LA BANALITÀ DEL MALE E LA BANALIZZAZIONE. SUI FASCISTI A PREDAPPIO, ANCORA…

Riceviamo e diffondiamo

Anche quest’anno ci sono state le solite buone 48 ore di articoli sul giornale, interviste fatte per strada, commenti pro e commenti contro all’ennesima manifestazione fascista che invade il paesello romagnolo ogni, almeno, 28 ottobre (marcia su Roma) e 29 luglio (nascita del dittatore). Tra poche ore non ne parlerà più nessuna/o, fino all’anno prossimo: un altro bel lascito della digitalizzazione/virtualizzazione del mondo.
Perché allora scrivere queste righe e aggiungere un trafiletto in più di quasi folklorico sdegno per poi dimenticarsene pochi minuti dopo, pochi “scroll” dopo?

Perché l’attualità trattata in maniera emergenziale come si sta ormai perpetuamente facendo da decenni non consente lucidità d’analisi secondo noi e la ridicolizzazione dei fascisti che si ritrovano a Predappio, che molti giornalisti perseguono con le proprie interviste cercando il più caso umano tra tutta la marmaglia, getta ancora più fumo negli occhi. I fascisti (ci rifiutiamo di definirli “neo” o “post” perché la continuità simbolica, ideologica, pratica è evidente e, anzi, da loro stessi rivendicata) scorrazzano liberamente per Predappio almeno dal 1983, anno in cui la Prefettura di Forlì ritira il divieto di vendere paccottiglia fascista (guarda caso nel centenario della nascita di Mussolini) per poi fare un salto di qualità nel 1997, anno in cui l’allora sindaco dei DS (Democratici di Sinistra, sì, quelli di quel D’Alema che concedeva le basi militari per bombardare Sarajevo, remember?!) approva l’apertura dei negozi di “souvenir” come li chiamano loro (e anche i giornali).

Questo per dire che il problema è trentennale ed è soprattutto un problema sociale, della cittadina romagnola: come si fa a tollerare che due volte l’anno la città venga invasa da fascisti e nazisti proveniente da tutta Italia (e spesso anche dall’estero: falangisti di Spagna, nazi ungheresi etc) senza contare che TUTTO L’ANNO, tutti gli anni, Predappio è il parchetto giochi di fascisti di ogni risma, e non sono solo “nostalgici” (come se poi se fossero davvero dei nostalgici ci sarebbe da star tranquilli, boh!) la maggior parte sono uomini (il 98%) di tutte le età e provenienze che vengono a venerare un dittatore fortunatamente giustiziato che per prendere il potere ha sparso per l’Italia morte, torture, tradimenti, incendi, saccheggi, oppressione. E una volta preso il potere (concessogli, in verità) non ha fatto che proseguire nella strada dell’oppressione fino alle tragedie massime delle leggi razziali e della guerra.

Ed è bene ricordarlo, perché la storia è sempre più dimenticata, mistificata, taciuta, revisionata: Mussolini va al potere per soffocare le istanze di liberazione di una generazione di sfruttate/i che se industriali ed agrari non avessero armato il fascismo (e se partiti e sindacati di sinistra non fossero stati dei pusillanimi, a dir poco) avrebbe fatto la rivoluzione sociale. E in questo non è cambiato nulla: le squadracce che nel 1921 assalivano, coperti e spalleggiati da esercito e carabinieri, fanno il paio con i fascisti che nel 2025 attaccano i liceali che protestano (esempio Torino pochi giorni fa) aiutati dalla celere o i picchetti degli scioperanti (come a Seano nel 2024).

Ma tornando a Predappio c’è da chiarire a chi non avesse mai messo piede tra queste colline, che TUTTA la vita sociale di questo paese è ostaggio della presenza della cripta Mussolini e dei suoi accoliti: dalle gare motociclistiche ai trekking urbani, passando per le serate di degustazione di vini, tutto ruota attorno al fascismo e alla figura di Mussolini. E come potrebbe essere altrimenti? Predappio fu costruita dal dittatore per celebrare sé stesso (quest’anno i cento anni dalla Fondazione! Con tanto di festa e maxi modello di cartone della città esposto in piazza!) e tutte le amministrazione degli ultimi 30 anni (una menzione d’onore va ai multipli mandati di Frassineti, del PD) si sono prodigate per fare sì che il paese e il fascismo siano felicemente gemellati, per la bella faccia e le tasche gonfie di quei tre o quattro imprenditori che hanno costruito una fortuna sui “gadget” (Pompignoli, Morosini, Ferrini prima di tutti).

