CESENA: SOLIDARIETÀ AI COMPAGNX COLPITI DALLA REPRESSIONE PER I FATTI DEL CORTEO CONTRO IL GREEN PASS

Con colpevole ritardo condividiamo questo manifesto  in solidarietà ai compagnx colpiti dalla repressione per i fatti del corteo contro il green pass a Cesena il 13 novembre 2021, e un testo portato quel giorno.


Un testo portato da alcuni compagnx il giorno del corteo, che integra materiale proveniente da differenti contributi, in particolare condivisi su le Brughiere, scritti nati da collettivi ed individualità che si sono interrogate sui problemi quali greenpass, autotutela della salute, sfruttamento in ambito lavorativo e criticità rispetto ad una Scienza presentata come monolite perfetto o neutro. Per ricordare, a dispetto del processo di rimozione collettiva.

Torniamo in strada – Corteo a Cesena

A riprova di quest’ultima antinomia endemica, Stato e padroni non prendono in considerazione un cambiamento strutturale ma cavalcano in ogni ambito un soluzionismo tecno-scientifico che avrà solo l’effetto di rendere invisibili le contraddizioni strutturali dell’organizzazione capitalista all’interno delle città e nei luoghi dello sfruttamento di massa. La retorica militare della “guerra” al virus, trasversale a tutte le forze politiche ed economiche, rende chi per qualunque motivo non ha le carte in regola, chi non è conforme, chi si ribella ad un ulteriore strumento classista e discriminatorio, un nemico interno.
Ciò che è grave è la legittimazione di un’ulteriore estensione del potere datoriale sul corpo dei lavoratori (di fatto, già consegnato a Stato e padroni) sulle condizioni di salute e le scelte di natura sanitaria, sfere che fino a prima di questa emergenza trovavano dei limiti quanto meno formali.
Si tratta di un’ulteriore stretta autoritaria nel mondo del lavoro e più in generale nella società, un pericoloso precedente, che non riguarda esclusivamente la minoranza relativa di chi non vuole/non può vaccinarsi. Le norme messe in campo appaiono infatti più legate ad un interesse che libera i padroni da ogni responsabilità scaricandole sui singoli, che alla reale volontà di tutelare la salute delle persone che le subiscono. Essere contro la coercizione e l’obbligo vaccinale non ci impedisce di interrogarci sulla necessità di tutelarci dal contagio del virus, soprattutto per quanto riguarda chi è più esposto e vulnerabile nei luoghi di reclusione e dello sfruttamento di massa, dove le relazioni sono imposte e non volute.
E’ evidente che dove non c’è spazio per la soggettivazione e la cura reciproca, per la relazione e il consenso, si fa strada la burocrazia e la coercizione, e che a pagarne il prezzo, oggi come ieri, saranno sempre e comunque tutte quelle vite già discriminate, considerate di scarso valore o ritenute “improduttive”. Lo stesso Stato che ha sempre tutelato solo e soltanto gli interessi dei padroni, tenta oggi d’un sol colpo di pulirsi la coscienza sbandierando un’ipocrita volontà di proteggere i più fragili, quando l’eccezionalità della pandemia nel contesto capitalista ha reso evidente quanto i profitti legati alle merci siano sempre venuti prima delle persone. La diffusione globale del virus ha viaggiato infatti in business class alla stessa velocità dei numeri in borsa, non annegando sui barconi nel mediterraneo. Ma le morti contano solo se hanno effetto sui mercati, le vite valgono soltanto se è possibile metterle a profitto.
Inoltre, una riflessione critica alla scienza e alla cura nel contesto capitalista che sia realmente antiautoritaria non può sedersi sul proprio privilegio e ridursi ad un’amputazione ideologica della realtà, la trama complessa dei contesti di sfruttamento è infatti composta da molteplici oppressioni. Irrompono nel dibattito collettivo le problematicità legate alle tecnologie della comunicazione e dell’informazione, al capitalismo della sorveglianza, al mercato delle tecnologie legate alla salute, al corpo e alle relazioni in mano a grandi multinazionali, nonché l’ambiguità di una scienza mercificata e subordinata al profitto. Emerge come la tecnologia industriale si sia servita del lavoro di milioni di lavoratrici e lavoratori per creare la ricchezza della “classe dirigente” che aliena, sfrutta e tortura, mentre i corpi oppressi sono ridotti ad oggetti e funzioni in relazione a chi detiene i maggiori privilegi sociali ed economici.
