TORINO: TRE GIORNI DI DISCUSSIONI E MOBILITAZIONE CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI CORSO BRUNELLESCHI [1-2-3 NOVEMBRE]

Diffondiamo da No Cpr Torino

Se primavera ed estate 2024 sono state scandite dal calore di proteste, scioperi, rivolte ed evasioni – soprattutto dentro le galere di in ogni parte del paese – non si può dire che la controparte non stia, di pari passo, affilando la sua lama, puntandola spietatamente contro poverx, migranti e ribelli nonché chiunque porta solidarietà e prova a opporsi e resistere. Gli strumenti legislativi a disposizione delle procure si stanno, infatti, rimpolpando di disegni e decreti legge criminogeni che mirano ad ampliare il ventaglio dei reati, intensificarne le pene e abbassare la soglia di punibilità.

Il ddl 1660, in corso di approvazione, rispecchia molto bene la realtà in cui ci vogliono costringere a vivere. Difatti, in maniera molto dettagliata e puntuale, va a colpire tutti gli ambiti dove negli ultimi anni sono state portate avanti le proteste e le lotte più incisive che hanno attraversato il paese, dai luoghi di detenzione (carcere e CPR) alle mobilitazioni contro il disastro climatico.

D’altronde non servirebbe uno degli ultimi omicidi – in ordine temporale, e tra i più noti, che da decenni accadono nelle campagne italiane – di Satnam Singh a ricordarci che la linea del colore e l’oppressione di classe segnano indelebilmente il destino all’interno delle dinamiche di sfruttamento della forza lavoro. O l’assassinio di Oussama Darkaoui nel CPR di Palazzo San Gervasio a ribadire, ancora una volta, come le galere amministrative assolvano quotidianamente a uno dei loro compiti principali: terrorizzare i/le liberx senza documenti europei – resx clandestinx dalle leggi – affinché non osino lottare, autodeterminarsi ed esistere fuori dagli schemi della paura e del dominio.

Eppure, questa calda estate ci ha dimostrato che davanti alla brutale ingiustizia e violenza agita dallo Stato, non è solo la paura a dominare gli animi. Da Nord a Sud le proteste hanno scaldato i centri di detenzione – sia penale che amministrativi, ad ogni latitudine e per mano di ogni età. Fuori da quelle mura, solidali e complici han cercato le proprie strade per mostrare supporto, tessere legami, far circolare le notizie, rendersi tasselli di comunicazione, affiancando chi ha deciso di parlare per sé attraverso rivolte e proteste.

Sappiamo che il capitalismo differenziale – tanto più se in crisi economica e in un panorama bellico – ha sempre più bisogno di allargare le maglie quantitative del contenimento, irregimentare i metodi di tortura con il fine – neanche tanto sottinteso – di terrorizzare su larga scala e contenere coloro che si ribellano. Guerra, violenza, repressione, sorveglianza e incarcerazione, costituiscono gli strumenti necropolitici per antonomasia che si ripercuotono materialmente sui corpi provocando morte e sofferenza. Spezzano i legami ma, allo stesso tempo, producono nuove relazioni sociali, nuove grammatiche del potere, iscrivendole all’interno di un’economia politica imperniata sulla gerarchizzazione dell’umano.

La necropolitica, provando a interpretare i presenti sconvolgimenti globali, non è tuttavia semplicemente un processo bensì un vero e proprio paradigma. Il conflitto bellico tra l’Ucraina e la Federazione Russa e il genocidio in atto da parte dello stato sionista nei confronti della popolazione palestinese, sono – all’interno di questo quadro – potenti esempi di come agisce tale macchina.

Alle nostre latitudini i venti di guerra soffiano in molteplici direzioni; ne sono un esempio, da un lato, gli investimenti massicci nel settore bellico da parte del governo Meloni, dall’altro la stesura di decreti sicurezza, creati ad hoc, in cui vengono categorizzati sempre più nuovi nemici interni, evocando incessantemente una supposta minaccia incombente sulla stabilità del sistema economico e sociale.

