UDINE: QUESTA NON E’ CULTURA, E’ PINKWASHING!!

Riceviamo e diffondiamo dalla Laboratoria Transfemminista Queer di Udine:

Mercoledì 8 maggio siamo andatx a dire la nostra all’evento organizzato da Vicino/Lontano, un festival che si tiene a Udine, intellettualoide e sinistroide, su cui avremmo anche tanto altro da dire a proposito di “recupero” e assimilazione di temi conflittuali, masticati e risputati come cibo digeribile per radical chic e borghesi annoiatx.
Ma torniamo ai fatti di mercoledì.
L’evento in questione consisteva nella proiezione del film/doc autobiografico di Paul B. Preciado, “Orlando. My Political Biography”. Abbiamo deciso di andarci e di prendere parola, naturalmente non per il contenuto del film che sentiamo “nostro”, ma per il luogo in cui veniva ospitato, ovvero una delle sale cinematografiche cittadine gestite dal “CEC-centro espressioni cinematografiche”,istituzione culturale cittadina, che qualche mese fa ospitava senza remore, anzi rivendicandolo, il noto “generale V.” e il suo “Il mondo al contrario”.
Riteniamo le due cose semplicemente incompatibili e siamo andatx a dirlo. Le nostre vite non possono essere usate come vernice rosa per ripitturare alcuna reputazione o coscienza.
Abbiamo preso parola appena terminata l’introduzione alla serata, che era già cominciata male, definendo la transizione un “tema disturbante” e chiusa con una sciorinata di ringraziamenti al CEC, che riserva sempre spazi e occasioni anche per temi di questo tipo (…).
Sono stati aperti degli striscioni, volantinato il nostro testo e al termine del nostro intervento ce ne siamo andatx, dichiarando che quella non era una sede idonea per vedere questo film e che lo guarderemo piuttosto collettivamente nei nostri spazi.
Non conosciamo il prosieguo della serata e non ci interessa.
Di sicuro per noi è stato importante esserci, contestare la scelta del luogo e il pinkwashing in corso e andarcene via, ma anche cogliere l’occasione per rendere nota tutta una serie di attacchi che la comunità trans* sta subendo OGGI in Italia e, senza andare troppo lontano, anche nella nostra regione.
Siamo stufx di essere “oggetti” funzionali all’intrattenimento culturale, che riempiono sale e teatri, ma poi, quando c’è da abbandonare il privilegio cis ed etero di fronte a problemi seri come gli attacchi che stiamo subendo, rimaniamo solx a prendere posizione e veniamo definitx un “tema disturbante”.

Infine vogliamo aggiungere, perchè sia chiaro, che l’”occasione” di prendere parola ce la siamo presa, non ci è stata gentilmente messa a disposizione nè dal CEC nè da Vicino/Lontano.

LE VITE DELLE PERSONE TRANS* SONO PIU’ IMPORTANTI DELLE OPINIONI DELLE PERSONE CIS e del loro intrattenimento!

In allegato il volantino distribuito, leggibile anche al post sul blog al link: https://laboratoriatfqudine.noblogs.org/post/2024/05/09/udine-questa-non-e-cultura-epinkwashing/

QUESTA NON E’ CULTURA, E’ PINKWASHING!!

Siamo presenti oggi al Visionario come rete di persone trans, queer e transfemministe per porre l’attenzione sui gravi attacchi che la comunità trans sta subendo in questo momento storico, in Italia e nel mondo. Vogliamo approfittare di questa occasione e di questo pubblico, che immaginiamo alleato, per riappropriarci di una visibilità che solitamente ci viene negata, anche quando si parla di noi.

Vogliamo partire dalla constatazione che questo spazio che ci ospita non è lo spazio giusto, e non è nemmeno uno spazio safe.

A gennaio di quest’anno, Roberto Vannacci, reazionario, omofobo, transfobico, misogino e razzista, presentava il suo sedicente libro al cinema Centrale di Udine, spazio gestito dal CEC, lo stesso ente che ospita oggi questa proiezione. In quell’occasione, mentre una parte di cittadinanza udinese sollevava quesiti e indignazione, il CEC si lavava le mani da ogni responsabilità, scegliendo di non assumere alcuna posizione politica sulla faccenda e tirando in ballo i tanto abusati concetti di “democrazia” e libertà di opinione (a sproposito come fa Vannacci, del resto).
A nostro parere, quelle di Vannacci non sono opinioni che possono essere democraticamente esposte, bensì violenti e pericolosi attacchi d’odio verso la comunità trans e queer, contro le persone razzializzate e l’autodeterminazione delle donne. Lasciare spazio e parola a posizioni di questo tenore è altrettanto grave e ingiustificabile.
Ci teniamo a ribadire che le vite delle persone trans e queer e le loro scelte non sono e non devono essere oggetto di opinione, né da parte delle istituzioni, né da parte di ridicoli figuri del calibro di Vannacci, né da parte di alcuna persona eterosessuale e cisgender.

