PARMA: STREET RAVE PARADE [6 APRILE 2024]

Diffondiamo:

Il 6 aprile alle 13:12 a Parma: street rave parade 🔥

Sabato 6 aprile a Parma confluiremo nelle strade per riappropriarci di spazi in cui sperimentare nuove forme di socialità libere da sfruttamento e mercificazione. Attraverseremo la nostra città a suon di musica per esprimere il nostro dissenso nei confronti di una realtà sempre più soffocante, autoritaria, militarizzata, bigotta, alienante e insostenibile economicamente. Scenderemo in strada contro un modello di sviluppo insensato, contro ogni galera, frontiera, guerra e discriminazione razziale, di genere e di specie. Solidali e complici con chiunque lotti contro ogni forma di autorità e oppressione, balleremo per la costruzione di nuovi mondi in una prospettiva anticapitalista, ecologista e transfemminista radicale. Faremo bordello per farla finita con un presente in macerie fatto di miseria e repressione, e una realtà in cui nel nome del decoro e di una versione pervertita della sicurezza e della salute, ci sono fioriere che valgono più delle vite umane.

Siamo un insieme di individualità e collettivi che animano la vita sociale, politica e culturale di questa città. Ci siamo incontratx perché crediamo nella potenza dell’interconnessione dei percorsi e della trasversalità delle lotte.

Se anche a te questo mondo ti sta stretto e senti l’esigenza di esprimere la tua creatività per costruire un qualcosa di diverso, partecipa in prima persona alla costruzione di questo nuovo esperimento di liberazione dello spazio e dei corpi.

Nei nostri cuori portiamo un nuovo mondo che viene.

Per info: parmesanparade@bastardi.net
Canale telegram https://t.me/+smg7gLBT2dcwZmM0

ORA COME ALLORA

Riceviamo e diffondiamo un testo in solidarietà ai condannati/e del Brennero da Udine.

Il 7 maggio del 2016 un corteo di diverse centinaia di persone si batte per diverse ore al passo del Brennero bloccando autostrada e ferrovia per più di mezza giornata, in risposta alla proclamata intenzione del governo austriaco di costruire un muro anti-immigrati alla frontiera italo-austriaca con la complicità dell’Italia.
Lo Stato decise di processare per quella giornata in totale più di 120 compagni e compagne. La sentenza d’appello ha alla fine condannato 63 di loro a più di 125 anni di carcere. Qualora le condanne fossero confermate in Cassazione, il 5 marzo prossimo, una trentina tra compagne e compagni potrebbero finire in carcere, molti altri e altre ai domiciliari.

Erano gli anni in cui il governo italiano di centro-sinistra iniziava a pagare i signori della guerra libici e le loro milizie di assassini per il blocco e l’internamento nei lager libici di centinaia di migliaia di donne e uomini in fuga da comunità e territori devastati dal colonialismo occidentale e il Mediterraneo diventava un cimitero sempre più vasto; in cui i Balcani ridiventavano costante luogo di transito verso l’Europa, con quella che venne definita rotta balcanica; in cui, all’interno dei confini nazionali, con i “pacchetti sicurezza” Minniti e Salvini lo Stato e il capitale nostrano imprimevano un’ulteriore accelerata – all’interno di una generale continuità inaugurata già molti anni prima – alla guerra ai poveri, ai marginali, ai devianti, ai ribelli, a chi non può o non vuole piegarsi ai ricatti dello sfruttamento, del decoro, del lavoro salariato, della repressione.
Da quei giorni le cose non sono certo migliorate, anzi. Chi cerca di fare ingresso nella fortezza Europa dopo aver affrontato il deserto e i lager libici, o i campi, le deportazioni e i pestaggi delle polizie balcaniche, francesi o ungheresi viene lasciato deliberatamente affogare in mare o morire di freddo in montagna o per strada.
Il genocidio portato avanti (col fondamentale supporto degli alleati occidentali) dallo Stato sionista di Israele verso la popolazione palestinese a Gaza e in Cisgiordania, la guerra tra la Nato e la Federazione Russa in Ucraina generano profitti enormi per l’industria militare e per il comparto della ricerca al servizio dello sviluppo e del rinnovamento del sistema bellico-industriale, la quale è la prima complice e responsabile della morte, del ferimento, della tortura e dello stupro di milioni di oppressi e oppresse.

