QUEST’ULTIMA GOCCIA NON FA TRABOCCARE IL VASO. RIFLESSIONI SULLA SICCITÀ A MESSINA E IN SICILIA, TRA SVENDITA DELLE INFRASTRUTTURE IDRICHE E “GRANDI OPERE”

Riceviamo e diffondiamo

Quest’ultima goccia non fa traboccare il vaso di acqua ma, per l’ennesima volta, rende piena d’incertezze e lascia a sé stessa una cittadinanza sempre più delusa.
Non vi sono zone della città che non siano in qualche modo colpite dalla mancanza di erogazione idrica nelle abitazioni. Intere palazzine a secco da giorni, alcune superano la settimana. Segnalazioni arrivano da ogni angolo, da Punta Faro sino a Larderia, ove si possono constatare variegate situazioni di disagio. Probabilmente la suddivisione in aree di gestione dell’emergenza voleva suggerire una localizzazione del problema, facendo trapelare il totale essere sotto controllo della mancanza d’acqua. Ma la realtà suggerisce un quadro molto più ampio e fosco. Il piano d’emergenza emesso dall’AMAM fa “acqua” da tutte le parti, triste metafora in questo momento. In fin dei conti sembra solo aver riempito le strade di autobotti che invadono la città, affannandosi, nel travasare qualche metro cubo di acqua nei vari serbatoi dei condomini in giro per l’area urbana di Messina. Ad essere messa in discussione non è qui la buona volontà di operatori ed operatrici che cercano di districarsi, anche loro come vittime, in questa massa piena di disagio e sentimento di abbandono; piuttosto, la riflessione dovrebbe superare la mera ricerca delle inefficienze quotidiane nella c.d. gestione della crisi e non incagliarsi nei tecnicismi infrastrutturali di condutture, inclinazioni e vari livelli di pressione.

Se la frammentazione in aree della città afflitte dalla crisi idrica può dare un’idea di localizzazione del problema, seguendo le segnalazioni dei cittadini e delle cittadine ci rende presto conto che la mappa dell’emergenza attraversa, se non tutto, un’ingente parte dell’urbanizzato messinese. La gente ha potuto fare affidamento su qualche autobotte o sul proprio ingegno e possibilità organizzativa (in termini soprattutto economici). Ed in questo quadro di essiccamento colposo le beffe non sono affatto poche:

In primo luogo, la privatizzazione dell’infrastruttura idrica, ossia laddove non è possibile impossessarsi dell’acqua, si sono svenduti i rubinetti. Qui subentra ATI, ossia Assemblea Territoriale Idrica, ente pubblico cui compito è la gestione delle varie infrastrutture idriche territoriali, subentrata ad EAS (Ente Acquedotti Siciliani) commissariato da ormai parecchio tempo. Per quanto riguarda la conduttura del messinese, ATI sembrava intenzionata, in un primo momento, a determinare una gestione a carattere totalmente pubblico. Nel giro però di pochi mesi da questo tipo di delibere (nn. 10,16,28 del 22), cambia tutto, e dall’ente si decide di cercare invece un partner privato che co-gestirà l’infrastruttura idrica detenendone il 49% della proprietà. Nel frattempo, alcuni “commissari ad acta” della Regione Sicilia determinano il compimento dell’iter burocratico per dare vita alla Messinacque S.p.a., società cui destino, aiutato dalle continue proroghe di ATI sul bando di ricerca del partner privato per la gestione dell’apparato idrico messinese, sembra voler riservare quel 49 % menzionato sopra. L’ultima proroga portava la scadenza al 10 luglio 2024, data oltre la quale non sembrerebbe esserci stata alcun’altra proroga per il bando; si può presupporre che Messinacque S.p.a. si sia adesso presentata ad accaparrarsi la “conduttura promessa”.

Le conseguenze di questo passaggio di questa grande fetta di proprietà dell’infrastruttura idrica avranno ripercussioni già immaginabili, prima fra tutte il levitare del costo dell’acqua stessa; beffa oltre il danno in tempi di crisi totale ed assenza di acqua corrente. -Ci chiediamo quale ruolo abbiano Comune ed AMAM in questo furto bello e buono. Ci chiediamo se il ricorso al TAR dei Comuni, rigettato recentemente, sia bastevole nel garantire a noi tutti e tutte un dignitoso accesso a questo bene primario.

Già solo questo basterebbe a farci accapponare la pelle, ma le controversie non finiscono qui; prime fra tutte l’incombere della cantierizzazione della città tutta per far spazio al mostro ponte.

Che con la stessa prepotenza di chi ce lo impone farà breccia nelle nostre esistenze, determinando uno scossone senza precedenti nelle nostre quotidianità. La domanda sorge spontanea: “ma forse sarà che l’acqua la vogliono portare con il ponte?!” Mentre Webuild, (la stessa azienda incaricata di costruire il ponte sullo Stretto) tiene sotto scacco l’intera area dei villaggi della zona sud fino a Fiumefreddo, Messina resta a secco. Allo stesso tempo, interi pozzi d’acqua sembrerebbero essere dati in totale monopolio ai cantieri. Le loro talpe, scavatrici di tunnel della devastazione, l’acqua per funzionare la trovano sempre; quella per impastare il cemento, sigillo sulla natura, la trovano sempre. Il loro impianto di betonaggio, a Savoca, è sempre in funzione. Assumendo furbamente le sembianze di progresso, il raddoppiamento ferroviario che interessa il messinese ha assunto tutte le caratteristiche che si prospettano per i futuri cantieri del ponte, mentre i mezzi pesanti transitano ormai da mesi nelle aree abitate di Roccalumera, Nizza, Savoca, Sant’Alessio, rendendole invivibili per gli abitanti stessi.