Vogliamo anche ricordare che il CEC, lo stesso ente che all’inizio dell’anno ospitò Vannacci e che oggi ospita il film di Paul B. Preciado, in occasione del Trans Day of Rememberance 2023 negò le sue sale all’ associazione Euphoria trans FVG, che si occupa dei diritti della comunità trans in regione. Ad ottobre l’associazione prese accordi con il CEC per proiettare al Visionario un documentario, con lo scopo di sensibilizzare la cittadinanza sul tema. A novembre, a ridosso della data prevista, il CEC si “volatizzò”, ignorando le chiamate e i messaggi da parte dell’associazione, che si trovò improvvisamente, ad una settimana dall’evento programmato, senza più lo spazio dove poterlo fare e senza alcun preavviso.
Quindi va bene dare spazio alle tematiche LGBTQIA+, purché ci sia un lauto tornaconto?

A questo punto ci sembra evidente che l’unico criterio di cui si avvale il CEC per valutare a chi dare agibilità nei propri spazi è quello del vile profitto: la vergognosa presenza del generale al Centrale, che la nostra ridente cittadina ha frettolosamente dimenticato, ne è stato l’esempio più clamoroso. Più che di un’istituzione culturale stiamo parlando quindi di una sala a noleggio che non si fa alcuno scrupolo a rendersi disponibile ai fascisti che pagano bene.
Non stupisce che stasera invece ci si ritrovi qui, all’insegna della stessa libertà di opinione di cui sopra, che noi invece chiamiamo pinkwashing. Ci chiediamo cosa ne penserebbe Preciado di questa ospitata. Dal canto nostro, alla luce di quanto successo, non consideriamo il CEC una realtà safe e accogliente per le dissidenze di genere e troviamo a dir poco ipocrite e opportuniste queste scelte di programmazione cosiddette “democratiche”.

Il razzismo e i discorsi discriminatori, misogini, transfobici e omofobi, va ribadito chiaramente, non hanno nulla a che vedere con la libertà di espressione e la democrazia. Non basta una lavata di faccia con qualche evento culturale trans*friendly a mettere la pezza che rimane in ogni caso più grande del buco.

Difendiamo l’autodeterminazione delle persone trans*!

Sapendo che in questa sala sono presenti persone alleate e solidali vogliamo anche a rendere noti una serie di attacchi che la comunità trans sta ricevendo in Italia (e non solo).

A dicembre 2023 Gasparri, senatore di Forza Italia, ha depositato un’interrogazione parlamentare che attaccava la struttura medico-ospedaliera del Careggi di Firenze, una delle poche realtà in Italia che prende in carico persone trans* giovani e adolescenti.
L’interrogazione – a cui hanno fatto seguito una violenta petizione della rete anti-abortista e anti-scelta denominata Pro Vita e diversi interventi pubblici da parte di Fratelli d’Italia e Forza Italia – aveva al centro le terapie ormonali e una presunta assenza di servizi psicologici e psichiatrici a supporto delle persone giovani e delle loro famiglie. A seguire è stata effettuata un’ispezione al Careggi, i cui esiti ufficiali confermano una volontà politica di attacco ai servizi, e una virata verso una sempre maggiore patologizzazione delle persone trans.

La retorica di protezione dell’infanzia non è nuova per le destra e le ultra-destre, con un linguaggio paternalista, patologizzante e infantilizzante. Il Careggi è probabilmente al centro dell’attacco – temiamo come primo tassello di un disegno più ampio – perché è forse il centro con un approccio più solidale e meno patologizzante ai percorsi di affermazione di genere. Questo si iscrive in un quadro più vasto che vede lo smantellamento dei servizi pubblici rispetto al diritto alla salute delle persone trans* da parte delle ultra-destre conservatrici in stretta alleanza con le TERF. Così è già avvenuto in UK, a cui stanno facendo seguito altri paesi.

Per chiarire le questioni in gioco, innanzitutto non vengono somministrati ormoni alle persone trans* giovani o adolescenti, ma nei casi in cui si ritiene necessario e su richiesta della stessa persona coinvolta, con un supporto psicologico e psichiatrico, vengono forniti i cosiddetti sospensori della pubertà. L’obiettivo dei farmaci sospensori non è una transizione precoce irreversibile, nè ovviamente la “castrazione chimica”- eterno incubo ricorrente della narrazione patriarcale – o un tentativo di influenzare le scelte delle giovani persone trans* o delle famiglie ma, invece, dar loro tempo per poter effettuare scelte più mature e ponderate in seguito, tra cui anche quella di non effettuare alcuna terapia ormonale. La somministrazione dei sospensori in adolescenza può consentire alle persone giovani di genere non conforme di evitare lo sviluppo di disturbi dell’ansia, depressione, stress, difficoltà psicologiche e pensieri suicidari. Immaginate le conseguenze di un attacco che mira alla chiusura dell’unico servizio in Italia che prende effettivamente in carico queste persone!

Dell’eventuale somministrazione dei sospensori della pubertà lx genitori (o tutorx) sono sempre informati, tramite consenso informato secondo le normative attuali inerenti ai soggetti minorenni (art. 3 della legge n. 219/2017). Questi farmaci sono prescritti come da Determina AIFA n. 21756/2019 del 25 febbraio 2019 (dopo parere favorevole del Comitato Nazionale di Bioetica in data 13 luglio 2018) solo dopo attenta valutazione multiprofessionale, con il contributo di una équipe multidisciplinare e specialistica, composta da neuropsichiatri dell’infanzia e dell’adolescenza, psicologi dell’età evolutiva, bioeticisti ed endocrinologici. Gli effetti dei sospensori della pubertà si interrompono quando si smette di assumerli e lo sviluppo puberale riprende organicamente. I sospensori della pubertà sono considerati sicuri dalla comunità scientifica internazionale.

