Il 25 maggio, la Corte di Cassazione deciderà in merito al processo relativo all’inchiesta Scripta Manent, processo nel quale una compagna, Anna, è stata condannata a 16 anni e 6 mesi, e tre compagni, Nicola, Marco e Alfredo rispettivamente a 13 mesi, 21 mesi e 20 anni.
Fra i reati per cui sono stati condannati, oltre all’associazione sovversiva e i reati fine ad essa collegati, per alcuni di loro vi è quello di strage. Come al solito lo Stato attua la politica dell’inversione delle responsabilità, quando nella realtà è lo stesso Stato che ogni giorno commette stragi impunite nelle guerre, nelle carceri, nei mari, sul lavoro, nelle strade, in una costante pratica affermata del monopolio della violenza.
Quando qualcuno prova a rompere questo monopolio, restituendo un’infinitesimale parte della violenza statale, viene duramente represso. Per questo, sotto processo ci sono le pratiche rivoluzionarie che gli anarchici e le anarchiche hanno sempre sostenuto e che da sempre fanno parte del loro percorso.
Dietro a questa, come ad altre vicende giudiziarie, c’è il tentativo degli inquirenti di voler rileggere sotto la loro lente di ingrandimento la storia del mondo anarchico, dividendolo tra buoni e cattivi.
Finalità del processo è la volontà di zittire i compagni distribuendo anni di galera. A conferma di tutto ciò, dallo scorso 5 maggio ad Alfredo è stata applicata la tortura legalizzata del 41-Bis, il più pesante regime di isolamento previsto dallo Stato italiano.
Opponiamoci a queste logiche repressive, rimandiamo al mittente la responsabilità delle stragi, difendiamo le pratiche rivoluzionarie.
No al 41-Bis, liber* tutt*!
Sabato 21 maggio saremo in strada a Torino, ore 10 P.zza Borgo Dora, zona Balon.
Cassa Antirepressione Alpi Occidentali
Per lx Sognatrici*, lx Streghe*, lx Strambe*, lx Solitarie*, lx Stralunate*, lx Sbagliatissime*, lx Spessone*, lx Spassose*… Per lx Sopravvissute*. Per le Soggettività lesbiche trans e non binarie in lotta. Per chi si rende Solidale con le lotte di autodeterminazione. Per chi è Stufa* di questo mondo, per le Sorelle* di sangue e non…
All’interno delle complesse geografie politico relazionali di questa città, e dentro un mondo in cui non era previsto che sopravvivessimo, da brave guastafeste continuiamo a lottare per la liberazione e l’autodeterminazione di corpi e desideri non conformi. Solo che, da


Ebbene, anche nel caso in cui gli psicofarmaci producessero risultati positivi dal punto di vista del comportamento a scuola, sarebbero d’aiuto per il bambino? Oltre ad agire solo sui sintomi e non sulle cause della sofferenza della persona, gli psicofarmaci alterano il metabolismo e le percezioni, rallentano i percorsi cognitivi e ideativi contrastando la possibilità di fare scelte autonome, generando fenomeni di dipendenza e assuefazione del tutto pari – se non superiori – a quelli delle sostanze illegali classificate come droghe pesanti. Presi per lungo tempo, possono portare a danni neurologici gravi che faranno del bambino un disabile. Oggi, a scuola, si mira sempre più a un addestramento alla produttività, all’efficienza e alla centralità del risultato. Molti insegnanti sono stati convinti dall’autorità dello psichiatra che i bambini che esprimono comportamenti sofferenti abbiano bisogno di farmaci stimolanti per cui i maestri e le maestre hanno rinunciato alla ricerca di soluzioni in classe per risolvere i problemi. In realtà questi docenti dovrebbero essere incoraggiati a cercare e trovare nuovi metodi nell’educazione. Insegnare dovrebbe dare priorità alla relazione, sapere e poter sperimentare approcci didattici e pedagogici a seconda della persona con la quale ci si rapporta. Esistono approcci didattici e pedagogici che, anziché sopprimere la spontaneità, aiutano gli studenti che manifestano “disagio” ed evitano di trattare il loro cervello in crescita con sostanze altamente tossiche come gli stimolanti. Insegnare è un’attività fluida, cangiante, sfumata, che cambia da persona a persona, da situazione a situazione, proprio perché basata sull’interazione e non sui dogmi. L’attività dell’insegnamento ha tante caratteristiche, ma non dovrebbe avere quella dell’assolutezza, dell’indiscutibilità, della categoricità. Non esistono metodi validi in assoluto: insegnare è un’attività che fa interagire soggettività, singole e di gruppo. Significa condividere pezzi di vita, conoscenze ed esperienze. Non indottrinare, ma interagire; non preparare al lavoro, ma preparare alla vita.
Analogamente il/la paziente psichiatric è continuamente infantilizzat e trattat con paternalismo, considerato incapace di autodeterminarsi e di coltivare reti sociali. Quest’ultimo aspetto in particolare, che può costituire un orizzonte di senso, di guarigione o di vera e propria salute, anche quando presente viene spesso ridimensionato o considerato insufficiente a fronte del pregiudizio psichiatrico della sacralità della diagnosi e di una sorta di profezia autoavverantesi di trovarsi di fronte nient’altro che un paziente, utente o potremmo dire ‘cliente’ della psichiatria.
Durante la pandemia la condizione di difficoltà dei più giovani (che non neghiamo) è diventata ben presto patologia, grazie anche all’attenzione posta dall’OMS all’incremento dei fondi da dedicare alla presunta salute mentale. Ancora una volta però siamo convinti che, come in passato, questa condizione dilagante di isolamento-depressione-apatia legata al covid sia figlia delle mode e venga cavalcata a beneficio dei soliti noti.