Non limitandoci a osservare il fenomeno della guerra, come mera espressione dei/delle governanti di turno o di contingenti necessità geopolitiche, ci preme piuttosto leggere il presente bellico come parte integrante del capitalismo, e nella fattispecie di quello neoliberale, grimaldello della paura e della retorica massmediatica: base discorsiva per l’assestarsi o l’accelerare di alcune modificazioni del presente. Fondamentale, in merito ai discorsi oggetto di questa chiamata, l’intensificarsi di una retorica potente sul nemico interno delineato, non solo in chi lotta o dissente, ma soprattutto in colui che si trova ai margini del privilegio di classe e razza. A tal proposito, il razzismo sistemico e sistematico, l’islamofobia, la clandestinizzazione forzata delle persone in viaggio senza documenti europei, la brutalità delle frontiere e le morti in galere e CPR, sono parte del complesso set di strumenti torturatori che il potere si dà per tenere sotto scacco una vasta quantità di popolazione. Ne consegue un’architettura lineare che oggi sfrutta sul lavoro, domani capitalizza nei centri di detenzione e – magari – in un futuro guerreggiato neanche troppo lontano, ricatta per comporre le fila di una possibile legione straniera.

Delineare la geografia del razzismo sistemico e sistematico diventa lo strumento analitico fondamentale per trovarsi, tra complici e solidali, riconoscersi e identificare i punti di attacco. A seguito dell’importante chiamata promossa dalla Rete Campagne in Lotta (https://campagneinlotta.org/violenze-e-morte-alle-frontiere-razzismo-quotidiano-segregazione-rispondiamo-a-tutto-questo/) ad Aprile a Roma, proponiamo un seguito di quel momento di confronto a Torino, per l’1/2/3 Novembre 2024.

Occasione preziosa per lanciare anche un’iniziativa pubblica contro la riapertura del CPR di Torino, chiuso per la prima volta nel Marzo 2023 grazie a tre settimane di coraggiose rivolte, che han permesso al fuoco di distruggere, totalmente, una galera per persone senza documenti europei attiva da 25 anni.

Un anno e mezzo fa, all’incirca, il CPR di Corso Brunelleschi veniva distrutto dalla rabbia dei reclusi, rendendo materialmente più fragile un tassello della macchina delle espulsioni nostrane. Da quelle calde giornate invernali di fuoco, numerose sono state le rivolte, le evasioni e gli scontri contro la polizia, che hanno caratterizzato la quotidianità all’interno dei lager di Stato italiani. La violenza agita dalla detenzione amministrativa va inserita in un quadro ampio e complesso che conduce a uno sguardo sulla macchina delle espulsioni e ai CPR, come la punta visibile di un iceberg, in cui si annodano più strati e substrati di violenza e razzismo sistemico.

Se, infatti, il razzismo è un concetto solido – tangibile nella sua produzione di conseguenze materiali – urge produrre un discorso intellegibile che, con puntualità, renda esplicita la geografia dell’oppressione, lungo la linea del colore e della classe.

Estrapolare la lotta contro i CPR, da un discorso unicamente antidetentivo, ci consente di rendere esplicito il ruolo che queste prigioni hanno nel fungere anche, e non solo, da monito ai liberi e rafforzare così il ricatto del permesso di soggiorno. Lottare contro le galere amministrative, assume così, un significato nel porsi a fianco dei migranti, lavoratori e non, che chiedono documenti, casa e tutele per tuttx. In questo panorama, attaccare la forma tangibile di una frontiera vuol dire porsi al fianco di chi è rimbalzato, tramite dispositivi e leggi europee, tra l’essere l’oggetto di scambio tra Stati, merce di profitto per privati, strumento di pressione mediatica per fini nazionalistici e/o manodopera a basso costo.