Il farmaco di cui si parla così tanto, la triptorelina, è impiegato per modulare la produzione di ormoni sessuali endogeni (quelli prodotti dal corpo) in modo reversibile, sia nelle persone in pubertà che in quelle post-puberali. Appartiene ad una classe di farmaci chiamati GnRHa. Si tratta di farmaci off label, cioè di farmaci pensati inizialmente per essere utilizzati per altri scopi, come tanti altri usati nelle terapie ormonali per le persone T*. Si tratta di una condizione molto comune in una medicina che non è neutrale e non investe allo stesso modo in tutti i campi di ricerca e sviluppo. Confrontata con gli altri farmaci impiegati per la gestione degli ormoni sessuali endogeni, la triptorelina presenta un buon profilo di sicurezza. Purtroppo ad impiegarla sono pochissimi ambulatori e solo in casi eccezionali, con la conseguenza che molte persone trans* si trovano esposte a una più vasta gamma di potenziali effetti collaterali quando ad essa vengono preferiti – come è quasi sempre il caso nella popolazione trans* adulta – gli altri farmaci impiegati per la gestione del testosterone endogeno.

Il discorso si inserisce in un quadro più ampio di attacchi alla salute trans* anche rispetto a un altro farmaco per la terapia sostituitiva ormonale, il Sandrena, declassato recentemente con delibera AIFA da classe A a classe C e di fatto più che raddoppiando il suo costo per chi, per qualsiasi motivo, non è seguitx dagli ambulatori endocrinologici pubblici. Dal momento che Sandrena è uno dei farmaci estrogenici di più ampio uso nell’ambito dei percorsi ormonali di affermazione di genere delle persone transfem*, ci risulta difficile non leggerla come l’ennesima aggressione contro i già pochi diritti delle persone trans*.

In questo quadro rientra la polemica mediatica scatenatasi attorno al caso di Marco, il ragazzo trans rimasto incinto di cui hanno parlato i giornali a gennaio 2024. Marco ha scoperto della gravidanza durante gli esami di controllo per l’isterectomia: il dibattito che ne è seguito è stato violento e sopprimente dei diritti riproduttivi delle persone trans*. Nonostante non ci siano ricerche mediche in tal senso, le persone trans* possono riprodursi. Mentre per le donne cis la gravidanza viene di fatto obbligata ostacolando pratiche abortive, per le persone trans* l’interruzione di gravidanza viene data per scontata come unica opzione. Del resto, fino al 2015, in Italia la sterilizzazione era necessaria per accedere alla rettifica dei documenti anagrafici.

Un altro segnale molto allarmante arriva dall’apertura, all’interno dell’ospedale privato Gemelli di Roma, di un “Ambulatorio multidisciplinare per la disforia di genere”, operativo dal 14 marzo, e indirizzato principalmente alle persone minorenni che si stanno interrogando assieme alle loro famiglie. L’ambulatorio si occupa di “supporto” psicologico e psichiatrico, ma tutti gli elementi a nostra disposizione fanno ipotizzare trattarsi di vere e proprie “terapie riparative” per il ritorno all’auspicata “normalità” dei ruoli di genere. Gli esperti in questione sono infatti tutti professori dell’Università Cattolica del Sacro Cuore, molti dei quali si sono già distinti pubblicamente per le loro dichiarazioni reazionarie: tra questi, Maria Luisa Di Pietro, incaricata di “Bioetica e Famiglia” nel Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per Studi su Matrimonio e Famiglia, che nel 2017 in un incontro sulla teoria gender nella parrocchia San Tommaso Moro affermava che «è impossibile pensare di poter essere staccati dal proprio corpo» eppure «si fanno passare idee che mirano ad appiattire il pensiero e a spegnere le coscienze», e Federico Tonioni, che sostiene l’esistenza di differenze di genere identificabile tra menti maschili e femminili. Nella presentazione dell’ambulatorio sul sito del Gemelli, la disforia di genere viene paragonata ai disturbi dell’apprendimento e al fenomeno degli hikikomori e ricondotta a una conseguenza della pervasività di internet nella nostra era, con una prospettiva decisamente patologizzante.

Parlando inoltre di quanto avviene in regione, le liste per le operazioni chirurgiche presso l’ospedale Cattinara a Trieste sono state bloccate senza nessuna spiegazione. Nonostante questa sia stata più volte richiesta e sollecitata, attraverso lettere di interrogazione al consiglio regionale, tutto tace. Sempre in sordina e senza spiegazioni, sono passati da gratuiti a pagamento i processi che permettevano la conservazione della fertilità della persona trans, prima che questa iniziasse la terapia ormonale (che come si sa, a lungo andare, rende la persona non più fertile).

Quest’epoca storica vede le persone trans* in Italia e nel mondo subire attacchi pervasivi e quotidiani, alimentati da una presenza sempre più frequente delle destre al governo, che trovano su questi temi alleanze con le forze cattoliche ultraconservatrici e una parte del femminismo radicale nella sua corrente TERF (Trans Exclusionary Radical Feminism): tutto questo si riversa su un piano mediatico di disinformazione e divulgazione transfobica.