Si tratta di mettere in luce le interrelazioni tra le diverse oppressioni che stanno attraversando la vita di milioni di persone in un contesto di sfruttamento sistemico, globalizzato e interconnesso. Mentre gli ambienti di vita e di lavoro diventano sempre più piccoli, ristretti e atomizzati, aumenta e si amplifica a dismisura la varietà della divisione del lavoro e dello sfruttamento. La drastica riduzione degli spazi fisici di soggettivazione ha spostato l’alienazione dei Tempi moderni di Chaplin, dalle fabbriche all’individuo.
Fa da contraltare a questo isolamento dei corpi sempre più stringente, un sistema di sfruttamento capillarizzato ed in costante crescita. In tutto questo il green pass tutela soltanto gli interessi dei soliti noti: liberi si, ma di tornare a sfruttare, mentre le disuguaglianze che hanno segnato la pandemia sin dall’inizio continueranno ad esistere e i profitti sulla pelle di chi è sfruttato non verranno mai messi in discussione. L’emergenza si è rivelata un’occasione epocale di attacco alle condizioni di vita di milioni di sfruttati ma la deriva dominante è un becero attendismo progressista, composto e democratico.
Nonostante gli ultimi due anni abbiano messo in luce tutta la ferocia che sottende al mantenimento di questo sistema di sfruttamento: le risposte sono state deboli o isolate e, addirittura, l’abdicare dei movimenti a qualsiasi confronto o conflitto circa le possibilità di autodeterminazione critica dal basso rispetto alla gestione sicuritaria ed emergenziale della pandemia ha lasciato campo libero ad iniziative reazionarie.
Liquidare tutto il malcontento diffuso soltanto come interesse borghese o fascista è riduttivo e fa solo il gioco dei padroni: questa narrazione dominante rende ancora più invisibili alcune delle oppressioni, delle diseguaglianze e delle tante contraddizioni che attraversano le strade e quelle piazze. È però vero che, in nostra assenza, le forze neofasciste sono state abili a strumentalizzare il malessere generato dall’emergenza. Dall’inizio della pandemia in troppi hanno rinunciato ad una riflessione critica che tenesse conto delle complessità legate al contesto emergenziale che si è venuto a creare. Questo ha lasciato campo libero a fratture che si sono insidiate nei gruppi, spianando la strada a sterili dicotomie (salute, cura – sorveglianza, sicurezza / si vax – no vax…) che ricalcano la propaganda di Stato e fanno solo il gioco delle destre e dei padroni mentre i tre quarti del mondo subisce le conseguenze del neoliberismo senza nè scelta nè accesso a livelli di benessere minimi.
Quindi se un discorso pro o contro la vaccinazione in astratto è un cortocircuito costruito e fasullo buono solo a coprire le falle di un sistema che inizia a fare acqua da tutte le parti e in modo evidente, è chiaro come il nemico rimanga uno Stato paternalista che ha bisogno di infantilizzare i corpi per tutelare esclusivamente i propri interessi economici.
Non sappiamo bene “che fare”, domanda antica, forse ci sono tante cose da fare, sappiamo bene però, un passo alla volta, dove tutto sta andando. Sappiamo che non vogliamo tornare alla “normalità”. Sappiamo che il vaccino non basta e non basterà, sappiamo che il green pass non tutelerà la salute di nessuno e si tradurrà soltanto in un’ulteriore strumento di controllo, sappiamo che finché si rinuncerà alla rabbia, alla critica e al conflitto, non ci sarà libertà e salute per nessuno.
Intimamente convinti che in un sistema che genera morte, malattia, disuguaglianza e alienazione come il capitalismo, una malattia non sia solo un’etichetta diagnostica ma sia frutto di interazioni e connessioni tra cultura, società, umanità e ambiente, crediamo sia necessario non smettere di interrogarci sulle contraddizioni, sui dubbi, sugli interessi, sulle oppressioni in campo legate al nuovo contesto che stiamo vivendo.