Sui fronti interni, solo per considerare il nostro, il lascito della gestione militare dell’“emergenza” Covid-19 – oltre ad un riuscito esperimento di mobilitazione generale della popolazione in un simulato scenario di guerra – è un deciso avanzamento del controllo dello Stato e delle sue polizie in ogni ambito della vita, reso possibile non solo dalla presenza fisica di sempre più sbirri e militari nelle strade, ma soprattutto dalla digitalizzazione che tritura quasi ogni anfratto della quotidianità.
Un avanzamento che prefigura e prepara – tanto nel discorso pubblico e quanto nelle realtà dei territori – a conflitti che potrebbero estendersi ben oltre le loro dimensioni attuali.
La guerra di Stato e padroni a sfruttati e sfruttate si fa ogni anno, ogni mese, sempre più aperta e brutale; basti citare l’ultimo pacchetto sicurezza del 2023, i decreti “Piantedosi”, “Cutro” e “Caivano”. Quest’ultimo nato a seguito di due fatti di violenza di genere, che però non è affatto centrale nel decreto ma funge da mera giustificazione per la repressione autoritaria dei minorenni delle periferie. Tutti questi decreti sono volti ad aumentare il carico di sfruttamento e repressione per lavoratori e studenti in lotta, occupanti di case, migranti, per chi si rivolta in carcere o nei CPR, per tutti gli esclusi e le escluse da un ordine in via di lento disfacimento e per questo sempre più aggressivo nel portare avanti i propri progetti di ristrutturazione – in senso tecnico, economico,
sociale, ed in definitiva autoritario – nel tentativo di sopravvivere al tracollo innescato dalle sue stesse incessanti attività distruttive.
Ogni giorno che passa il legame tra frontiere e guerra è sempre più lampante anche nel territorio del Friuli Venezia Giulia, “ultima tappa” della rotta attraverso i Balcani percorsa da coloro che abbandonano luoghi devastati dalle guerre presenti e passate condotte dell’Occidente nel continente asiatico per il saccheggio di materie prime e il controllo dei territori dove vengono estratte; dove il fiume Isonzo, il CPR ed il CARA di Gradisca offrono, a pochi metri di distanza uno dall’altro, un ottimo esempio dei diversi gradi di selezione delle “eccedenze umane” di cui il sistema dell’“accoglienza” è complice; dove si fanno enormi profitti con le commesse per regimi democratici e dittatoriali in guerra permanente, negli stabilimenti Leonardo di Ronchi dei Legionari, di Fincantieri e Goriziane Spa; dove ci si prepara pian piano alla guerra all’interno dei patrii confini, con ben quattro progetti di cosiddette caserme verdi, ossia il concetto di integrazione civile-militare applicato direttamente alla vita quotidiana dei territori intorno agli avamposti delle forze armate.

Ora come allora siamo dalla parte di chi, con l’azione diretta, decide di attaccare le strutture e i responsabili di questo sistema di annientamento e devastazione, anche perchè “abbattere le frontiere non può essere solo uno slogan con cui reclamare il ritorno a Schengen o una diversa politica di “accoglienza” da parte delle istituzioni e nemmeno una mera espressione di solidarietà nei confronti dei profughi. Significa battersi autonomamente – con quelli che ci stanno – per sconvolgere un ordine sociale marcio fino al midollo”.

Solidali e complici con i condannati/e per il corteo del Brennero

Udine, febbraio 2024

ROMA: PRESIDIO DAVANTI AL CPR DI PONTE GALERIA

Diffondiamo:

Domenica 3 MARZO ore 16.00 Presidio davanti al CPR DI PONTE GALERIA [fermata Fiera di Roma del treno per Fiumicino]

Ad un mese dalla morte di Ousmane Sylla e dalla rivolta delle persone recluse repressa tra pestaggi, lacrimogeni ed arresti, andiamo davanti alle mura del centro di espulsione per portare solidarietà e non permettere che cada il silenzio.
La prigionia nei CPR, oggi prolungata fino ad un anno e mezzo, è una pena inflitta sulla base di leggi razziste che associano la pericolosità sociale all’esistenza stessa delle persone immigrate.
Un esempio vicino di ciò che accade in larga scala nei confronti della popolazione palestinese, bombardata, espulsa, assassinata ed imprigionata perché esiste.
L’appuntamento solidale sarà anche l’occasione per raccontare le proteste in corso in altri centri di espulsione e la repressione che sta colpendo Anan Yaeesh, palestinese carcerato a L’Aquila perché Israele ne pretende l’estradizione e il governo italiano ha deciso di servire il colonialismo sionista con ogni mezzo.

Tuttx liberx-Dei CPR solo macerie

Assemblea di solidarietà e lotta

BOLOGNA: IN STRADA CONTRO LA SCHEDATURA GENETICA

LUNEDÌ 19 FEBBRAIO ORE 17 in PIAZZA DEL TEATRO TESTONI a Bologna.


CONTRO LA SCHEDATURA GENETICA SOLIDARIETÀ AI COMPAGNI E ALLE COMPAGNE COLPITE

In questi giorni a Bologna alcune/i compagnx sono stati raggiunti dalla disposizione di prelievo coatto del DNA, braccati sul proprio luogo di lavoro o nelle loro case, altrx compagnx rischiano di andare incontro alle medesima sorte nei prossimi giorni.

Questa operazione si inserisce nell’ambito di un’inchiesta per 270 bis (associazione con finalità di eversione dell’ordine democratico) che vede coinvolti 19 compagnx: inchiesta che prende le mosse dalla mobilitazione in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito, contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo.

Durante lo sciopero della fame di Alfredo, a Bologna come in tante altre città, la solidarietà è stata ampia e trasversale: non stupisce perciò questa disposizione generalizzata di prelievo coatto del DNA, che concretizza la possibilità di schedare geneticamente chiunque, anche solo per l’accusa di aver partecipato o portato solidarietà ad un presidio!