Il”terfismo”, che si propone come ideologia femminista contrapposta a transfemminismo e teorie queer, è essenzialmente una negazione del genere in quanto realtà separata dal sesso: per le terf, il binarismo è insito nella biologia, i ruoli di genere sono una realtà che emana dai cromosomi con cui nasciamo, e chiunque cerchi di porsi oltre e contro questo rigido schema essenzialistico viene accusatx di essere un pericolo sociale, particolarmente nei confronti di donne e bambinx. Non è difficile capire quale terreno comune le TERF trovino con la destra reazionaria patriarcale.

In queste ultime settimane stiamo assistendo a un susseguirsi di atti depositati alla Camera che attaccano il modello affermativo di genere italiano (che già viene applicato a discrezione), non soltanto da parte di partiti come Fratelli d’Italia o Forza Italia, ma anche da parte di Europa Verdi e dal Partito Democratico.
Il rischio concreto è che si retroceda ulteriormente su alcuni diritti minimi già acquisiti con un ritorno alla violenza coercitiva sulle persone trans* (sterilizzazione forzata, impossibilità di procurarsi i farmaci salvavita, difficoltà estreme di accesso al diritto alla salute e riproduttiva).

A fronte di questa situazuione allarmante, i movimenti LGBTQIA+ e femministi stanno cercando urgentemente di contrastare gli attacchi e le strumentalizzazioni.

Chiediamo a tuttx di unirsi a noi nella lotta, per fronteggiare e opporsi a questo clima di odio e mistificazione e per ribadire la necessità di disporre liberamente dei nostri corpi, oggi come domani!

CEMENTO MORI

Diffondiamo un testo scritto da alcunx compagnx sicilianx in vista del corteo No Ponte del 18 maggio a Villa San Giovanni (RC).

CEMENTO MORI
“Oggi mi libero della paura. La pazienza si vendica”.

Scilla «Latra terribilmente: la voce è quella di un cucciolo di una cagna, ma è un mostro spaventoso, e nessuno, neanche un dio, avrebbe piacere a trovarsi sulla sua strada. Ha dodici piedi, tutti orribili e sei colli lunghissimi, e su ognuno di loro una testa spaventosa e tre file di denti fitti e serrati, pieni di nera morte. Per metà è immersa nella grotta profonda, ma sporge le teste fuori dal baratro orribile e là pesca, frugando intorno allo scoglio, delfini e foche e bestie anche più grandi. Nessun navigante può vantarsi di esserle sfuggito illeso sulla sua nave; con ogni testa afferra un uomo, portandolo via dalla nave nera». «Di fronte a Scilla sta Cariddi in agguato all’ombra del fogliame di un immenso fico, su una rupe inaccessibile. Il mostro Cariddi per tre volte al giorno inghiotte e vomita dall’orrenda bocca enormi quantità di acqua con tutto quel che contiene».

Così Circe descrive a Odisseo questo pezzetto di mare, crocevia dei più diversi popoli che lo attraversano da sempre, incontrandosi, commerciando e scontrandosi.
Due mostruose figure femminili che distruggono chiunque passi fra loro, come due lame di una stessa cesoia. E se fossero invece le anime di una terra stanca di essere stuprata? Di un sud, tra i ‘sud’ del mondo, dal quale stato e capitale estraggono valore?
Succhiano vita, cacano disperazione e ce la spacciano per progresso:

“Gioite selvaggi, lavorerete per costruire la vostra stessa miseria. Sarete lavoratori e lavoratrici in nero al servizio dell’industria turistica e i vostri figli cresceranno in placente con alto contenuto di plastica. Sarete operai e operaie del petrolchimico, vi spetta in premio un cancro per famiglia. Sarete operatori e operatrici nei lager per migranti, secondini, militari e poliziotti: e mangerete pane condito col sangue e le lacrime dei vostri vicini di casa. La maggior parte di voi rimarrà disoccupata, ma se ci supplicherete come si deve potremmo sempre edificare altre magnifiche opere che vi daranno da sopravvivere e vi condurranno più rapidamente alla morte, vi libereremo così anche dall’onere di lavorare!”

Ma noi, avanzi di furti subìti, dignità del dubbio che sa imporsi, grideremo il nostro discorso politico senza saliva: “Se invece fossimo il vento e la sabbia che si incontrano e si fanno bufera? Se fossimo le onde che stanno per rompersi? Siamo la forza delle nostre montagne e i nostri sogni sono radici di ginestra che cresce nel fuoco. Siamo pazienze stanche pronte a vendicarsi. E la zagara ci accompagna e la madonna nera ci protegge. E i cormorani e i pescispada ci sono amici. Nelle vene ci scorre il sangue brigante delle lotte passate. La nostra vita non è in vendita!”

Il ponte sullo stretto, nell’ideologia prima e nella messa in opera dei lavori poi, è l’ultimo manifesto dell’economia simbolica del potere. Ma chi è questo potere? Nella fitta maglia dei rapporti sociali e politici è possibile cercare, con l’anima in spalla e la determinazione in mano, i redattori di questa storia che ha ancora la possibilità di finire in modo diverso. Una rapida occhiata al sito di WeBuild suggerisce un’impresa non solo attenta a valori come la sostenibilità o la compatibilità delle sue mega-infrastrutture con i territori e chi li abita, ma anche promotrice di uno sviluppo incentrato su “un domani migliore” – per dirla con le parole dell’amministratore delegato Pietro Salini.