Un abbraccio complice e solidale a tuttx le compagne ed i compagni detenuti, TUTTE E TUTTI LIBERX

ROMA: IL CAPITALISMO NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE

“Una buona salute mentale consente alle persone di lavorare in modo produttivo e di realizzare appieno il proprio potenziale. Al contrario, una cattiva salute mentale interferisce con la capacità di lavorare, studiare e apprendere nuove competenze. Essa ostacola i risultati scolastici dei bambini e può avere un impatto sulle prospettive occupazionali future. I ricercatori stimano che solo a causa della depressione e dell’ansia si perdono ogni anno 12 miliardi di giorni lavorativi produttivi, per un costo di quasi 1.000 miliardi di dollari. Questo dato comprende i giorni persi per assenteismo, presenzialismo (quando si va al lavoro ma non si lavora) e turnover del personale.”

(World mental Health report. Tranforming mental health for all; Cap. 4.3.2 Economic Benefits; OMS 2022).

Il 13 e 14 ottobre 2022 si terrà a Roma l’incontro internazionale promosso dall’OMS (Organizzazone Mondiale della Sanità) in cui si presenterà il World Mental Health Report. È in questa occasione che nasce la chiamata a scendere in piazza a Roma Giovedì 13 Ottobre.

OCCUPARSI DELLE CAUSE NON GENERA PROFITTO

La gestione sanitaria dell’emergenza pandemica ha evidenziato una totale assenza di interventi diretti ad approfondire le cause che l’hanno determinata, occupandosi esclusivamente dei sintomi. Focalizzare l’attenzione sulla ricerca delle cause avrebbe significato inevitabilmente attuare una radicale trasformazione delle politiche sociali, economiche, ambientali, sanitarie, relazionali. Troppo costoso e quindi, poco produttivo. La psichiatria funziona con le stesse modalità: al presentarsi di una crisi non vengono prese in considerazione le cause che l’hanno determinata, la persona viene espropriata della possibilità di esprimere i propri significati e di autodeterminarsi attraverso un potere del tutto arbitrario il cui interesse non é affatto quello dichiarato della cura, ma piuttosto la progressiva medicalizzazione e cronicizzazione della crisi. Lo Stato in questi due anni si è comportato allo stesso modo: in nome di una presunta irresponsabilità collettiva ha imposto le sue direttive dall’alto imponendosi come ‘organo iper-razionale’, una mente che decide e sovradetermina il ‘corpo sociale’, che in quanto ‘corpo’ è ad esso subordinato secondo un dualismo riduzionista para-psichiatrico appunto. Lo Stato e i suoi tecnici hanno valutato lo ‘stato di necessità’ secondo le leggi dell’economia, e gestito l’emergenza/crisi con la contenzione – l’esproprio della salute – esattamente come avviene in psichiatria. Allo stesso modo si è imposto un trattamento farmacologico col ricatto, impedendo alle persone di esprimere il proprio consenso, assicurando l’immediato introito per Big Pharma e lasciando solo chi ha subito le conseguenze sulla propria salute degli effetti collaterali del vaccino.