E’ interessante notare come nonostante si cerchi la corrispondenza con tracce biologiche appartenenti a un individuo di sesso maschile, rinvenute su di un accendino trovato in prossimità del luogo dove erano stati incendiati alcuni ripetitori, fatto per cui sono indagatx solo 5 persone; il prelievo del DNA sia stato disposto per tuttx lx 19 indagatx, poiché, come si legge nell’ordinanza siglata dalla GIP, si rende necessario verificare “se l’accendino rivenuto sul luogo dell’attentato incendiario sia riconducibile direttamente o indirettamente (per le donne) agli attuali indagati o agli altri soggetti appartenenti alla galassia anarco-insurrezionalista che ha rivendicato l’attentato”.

Ci troviamo di fronte a un cambio di paradigma della procedura repressiva: se prima si dovevano avere delle prove da associare a dei presunti sospettati, adesso si trovano dei sospettati predeterminati su cui cucire le prove.

Una vera e propria schedatura genetica su base ideologica, che colpisce non solo le individualità anarchiche e le loro azioni, ma anche chi ha inteso portare la propria solidarietà sostenendo, ciascuno secondo il proprio sentire e con le proprie modalità, lo sciopero della fame di Alfredo e la lotta contro il regime di tortura del 41 bis.

Ribadiamo la nostra solidarietà alle persone indagate, braccate dagli sbirri e costrette a farsi prelevare il DNA. Ribadiamo che aldilà dei fantasiosi castelli inquisitori e delle fantomatiche associazioni eversive, in quei giorni nelle strade e nelle piazze al fianco di Alfredo, a dire che il 41 bis è tortura e che il carcere uccide c’eravamo tutte e tutti…

Più forte dell’amore per la libertà c’è solo l’odio per chi ce la toglie

Compagne solidali

VOCI DALLA VORAGINE DEL 41BIS

Senza nessuna fiducia nello Stato, nella legalità e nella democrazia, men che meno in un qualunque Dio, riceviamo e pubblichiamo questa dolorosa testimonianza dalla voragine del 41bis.

Sappiamo che le donne subiscono spesso il carcere anche quando il carcere non lo vivono direttamente sulla propria pelle. Donne, madri, mogli, sorelle, cui spesso è scaricato il lavoro di cura della famiglia, dei figli, oltre che il compito di sostenere fratelli, compagnx, mariti e padri detenuti, con lo sfinimento che implicano le visite, il pregiudizio della società, della famiglia, dei vicini, le lunghe attese, i controlli e le ispezioni corporali, gli interminabili viaggi di andata e ritorno, le spese sistematiche ed elevate, la perdita della propria vita privata, le ripercussioni sul proprio lavoro, dei propri sogni e progetti.

I pronunciamenti marziali dei tanti politici e campioni della legalità che esortano una guerra santa alla mafia, difendono proprio la stessa democratica barbarie che la necessita e produce.

IL 41BIS È TORTURA!

Di seguito il testo:

“Sono la moglie di un detenuto ristretto dal 2008. Quando mio marito è stato arrestato, non immaginavo l’abisso che si celava dietro le mura del 41 bis, un universo di isolamento estremo e sofferenza umana. La mia fiducia nella giustizia è stata scossa quando ho visto mio marito tornare dalla detenzione con ematomi alla testa e lividi in faccia. Nel 41 bis, il peso della punizione sembra superare ogni limite umano.[…]”

“Sono la moglie di Pasquale Condello, un uomo detenuto dal 2008 nel regime del 41 bis. La mia storia inizia quando ero una giovane appena diplomata e incontrai per la prima volta Pasquale, nel 1982. All’epoca, lui aveva trent’anni, leggermente più grande di me. Nonostante provenissi da una famiglia tranquilla con genitori commercianti, la mia vita prese una svolta quando decisi di fidanzarmi con lui. Pasquale aveva solo due anni di pena definitivi da scontare, e speravamo che potesse mettere da parte il suo passato e lavorare con suo fratello nel settore dei sanitari e delle ceramiche. Purtroppo, le brutte sorprese non tardarono ad arrivare. Appena sposati, mentre aspettavo la nostra prima figlia, Pasquale venne arrestato per scontare gli anni di pena rimasti. Ma la tragedia colpì ancora più duramente quando scoppiò la guerra di mafia a Reggio Calabria, da quel momento, la mia vita è stata segnata dalla sofferenza”. (Nell’ottobre del 1985, scoppia un’autobomba a Villa S. Giovanni nei riguardi di Antonino Imerti; qualche giorno dopo venne ucciso Paolo De Stefano e il 13 gennaio 1986 uccisero il fratello di Pasquale, anche se lui era estraneo agli eventi). “La guerra portò solo morte e distruzione, e Pasquale era in carcere, lontano dagli eventi ma comunque coinvolto indirettamente. Nel 1991, finalmente, la guerra ebbe fine, ma i segni indelebili rimasero nella nostra città. Molte madri, mogli e fratelli erano stati uccisi, e nessuno potrà più riabbracciare i propri cari. Le guerre portano solo distruzione e morte, e non vi sono motivazioni valide per scatenarle, specialmente per interessi economici. Spesso piangevo al pensiero che mio figlio maschio potesse un giorno essere ucciso o finire coinvolto in organizzazioni criminali. Ho cresciuto i miei tre figli da sola, con l’aiuto della mia famiglia, ringraziando Dio per il loro sostegno. Oggi, dopo tanti anni, la situazione non è migliorata. Pasquale è ancora in isolamento in regime di 41 bis, mentre io e i nostri figli viviamo nell’incertezza e nella paura per il suo futuro. La speranza è che possa ricevere le cure di cui ha bisogno e che possiamo riunirci come famiglia, nonostante le avversità che ci separano. Nel 2008, dopo una lunga latitanza, mio marito è stato arrestato e portato nel carcere di Parma dove, ci raccontò, di aver subito torture. Nonostante la sofferenza di non poterlo abbracciare, riuscivamo a vederlo dietro un vetro una volta al mese.