Ma la domanda qui sorge spontanea: migliore per chi? Infatti, a guardar bene gli effetti degli interessi economici del gruppo in determinate aree si può nitidamente vedere quale sia il modello di sviluppo tanto caro a WeBuild e a chi appalta la realizzazione di opere per il “bene pubblico” – che coinciderebbe con l’aumento dei profitti per i soliti noti. La necessità di estrarre valore ad ogni costo ha troppo spesso indotto a nascondere volutamente tutta una serie di effetti di questa visione del mondo: ma quegli effetti sono invece ciò che non si può più tacere, né tantomeno accettare.


WEBUILD: ANATOMIA DEL CEMENTO

La specializzazione del gruppo WeBuild è la costruzione di dighe: operando principalmente nel continente africano, in Asia e nel latino-america, ha costruito più di 300 impianti.

Ma WeBuild è solo il capitolo più recente di un percorso imprenditoriale che ha inizio negli anni 30’ del secolo scorso. Un capitolo che ha inizio quando la Salini S.p.a. si consolida nel mercato edilizio ed infrastrutturale in Italia, dopo Impregilo ed Astaldi.

Diversi sono gli esempi in cui il gruppo imprenditoriale, con il suo agire, ha determinato una serie di effetti devastanti sui luoghi interessati dalle sue opere e sulle persone che li abitavano. Pensiamo alla costruzione della diga di El Quimbo, in Colombia, per la quale sono stati inondati circa 8.500 ettari di terra, che erano prima coltivati e servivano in qualche modo da sussistenza per chi viveva quelle zone; inoltre, non si sarebbe veramente tenuto in conto di quanto la deviazione dei flussi idrici interessati nella costruzione della diga avrebbe potuto impattare negativamente sull’abitabilità di quelle zone per diverse specie, tra cui quella umana. In altre parole, il tessuto sociale, economico e biologico è stato del tutto lacerato dalla predominanza del cemento. L’imposizione di un processo tecnologico, giustificato dalla necessità di produrre energia elettrica (ma per chi? e per cosa?), ha avuto conseguenze devastanti ovunque si sia verificato. Altro progetto esemplificativo del progresso targato webuild è la diga Gibe III, costruita sulla valle dell’Omo tra Etiopia e Kenya. Gli scopi di questa infrastruttura idro-elettrica sono quello di produrre energia per il compartimento industriale (ossia da vendere sul mercato) e quello di deviare l’acqua per l’irrigazione di circa 500 ettari di terreno destinati ad uso commerciale dallo Stato etiope. Si possono anche solamente immaginare quali siano stati gli effetti della costruzione della Gibe III su popolazioni per cui l’acqua e la terra erano tutto. Vengono private dei mezzi di sussistenza di base parecchie persone che sono costrette per lo più ad andare a (soprav)vivere altrove. Inoltre, da un rapporto dell’human right watch del 2012, emergono dettagli tetri circa il trattamento riservato a chi aveva avuto l’ardire di opporsi a questo stupro della Terra. Il nome Gibe III proviene dall’esistenza di Gibe I e Gibe II, altre due turbine idro-elettriche costruite nella Valle dell’Omo. Tra l’altro per la Gibe II anche il governo italiano prese parte all’opera attraverso il ministero degli affari esteri. Ma i dettagli inquietanti sembrano non finire mai quando si scava nel passato della ex Salini Impregilo, coinvolta anche nella costruzione della diga del Chixoy, in Guatemala: per portare a termine i ‘lavori’, in quel caso, intere comunità vennero disgregate e centinaia di persone massacrate a morte. Attualmente WeBuild ha in corso, solo nel Meridione d’Italia, circa 19 mega progetti (che spaziano dalla realizzazione di nuove linee ferroviarie ad alta velocità ed alta capacità, a tutta una serie di lotti autostradali, ed infine ad alcune linee metropolitane). Tutto questo apparato cantieristico per l’infrastruttura è retto da due “centri di addestramento avanzato per il lavoro” che si trovano in Sicilia e in Campania: terminologia niente affatto casuale, implicita ammissione di una vera e propria invasione, nella cui logica interna la persona che lavora in cantiere è considerata alla stregua di personale militare. Questa occupazione economico-militare dei territori fa tanto pensare ad un dislocamento bellico pronto alla grande operazione, come potrebbe essere la costruzione del ponte sullo Stretto di Messina. Le modalità sono sempre le stesse, la predatorietà pure.

Sembra quasi che le loro reti, i loro jersey e le loro ruspe appaiano tutte all’improvviso, precedute da una retorica di miglioramento delle condizioni dei luoghi dove operano, praticano senza pietà le loro amputazioni su di un corpo che ai loro occhi algoritmici appare ridotto in fin di vita ed è pertanto un’ottima cavia per sperimentare e per arricchirsi.

