
Uno sciopero della fame a oltranza per la libertà di tutte e tutti.
Il prigioniero anarchico Alfredo Cospito è in sciopero della fame a oltranza dal 20 ottobre contro il regime del 41 bis e l’ergastolo ostativo. Da otto mesi si trova rinchiuso in 41 bis nel carcere di Bancali, Sassari, per un’azione contro la caserma allievi carabinieri a Fossano (CN) che non ha provocato né morti né feriti ma che la Cassazione ha riqualificato come strage politica con conseguente possibile condanna all’ergastolo ostativo. Neppure per piazza Fontana, per la stazione di Bologna o per le stragi di Falcone e Borsellino è stata applicata questa tipologia di accusa.
Ha perso 35 chili e i parametri vitali sono al limite. Il 19 dicembre il Tribunale di Sorveglianza di Roma ha confermato la sua detenzione in 41 bis, di fatto firmandone la condanna a morte. La sua lotta ha avuto la forza di aprire uno squarcio sulla ferocia di questo regime a cui nessuno prima poteva portare critiche senza essere accusato di collusione con i “mafiosi” e di indebolire la lotta dell’Antimafia.
Il 41 bis, per come lo conosciamo ora, esiste dal 1992 e non ci risulta, dopo trent’anni, che le organizzazioni di stampo mafioso abbiano subito un indebolimento. Infatti il vero intento di questo trattamento penitenziario non è impedire i contatti con l’organizzazione criminale di appartenenza all’esterno, come recita il provvedimento che lo istituì, ma di costringere a dissociarsi, a pentirsi, ad accusare qualcun altro da mandare dentro al posto di chi così spera di uscirne.
Isolare, punire, seppellire. Questo è lo scopo di un regime che ormai in tanti definiscono di tortura, in cui si è totalmente tagliati fuori dal mondo, da qualunque rapporto anche con altri detenuti che non siano quelli decisi dalle direzioni, chiusi in celle spoglie, spesso sottoterra, nelle quali anche l’esposizione di una foto e qualsivoglia materiale compresi i giornali. La possibilità di leggere, limitata a 4 libri al mese, è sottoposta a censura e alla decisione dei direttori. I colloqui, uno al mese, si svolgono dietro al pannello di plexiglas. Né i familiari né gli avvocati possono portare fuori neppure una parola del detenuto, pena denuncia con rischio di condanne da 3 a 7 anni di carcere.
In tutto il paese e in tante parti di Europa e del mondo si sono attivate numerose iniziative di solidarietà che hanno riaperto il dibattito pubblico sugli aspetti repressivi del sistema carcerario italiano di cui il 41bis è la punta di diamante.
L’ampia adesione alla giornata di mobilitazione milanese del 29 dicembre, nonostante il divieto posto dalla Questura proprio per scoraggiare la partecipazione, dimostra che la solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo e al regime di tortura del 41 bis sono elementi riconosciuti come propri da settori militanti, sindacali e sociali non quindi circoscritti alla sola area anarchica.
Le notizie invece diffuse dai media hanno il chiaro intento di confinare la breccia apertasi, con la coraggiosa lotta di Alfredo, nel consenso o silenzio che regnava sul regime di tortura del 41 bis, vera pietra angolare che regola l’approfondirsi dell’arbitrio carcerario attraverso l’onnipotenza di strutture come la Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo e il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria.
Va mantenuta viva e concreta la critica al regime di tortura del 41 bis, dell’ergastolo ostativo e in generale al criterio della “collaborazione” quale strumento premiale o punitivo di mobilità fra i circuiti carcerari che istituzionalizza l’arbitrio e il baratto.
Il 41 bis, l’ergastolo ostativo sono solo la punta estrema di un sistema repressivo le cui ricadute e i cui effetti li misuriamo ogni giorno: va contrastata la crescente criminalizzazione delle lotte sociali – il tributo pagato è già altissimo in termini di repressione, misure preventive e carcere – in particolare della componente anarchica e compresa la sua natura strumentale finalizzata a generalizzare un continuo inasprimento dell’azione repressiva come la storia di questo paese ben ci ha insegnato.
La repressione colpisce e minaccia chiunque non abbassa la testa di fronte allo sfruttamento nei luoghi di lavoro, nella scuola con l’alternanza scuola-lavoro, alla distruzione dell’ambiente, al saccheggio dei territori, alla guerra e al razzismo di stato.
Domenica 15 gennaio: manifestazione
Ore 15 Porta Genova – Milano
Assemblea cittadina Contro carcere, 41 bis, ergastolo ostativo
Fuori Alfredo dal 41 bis
Solidali con chi lotta nelle carceri


Di scontri molto grossi ce n’erano già stati anche a Milano, per esempio contro la sede dei fasci in via Mancini, nell’aprile del ’75: non parliamo di Napoli, dove situazioni del genere erano piuttosto frequenti. Queste azioni erano espressione di un potere proletario effettivo. La polizia non andava più a sgomberare le case, soprattutto in certi quartieri come Quarto Oggiaro, a Milano, o San Basilio, a Roma. Le case si prendevano e si difendevano: «la casa si prende, l’affitto non si paga» era diventata una parola d’ordine di massa in quei momenti. Era una sollevazione di tutti. […] Gli operai erano talmente forti che i giovani appena entrati erano subito combattivi: andavano in fabbrica proprio per combattere il lavoro salariato. […] in queste fabbriche tra Milano e Torino c’erano nuclei operai che ai capi impedivano di comandare. Scioperavano e, se i capi non ci stavano, gli bruciavano la macchina. […] Avevano un’idea di brigata allargata, che prendeva tutti gli ambiti, dalla fabbrica al quartiere, per esempio il supermarket, entravano e lo ripulivano, e guai se c’erano fascisti! […] Quindi capi, gerarchie, giudici, polizia, scuola, lo Stato nel suo insieme, erano tutte cose che venivano messe in discussione e affrontate diversamente. E questo succedeva nelle carceri, nelle scuole, nelle case, nei quartieri anche, specialmente a Roma, ma anche a Torino, a Milano un po’ meno.

“Pur non riconoscendo nessuna validità né alla psichiatria, né alle istituzioni che la praticano, né alle leggi che la regolano, dobbiamo riconoscere che il più delle volte l’unico modo per liberarsi da un ricovero coatto è ricorrere alle procedure di autotutela che la legge prevede. Con questo non vogliamo negare il diritto di ognunx all’affermazione di se stessx, né tantomeno la libertà di ribellarci a chi cerca di recluderci o modificare la nostra volontà. Ma in ogni caso consigliamo, per tutti indistintamente, di adoperarsi per conoscere le leggi che, pur conferendo alla psichiatria il potere di rinchiuderci, possono, per la loro stupidità, aprirci anche spazi di possibile liberazione dalla psichiatria stessa.