Anche i nostri nipotini erano felici di vederlo, ma quando Pasquale iniziò ad avere problemi psichiatrici, decidemmo di non portarli più in visita, per rispetto nei suoi confronti. Nel 2012, Pasquale fu ricoverato per ematomi alla testa, e noi venimmo a saperlo casualmente, poiché non fummo informati dalla direzione del carcere”. ( Inizialmente detenuto nel carcere di Parma, precisamente nell’area riservata nota come “super 41 bis”, Pasquale manifestò allucinazioni e lamentò di ricevere scosse elettromagnetiche. In seguito una testimonianza ci svelò dettagli sulla sua cella, descritta come notevolmente diversa, con un aspetto più simile alla “cella liscia/nuda). “La sua salute mentale peggiorava, e ciò ci riempiva di preoccupazione. La situazione era diventata insostenibile, ma non potevamo abbandonarlo. La nostra famiglia continuava a sperare in un cambiamento, nella possibilità di riunirci e di vederlo guarire. Non abbiamo potuto vederlo, non ci è stato permesso, solo l’avvocato è potuto andare quando era ricoverato in ospedale. Dopo 9 anni di detenzione a Parma, è stato trasferito nel carcere di Novara. Eravamo speranzosi che fosse meglio per lui, che ci fossero meno torture, ma il primo colloquio è stato devastante. Abbiamo visto che delirava, diceva cose senza senso, vedeva e sentiva persone estranee alla sua situazione carceraria. Abbiamo capito che stava male, i test hanno confermato che era affetto da disturbi psichiatrici. La situazione è peggiorata durante il lockdown: non siamo potuti andare in visita, abbiamo potuto solo telefonare al carcere qui a Reggio Calabria”. (Durante la pandemia, i familiari si dirigevano al carcere di Reggio Calabria e dovevano presentare la documentazione necessaria, poiché non era possibile ricevere telefonate normali a causa del regime 41 bis). “Ad un certo punto, ha smesso di voler parlare, ha rifiutato colloqui con noi, con l’avvocato, persino con i medici che volevamo mandare per visite”. ( Da febbraio 2021 Condello, che si trova nel carcere di Novara, rifiuta ogni incontro con i figli, la moglie, i legali ed i medici ). “Non sappiamo nulla di lui, non lo vediamo, non riceviamo notizie. Immagino come possa essere in questo periodo, ma la sua condizione mi tormenta. Non so se si cura, se si fa la barba, se ha i capelli lunghi o come si veste. Non mi manda più indumenti da anni, non so in che condizioni possa essere, e questo è un grande dolore per me. Quando andavamo a vederlo in carcere e facevamo i colloqui con i miei figli, eravamo contenti perché almeno lo vedevamo e, quando stava bene, anche colloquiava con loro, dando consigli e parole che ci facevano stare bene. Ora non lo vediamo più, non abbiamo più notizie. Non riesco a descrivere questo dolore che mi pesa nel cuore. Cerco di vivere la mia vita normalmente, lavoro come insegnante e cerco di mettere da parte questo dolore, ma nel mio cuore c’è sempre questo chiodo che mi fa male, soprattutto pensando ai miei figli che soffrono tanto. La nostra speranza è di vederlo agli arresti domiciliari, anche se sappiamo che è difficile per il suo nome pesante. Vogliamo che venga curato, che sia messo in una struttura dove possa ricevere le cure di cui ha bisogno, perché vogliamo tornare a vivere come una famiglia normale, a poter fare colloqui e parlare con lui tranquillamente. Non possiamo abbandonare un malato nelle carceri, non è giusto, non è corretto in uno Stato democratico. Viviamo nell’angoscia di ricevere una brutta notizia da un momento all’altro e non possiamo permetterci di aspettare ancora tanto senza notizie. Vivere con questa incertezza è un incubo per me e per i miei figli. Cerco di mettere da parte questi pensieri durante la giornata, ma la sera, quando vado a letto, mi sembra di impazzire. Mio marito rifiuta tutto, non sappiamo come aiutarlo, ci sentiamo impotenti. Cerchiamo di prenderlo, ma sembra sfuggirci da tutte le parti. La sua vita è chiusa dentro quella cella, e non sappiamo più cosa fare. Anche se non sappiamo come, mio marito rifiuta completamente il mondo fuori e non legge neanche la corrispondenza che riceve. I miei nipotini, specialmente i gemellini, mi chiedono spesso del nonno Pasquale, chiedendo perché non lo vedono mai. Vorrebbero tanto conoscerlo e gli prometto che prima o poi lo vedranno, ma la situazione è difficile da spiegare ai bambini. Queste sofferenze si aggiungono a tutte le altre che già viviamo. Ultimamente, una delle mie figlie si è sposata e ha avuto un’altra nipotina. Mio marito non lo sa, e non abbiamo idea se abbia ricevuto le lettere che gli abbiamo mandato per informarlo.

