Natascia trasferita a Rebibbia

Nel suo 24esimo giorno di sciopero della fame Natascia è stata finalmente trasferita.
Al momento si trova a Rebibbia, perché nel carcere di Vigevano (quello più vicino a Torino e a Genova che sia dotato di sezione AS) pare che al momento non ci sia posto.

Per scriverle:

NATASCIA SAVIO
c/o C.C di Roma Rebibbia
via Bartolo Longo 72
00156 Roma

Link: https://infernourbano.altervista.org/natascia-trasferita-a-rebibbia/

Resoconto del presidio a Santa Maria Capua Vetere

Nel pomeriggio di domenica 4 luglio un gruppo di solidali ha raggiunto il carcere di Santa Maria Capua Vetere per portare solidarietà a Natascia, in sciopero della fame dal 16 giugno, e a tutte le persone detenute.

Vari sono stati gli interventi che hanno espresso forte solidarietà nei confronti della compagna rinchiusa in AS3, che si trova alla terza settimana di sciopero della fame per ottenere il trasferimento da quel carcere. È stato sottolineato come il meccanismo di dispersione dei prigionieri e delle prigioniere attuato dal DAP, attraverso trasferimenti in carceri situate a centinaia e centinaia di chilometri di distanza dai propri affetti, dai propri contesti di vita e di lotta – e nel caso di Natascia rendendo quasi impossibile il confronto con il proprio avvocato a processo già cominciato – sia chiaramente volto a isolare completamente chi è recluso/a e a spezzare le relazioni di solidarietà tra dentro e fuori. Di fronte alla determinazione grande di Natascia, sappiamo che una presenza fuori dalle mura del carcere che la tiene prigioniera non è che un tassello minuscolo di quello che possiamo fare per supportarla nella sua battaglia.

Conosciamo bene anche l’intento punitivo della dispersione, in questi giorni attuato anche nei confronti di molti detenuti di S.M.C.V., in particolar modo del reparto Nilo, la sezione in cui il 6 aprile 2020 sono avvenuti i pestaggi e le torture. A distanza di un anno, in cui torturati e torturatori sono stati tenuti fianco a fianco, avvengono i trasferimenti per volontà del DAP in chiara ottica vendicativa per le misure di sospensione e gli arresti che hanno riguardato la penitenziaria, soprattutto considerato che due delle prigioni di destinazione, Modena e Rieti, sono quelle nelle quali lo Stato ha consumato e poi sepolto la strage del marzo scorso. Le altre destinazioni note sono le carceri di Terni, Perugia, Carinola e Ariano Irpino.

Il giorno in cui i media hanno portato alla ribalta lo “scandalo di SMCV”, nelle sezioni del carcere è stata interrotta l’energia elettrica (le guardie parlano di blackout…), ma tutto lascia immaginare all’intento di far sì che ai detenuti e alle detenute non arrivasse alcun tipo di notizia.

Fuori, intanto, la solidarietà verso i detenuti si è fatta sentire in molte città con messaggi che sconfessano l’esistenza delle cosiddette “mele marce” nel sistema penitenziario, sottolineandone invece la profonda natura marcia e assassina. Il DAP grida allo scandalo e invoca la protezione delle guardie. I giornali parlano anche di un “blocco doloso dei telefoni del penitenziario, causa attentato a una centrale telefonica”.

È stato riportato oltre il muro ciò che giornali e tv stanno raccontando in questi giorni in merito al carcere di Santa Maria, ribadendo però che i toni intrisi di stupore e scandalo di cui i servizi giornalistici sono farciti in questo momento sono puramente ipocriti. La brutalità dei pestaggi del 6 aprile 2020, era già emersa un anno fa dalle testimonianze di detenuti e parenti e la loro voce era rimasta perlopiù inascoltata, fino a quando non sono scattate le misure nei confronti di secondini e vertici della penitenziaria. Agli occhi di chi voleva vedere e alle orecchie di chi voleva sentire, la spirale di violenza e rappresaglia da parte delle guardie e del DAP durante e in seguito alle rivolte del marzo 2020 è stata immediatamente e fortemente percepibile, nonostante il megafono mediatico strillasse unanimemente alla “cieca violenza dei detenuti”.