Sentiamo sempre più urgente, prioritario e impellente incontrarci e organizzarci per analizzare il reale mortifero in cui viviamo, trovarci tra complici e tessere le reti di alleanze possibili con il fine di trovare i punti di attacco all’impianto razzista che scandisce la quotidianità nel capitalismo di oggi.

Il coraggio dirompente del reclusi del CPR di Torino nel Febbraio 2023 non può rimanere silente, dimenticato e rifagocitato dalla macchina razzista.

A tal proposito invitiamo compagnx, complici, solidali a venire a Torino nei primi giorni di Novembre per tre giorni di discussione e mobilitazione nazionale.


PROGRAMMA GIORNATE

VENERDI 1 NOVEMBRE
ORE 16 CORTEO NEL QUARTIERE DI SAN PAOLO CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI CORSO BRUNELLESCHI
————————————————————————————–
SABATO 2 NOVEMBRE
DALLE ORE 1O ASSEMBLEA PRESSO IL CSOA GABRIO, Via Francesco Millio 42 Torino
————————————————————————————–
DOMENICA 3 NOVEMBRE
DALLE ORE 10 ASSEMBLEA (solo la mattina)
————————————————————————————–
Per info e ospitalità scrivere a: antirazzistxpiemonte@autistici.org

POTENZA: PRESIDIO DAVANTI AL CPR DI PALAZZO SAN GERVASIO IN SOLIDARIETÀ AI RECLUSI

Diffondiamo

Domenica 6 ottobre
ore 15

Quest’estate, anche nella provincia di Potenza, è stata una stagione di razzismo di stato, fuori e dentro le mura del Centro di espulsione.
Da una parte, ai lavoratori delle campagne è stata negata ogni possibilità di alloggio e tra sgomberi, tagli di acqua ed elettricità è stata resa ancora più dura l’intera stagione di lavoro.
Dall’altra parte del muro, nel CPR di Palazzo San Gervasio, solo le proteste sui tetti contro le condizioni di prigionia ed il cibo scaduto hanno interrotto il lungo filo di violenze che ha portato, il 5 agosto scorso, alla morte di Oussama Darkaoui, un giovane ragazzo ammazzato a seguito delle percosse ricevute, come raccontano i suoi compagni di prigionia.

Dopo la rivolta scatenata dalla rabbia per questa uccisione, è cominciato il processo di insabbiamento che ha riportato il CPR potentino a lavorare nel silenzio generale. Sin dalle prime ore, la direzione del centro ha fatto circolare la notizia di ricoveri ospedalieri per autolesionismo che avrebbero riguardato il ragazzo ucciso, così da orientare l’informazione mediatica su un possibile suicidio o una responsabilità da attribuire alla vittima stessa.
ll questore di Potenza, invece, ha stabilito il rilascio immediato di 14 prigionieri, dichiarando la necessità di allegerire il sovraffollamento del CPR.
È stato poi lo stesso ospedale a smentire qualsiasi ricovero e gli avvocati delle persone rilasciate in tutta fretta a descriverle come i testimoni di quanto accaduto a Oussama Darkaoui.

Martedì 8 ottobre, presso il tribunale di Potenza, si terrà l’ennesima udienza di un processo contro alcunx solidali che in passato hanno partecipato a manifestazioni fuori dal CPR di Palazzo San Gervasio, al fianco delle persone recluse.
Al tempo, il lager potentino imprigionava le persone trasferite da Lampedusa dopo una rivolta di massa che aveva distrutto il campo di internamento isolano e il governo, con il decreto Salvini, rafforzava la guerra contro le persone immigrate mettendo mano alla normativa sui permessi di soggiorno e aumentando i tempi e i luoghi di prigionia.
Come in altri processi contro i/le compagnx, anche qui compare l’accusa di istigazione, un reato che vuole spezzare la solidarietà attaccando il senso stesso delle lotte.