La logica dell’invasione pervade in tutti i sensi la comunicazione e le modalità operative di queste corporazioni; WeBuild non è l’unica a leccarsi i baffi dinanzi a un bottino appetibile a molti interessi – tutti volti al mero guadagno, al crescere dei flussi turistici, alla necessità di una sempre maggiore quantità di energia elettrica, beffardamente spacciata per green. La logica dell’invasione, le sue ruspe e gli scudi e i manganelli che le ‘scortano’ quando alziamo la testa, incalza ogni giorno i nostri corpi, bracca le fibre di cui è fatta la nostra vita. Ma la cattura non è mai completa: ogni giorno succede che qualche sensibilità si incammini, da sola o in compagnia, in direzione ostinata e contraria; e non smettono di aprirsi crepe, e varchi, ogni volta che i nostri polmoni riescono a non arrendersi all’aria del tempo, e i nostri cuori a respirare, disertare, insorgere.

“L’unico organo della virtù è l’immaginazione. Ed è solamente in base a questa forza che si giudica la moralità del tuo comportamento. Il tuo primo imperativo ordunque sia: <immagina!>. E il secondo, immediatamente connesso al primo: <combatti coloro che coltivano l’indebolimento di questa funzione.>”

‘A zzoccula ‘nta l’ingranaggi

Link alla versione PDF: Cemento_Mori_

 

TORINO: PROCESSO D’APPELLO OPERAZIONE SCINTILLA

Il 19 aprile 2024 si è concluso il processo d’appello dell’operazione “Scintilla” che nel febbraio 2019 portò allo sgombero dell’Asilo Occupato, all’arresto di 7 compagni/e a Torino, all’imputazione con l’articolo 270 per altri 11.

Il secondo grado ha confermato la caduta del reato associativo e le assoluzioni per l’attacco a due bancomat delle poste italiane.
A differenza del primo grado di giudizio anche le condanne per istigazione a delinquere sono venute meno tra prescrizioni e assoluzioni.
Sono purtroppo rimaste invariate la condanna a 4 anni e 2 mesi ai danni di un compagno per un ordigno indirizzato all’allora ditta fornitrice dei pasti del CPR di Torino, collegato in videoconferenza durante l’udienza dal carcere di Catania, e la condanna a 3 anni per una compagna accusata di concorso per l’incendio innescatosi durante una rivolta nel marzo 2016 all’interno del CPR torinese.

In attesa delle motivazioni della sentenza per qualche considerazione più approfondita, ribadiamo l’importanza della solidarietà con chiunque si rivolti e resista, non solo nei meandri della detenzione amministrativa ma in tutte le patrie galere.
L’idea che questi bagliori di libertà siano sollecitati dall’esterno è semplicemente grottesca. Da quando questi luoghi sono stati istituiti, e a qualsiasi latitudine, al loro interno si sono succeduti episodi di distruzione continui.
La solidarietà tra dentro e fuori, che polizia e apparato giudiziario interpretano come istigazione, è ben altra cosa, indispensabile per chiunque abbia una tensione alla libertà e alla dignità degli individui. Ed è proprio questa tensione che l’ultimo pacchetto sicurezza del governo Meloni tende a colpire, con l’inasprimento dei reati contro chi cerca di rompere l’isolamento di questi luoghi.
Il mondo attuale necessita sempre maggiormente di uomini e donne chiusi/e in gabbia e la preoccupazione dei governanti sembra concentrarsi sull’innalzamento di muri fisici e giuridici, utili a gestire coloro che sono ritenuti eccedenza umana, e a colpire chiunque non accetti questa oscena organizzazione sociale.
Non ci sembra casuale infatti che la condanna per la compagna in contatto telefonico con i reclusi al momento della rivolta nel CPR, sia la stessa di chi al tempo era stato identificato come diretto responsabile dell’incendio delle gabbie in cui si trovava rinchiuso.
Una sentenza che segna un nuovo solco della giurisprudenza italiana creando, attraverso il concorso, un nesso causale tra rivolte, azioni di protesta e insubordinazioni all’interno di strutture detentive e chi con esse solidarizza all’esterno.
Sull’equipollenza della pena comminata, in questo caso e su quelli che le nuove normative potrebbero interessare, ci riserviamo di poter aprire a stretto giro una più puntuale riflessione.
Come per tutti i cambiamenti giurisprudenziali, l’attenzione dovrebbe essere riposta non tanto al peggioramento dello status di diritto, quanto piuttosto alle istanze cui tentano di far fronte in termini di governo della società, specie in un momento come questo di recrudescenza politica di fronte alla guerra.

Nella stessa direzione, del resto, ci sembra si iscrivano le ultime misure cautelari disposte dalle procure di Torino e Bologna per la campagna dello scorso anno al fianco di Alfredo Cospito e contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo, atte a recidere ancora una volta i legami di solidarietà tra dentro e fuori, riesumando oltretutto la carta del concorso in devastazione e saccheggio per quasi 50 compagni/e.

Non possiamo che esprimere la nostra più totale complicità a loro,
all’imputato e all’imputata condannati in questo processo,
a tutti i rivoltosi che nelle carceri e nei CPR scardinano le regole della prigionia continuando a lottare a testa alta,
a chi qui a Torino è sottoposto a misure cautelari per aver tentato di bloccare la deportazione di un recluso,
a tutti i compagni e le compagne prigioniere dello Stato.