PER LA LIBERTÀ DI SCELTA CONTRO L’OBBLIGO DI CURA

L’attuale prassi nelle istituzioni psichiatriche prevede l’assunzione obbligatoria di psicofarmaci che a lungo termine risultano il più delle volte essere dannosi e invalidanti. La progressiva cronicizzazione della sofferenza è funzionale da un lato alla presa in carico a vita dall’altro al profitto delle multinazionali del farmaco. La parola della persona non viene presa in considerazione o addirittura giudicata come sintomo della malattia, mentre vivere in una società fondata sulla prestazione e l’individualismo, la solitudine e l’assenza di una dimensione comunitaria sembra cosa del tutto normale. Si interviene sui sintomi categorizzandoli come espressione di “malattia mentale” ricorrendo ai TSO, alla contenzione fisica, meccanica e farmacologica. Nei CIM i colloqui sono troppo brevi e non c’è nessuna possibilità di essere ascoltatз o di esprimere dubbi e difficoltà. Crediamo che rivendicare il diritto ad avere parola e ad autodeterminarsi significhi anche riappropriarsi delle proprie esperienze, delle difficoltà, della sofferenza e della molteplicità di modi per affrontarla. Siamo convintз che ci siano persone, tra coloro che operano all’interno delle strutture sanitarie, che si rifiutano di essere complici di questo sistema di oppressione e che preferiscono slegare piuttosto che contenere, ascoltare piuttosto che mettere a tacere con i farmaci, essere solidali con chi si sottrae alle logiche di competizione. Sono loro che vorremmo al nostro fianco.

TECNOLOGIE E DIGITALIZZAZIONE: LA RELAZIONE NEGATA

Si parla di “salute mentale digitale”, un processo che strumentalizza le retoriche dell’innovazione, dell’accessibilità e dell’inclusione, introducendo invece forme sempre più specializzate di controllo, disciplinamento ed esclusione. Una “salute” sempre più delegata al dispositivo tecnico, costruita intorno alle esigenze del mercato dell’industria tecnologica e all’inesorabile sottrazione di reali spazi di soggettivazione, autodeterminazione e solidarietà dal basso.

CONTRO IL PROIBIZIONISMO PER LA RIDUZIONE DEL DANNO

C’è un’evidente contraddizione nei proclami dell’OMS, da un lato si promuove il consumo di sostanze “psicotrope” legali con effetti disastrosi, dall’altro si criminalizza l’autoconsumo di sostanze psicoattive. Al mondo un detenuto su cinque è in carcere per violazioni delle leggi sulle droghe. In Italia circa un terzo della popolazione detenuta è in carcere per questo motivo. Il proibizionismo non solo ha fallito, ma è esclusivamente funzionale al controllo sociale e a finanziare narco-mafie e narco-stati utili al riciclo e alla riproduzione del Capitale. E’ fondamentale dare voce allз consumatorз, attivando politiche dal basso improntate alla riduzione del danno e al consumo consapevole.

PER L’ABOLIZIONE DELLA CONTENZIONE E DELL’ELETTROSHOCK

Nonostante le belle parole dell’OMS nei reparti psichiatrici si continua a morire legati nei letti di contenzione. Continuano ad essere praticati dispositivi manicomiali e coercitivi come l’uso dell’elettroshock, l’obbligo di cura, la contenzione farmacologica, le porte chiuse, le grate alle finestre, le limitazioni e il controllo della libertà personale. Non c’è salute nei CPR, nelle carceri, negli SPDC, luoghi di tortura e annientamento delle persone. Non c’è salute dove c’è violenza e discriminazione di genere, senza diritto effettivo all’aborto e supporto alla genitorialità. Non c’è salute nelle politiche economiche che finanziano armamenti e guerre, sottraendo risorse alla collettività e ai bisogni delle persone. La salute che vogliamo si basa su percorsi di solidarietà, autogestione e mutualismo dal basso. E’ il frutto dell’interdipendenza tra corpi, condizioni sociali e ambientali. Non si può garantire salute per tuttз, senza lavoro, scuola e università, spazi comuni e di socialità liberati dalle logiche del profitto neoliberista. Crediamo che non ci sia bisogno di uno Stato né di un’organizzazione Mondiale che si proponga di riorganizzare e che sovradetermini la nostra salute e le nostre vite. Siamo convintз che ritrovarsi, ricostruire delle relazioni e delle comunità, riprendersi strade e spazi, possa essere un primo passo per aprire un orizzonte nel quale dar vita a luoghi liberi dalle dinamiche individualistiche, di sfruttamento e mercificazione.