Se il DDL 1660 – o nuovo “pacchetto sicurezza” – sferra un ennesimo pesante attacco ad ogni forma di lotta fuori e dentro le galere e i centri di espulsione, è importante ora, a due mesi dalla morte di Oussama Darkaoui, tornare davanti alle mura del CPR per non lasciare sole le persone che hanno lottato durante l’estate e rispondere alla repressione rompendo l’isolamento.

Cassa di solidarietà La Lima

CASSA TRANSFEMMINISTA QUEER DI SOSTEGNO PER PERCORSI PSICOLOGICI

Riceviamo e diffondiamo:

L’idea di questa cassa di sostegno per percorsi psicologici nasce dalla
constatazione che moltx tra di noi o in generale persone molto vicine a
noi si ritrovano a fronteggiare condizioni psicologiche tremendamente
precarie e spesso invalidanti. Spesso è difficile trovare strumenti
autogestiti per fronteggiare queste situazioni, specialmente nei casi in
cui il proprio benessere psicoemotivo è minato da uno stratificarsi di
traumi vissuti e oppressioni sistemiche che hanno portato a una
condizione di malessere cronico. Per questo motivo alcunx fanno la
scelta di intraprendere percorsi di psicoterapia con psicologx formatx.
O desidererebbero farlo: il fattore economico però è determinante, i
costi sono alti se non inaccessibili per moltx, per questo abbiamo
pensato che poteva essere interessante e utile creare una cassa di
supporto per questo tipo di spese.

Considerando che un percorso per essere efficace deve essere
continuativo e che per questo necessita di un investimento economico
notevole, abbiamo pensato di occuparci del sostegno mirato ad una
situazione per volta di cui siamo a conoscenza, partendo dalle
situazioni più vicine a noi, organizzando raccolte fondi fino a
raccogliere i soldi necessari per supportare un accesso alla
psicoterapia che sia continuativo e considerato adeguato dalla persona
direttamente interessata, per poi passare alla persona successiva che ne
avesse bisogno.

La cassa è transfemminista nel senso che vuole occuparsi del sostegno di
persone che non siano maschi eterocis, perché è indubbio che le persone
che subiscono l’etero-cis-patriarcato e/o altri tipi di oppressioni
sistemiche siano più soggette a questioni di salute mentale e allo
stesso tempo abbiano meno accesso alle risorse economiche necessarie. A
chi si sente coinvoltx nel tema proponiamo di organizzare raccolte
fondi, cene o altre iniziative benefit o qualunque altro metodo per
rimpinguare la cassa e sostenere le amicizie attorno a noi che hanno
bisogno di percorsi di sostegno per provare a stare meglio.

Al momento la cassa non dispone di un conto. Per chi volesse
contribuire, avere informazioni e in generale contattarci può scrivere
alla seguente mail: cassasupportopsi@riseup.net

PRESIDIO SOLIDALE AL CARCERE FEMMINILE DI PONTEDECIMO

Diffondiamo:

Dopo mesi di dure proteste in molte carceri in cui le persone recluse hanno denunciato il sovraffollamento, l’impossibilità di accedere a misure alternative, gli abusi delle guardie e altro ancora, il governo si appresta a votare il DDL 1660. Una legge da stato di guerra che colpisce ogni forma di conflitto sociale, fuori e dentro le galere.
Nuovi reati e aumento drastico delle pene per chi manifesta contro le guerre e il genocidio in Palestina, per chi lotta contro una grande opera, per chi occupa una casa sfitta, per chi sciopera e blocca una strada. Nuove norme durissime per chi nelle carceri o nei CPR protesta o anche solo disobbedisce all’ordine di un agente. E ancora più poteri e impunità per le forze di polizia.