Anche mio figlio si è sposato quest’anno, ma non sappiamo se abbia avuto modo di ricevere la notizia. Nonostante tutto, la vita deve andare avanti, e cerchiamo di trovare conforto nelle piccole cose. La mia fede in Dio è ciò che mi dà la forza di andare avanti, insieme al sostegno della mia famiglia e al lavoro. Non riesco a immaginare quanto mio marito stia soffrendo, e vorrei tanto poterlo sentire e vedere che sta bene. La sua salute e il suo benessere sono sempre nelle nostre menti, e non vediamo l’ora di poterlo riabbracciare. Per ora, ci aggrappiamo alla speranza di vederlo trasferito in una struttura adeguata, dove possa ricevere le cure di cui ha bisogno. Questo è il nostro desiderio più grande, anche se sappiamo che il percorso sarà lungo e difficile. Ma continueremo a lottare per lui e a sperare che un giorno possa tornare a casa, dove merita di essere. Il mio grande dilemma è che mio marito, pur avendo subito torture in passato, rifiuta assolutamente qualsiasi cura in carcere. Non ha fiducia nei medici, né nelle carceri, né nelle medicine che gli vengono somministrate. La nostra speranza come famiglia è che possa essere trasferito in una struttura adeguata, mantenendo eventualmente il regime 41 bis. Attualmente, il carcere non è un ambiente adatto per la sua malattia e ci aggrappiamo alla speranza che possa ricevere le cure di cui ha bisogno. Sono orgogliosa di come ho cresciuto i miei figli. Nonostante le difficoltà e il coinvolgimento passato del padre in situazioni criminali, sono tutti impegnati nel loro lavoro e hanno costruito una vita onesta. Anche se uno dei miei figli è stato arrestato in passato, ritengo che non abbia meritato quelle accuse. La legalità è un valore fondamentale per me, insegnare ai miei alunni il significato di questo concetto è parte integrante del mio lavoro. Quando vedo ragazzi disinteressati allo studio, cerco sempre di far loro capire l’importanza dell’istruzione. Lo studio non solo apre la mente e le opportunità di lavoro, ma può anche proteggerli da scelte sbagliate che potrebbero compromettere il loro futuro. Ho reso la promozione della legalità e dell’istruzione un impegno costante nella mia vita e nel mio lavoro di educatrice. Spero che chiunque abbia il potere di fare qualcosa per aiutare i malati nelle carceri rifletta sulla gravità della situazione e si adoperi per fare la propria parte nell’assistenza a coloro che ne hanno bisogno”.

(Nel 2022, l’associazione Yairaiha, impegnata nella difesa dei diritti dei detenuti, aveva evidenziato la grave condizione psichiatrica trascurata di Condello. L’appello rappresentava un vigoroso richiamo alla giustizia, non solo per la trasparenza, ma anche per assicurare il diritto alla salute, persino nel contesto del regime 41 bis. L’ex boss dell’ndrangheta Pasquale Condello, noto come ‘U Supremu, ha ricevuto una dura condanna di 4 ergastoli e 22 anni di reclusione. La sua discesa negli abissi inizia a Parma, tra allucinazioni e lamentele di scosse elettromagnetiche. Una spirale di malattie mentali lo avvolge, trasportandolo in un regno di sofferenza inimmaginabile. La sua famiglia è intrappolata in un limbo di angoscia per il suo destino, senza notizie da oltre tre anni. A causa delle sue patologie, Condello rifiuta le cure indispensabili, creando un’ombra sulla sua già difficile strada. La data del fine pena, è previsto il 31/12/9999 distante 7975 anni, 797 secoli da oggi, si presenta come una condanna senza prospettive, una pena di morte mascherata dallo Stato. Un verdetto privo di futuro diventa una forma di tortura, creando una trama di sofferenza che abbraccia non solo lui ma anche coloro che gli sono vicini ).

Luna Casarotti, Associazione Yairaiha ETS


Lo sportello di supporto psicologico per i familiari dei detenuti, da cui prende le mosse anche questa rubrica, va allargandosi progressivamente. Non solo vi partecipano i familiari delle persone uccise dal carcere, ma anche i familiari dei detenuti che vivono un calvario all’interno del sistema penitenziario a causa di patologie non conciliabili con la detenzione, mancanza di cure fisiche e psicologiche. Vi sono inoltre ex detenuti che hanno vissuto l’oscurità delle celle e che condividono la propria storia. Tutti sono benvenuti a partecipare, ogni contributo è importante. Le riunioni si svolgono ogni venerdì dalle 17:45 alle 20:00. Il link per accedere alla riunione settimanale viene pubblicato qualche giorno prima dell’incontro sul gruppo Telegram “Morire di carcere” e su quello Whatsapp “Sportello di supporto psicologico per i familiari dei detenuti” . Adesioni e lettere possono essere inviati all’indirizzo e-mail dell’associazione Yairahia Ets (yairaiha@gmail.com).