Ogni persona che vive a Predappio o che la visita, senza essere fascista, si potrebbe domandare per una volta nella vita: ma posso tollerare che chi ha messo a ferro e fuoco (letteralmente: la “colonna di fuoco” di Italo Balbo) la Romagna, e poi tutta Italia e poi l’Albania, Etiopia, la Spagna (il sostegno decisivo a Franco contro la Repubblica) sia osannato davanti ai miei occhi, senza fare nulla? Che questi ragazzini che poi vanno in trenta contro tre (mi riferisco all’ultima aggressione fascista a Cesena, l’11 ottobre scorso) possano tranquillamente salire a Predappio e comprarsi dei manganelli, dei tirapugni e dei coltelli con su inciso nell’elsa “boia chi molla” e poi andare a vagheggiare di onore e merdate simili nella cripta di Mussolini, come se fosse “normale”…e in effetti, è tragico ammetterlo, nell’Italia del 2025 è più “normale” questo che lottare contro il genocidio in Palestina, genocidio che il governo italiano appoggia, arma e finanzia, cosa per la quale ti becchi accuse e condanne per terrorismo (vedi, tra tutti, il caso di Anan Yaesh).

Un’ideologia come il fascismo che è, come qualcuno/a l’ha magistralmente riassunto un “vuoto pneumatico” si fonda, si sostiene e si autoalimenta di rituali e celebrazioni che devono essere ripetute per dare linfa a un costrutto che non ha radici sociali, né filosofiche, tanto meno esistenziali, ma solo un’accozzaglia di slogan ripetuti vuotamente. Primo tra tutti questi “miti fondativi”, e forse quello più pericoloso per chi vive l’antifascismo senza deleghe, è quello dell’invincibilità, che ha bisogno di riconferme continue in scontri di strada (sì, trenta contro tre però). Ogni mito ha necessità di un luogo dove poter esprimere la propria liturgia, e cos’è Predappio, oggi, se non la vera e propria Mecca del fascismo?
Non è perciò solo una questione di stomaco, di non voler vedere sta gentaglia in giro per il paese e per le valli, ma anche una questione politica e sociale urgente: questi fascisti, a Predappio, trovano linfa vitale e totale agibilità per i loro deliri di supremazia.

Anche tutta la manfrina sulla paura di “quelli di Forza Nuova” merita una piccola precisazione, perché letta, oggi, sui giornali pare un’allarmante novità: Forza Nuova, fino alla scissione della “Rete dei patrioti” (2020) è stata sempre integrante, quando non direttamente organizzatrice, delle manifestazioni di Predappio, e lo è da decenni. Poi che tra camerati stessi non corra buon sangue e quindi si mettano a fare i loro teatrini di eterne vittime, esclusi, osteggiati dalla Digos (seeeeeee!) serve solo a fare un po’ di pubblicità ad un partito, Forza Nuova, che ha negli ultimi anni, perso moltissimi iscritti. Ciò non toglie che i nazifascisti, quelli da stadio e da strada, che menano e sanno menare (o accoltellare) vengano da sempre a Predappio, e non solo i pagliacci col fez made in china. E parlando di pagliacciate, veniamo alla banalizzazione: a vedere i video dei giornalisti che intervistano i/le camerati/e mi sorge il pensiero che li/e si voglia per forza far passare per dei dementi, sgrammaticati, imbecilli, in una parola, sì, fascisti. Ma questa opera di ridicolizzazione è molto pericolosa sotto diversi punti di vista.

È certo vero che “la galassia fascista” si compone di individui per lo più stolti, abbrutiti e repressi, per dirla come si direbbe da noi “che non fanno una O con un bicchiere”, ma, a ben vedere, il fascismo non è mai stato altro che questo: moltitudini arrabbiate, frustrate, sobillate nei “bassi istinti” (ieri “la vittoria mutilata” oggi “l’immigrato privilegiato”) scatenate senza nessuna necessità di riflessione o di possibilità di messa in critica degli ordini sbraitati dai capi. Ed era esattamente, per altro, ciò che Mussolini o ancora più un Michele Bianchi, uno degli ideologi del fascismo del ‘22, promuovevano: una cerchia ristretta di individui eletti, “illuminati” (come direbbe Bianchi che era massone) che guida le “immature” masse italiche verso la riconquista dell’onore perduto della patria.

