenuto il reparto celere di Palermo, che ha arrestato due persone. Il CPR di Trapani era stato chiuso nello scorso gennaio grazie alle continue rivolte che avevano reso inservibile il 90% della struttura. Da circa un mese è stato riaperto, per recludere anche persone appena sbarcate in Italia, sottoposte alle procedure accelerate di frontiera, le stesse recentemente applicate nei lager in Albania, che prevedono l’esame rapido delle domande d’asilo, la detenzione amministrativa e la deportazione per chi proviene da paesi, come la Tunisia e l’Egitto, considerati “sicuri”, come era avvenuto il 15 ottobre scorso per 22 persone sbarcate a Marsala.

A differenza di quanto avvenuto ultimamente in Albania, per il lager di Trapani non si hanno notizie di ispezioni di garanti, parlamentari e associazioni, né di critiche per queste detenzioni illegittime secondo le leggi europee. Nessuno sembra interessarsi alle condizioni delle persone recluse, che invece coraggiosamente continuano a lottare contro l’orrore di questi campi di concentramento.

PERCHÈ CI SCUSIAMO CONTINUAMENTE PARLANDO DI AZIONI E PRATICHE “NONVIOLENTE”, QUANDO È LO STATO CHE ESERCITA LA VIOLENZA IN FORMA SISTEMATICA SU DI NOI?

Traduciamo e diffondiamo (da Bella Praxis)

Perché ci scusiamo continuamente parlando di azioni e pratiche “non-violente”, quando è lo Stato che esercita la violenza in forma sistematica su di noi?

Da qualche tempo a questa parte, la ripetizione da parte dei mass-media di termini come “terrorismo” o “violenti” è riuscita a farci mettere al centro del dibattito l’uso della (non)violenza. Come se dovessimo dissociarci da qualcosa che praticamente non esiste, e quando si manifesta, lo fa a livelli bassissimi e in forma quasi aneddotica.

In questo modo, contribuiamo a generare un discorso contro l’autodifesa, dando per scontata l’idea secondo cui tutte le violenze sono uguali e cadendo in semplicismi del tipo “se rispondi, sei come loro” o “se rispondi, passi dalla parte del torto”, senza analizzare da dove viene quella violenza né verso dove è diretta.

Perché, cos’è la violenza? Senza dubbio, è un concetto difficile da definire. Potremmo dire che è ciò che non rientra dentro il socialmente accettato o dentro il “senso comune” (il quale cambia secondo i luoghi e i tempi). Gettare vernice lavabile su un vetro è violenza? Che il diritto alla casa sia una mera illusione per la maggior parte della popolazione è violenza?

Il controllo e la pacificazione della società crescono ogni giorno di più. Ci trasforma in persone incapaci di agire da sole di fronte a qualsiasi tipo di conflitto, lasciando in mani altrui le nostre vite.

Per questo, crediamo che quando la violenza viene esercitata sistematicamente dall’alto verso il basso, l’autodifesa non solo è legittima, ma è anche una responsabilità collettiva, perché non rispondere alle loro violenze significa permetterle, ignorarle e perpetuare l’oppressione sui più deboli.

Così, potremmo dire che, molte volte, decidere di rispondere o meno è una questione legata al privilegio che dipende dal livello di violenza che si subisce. Siamo consapevoli, d’altra parte, che il livello di coinvolgimento e di risposta, così come la situazione e le condizioni di ogni persona, sono diversi e non devono essere sottovalutati.

Un’altra questione sarebbe il dibattito su quando l’autodifesa può esserci utile o meno a livello strategico, tenendo conto di tutte le sue conseguenze. Ma quello che qui vogliamo affrontare è l’opzione di poter proporre l’autodifesa come strumento legittimo, nonostante non sia una cosa bella o facile da fare per nessuno e comporti giocare d’azzardo con la repressione, o possa non essere vista di buon occhio dalla maggior parte della società.

Sembra che il mantra del “non serve a niente” vada di moda. Sarebbe assurdo ignorare come la risposta attiva sia stata decisiva nel corso della storia in termini di cambiamenti e conquiste sociali. I potenti cedono solo quando vedono vacillare i loro privilegi; senza una vera pressione, il potere rimane statico. Perlomeno, forse è giunto il momento di essere solidali con coloro che “stanno al gioco” e di smettere di puntare il dito e criminalizzare lx nostrx compagnx.

Yesenia Zamudio ha riassunto bene queste idee: “Chi vuole rompere, che rompa, chi vuole bruciare, che bruci, e chi non vuole, deve stare fuori dai piedi”. In un mondo ingiusto e diseguale, dove la pace non esiste, saranno sempre le stesse persone a subire questa violenza?

TORINO: AUTODIFESA ANTIPSICHIATRICA

Riceviamo e diffondiamo

TORINO sabato 23 novembre ore 18:30
a Radio BLACKOUT via Cecchi 21/a

AUTODIFESA ANTIPSICHIATRICA
vol II – Autodifesa dal TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

a cura di Ricongiunzioni – Mezcal squat – Collettivo antipsichiatrico Antonin Artaud (Pisa)

FORLÌ: PRESENTAZIONE DELL’OPUSCOLO “DEMOCRAZIE REALI. ISRAELE COME LABORATORIO E MODELLO DELLA NUOVA MODERNITÀ PER UN OCCIDENTE SEMPRE PIÙ IN CRISI”

Diffondiamo

Giovedì 21 novembre, presso il circolo Asyoli (corso Garibaldi 280,
Forlì)

alle ore 18:30 incontro con alcunx autorx dell’opuscolo
“Democrazie Reali”, un dossier che parte dall’assunto che, no, non c’è nessuna incompatibilità con la democrazia tra Stato sionista d’Israele, la sua occupazione coloniale della palestina (e del Libano ora) e le pratiche genocidiarie che sta attuando, come non c’è incompatibilità con la sua struttura di società-carcere hi-tech. Anzi. Lx autorx dell’opuscolo mostrano come la maggioranza delle democrazie occidentali siano già ben avviate sulla strada di una “israelianizzazione” dei propri assetti.

Ne Parliamo con alcunx autorx.

A seguire buffet vegan!!

(come sempre ci sarà del materiale informativo di critica radicale
all’esistente)

– Collettivo Samara –

BENTIVOGLIO (BO): CHIACCHIERE APERTE E RIFLESSIONI SU ALLUVIONI IN ROMAGNA, SFRUTTAMENTO DEL SUOLO E ALLEVAMENTO

Diffondiamo

14/10, al Brigata Bestiale (rifugio per animali nei pressi di Bologna)

dalle 19:00
cena buffet vegan benefit “cassabbestia” (un progetto di mutuo aiuto per animali che vivono nelle nostre comunità umane e che non necessariamnete hanno umani di riferimento che si possano accollare le spese mediche derivanti dalla vita in questa società!)

a seguire chiacchierata/discussione sulle consueguenze che ha avuto nelle alluvioni in Emilia Romagna degli ultimi due anni il consumo di suolo legato agli allevamenti!