Alcuni imputati/e e compagni/e di Torino

RACCOLTA TESTI PERSONE RINCHIUSE IN STRUTTURE PSICHIATRICHE

Diffondiamo da Assemblea Rete Antipsichiatrica

Su invito di una persona che si trova in una condizione di reclusione psichiatrica mettiamo a disposizione i nostri indirizzi email con l’intento di raccogliere testimonianze, racconti, scritti e narrazioni di coloro che si ritrovano in strutture psichiatriche come SPDC (Servizi Psichiatrici Diagnosi e Cura), REMS (Residenze per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza) o Strutture Residenziali Psichiatriche chiuse.

Gli obiettivi principali sono innanzitutto dare voce a chi non ne ha, riuscendo possibilmente a mettersi/li in relazione ed inoltre rendere pubbliche tali testimonianze (con il consenso della persona e rispettandone l’anonimato) attraverso un’eventuale pubblicazione quanto più possibile periodica.

Rete Assemblea Antipsichiatrica

Per info o invio testimonianze:
assembleaantipsichiatrica@inventati.org

antipsichiatriapisa@inventati.org

TORINO: AGGIORNAMENTO DAL CILE + PRESENTAZIONE “TINTA DEL FUGA”, RIVISTA ANTICARCERARIA

Diffondiamo:

GIOVEDI’ 16 MAGGIO dalle ore 18 all’Ex Lavatoio Occupato

AGGIORNAMENTO DAL CILE – PRESENTAZIONE DEL PROGETTO EDITORIALE “TINTA DE FUGA”

A fronte della continua repressione, a differenti latitudini, di ogni forma di lotta e di dissenso, vediamo come non c’è esitazione, da parte degli Stati, nell’infliggere condanne elevatissime a compagni e compagne che portano avanti lo scontro tramite l’attacco diretto ai responsabili primi del dominio.

Se in Italia viene definitivamente chiuso, con la Cassazione dello scorso 24 aprile, il processo Scripta Manent che vede comminata ad Alfredo Cospito, rinchiuso in 41 bis, una condanna di 23 anni e ad Anna Beniamino di 17 anni e 9 mesi; in Cile pochi mesi fa’ si è concluso il
processo di 1° grado nei confronti di Francisco Solar e Monica Caballero, con le rispettive pene a 86 anni e 12 anni. Sempre in Cile continua la lotta in sostegno a Marcelo Villaroel, rinchiuso da anni e anni per via di quelle che erano le leggi esistenti durante dittatura e
il corrispettivo tribunale speciale militare.

Di tutto questo ne parleremo con un compagno di Santiago del Cile.

TRIESTE: AVVISI ORALI E SOLIDARIETÀ. ANCORA E ANCORA

Riceviamo e diffondiamo un testo su alcuni avvisi orali e denunce seguite alla solidarietà portata a Stecco in tribunale a Trieste lo scorso gennaio.

ANCORA E ANCORA

Nei giorni scorsi sono stati notificati, su richiesta dei carabinieri di Trieste, due “avvisi orali” a un compagno ed a una compagna di Gorizia. L’evento scatenante, ultimo in ordine di tempo, sarebbe la solidarietà espressa lo scorso 19 gennaio dentro ad un’aula del tribunale triestino al compagno Stecco, in occasione della prima udienza di un processo che lo vedeva costretto alla comparizione in videoconferenza. Per quella mattina è nel frattempo arrivata la chiusura delle indagini per 13 compagni e compagne, accusati/e a vario titolo di interruzione di pubblico servizio, oltraggio a magistrato in udienza e resistenza. Non ritorniamo oltre sui fatti specifici (per un resoconto si legga qui: https://t.me/sullabreccia/546), né ci dilunghiamo sulla funzione del dispositivo della videoconferenza o su un’analisi dello strumento repressivo dell’avviso orale, che riteniamo l’una e l’altra essere già state esposte dettagliatamente e in modo più che esaustivo in altri contributi.
Ci interessa di più cogliere l’occasione della ricezione di questa ennesima carta straccia, per ribadire nuovamente la nostra solidarietà, vicinanza e affetto a Stecco. In passato lui è stato al nostro fianco nelle discussioni, nelle strade e nelle piazze, noi ora siamo e continueremo a essere al suo fianco, ancor di più nel momento in cui Stecco si trova oggi rinchiuso tra le mura di una galera.
Con l’auspicio che altre manifestazioni di solidarietà tanto e più combattive e incisive non facciano che moltiplicarsi, ribadiamo ancora tutta la nostra solidarietà ad Alfredo, ancora segregato in regime di 41bis nella galera di Bancali e ad Anna, per cui sono state recentemente confermate le condanne a rispettivamente a 23 anni e 17 anni e 9 mesi, a Juan, a Nasci, a Dayvid, a Paska, e a tutti i compagni e le compagne in ogni forma privati/e della libertà.

FUOCO A TUTTE LE GALERE
TUTTI LIBERI
TUTTE LIBERE

Anarchicx

CORTEO A TORINO – 2 GIUGNO 2024

CORTEO A TORINO – 2 GIUGNO 2024

ALLA REPRESSIONE SI RISPONDE CON LA LOTTA

Contro la militarizzazione che da decenni procede a piè sospinto nelle
strade, nelle scuole, nelle università e lungo le frontiere.

Contro la mobilitazione feroce della società tutta verso la guerra.

Contro l’intensificarsi della repressione, dove il 41bis e l’ergastolo
ostativo sono l’apice che dà forma al sistema carcerario e alla società
che lo necessita.