Anche le camicie nere storiche erano per lo più gente violenta e ignorante, avvezza più alle scazzottate da osteria e alle coltellate alcoliche che alla discussione, all’organizzazione tra pari. Erano massa d’urto al servizio di un astuto, laido, infido politicante: Benito Mussolini. Per questo non c’è da stupirsi che a Predappio, oggi, si riversi la crème della crème dell’idiozia nazional-popolare, ma non c’è neppure da prenderli sotto gamba. Non c’è una sorta di “degradazione” odierna di quello che il fascismo rappresentava, non è che i discendenti delle squadracce siano meno pericolosi perché più imbecilli, sono esattamente ugualmente pericolosi perché ugualmente incattiviti, impuniti, galvanizzati, imbecilli (solo con la parola imbecille ci viene da trattare uno/a che crede di “lottare contro il sistema” ed è finanziato, armato, difeso, spalleggiato, dagli industriali/politici/imprenditori che il sistema, quello del capitalismo e della borghesia, hanno congegnato e imposto).

Dire che “un/a fascista non ha idee”, in quanto fascista, non è sbagliato in sé, ma non toglie nulla alla funzione reazionaria di quel/la fascista: è esattamente così che viene richiesto che sia, che lo vogliono i capi, i gerarchi i capi-partito i duci: forza motrice. Un fascista non deve avere idee, ma parole d’ordine, e agli ordini, per quanto stupidi o brutali o infami o sanguinari, si obbedisce. Poi ci son i capi, gli ideologi, i fascisti che scrivono i libri,  tutto vero, ma senza la massa, la bassa manovalanza, sarebbero poco più che un club di itterici biliosi che vagheggiano di arianità e autocrazia (non sto descrivendo nulla di incredibile: banalmente è come è organizzata una qualsiasi caserma, che infatti è l’ispirazione della società fascista).

Il fascismo non è infatti “un movimento politico” ma una maniera di arrivare al potere, e ogni potere si fonda sulla dominazione di pochi, l’accettazione-complicità di alcuni e l’indifferenza di molti, così ci pare ci suggerisca la storia dei totalitarismi come delle democrazie, che in quanto a arbitrarietà, privilegio e oppressione pare abbiano imparato bene la lezione dai totalitarismi, ma questa è un’altra storia. Il fascismo del ‘22 si è affermato sulla violenza che lo stato gli ha concesso di esercitare, impunito (l’impunità dei fascisti, benché facciano costantemente le vittime, è un dato fondamentale  nel loro operato, ieri come oggi) a piene mani o spesso affiancandogli carabinieri e regio esercito, mentre gli oppositori politici (socialiste, anarchici, comuniste, Arditi del Popolo, repubblicani) se solo venivano trovate/i con un bastone venivano arrestati/e.

Oggi sta succedendo, in piccolo, perché la partecipazione sociale alla “cosa pubblica” è incredibilmente diminuita, la stessa identica cosa. E per non ricommettere gli errori del passato non possiamo considerare il fascismo di oggi una “tragica pantomima”, ma dobbiamo organizzarci nella consapevolezza che, al momento opportuno (per esempio in caso di sollevamenti sociali dovuti all’economia di guerra e/o a prossimi arruolamenti per le guerre della Nato??!) lo Stato riutilizzerà la propria manovalanza sporca come sempre ha fatto, come non ha mai smesso di fare, dagli scioperi del ‘21 alla strategia della tensione degli anni ‘70 e ‘80 fino ad oggi.

E di questa consapevolezza fa parte la certezza, storica oltre che esperienziale, che “l’antifascismo della costituzione” di cui si fregiano i vari partiti di sinistra, è solo una mostrina da esporre il 25 aprile, e poi il resto dell’anno votare per più telecamere, più centri per reclusione dei migranti, meno diritti per le fasce povere della popolazione, più bombe, più asfalto (etc.) mentre il grido di libertà dei compagni e delle compagne partigiane che c’hanno lasciato la pelle ci intima di non fidarci, che la stessa gente che porge la mano ai fascisti, in nome del dialogo democratico, è quella che ci taccia di “violenti” o “provocatori” se ci si arrabbia nei cortei.

Il fascismo si combatte, a Predappio e ovunque, con la cultura della fratellanza e della sorellanza e della solidarietà tra sfruttati/e; del rifiuto della competizione e del servilismo, ma una cultura che sappia impugnare le armi per l’autodifesa per non essere, ancora una volta, gettata nel tritacarne della storia.