TESTO PDF – Condello Pasquale

ROMA: IL CORTEO PER ILARIA E LE ALTRX ANTIFA BLOCCATO PER ORE E CARICATO

Diffondiamo:

“Dall’Ungheria alla Palestina Free Them All: al fianco di Gabri, Ilaria, Tobias e i/le compagn* sotto processo, detenut*, ricarcat* “

Il corteo in solidarietà a Ilaria e a tuttx i/le prigionierx è stato bloccato per circa due ore nei pressi dell’ambasciata dell’Ungheria e poi attaccato con una pesante carica per impedire ai compagnx di raggiungere il corteo per la Palestina. Alle 17.30 il corteo è riuscito a ripartire.

LIBERTÀ PER TUTTX LE ANTIFA!

UDINE: TATTOO CIRCUS BENEFIT CONDANNATX DEL BRENNERO

DOMENICA 18 FEBBRAIO
Allo Spazio Autogestito di Via de Rubeis 43, Udine

Il 7 maggio del 2016 un corteo di varie centinaia di persone si batte per diverse ore al passo del Brennero bloccando autostrada e ferrovia per più di mezza giornata, in risposta alla proclamata intenzione del governo austriaco di costruire un muro anti-immigrati alla frontiera italo-austriaca con la complicità dell’Italia.
Lo Stato decise di processare per quella giornata in totale più di 120 compagni e compagne. La sentenza d’appello ha alla fine condannato 63 di loro ad un totale di 123 anni di carcere. Qualora le condanne fossero confermate in Cassazione, il 5 marzo prossimo, una trentina tra compagne e compagni potrebbero finire in carcere, vari altri e altre ai domiciliari.
Come transfemministx riteniamo fondante l’intersezionalità delle lotte e l’importanza di sostenerci l’unx l’altrx contro la repressione che avanza e che colpisce chiunque si esponga contro le nocività e le oppressioni sistemiche.
Ora come allora siamo dalla parte di chi, per mezzo dell’azione diretta, decide di attaccare le strutture e i responsabili di questo sistema di asservimento e devastazione, perchè abbattere le frontiere non può essere solo uno slogan con cui reclamare il ritorno a Schengen o una diversa politica di “accoglienza” da parte delle istituzioni e nemmeno una mera espressione di solidarietà nei confronti dei profughi. Significa battersi autonomamente – con quelli che ci stanno – per sconvolgere un ordine sociale marcio fino al midollo.

PROGRAMMA DELLA GIORNATA

Ore 10.30
Aggiornamento sul processo e discussione a partire da quella giornata di lotta e i suoi legami con il presente.

a seguire PRANZO SOCIALE VEGAN

Nel pomeriggio furious feminist dj set con ERIKA e URANIA IMPOVERITA

Tutto il giorno TATTOO

Come funziona la Tattoo circus

Tattoo Artists presenti:

Lady Electric Ljubljana
Se hai già in mente un tatuaggio (medie o piccole dimensioni) contatta Lady Electric per metterti d’accordo e prenotare un posto scrivendo a ladyelectrictattoo@gmail.com

Krina
Se ti piace lo stile di Krina vieni a vedere il suo flash book e decidi sul momento!

ANGOLO TAROCCHI a cura di Coco
Avete bisogno di un consiglio su quella situazione che vi sembra proprio irrisolvibile? Magari una lettura può aiutarvi a fare chiarezza sui vostri sentimenti e darvi un piccolo suggerimento.
N.B. Qui non si predice il futuro!

Banchetti informativi
Distro
Cibarie vegane e senza glutine
Autoproduzioni
e ciò che va oltre la fantasia…

SE SEI MOLESTO STATTENE A CASA TUA

Se hai domande e curiosità puoi scrivere a laboratoria.tfq.ud@canaglie.org
https://laboratoriatfqudine.noblogs.org/

UNA GRAVE STORIA DI VIOLENZA MEDICA AL CARCERE DI PARMA

Riceviamo e diffondiamo la storia di Sereno Quirino, detenuto da sedici anni nella casa circondariale di Parma.

Mi chiamo Luca Sereno e scrivo per denunciare il trattamento a cui è sottoposto mio padre, Sereno Quirino, detenuto da 16 anni nella casa circondariale di Parma. Negli ultimi anni, ha affrontato gravi problemi di salute, tra cui dischi intervertebrali schiacciati lungo la spina dorsale, calcificazione delle rotule della gamba destra e sinistra, 6 tumori benigni rimossi tra intestino e colon, macchie nere nei polmoni e varie altre patologie.