PRESIDIO COMUNICATIVO GIOVEDÌ 13 OTTOBRE ALLE ORE 11.00
PIAZZA DEL RISORGIMENTO – ROMA

INVITIAMO TUTT3 A PARTECIPARE!

Assemblea Antipsichiatrica
(STRAPPI – Riflessioni antipsichiatriche)

 

SINDEMIA: INDAGINE ESPLORATIVA DAL BASSO

Mentre tutto è tornato alla normalità del consumo come se niente fosse mai successo, mentre le carceri esplodono e nelle RSA si rimane ancora tombatə, pensiamo sia importante dire non solo che questa normalità ci fa orrore, ma che no, non è andato tutto bene, per quanto si voglia fare finta di niente.

A questo link  sindemia.noblogs.org
un progetto di indagine esplorativa dal basso, per comprendere meglio l’impatto che il covid ha avuto e sta avendo sulla vita di molte persone, e quanti e quali effetti iatrogeni, clinici, sociali e culturali, abusi e omissioni hanno prodotto e stanno producendo le misure messe in campo dallo Stato.

Decameron Hacker: zine scaricabili

DECAMERON HACKER – ZINE

Zine scaricabili in formato pdf

# tecnoassoluzionismo

  • una tecnobuzzword non ci salverà
  • la premessa
  • tecno buzzword e covid-19
  • tecno-buzzword #1: DRONE
  • tecno-buzzword #1: App di tracciamento contatti
  • tecno-buzzword #1: Didattica a Distanza (DAD)

https://decameronhacker.noblogs.org/files/2021/01/tecnoassoluzionismo.pdf

# Snumbers

Numeri, dati, statistiche e poi ancora altri numeri, dati, statistiche. La
pandemia ci ha bombardati di informazioni numeriche, ma spesso dare un senso a queste informazioni non è facile…

https://decameronhacker.noblogs.org/files/2021/01/snumbers.pdf

# streaming

E’ il tempo dei contenitori online. Contenitori che producono contenuti e ti offrono il tubo, tu devi solo succhiare tutto quello che vuoi comodamente dal tuo divano...

https://decameronhacker.noblogs.org/files/2021/01/streaming.pdf

# smartworking

Le piattaforme vogliono addestrarti a essere sempre reattiva, tu addestra i tuoi boss e i tuoi colleghi al fatto che non sei sempre disponibile
né tantomeno sempre connessa...

https://decameronhacker.noblogs.org/files/2021/01/smartworking.pdf

 

Niente da spartire

Di seguito diffondiamo un volantino distribuito ieri a Bologna:

NIENTE DA SPARTIRE

– Niente da spartire nè col machismo omofobo, transfobico, misogino e assassino di Putin, nè con la chiamata alle armi del buon padre di famiglia Draghi e dei suoi alleati Nato pronti a dividersi il mondo a costo di un bagno di sangue.

– Niente da spartire con le analisi geopolitiche, non è affar nostro scegliere sull’altare di quale stato e a quali interessi si può sacrificare la vita delle persone.

– Niente da spartire con i mercanti e produttori di armi, prestigioso comparto dell’export Made in Italy che fanno soldi a palate e non hanno cessato i loro sporchi traffici neanche un giorno in piena pandemia, attività essenziali, dicevano, mentre milioni di persone vivevano confinate nelle loro case senza deroghe a costo di sofferenze mentali e fisiche.

– Niente da spartire con l’economia della guerra su cui il capitalismo strutturalmente si regge.

– Niente da spartire con lo spettacolo della guerra. I media sciacalli vanno in cerca instancabilmente di immagini e storie tragiche da dare in pasto all’opinione pubblica al servizio della propaganda guerrafondaia dell’Occidente.