– Alcuni/e Antifascisti/e Arrabbiati/e dai colli di Romagna –

AGGIORNAMENTO DAL CPR DI TORINO (NOVEMBRE 2025)

Diffondiamo

La sera del 20 ottobre, tra le 19:30 e le 20:00, cinque persone hanno deciso di salire sul tetto dell’area verde per protestare, mettendo in gioco il proprio corpo per rivendicare la libertà a partire da alcune questioni specifiche. C’era chi stava protestando per avere informazioni chiare sulle proprie istanze di liberazione, denunciando le continue menzogne dell’amministrazione del CPR al solo scopo di pacificare le persone recluse, chi protestava per l’impossibilità di parlare con il proprio avvocato perché, come spesso accade, l’amministrazione ostacola il più possibile le comunicazioni, nascondendosi dietro a burocraticismi e cavilli; e chi rivendicava l’accesso alle proprie medicine, bloccate perché troppo lento il passaggio di consegna della cartella clinica proveniente dal carcere.
I reclusi hanno scelto di lottare insieme, salendo sul tetto e usando il proprio corpo come leva per fare pressione sull’amministrazione e ottenere “il rispetto dei propri diritti” – come ci dicono da dentro. Anche dalle altre aree, le persone hanno sostenuto la protesta, amplificando le rivendicazioni rendendole collettive. Non sono mancate le reazioni immediate dell’amministrazione e della polizia, che hanno minacciato di trasferire le persone alle Vallette, facendo così ripartire il conteggio dei giorni di detenzione.

Se dalla riapertura del CPR di Torino Sanitalia ha tentato di oscurare la tortura portando avanti una gestione all’insegna del detto “bastone e carota” e quindi concedendo qualche miglioria delle condizioni quotidiane, dall’altra parte non sono mancate politiche estremamente punitive e repressione anche a suon di burocraticismi nei confronti di chi dentro quel centro si ribella. Dai trasferimenti in carcere, purtroppo sempre più frequenti, ai trasferimenti punitivi nel CPR in Albania, diventati non solo reali ma anche una minaccia quotidiana per chi vive ogni giorno la violenza della detenzione nel CPR, i fatti delle ultime settimane ci mostrano l’altro lato della violenza razzista di Sanitalia ai danni delle persone recluse e di chi prova lottando a rompere il velo di pacificazione tanto agognato dall’amministrazione.

A riprova di ciò, dopo il mese di settembre scandito da quotidiani gesti di ribellione dentro il CPR, alle prime di settimane di ottobre dove diversi reclusi hanno deciso di mettere a rischio la propria vita buttandosi dal tetto pur di poter uscire da quel centro – la quotidianità punitiva del CPR è tornata a farsi sentire. Il cibo è tornato ad essere immangiabile, definito “becchime per uccelli”, si tratta spesso solo di pasta o riso, spesso marcio e andato a male. Molte persone hanno sofferto di diarrea per giorni e, come accadeva anche con la precedente amministrazione del CPR, vengono messi psicofarmaci nei pasti, lasciando le persone confuse e stordite. Da dentro ci raccontano che da oltre tre mesi non viene distribuito nulla di fresco.
Come spesso accade nei luoghi di tortura, nonostante l’arrivo del freddo, il riscaldamento non funziona e le persone sono costrette sotto le coperte anche durante il giorno. In una delle aree i bagni sono praticamente interdetti e, nonostante le continue richieste d’intervento, la situazione non sembra cambierà a breve.

Anche le deportazioni continuano. Infatti, la sera di venerdì 24 ottobre, 10 persone sono state prelevate con un bus dal CPR e sono state deportate, probabilmente proprio in Albania. Al contempo, se 10 persone sono uscite, 20 sono state portate dentro al CPR di Torino proprio la mattina dopo. Di nuovo, la notte tra il 29 ed il 30 ottobre, altre 10 persone sono state portate in Albania.

CATANIA: GIÙ LE MANI DALLA LUPO

 

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 “Nessuno dice: abbiamo gonfiato e arricchito le mafie perché Stato e Mafia devono vivere in simbiosi mutualistica, devono presupporsi ed alimentarsi a vicenda, rappresentarsi come Società, la Seconda Natura, per la maggiore gloria del Dio-Capitale, della sua Merce, del suo Spettacolo. Liberarsi dalle Mafie è liberarsi dallo Stato”.
Riccardo d’Este

Infine il comune di Catania ha deliberato un progetto esecutivo per la piazza Pietro Lupo. Lo ha fatto nonostante non sia stata fatta alcuna concertazione territoriale, perché in questi anni l’unica espressione dellx abitanti sono state proteste e critiche verso l’idea di realizzare il famoso e fumoso parcheggio.