Per la creazione di complicità tra chi viene colpito dalla violenza di
Stato e Capitale.

In risposta al fronte di guerra aperto dallo Stato contro nemici interni
e dissidenti, di cui l’ultima operazione torinese “City” (misure
cautelari a riguardo al corteo del marzo 2023 in solidarietà ad Alfredo
Cospito) è l’ennesimo esempio.

Per rivendicare la presenza auto-organizzata in strada, sempre più
criminalizzata, e ribadire che la risposta alla repressione è continuare
la lotta!

FINCHÈ NON CROLLERÀ. AGGIORNAMENTO DA GRADISCA

Riceviamo e diffondiamo:

La sera del 28 aprile ha avuto luogo al cpr di Gradisca un altro tentativo di fuga. Otto prigionieri hanno cercato di evadere, fortunatamente tre di essi sono riusciti a far perdere le proprie tracce, complice il buio. Un altro, cadendo dal muro di cinta si è fratturato la caviglia ed è stato trasportato all’ospedale (ci risulta attualmente libero), gli altri, alla fine di una notte passata sui tetti, sono stati poi riportati nelle celle dalle guardie.

Il mese appena trascorso è stato molto movimentato all’interno del campo: il lancio del cibo avariato nei corridoi seguito da uno sciopero della fame di due giorni; l’evasione di nove prigionieri – di cui solo uno è sfuggito alla ricattura; la forte rivolta di mercoledì 10 aprile, in seguito al tentativo da parte delle guardie e della cooperativa Ekene di installare sbarre metalliche al soffitto della parte esterna delle celle e alle intense proteste che ne sono seguite, durante le quali i letti sono stati incendiati e le pareti di plexiglass distrutte. Gli sbirri sono intervenuti con manganelli e lacrimogeni e uno di essi se n’è andato con una gamba fracassata.

La domenica successiva si è tenuto un lungo e rumoroso saluto, volto a far arrivare forte e chiara la nostra solidarietà ai reclusi.

Nel frattempo è anche iniziato il processo per la morte di Vakhtang Enukidze: nella seconda udienza del 26 aprile è stata raccolta la testimonianza dello sbirro che coordinò le indagini all’epoca dei fatti. Secondo questa testimonianza, Enukidze sarebbe morto in seguito ad un pestaggio all’interno del carcere di Gorizia dove era stato portato dal cpr – completamente in salute, secondo lo sbirro – due giorni prima di morire, nuovamente all’interno del cpr.
Immediatamente dopo la morte, parlavano di un “edema polmonare acuto” in seguito ad una rissa fra detenuti nel campo, poi “un’overdose di sostanze xenobiotiche unita a broncopolmonite”, adesso il pestaggio letale in carcere, forse perchè la realtà quotidiana delle galere nazionali lo rende addirittura più verosimile.
Cosa dicono gli sbirri ci interessa poco, ancor meno se dentro ai tribunali, ma di fronte a questa serie senza fine di infamità, ci teniamo a ribadire che Vakhtang Enukidze è morto, dopo due giorni di agonia, a seguito del pestaggio di otto guardie in tenuta antisommossa nella sua cella dentro al cpr.
Importante o meno che sia insistere sui dettagli di questa o di tutte le morti dentro le galere o i campi di deportazione, è sempre più schiacciante l’evidenza dell’operato delle strutture di privazione della libertà, volto scientemente e deliberatamente all’annientamento anzitutto mentale – e poi fisico, sempre più spesso fino alle estreme conseguenze – di coloro che hanno la sciagura di trovarsi al suo interno. Di questo ruolo di annichilimento e irrigimentazione – complementare alle funzioni di ricatto e minaccia utili all’amministrazione dell’ordine dello sfruttamento – c’è un bisogno sempre crescente soprattutto quando venti di guerra soffiano sempre più forti e quegli stessi ruoli e funzioni devono estendersi sempre più al mondo esterno, allo scopo di un controllo sociale sempre più serrato e finalizzato alla pacifica riproduzione del sistema di generazione del profitto e saccheggio delle risorse dentro e fuori dai patrii confini.
Mentre si discute ossessivamente di nuove e più capienti carceri, di campi per la deportazione in ogni regione e nella (ex-)colonia albanese, di accordi per impedire le partenze nei Paesi a sud del Mediterraneo, il sistema di selezione della manodopera da sfruttare non deve essere scalfito, contro (quasi) ogni evidenza, anche quella che i cpr sono sempre stati chiusi, e continuano ad esserlo, grazie alle rivolte dei reclusi.

A tal proposito, il questore di Gorizia non sa più cosa dire che non risulti ridicolo per negare la realtà di una prigione sempre più evadibile e soggetta a continue rivolte che ne minano sempre di più la tenuta, come avviene anche negli altri cpr della penisola. Lo scorso gennaio, appena insediato, lo stesso individuo aveva definito il cpr gradiscano “un’eccellenza nella gestione”, uno dei “più efficienti d’Italia”. Noi ci auguriamo che continui ad esserlo, ma nel modo che ogni giorno mettono in pratica con coraggio e determinazione i prigionieri, finchè di questo e di tutti i cpr non restino che macerie.

Compagni e compagne

FINCHÈ NON CROLLERÀ: aggiornamenti da Gradisca