La prepotenza dei portatori d’interesse che, in barba ai dubbi sollevati dalle varie giunte comunali, sembrano procedere a spron battuto, senza troppo badare alle preoccupazioni di chi quei luoghi li abita.

Reputiamo non più sopportabile accettare questa svendita a trecentosessanta gradi delle nostre esistenze. Siamo continuamente sotto il ricatto di chi questi luoghi li vede solo come cave di denaro, continuamente sottoposti e sottoposte ad uno stato emergenziale che riduce sempre più le nostre esistenze ad una mera gestione tecnico-amministrativa. La Provincia assiste già alle prime frane; a sempre più persone manca l’acqua in casa; ancora e sempre più su tutti noi pende la spada di Damocle della cementificazione totale, della svendita delle nostre vite tutte ai signori del cemento e della digitalizzazione. Diventerà il loro hub logistico, per le loro merci, per i loro capitali, ma la Vita, in questi luoghi, sembra essere sempre meno benvenuta.

Riappropriamoci della nostra storia, del nostro territorio, delle nostre vite.
Creiamo insieme gli spazi che sogniamo.

PDF VOLANTINO: Quest’ultima_goccia_non_fa_traboccare_il_vaso

PISA: BASTA USO DEL TAPPETO CONTENITIVO! PRESIDIO DI SOLIDARIETÀ ALLE VITTIME DEI MALTRATTAMENTI ALLA STELLA MARIS

Riceviamo e diffondiamo

Martedì 10 dicembre ore 10:30 appuntamento al Tribunale di Pisa per una nuova udienza sui maltrattamenti nella struttura di Montalto di Fauglia destinata a ospitare persone autistiche, gestita dalla Fondazione STELLA MARIS. In questa udienza dovrebbero essere ascoltati altri testimoni della difesa.

Nell’estate del 2016, in seguito alla denuncia dei genitori di un giovane, la struttura è stata posta sotto controllo con l’installazione di microcamere e, dopo tre mesi di intercettazioni, la Procura di Pisa ha configurato l’ipotesi di reato per maltrattamenti. Tra gli ospiti Mattia, morto nel 2018 per soffocamento, dovuto probabilmente al prolungato ed eccessivo uso di psicofarmaci. I continui cambi di terapia avevano comportato disfunzionalità e rischi al momento dei pasti di cui la famiglia afferma di non essere mai stata informata. Per questa vicenda vi è un altro procedimento penale, il processo in primo grado si è chiuso con nessuna responsabilità da parte dei medici e della struttura. È iniziato il processo d’Appello presso il Tribunale di Firenze, rinviato addirittura a novembre 2025.

Il processo per maltrattamenti va avanti lentamente da oltre 6 anni: le udienze sono diradate considerando l’elevato numero di testimoni. Si tratta del più grande processo sulla disabilità in Italia. Nel periodo della pandemia è stato ospitato nel Palazzo dei Congressi di Pisa.
Gli imputati sono 15, di cui due dottoresse che gestivano la struttura e il Direttore Sanitario della Stella Maris. Due imputati sono usciti di scena: un operatore che ha patteggiato la pena e il Direttore generale che, dopo il rito abbreviato, è stato condannato a 2 anni e 8 mesi, poi assolto nel processo d’Appello.
I genitori, i tutori e altri testimoni ascoltati hanno riportato le violenze subite dai ragazzi di Montalto e documentate dalle videoregistrazioni che testimoniano gli oltre 280 episodi di violenza in meno di 4 mesi; violenza non episodica ma strutturale. Nell’ultima udienza una delle dottoresse ha dichiarato che a Montalto di Fauglia venivano usati, in caso di crisi, i “tappeti contenitivi” dove il paziente veniva immobilizzato, contenuto e arrotolato.

Come riporta la relazione del consulente tecnico, professor Alfredo Verde: “Leggendo gli atti del presente procedimento abbiamo rinvenuto sicuramente la menzione di una lunga tradizione di abuso e violenza da parte degli operatori, radicata negli anni, e in parte tollerata, in parte ignorata della direzione delle strutture”. E ancora: “In queste situazioni si sviluppano degenerazioni in cui la violenza e la sopraffazione divengono strumenti usati ogni giorno, e l’istituzione perde le sue caratteristiche terapeutiche per divenire un luogo meramente coercitivo e afflittivo. Il comportamento degli operatori è apparso tipico delle istituzioni totali”.

Per questi motivi e per ricordare le vittime degli abusi psichiatrici che ancora vengono perpetrati ai danni di persone private della libertà personale non in grado di difendersi da sole, è un dovere seguire le vicende del processo nell’interesse di tutte/i.
Partecipiamo al PRESIDIO in SOLIDARIETÀ alle VITTIME
MARTEDÌ 10 DICEMBRE ore 10.30 c/o il Tribunale di Pisa, Piazza della Repubblica

per info:
Collettivo Antipsichiatrico Antonin Artaud
via San Lorenzo 38, 56100 Pisa 3357002669
antipsichiatriapisa@inventati.org
artaudpisa.noblogs.org