Quasi 4 milioni di euro sono stati invece ora stanziati per diminuire i posti auto già esistenti, piantare qualche essenza arborea e fare un’ennesima postazione per turisti e telecamere. Se il problema era migliorare la pedonabilità dello spazio urbano e la qualità della vita in questo pezzo di centro storico non serviva di certo uno spreco così ampio di risorse pubbliche, o meglio un tale indebitamento (ricordiamoci che i soldi del PNRR sono un debito che l’Italia ha contratto con l’Europa). Questo mentre arriva la notizia che Catania ha perso 19 istituti scolastici negli ultimi 2 anni.

3 milioni 900mila euro verranno dati alle imprese edili risultate vincitrici dell’appalto, in primis il “Consorzio stabile progettisti costruttori”, del gruppo Capizzi. L’imprenditore, fratello del sindaco  di Maletto appartenente a FdI, è tutt’ora coinvolto in diverse inchieste per corruzione e ha dichiarato di aver pagato tangenti per ottenere un cospicuo appalto pubblico a Messina. Nonostante il patteggiamento, resta chiara la lettura politica dei modi in cui queste imprese edili operano.

Così come è chiara la comprensione di cosa sia stato il progetto precedente del parcheggio, quello per cui Virlinzi e Ciancio avevano aperto la società “Parcheggio Lupo srl” con il quale l’amministrazione comunale, sempre della stessa destra fascista,si è ritrovata esposta in un ulteriore contenzioso per non avere portato avanti i lavori.

Sono decenni che esiste un apparato di governo a Catania che è colluso con famiglie imprenditoriali che usano metodi mafiosi e che drena risorse pubbliche per svendere pezzi di città e terreni naturali all’economia immobiliare e turistica. Lo si vede ovunque. A Ognina, alla Pescheria, alla Civita e anche nella contigua San Berillo, dove l’amministrazione comunale ha lasciato i proprietari liberi di speculare e interviene solo aggiungendo videocamere di sorveglianza e supportando i raid della questura.

Come nello sgombero in via di Prima di poche settimane fa quando più di una decina di forze di polizia sono state mandate a difendere una proprietà della famiglia Virlinzi per sgomberare donne e uomini che stavano pagando un affitto e nei confronti dellx quali non è stata proposta alcuna soluzione abitativa alternativa.

Nella delibera si sproloquia sulla “scarsa fruizione di Piazza Pietro Lupo” attuale e si dice che il progetto permetterebbe invece di “accogliere la collettività”. La collettività è accolta ogni giorno in uno spazio autogestito in cui si continuano a proporre laboratori, attività culturali e ricreative, libere e gratuite. E in cui trovano posto anche quelle persone razzializzate che il governo locale e nazionale, e la prefettura, vorrebbero solo rinchiuse in un CPR.

Ma che al comune di Catania di chi abita davvero nel territorio non importi nulla lo si è visto anche con lo sgombero della Consultoria autogestita, dove ci si organizzava per fornire accesso gratuito alla salute in una provincia in cui, per legge, dovrebbero esserci almeno altri 19 consultori. D’altronde, cosa aspettarci da un sindaco che scrive che Catania non è “puttana che si mette in mostra per essere violata”?

Nel progetto di piazza Pietro Lupo si chiama in causa direttamente anche il turismo. È la stessa scusa con cui hanno sgomberato anche lo storico centro sociale Auro, il cui edificio sarebbe dovuto diventare un hub turistico e invece continua ad essere abbandonato e murato. E intanto le navi da crociera continuano a susseguirsi al porto, con la loro scia di inquinamento e predazione dei luoghi. Sappiamo bene l’idea di città che ha in testa chi governa: turismo di massa sempre più invasivo, nessuna politica abitativa e criminalizzazione di chi non ha soldi, si organizza senza profitto e/o prova a difendersi da espropri e sgomberi.

Qua si tratta di difendere la LUPO, ovvero impedire che si tolga uno dei pochi spazi liberi rimasti in città dove poter sperimentare relazioni umane senza gerarchie e profitto e organizzarsi contro chi uccide, imprigiona e sfrutta la vita. Ma qua si tratta anche di difendere lx abitanti di Catania dai progetti di un’amministrazione collusa che ha in testa solo stato, dio, patria, famiglia, repressione e tanto profitto. In una città dove i sodalizi tra ex questurini, imprese immobiliari e turistiche ed eletti sono strutturali. Insomma, dove governa la mafia, intesa come “il modello di tutte le imprese commerciali avanzate”, parte e partner (non deviata) dello stato.

Dalla Lupo occupata e per la Palestina liberata.
Giù le mani dalla LUPO!

Assemblea cittadina mercoledì ore 19.00 in Piazza G. Falcone.