Le recenti notizie di pestaggi, abusi e violenze da parte delle guardie in tante altre prigioni d’Italia, come per i recenti casi di Foggia, Melfi, Monza, Palermo e altri ancora, non fanno che confermare la natura violenta e vendicativa del carcere e di chi ci lavora.

Questo abbiamo voluto riportare ai detenuti e alle detenute di S.M.C.V. che durante tutto lo svolgimento del presidio si sono fatti sentire con urla (purtroppo non comprensibili da fuori) e forti battiture, dopodiché il gruppo di solidali ha lasciato le mura del carcere dopo una scarica di fuochi d’artificio.

A FIANCO DI NATASCIA IN SCIOPERO DELLA FAME!
CON I DETENUTI E LE DETENUTE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE!
LIBERTÀ PER TUTTE E TUTTI!

Opuscolo: Dal Profondo. Raccolta di testi, articoli e comunicati sulle rivolte carcerarie di marzo 2020

Liberiamo nelle brughiere:

Dal Profondo. Raccolta di testi, articoli e comunicati sulle rivolte
carcerarie di marzo 2020

“…perché è verissimo, come dice unx compagnx in una lettera, che “c’è una parola che di solito viene usata con parsimonia ma che alla luce dei fatti successi richiede di essere innalzata sul pennone delle future lotte contro il carcere, la parola è vendetta”.

Scarica -> qui

Questo testo ha molte pecche, per esempio non parla, se non accennandolo in alcuni testi, dei pestaggi e delle torture avvenute nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, come vendetta dello stato verso i rivoltosi, così come non parla delle numerose rivolte che si sono ripetute nelle carceri anche dopo marzo e nel corso di tutto l’anno passato. Ci saranno, come
ci saranno stati, altri contributi e testi che amplieranno l’argomento e contribuiranno all’analisi, l’importante è che il discorso non si fermi, che ciò che è successo non venga sepolto nel dimenticatoio e che le prossime rivolte, perché ce ne saranno, possano diventare occasioni da sfruttare e non semplici notizie viste al telegiornale.

“Dal Profondo” è una raccolta che nasce dalla volontà di mettere per iscritto alcuni comunicati, aggiornamenti e alcune riflessioni che si sono diffuse, quasi esclusivamente su internet, durante i giorni di marzo di un anno fa, quando le rivolte carcerarie hanno infiammato le notti e i giorni.
Quelle notti e quei giorni in tante e tanti le ricordiamo bene, nonostante a distanza di un anno la portata di rabbia che ha generato rischi pian piano di esaurirsi.
La raccolta è divisa in due parti: la prima, a eccezione di una cronistoria iniziale che raccoglie i principali avvenimenti del 7, 8, 9, 10 e 11 marzo, contiene tutta una serie di comunicati, contributi e riflessioni pubblicate nei giorni immediatamente successivi alle rivolte, contributi usciti principalmente su siti internet di controinformazione e blogs. Insieme a questi sono presenti anche alcuni articoli di giornali istituzionali. Questi ultimi, lungi naturalmente dal potersi considerare attendibili, lungi dal ricevere una qualunque considerazione politica dallx autorx della raccolta, sono stati inseriti esclusivamente per dare un’ idea della portata delle rivolte, per poter meglio inquadrare quegli avvenimenti nell’ottica dell’effetto che hanno avuto al di fuori, in questo caso, nelle cronache dei media di regime, con tutta la portata di propaganda e sciacallaggio dialettico che questi comportano.
La seconda parte dell’opuscolo invece contiene due comunicati che sono stati diffusi a distanza di alcuni mesi dalle rivolte, riflessioni sui fatti e sulla repressione statale che li ha conseguiti.
Una premessa è importante: primo, questa raccolta non è esaustiva; secondo, e di conseguenza, non segue in alcun modo un corpus cronologico preciso, se non quello utile allx autorx per dare forma e contenuto al susseguirsi del testo. Alcuni testi inseriti non riguardano nemmeno direttamente le rivolte, ma piuttosto è stato scelto di inserirli per questioni cronologiche o per semplice diletto ( per esempio un articolo di giornale che parla dell’incendio che ha annerito il palazzo di giustizia di Milano, il 28 marzo, evento che non ha forse una causa politica, ma che comunque non può non far sorridere).
Strappare queste testimonianze e riflessioni dal gelo della rete internet è necessario per contribuire a rendere le rivolte carcerarie di marzo 2020 un’ evento nitido, quanto mai attuale, che ha portato persone a scontrarsi contro i secondini e contro le strutture carcerarie, che non rappresentano altro che una delle forme reali di ciò che lo stato rappresenta: miseria, sfruttamento, coercizione e prigionia.
Affinché le carceri esplodano, affinché le morti e le torture non rimangano invendicate.
Lunga vita alla rivolta.