All’arresto, 16 anni fa, mio padre non presentava alcuno di questi problemi, ma ora è costretto a utilizzare stampelle e, in alcuni giorni, una sedia a rotelle. Durante i processi, viene trasportato in ambulanza e giunge in tribunale sdraiato su un lettino a causa dei suoi gravi problemi di salute.

Dopo molte lotte e richieste con il mio avvocato, siamo riusciti a ottenere visite più complete e specializzate per le sue patologie presso il Centro dei Dolori. Prima di queste visite, a mio padre venivano somministrati diversi medicinali, tra cui Seroquel da 200 mg (tre pastiglie al giorno, quindi 600 mg), Irika, Stinox, Contromal e molti altri. La sua cartella clinica è estremamente complessa, e anche ricordare tutti i farmaci a memoria risulta impossibile.

Questo per evidenziare la difficile situazione di salute di mio padre, che necessita di cure adeguate e di un’attenzione particolare da parte delle autorità penitenziarie. Riusciamo a farlo visitare al Centro dei Dolori, dove dopo esami specializzati per i suoi dolori, gli viene prescritto il cerotto di Fentanil. Questo cerotto rilascia il principio attivo nel corpo per tre giorni, successivamente viene cambiato. Inizia con il dosaggio da 25, poi passa a quello da 50 e infine a quello da 100. A ciò si aggiungono i suoi medicinali “di sempre”, con l’eccezione del Contromal, che viene sostituito dal Fentanil in cerotto.

Circa 3-4 mesi fa, mio padre viene sottoposto a un controllo al Centro dei Dolori. Durante questo controllo, la dottoressa, senza spiegazioni, decide di interrompere tutti i medicinali, compreso il cerotto di Fentanil, in un periodo di soli 9 giorni. Questo avviene dopo anni di assunzione regolare, e la rapida diminuzione delle dosi, senza alcun adeguato scalaggio, solleva interrogativi sulla motivazione di una scelta così drastica. È evidente che una persona che ha assunto dosi così elevate di medicinali derivati dalla morfina e oppiacei per molti anni potrebbe reagire in modo significativo a una interruzione così improvvisa e completa del trattamento. Restiamo perplessi e ci chiediamo quale possa essere il motivo dietro una decisione così radicale, specialmente considerando gli anni di somministrazione di questi farmaci. Mio padre non ha certo guarito miracolosamente da un giorno all’altro; al contrario, la sua situazione è peggiorata. È come se andaste dal medico con la febbre e, anziché prescrivervi una normale tachipirina o effettuare esami specialistici, vi privasse improvvisamente del trattamento. Questo esempio, seppur semplice, mira a illustrare la gravità della situazione. Una dottoressa ha compiuto un gesto simile, togliendo tutto senza apparente motivo. Benché conoscessimo il motivo, senza prove non possiamo dichiararlo apertamente. È evidente che si tratti di qualcosa di più, poiché anche un bambino comprenderebbe che un’azione del genere equivale a tortura.

Dopo quel giorno, mio padre ha subito un intervento per rimuovere polipi e tumori (sei in totale, tra colon e stomaco). Sorprendentemente, dopo l’operazione, non gli è stato somministrato alcun antidolorifico o sollievo. Abbiamo presentato denunce, ma le risposte sono state deludenti, come il commento della dottoressa che ha dichiarato di pensare di aver aumentato il cerotto. Questo è solo un esempio delle risposte ricevute.

Ho deciso di condividere questa storia su una pagina Facebook dedicata ai diritti dei detenuti, accompagnata da foto che documentano quanto accaduto. La trasformazione di mio padre da prima di quel tragico giorno a ora è evidente durante le videochiamate, quando lo vedo in una sedia a rotelle, senza parlare e soffrendo visibilmente. La sensazione di impotenza di fronte a questa situazione mi distrugge, e il dolore che sto vivendo è straziante. Mio padre sta morendo lentamente davanti ai miei occhi, e mi sento totalmente impotente. Dopo questo articolo pubblicato su Facebook, una ragazza dell’Associazione Yairaiha ETS, contatta la garante dei detenuti di Parma, che visita immediatamente il carcere per comprendere la situazione. Nonostante le rassicurazioni iniziali, viene promesso a mio padre un sostituto del cerotto con lo stesso principio attivo come antidolorifico. Tuttavia, questa promessa si rivela una presa in giro, poiché dopo diverse settimane, mio padre è ancora nella stessa situazione.

La garante, chiedendo aggiornamenti, riceve risposte ingannevoli, affermando che tutto è a posto. In realtà, a mio padre è stato somministrato solo uno psicofarmaco che, anziché alleviare il dolore, lo ha reso quasi catatonico. È vergognoso vedere come invece di fornire un antidolorifico di cui mio padre ha estremo bisogno, venga somministrato un farmaco che lo sta trasformando in uno stato quasi vegetativo. Fortunatamente, mio padre ha rifiutato questo psicofarmaco, dimostrando una lucidità che sembra mancare nelle decisioni della struttura penitenziaria. La situazione che mio padre sta vivendo è un chiaro caso di tortura, una pratica inaccettabile. Nonostante gli sforzi della garante dei detenuti, la presa in giro continua, e nemmeno le informazioni sui medicinali somministrati vengono fornite chiaramente.