FUORI E DENTRO LE GALERE
CONTRO IL DDL 1660 E LA SUA APPLICAZIONE

5 OTTOBRE ORE 10.30

GIULIANOVA: CORTEO CONTRO LO SGOMBERO DEL CAMPETTO! [28 SETTEMBRE]

Diffondiamo

Ritrovo ore 15 Piazza Buozzi a Giulianova paese.
Per poi scendere in centro al lido e andare verso il quartiere, l’Annunziata, in cui siamo stati in questi ultimi anni.
Dove il corteo si concluderà, dopo aver attraversato gran parte di città, presso il campetto di calcio, nel parco, che abbiamo sistemato ultimamente, dove ci sarà un concerto. Invitiamo tutte e tutti, le compagne e i compagni, gli amici e le amiche, tutti coloro che hanno o hanno avuto a cuore il campetto in questi anni.
E chiunque ha anche a cuore il territorio, perché uno spazio sociale é una possibilità, una ricchezza ed un valore per il territorio tutto.
Adelante

CITTÀ DEVASTANTI, BISOGNI SACCHEGGIATI. LA NOSTRA RABBIA NON SI FERMA

Diffondiamo

Dall’ottobre 2022 all’aprile dell’anno successivo, un’inaspettata mobilitazione solidale ha accompagnato lo sciopero della fame di Alfredo Cospito, anarchico prigioniero in 41-bis.
Iniziative, manifestazioni, azioni dirette hanno segnato in Italia e in molte altre parti del globo i passi di un movimento eterogeneo che è cresciuto nel dare forza alla protesta di Alfredo: una protesta che ha rivendicato sì la fine del regime detentivo del 41-bis per il nostro compagno, ma anche l’abolizione di questo dispositivo di tortura legalizzata e dell’ergastolo ostativo, il “fine pena mai”, con cui lo Stato italiano condanna quasi 1300 detenuti a morire in galera.

Uno Stato “democraticamente” guerrafondaio, tutto manette, sbarre e inasprimento di leggi e condanne, ovviamente non si è fatto nessun problema a ignorare, e talvolta a mistificare, quella lotta che metteva in evidenza il suo vero volto da torturatore e certamente non avrebbe ceduto se Alfredo, dopo 6 mesi di sciopero, non avesse interrotto la sua iniziativa. Ma gli obiettivi della protesta e della mobilitazione rimangono sul tavolo delle cause per cui vale la pena lottare.
Ovviamente quello stesso Stato, che probabilmente avrebbe lasciato crepare di fame il nostro compagno, non ha tardato a presentare il conto con inchieste e processi dove si è propagata la mobilitazione di quei mesi.

A Torino, questa controffensiva dello Stato si sta manifestando principalmente per mezzo della cosiddetta “operazione City” che ha propinato un buon numero di misure cautelari e ora si appresta ad aprire un primo “troncone” processuale con l’udienza preliminare del prossimo 17 settembre.
I fatti sotto inchiesta sono quelli accaduti in occasione del corteo internazionale avvenuto a Torino il 4 Marzo 2023, quando Alfredo stava portando avanti da quasi cinque mesi uno sciopero della fame con un inevitabile aggravamento delle sue condizioni fisiche.
I disordini e i danneggiamenti che hanno segnato un tratto del corteo vengono classificati nell’imputazione di “concorso” in “devastazione e saccheggio”, un’iperbole quest’ultima piuttosto roboante trattandosi del reato più grave contestabile in ambito di ordine pubblico, che prevede pene indiscutibilmente elevate.
Per quel che concerne il concorso si noti che in questa inchiesta quasi tutti i destinatari delle misure cautelari non sono accusati di reati specifici ma di aver in qualche modo organizzato il corteo in stile “paramilitare” e di aver “supportato” i danneggiamenti.
La chiamata in causa del “concorso” svela la finalità politica per cui viene utilizzato: spaventare e dissuadere dal manifestare perché la punizione potrà colpire chiunque decida di scendere in strada.
Per questo, il concorso va combattuto nella prospettiva di non cedere spazio alla criminalizzazione e alla smobilitazione della conflittualità di piazza, immancabile tassello in qualsiasi percorso di critica reale agli ordini politici ed economici.