Per ricevere copie, informazioni, costi dell’opuscolo o altro contattare
l’ indirizzo mail nereidee@riseup.net

Le copie sono gratuite per i prigionierx anarchicx e per tuttx i detenutx.

E’ ben visto e incitato lo stampare e diffondere questo opuscolo!

SOLIDARIETÀ A NATASCIA IN SCIOPERO DELLA FAME. 1312.

Inizia il processo contro i detenuti accusati per la rivolta a Rebibbia del marzo 2020

Di seguito il volantino distribuito nel quartiere adiacente al carcere di Rebibbia e la locandina dell’appuntamento previsto per il 30 giugno pomeriggio.

Il 17 giugno un giudice di Modena ha deciso di archiviare il fascicolo delle indagini aperte sui responsabili della strage avvenuta durante la rivolta dell’8 marzo 2020: 9 i morti tra i detenuti rinchiusi in quel carcere. 14 in totale in Italia.
Lo Stato non processa chi gli è fedele.
Nel frattempo, tanti i processi iniziati contro i detenuti ritenuti responsabili dei seri danneggiamenti all’interno delle galere. Per questi processi nessuna richiesta di archiviazione è stata mai avanzata dalle procure.

Come dimenticare quel marzo 2020? Quel costante susseguirsi di notizie di contagi, ammalati e morti da Covid. Chi è detenuto/a, conosceva bene le gravi mancanze già esistenti del sistema sanitario penitenziario e sapeva che nessun governante avrebbe mosso un dito per mettere in salvo dal contagio chi è rinchiuso dentro le galere. In quei giorni, l’unica decisione presa dal Ministero di Giustizia e dal DAP è stata quella di chiudere l’ingresso del carcere a tutti coloro che non lavorano all’interno. Decisione che come si è visto, e come era ovvio, non ha certo fermato i contagi.
Alla notizia della chiusura dei colloqui con i familiari, la miccia si è accesa.
Chi ha deciso di ribellarsi ha avanzato richieste a difesa della propria e altrui salute, all’interno di un luogo già di per sé malsano e sovraffollato. Ha deciso di agire per far sì che qualcuno si accorgesse della drammatica situazione degli istituti carcerari di questo Paese. E, infatti, qualcosa seppur minima è stata ottenuta. C’è chi è riuscito ad ottenere delle misure alternative, di detenzione domiciliare e prolungamento di permessi e licenze. Nulla di risolutivo, certo. Ma chi rinuncia a lottare ha già perso.

Il 30 giugno nell’aula bunker a pochi passi da qui si aprirà il processo di primo grado contro i 46 detenuti di Rebibbia accusati di devastazione e saccheggio, violenza, sequestro e altro. Tutti reati che prevedono pene molto pesanti.
È la necessità di scongiurare nuove proteste a scatenare questa pesante vendetta dello Stato. Le giuste rivendicazioni vengono messe a tacere con la violenza più feroce. E le morti durante le rivolte parlano chiaro. Raccontano quello che lo Stato è disposto a farci: governare con la paura, ribadire la sua arroganza se alziamo la testa, impedire la solidarietà e vicinanza.
Sì, lo Stato non rinuncia alle sue galere, a quelle mura e a quelle sbarre così alte che hanno un effetto su milioni di esistenze, anche quelle “libere”. Le condizioni di vita di ognuno di noi, se non reagiremo, peggioreranno di giorno in giorno, fatta eccezione per quella strettissima minoranza che continua a far profitto speculando e passando sopra i corpi di tantissime persone. Questo, ad oggi, dovrebbe essere chiaro a tutte e tutti.
E quelle galere sono lì apposta, perché servono da avvertimento: “Abbassa la testa e tira avanti”.
Lo dicono a noi qui fuori, utilizzando come monito migliaia di vite isolate dal resto del quartiere.
Per questo il carcere non può restare un qualcosa di distante dalle nostre vite, una bolla separata da chi abita la città.
Per questo non possiamo permetterci di girare le spalle a chi è imprigionato/a.
Per noi le accuse per cui saranno a processo i 46 detenuti non sono reati ma atti di dignitosa rabbia.