Chiedo a chiunque legga questo testo di aiutarmi. Non sto cercando la liberazione di mio padre né sconti di pena; è responsabile delle sue azioni e deve affrontare le conseguenze. Tuttavia, non merita di essere sottoposto ad una simile tortura. Non sto chiedendo l’impossibile, solo giustizia e un trattamento umano. La sua salute è in serio pericolo, e non posso rimanere inerte, aspettando che la situazione peggiori.

Vi prego, chiunque possa aiutare, chiunque possa fare qualcosa, vi chiedo aiuto. Non so più a chi rivolgermi, mi sento impotente. Questa non è solo una questione di diritti umani, ma di umanità. Spero che la vostra solidarietà possa portare a un cambiamento positivo per mio padre.

Di Luca Sereno, ( figlio di Quirino Sereno)

BOLOGNA: MICROZAD AL PARCO DON BOSCO

Cosa ci fanno delle casette sull’albero al Parco Don Bosco? Perché c’è sempre gente, iniziative e socialità? Cosa succede a Bologna accanto alle Scuole Besta? Di seguito un piccolo racconto, sicuramente parziale e non esaustivo, dell’inedita resistenza che sta vedendo protagonista un parco e i suoi abitanti, nel contesto del cemento bolognese.

Da diversi mesi un comitato di cittadinx è riuscito a rompere il silenzio intorno al progetto di “riqualificazione” delle scuole Besta. Parliamo di oltre 18 milioni di euro per abbattere decine di alberi ad alto fusto, distruggere la fauna presente, non ristrutturare e demolire la scuola esistente, e ricostruirne una nuova accanto – “green” – asfaltando il parco. Un vero capolavoro.

Il 16 dicembre 2023 circa duecento persone tra abitanti e giovani del quartiere, collettivi e realtà ecologiste, cittadine e cittadini in lotta contro il Passante di mezzo, e un’idea di città escludente ed esclusiva, hanno attraversato il quartiere San Donato in corteo per dire no alla devastazione del Parco Don Bosco. Sono state organizzate iniziative, momenti di incontro e confronto, oltre che costanti presidi per impedire l’inibizione dell’accesso al parco.

Il 29 gennaio, quando operai e municipale si sono presentati per recintare definitivamente l’area in vista degli abbattimenti, un gruppo di cittadinx si legato agli alberi, mentre le abitanti del quartiere hanno divelto le recinzioni per impedire l’allestimento del cantiere. Da quel giorno il Parco Don Bosco è presidiato costantemente, animato da iniziative, momenti di incontro e libera socialità, colazioni, pranzi, cene, merende, bricolage, sculture in legno, casette sull’albero, tende, tessuti, trapezi, musica e discussioni!

Una situazione assolutamente inedita e singolare per le nostre latitudini, soprattutto all’interno di contesti iper-urbanizzati, una vera e propria micro ZAD in città – Zone a Defendre, Zona da difendere – inserita come un cuneo tra i palazzi della fiera e i progetti dell’amministrazione, in cui abitanti del quartiere, di età e generazioni diverse, si stanno incontrando, vincendo pregiudizi e paure, non solo per difendere un parco, ma contro un modello di sviluppo insensato che annienta la vita di individui, territori e comunità, e un’idea di città “green” come il colore dei soldi. In barba a chi avrebbe già voluto vederlo distrutto, il Parco Don Bosco oggi è più vivo che mai!

ZAD – Zone a Defendre, Zona da Difendere – è un neologismo francese che indica quelle occupazioni che hanno lo scopo di bloccare progetti dannosi e nocivi per comunità e ambienti, rendendo possibile, qui e ora, la riappropriazione collettiva da parte delle comunità dei territori che abitano, oltre le logiche del consumo e del profitto.

Qualcuno non aveva fatto i conti con una comunità ostinata!
Siamo tuttx invitatx a presidiare il Parco!

IL PARCO DON BOSCO NON SI TOCCA!

Alcunx abitanti in lotta


Testo in PDF: MICROZAD AL PARCO DON BOSCO

BOLOGNA: TAZ – TEMPORARY AUTONOMOUS ZONE

Diffondiamo:

In risposta alla repressione che prova ad inficiare ogni forma di autodeterminazione ed emancipazione collettiva, che tenta costantemente di demonizzare l’autogestione relegandola ad un problema di ordine pubblico, abbiamo deciso di occupare e costruire collettivamente giornate di libertà e anarchia.

Dalle 18:00
Presentazione delle fanzine “Repressione e acidità di stomaco”:
-Presi a Maalox

Dalle 20:00
-Tavola rotonda tema:
Free party  e  repressione

Dalle 22:00
Proiezioni di KomaK (2002) diretto da Alberto Grifi e a seguire altri film..

A SEGUIRE BALLI PROIBITI…

Double stage!

Area chill out , info point, intervento RdR

TAZ in diretta con Radio Spore

Stand autoproduzioni, Bar, Buffet

NO MACHISM , NO FASCISM, NO SEXISM, NO RACISM

NO SOCIAL, NO DIRETTE, NO FOTO

VIA PRATI DI CAPRARA 12, BOLOGNA