Per quanto ci riguarda, le pratiche messe in atto durante quel corteo, altro non sono che la risposta alla violenza che lo Stato ha voluto per l’ennesima volta dimostrare contro i propri nemici, in un momento in cui era chiara la volontà di annientamento psico-fisico del nostro compagno. Come d’altronde riteniamo fondamentale l’autodifesa dei cortei per tutelare l’incolumità del corteo stesso e rendere più difficile l’identificazione dei manifestanti.
Si tratta di pratiche che appartengono al patrimonio di ogni movimento che si voglia porre in modo conflittuale rispetto allo Stato, pratiche che sempre di più vengono messe alla gogna, criminalizzate e spogliate dal loro significato politico per ridurre la presenza nelle strade a un problema di ordine pubblico.

Le nostre considerazioni rispetto al corteo del 4 Marzo sono poche ma immutabili: l’importanza di esserci stati in quel momento specifico e cruciale della mobilitazione, l’espressione della rabbia per una condanna a morte già scritta, l’affetto e la riconoscenza verso un compagno che ha messo in gioco la sua vita per combattere un mondo di sfruttamento e di prevaricazione autoritaria.

Oggi come ieri al fianco di Alfredo, contro il 41-bis e l’ergastolo ostativo, contro tutte le galere e tutti gli Stati. Alla repressione si risponde con la lotta!

Cassa AntiRepressione delle Alpi occidentali

BOLOGNA: FASCISTI E AVVOLTOI

Infomerdafascista:

A Bologna il 26 settembre in Piazza dell’Unitá fasci e avvoltoi sotto il nome di “Una Bologna che cambia” hanno chiamato a raccolta amici e camerati alle 17:30 al grido di STOP DEGRADO, mentre sotto il nome di “Movimento nazionale rete dei patrioti”, sezione Emilia, la stessa feccia ha indetto per il 12 ottobre, sempre a Bologna, una manifestazione “contro l’immigrazione incontrollata”.  Il “Movimento nazionale rete dei patrioti” è una sigla nata nel 2020 da una scissione del ben più noto partito fascista Forza Nuova e sotto cui si celano diverse formazioni neofasciste. “Una Bologna che cambia” è l’ennesima sigla con cui gli stessi personaggi tentano di mimetizzarsi e rivendersi in cittá come “movimento civico”, tra populismo di bassa lega e revisionismo storico.

NESSUNO SPAZIO A FASCI E AVVOLTOI

[…] la speculazione e la cementificazione chiamata “riqualificazione”, la strumentalizzazione “dell’emergenza droga” e “dell’allarme sicurezza”, la discriminazione della popolazione migrante, la militarizzazione della vita quotidiana, il progressivo restringimento della sanità e dei servizi. Una realtà in cui la sistematica distruzione di comunità e territori è l’esito di quella violenza istituzionale che si nutre di politiche razziste, proibizioniste e repressive, per sostenere e alimentare economie assassine e rendere più docili le classi sfruttate. Città in cui il continuo rinforzarsi delle retoriche della legalità e del decoro si traduce negli abusi sempre più legittimati delle forze dell’ordine e nella violenza del carcere. Un tempo che rende sempre più evidente la necessità di sovvertire l’esistente e lottare.

SALUTO ALLX DETENUTX TRANS DEL CARCERE DI IVREA

Riceviamo e diffondiamo:

Qualche settimana fa abbiamo portato solidarietà allx detenutx trans del carcere di Ivrea nel contesto di un saluto fuori dalle mura del cacrere.
Quello di Ivrea è uno dei carceri in cui è presente una sezione dove le donne trans vengono segregate, costrette ad aver a che fare con secondini uomini, con spesso poco accesso agli spazi comuni e alla salute. La detenzione è una merda per tuttx, la solidarietà l’abbiamo portata a tuttx, ma ci tenevamo a fare un saluto speciale a persone come noi, per cui le condizioni detentive risultano ancora più vessatorie.
Riteniamo, come persone trans*, urgente e necessario uscire dalle proprie bolle di privilegio anche con dei gesti semplici, che facciano luce su una realtà (quella della detenzione trans e le condizioni degradanti in cui relega le persone) che spesso rimane sommersa, e che speriamo porti del calore a qualcunx con cui condividiamo una fetta di oppressione, di bisogni, desideri e rivendicazioni. Oltre a Ivrea, le sezioni con donne trans e persone transfem si trovano nelle sezioni maschili dei carceri di Roma Rebibbia, Como, Reggio Emilia, Belluno e Napoli Secondigliano. Altre sono attualmente recluse in sezioni con sex-offender, uomini gay e detenuti uomini ritenuti sessualmente “inoffensivi”. Gli uomini trans e le persone transmasc non hanno neanche delle sezioni apposite e si trovano soggettx a condizioni ancor più aleatorie e discrezionali, nelle sezioni femminili.
Come se questo non bastasse, le persone trans detenute si trovano spesso in una doppia morsa di natura istituzionale-sanitaria dove da una parte c’è uno scarso accesso alla salute trans-specifica, e dall’altra parte il diffusissimo problema della “detenzione chimica” (i.e. L’impiego di larga manica di sedativi e modulatori dell’umore) che diventa ancor più gravoso quando va a colpire una popolazione già indebitamente patologizzata e psichiatrizzata.
Per portare della solidarietà da fuori non serve molto, non eravamo molte persone, né stavolta, né qualche mese fa quando abbiamo portato della solidarietà ad un detenuto trans recluso nella sezione femminile del carcere di Rebibbia di Roma, di cui ci era arrivata voce. Come persone che vivono sulla propria pelle dinamiche di esclusione e segregazione, ci auguriamo che sempre più persone intessano reti non solo tra chi è fuori, ma anche con chi è dentro, per portare sempre più solidarietà nei confronti di chi vive quelle dinamiche in modo ancor più gravoso, per eroderle, per immaginare un mondo senza trattamenti speciali e degradanti, senza galere per le persone come noi e per tuttx.

Un gruppo di frocie trans*

Per chi volesse entrare in contatto potete scriverci all’indirizzo tuttxliberx@riseup.net

TORINO: MISURE CAUTELARI PER 12 COMPAGNX

All’alba del 10 settembre 2024 la Digos di Torino ha notificato misure cautelari (firme quotidiane e per alcunx due volte al giorno) emesse ai danni di 12 compagnx.

Tuttx accusatx di resistenza a pubblico ufficiale con le aggravanti di violenza e minaccia, tutto in concorso in più di dieci.

Alcunx a vario titolo anche di violenza privata, lesioni e danneggiamento.

I fatti si riferiscono al 28 febbraio 2024 quando un nutrito gruppo di compagnx, amicx e solidali si é messo in mezzo durante il trasferimento del nostro compagno Jamal dalla Questura di Torino (lì trattenuto in seguito a un fermo in strada) al CPR di Milano via Corelli, tentando quello che riteniamo ancora il possibile: inceppare la macchine delle espulsioni.

A chi di noi qualche settimana dopo ha corso all’areoporto di Malpensa, nel tentativo di fermare la deportazione di Jamal, bloccandone poi di fatto, quella di un’altra persona, l’aggravante relativa a quei fatti ha portato il GIP a stabilire la peculiare misura delle due firme quotidiane.

Ancora una volta il PM Scafi non ha mancato di chiedere carcere e domiciliari per i fatti in questione portandone a casa un magro bottino.

Mettersi in mezzo al trasferimento in veri e propri lager – quello di via Corelli e di Gradisca d’Isonzo – e alla deportazione di Jamal era il minimo che si potesse fare – e purtroppo troppo poco – al fianco di un compagno e un amico. Il minimo contro il sistema razzista e torturatore, che detiene e deporta.

Provare ad inceppare la macchina delle espulsioni è possibile.

Fuoco ai CPR.
Al fianco di chi lotta, si ribella e resiste nelle galere.