Sempre il 30 giugno, alle 18:30, nel Parco di Aguzzano (entrata alla fine di via Bartolo Longo) davanti il carcere, ci sarà la presentazione del fumetto di Zerocalcare “Lontano dagli occhi – Lontano dal cuore”, sulle rivolte dei prigionieri di Rebibbia lo scorso marzo, con la presenza dell’autore. Sarà un altro momento per incontrarci, conoscerci e parlare di carcere.

L’UNICA SICUREZZA E’ LA LIBERTA’!

Per restare in contatto, potete scrivere a dulceri211@gmail.com

Link: Rete Evasioni

Di carcere e di accoglienza si muore. Solidarietà con gli imputati dell’ex caserma Serena

Dalla pagina fb del Comitato lavoratori delle campagne,(qui)


Il 17 giugno, nel tribunale di Treviso, si è tenuta l’udienza preliminare del processo contro Amadou, Abdourahmane e Mohammed, accusati di “aver guidato” a giugno 2020 la protesta dentro al centro di accoglienza ex caserma Serena di Treviso (1). Le accuse sono pesanti: devastazione e saccheggio e sequestro di persona, reati che prevedono pene che vanno fino a 15 anni di prigione.
Devastazione e saccheggio è un reato di stampo fascista, nato per reprimere chi si ribella e chi sceglie di lottare, da sempre utilizzato in questo senso. Un reato, questo, che ha già strappato la libertà a moltissime persone, in importanti momenti di piazza, alle frontiere (non ultimo il processo per il corteo contro le frontiere al Brennero), nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (ad esempio la rivolta del 29 dicembre 2015 nel CARA di Mineo, quella nel CARA di Borgo Mezzanone nel 2017, quella a Bari nel 2014) e nei centri di permanenza per il rimpatrio (come le rivolte che distrussero il CIE di Crotone nel 2012 o quello di Caltanissetta nel 2017) (2). E non stupisce infatti che sia stato usato anche nell’ultimo anno contro gli immigrati che hanno lottato nel centro di accoglienza di Treviso, ma anche contro chi ha partecipato alle coraggiose rivolte nelle carceri di tutta italia a partire da marzo 2020. Decine e decine di detenuti di diverse carceri, come quelle di Milano, Pavia, Roma, Frosinone, per citarne alcune, sono indagate con queste accuse. Di qualche giorno fa è la notizia che i 21 detenuti accusati di devastazione e saccheggio per la rivolta nel carcere di Frosinone l’8 marzo 2020 sono stati assolti. I rivoltosi di Rebibbia avranno l’udienza invece il prossimo 30 giugno. La stessa accusa è rivolta anche contro ragazzi giovanissimi per le proteste inerenti la mancanza di reddito (come quelle a Torino nell’ottobre del 2020) (3). Un reato utilizzato contro tanti e tante che lottano, screditandone ogni forma di rivendicazione politica, come se dietro delle carceri o dei centri di accoglienza danneggiati non ci fosse un rifiuto delle proprie condizioni di vita e detenzione e la volontà di tutelare la propria vita e la propria salute da una quotidianità fatta di segregazione e soprusi.
E di pari passo con la dura rappresaglia contro chi lotta, tutte le responsabilità dei massacri che lo Stato e i suoi apparati hanno compiuto vengono negate e nascoste. Messo in isolamento nel carcere di Verona, Chaka Ouattara, uno dei quattro arrestati dell’ex caserma Serena di Treviso, viene trovato morto nella sua cella. Si parlerà di suicidio e poi più niente. Così come per gli 8 morti, tutti immigrati, nel carcere di Sant’Anna. Nonostante le numerose testimonianze di pestaggi, di violenze, della strage avvenuta, il 17 giugno scorso le indagini su queste morti sono state archiviate. Un massacro mascherato da suicidio di massa per impedire che sia fatta verità.
Al coraggio di chi, in un campo o in un carcere, ha lottato contro le leggi razziste, contro lo sfruttamento, contro la detenzione, deve corrispondere la nostra solidarietà concreta. Di fronte a tutte queste morti e davanti alla repressione che in tanti e tante devono affrontare, non possiamo restare in silenzio.

Contro la repressione e il razzismo, solidarietà agli imputati!


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