– Niente da spartire con il pietismo sulle badanti ucraine che fino a quando non sono diventate funzionali alla narrazione dei governati di casa nostra erano invisibili, democraticamente sfruttate e ricattatte col cappio al collo dei permessi di soggiorno.

– Niente da spartire con il razzismo dell’accoglienza per cui sulla linea del colore si decide chi far passare e chi far inseguire coi cani alle frontiere e far morire in mare.

– Niente da spartire con i signori del nucleare e della guerra (che sono gli stessi, fatalmente) quelli che di mestiere producono devastazione ambientale e morte.
Sono il problema e non la soluzione.

– Niente da spartire con chi ha fatto dei nostri territori una polveriera disseminando basi Nato massicciamente nel sud dell’italia e nelle isole,e reprimendo duramente chi vi si oppone. In queste periferie dell’impero, a Taranto, in Sardegna e in Sicilia le acciaierie e l’industria pesante avvelena e fa ammalare ad ogni respiro e uno dei motivi per cui non si può dismettere è la natura “strategica” della produzione per l’autarchia dell’industria bellica.

Sappiamo di vivere in un mondo che si regge sulle stragi in mare, al lavoro, nelle carceri, nelle case, nei campi di concentramento ai confini dell’Occidente in cui milioni di persone vengono usate come strumenti di pressione e merce di scambio, una guerra a bassa intensità in cui, come per la pandemia, il problema dei governanti è stabilire quante morti e quanta sofferenza è “tollerabile” dalla società civile come danno collaterale procurando di spostare il limite sempre un po’ più in là.
Sappiamo altresì che la rimozione collettiva di questa ferocia serve allo Stato per conservare saldamente il primato della violenza.

Guerra alla vostra guerra e Guerra alla vostra pace

Niente da spartire – pdf

“L’effetto spettatore”

Condividiamo questo stimolo

A proposito di emergenza

Con ‘effetto spettatore’ o anche ‘apatia degli astanti’ si intende quel fenomeno balordo in cui in una situazione d’emergenza gli individui non offrono alcun aiuto a una persona in difficoltà quando sono presenti anche altre persone.
Sembra che la probabilità d’intervento sia inversamente correlata al numero degli astanti. In altre parole minore è il numero delle persone presenti, maggiore è la probabilità che qualcuno di loro presterà aiuto.

Alcuni simpatici esperimenti sociali condotti negli anni Sessanta mettono in luce come la maggior parte delle persone tenda a rispondere più lentamente alle situazioni di emergenza in presenza di altri soggetti passivi, evidenziando una forte dipendenza dalle risposte degli altri.

Uno di questi coinvolse alcuni studentx a cui fu chiesto di compilare dei questionari. Ad alcuni di loro fu chiesto di farlo mentre si trovavano in una stanza da soli, ad altrx invece fu chiesto di farlo in una stanza con altre persone, complici dell’esperimento. In entrambe le situazioni a un certo punto fu fatto entrare nella stanza del fumo. Nella stanza con più persone fu chiesto ai complici di fare finta di nulla e di non preoccuparsene.

Gli studenti da soli nella stanza diedero l’allarme per il fumo quasi immediatamente, quelli in compagnia invece fecero finta di nulla e continuarono con le loro faccende, spostando il fumo dal loro volto. Anche se il fumo era diventato così denso da oscurare loro la loro visione, irritando loro gli occhi o facendoli tossire, comunque non era sufficiente perchè lo segnalassero.

Se gli altri non regiscono alla situazione, gli spettatori interpretano la situazione non come un’emergenza e non intervengono.

Diventare urgenza contro lo stato d’emergenza

Avevamo provato a dirlo che il green pass non era una misura sanitaria e che il criterio del doppio binario tra “vaccinati” e “non vaccinati” si sarebbe rivelato non solo eticamente inaccettabile, ma assolutamente inefficace e controproducente in termini epidemiologici, di profilassi, prevenzione e salute pubblica.

Con l’approssimarsi dell’inverno il riacutizzarsi della situazione e la possibilità di nuova pressione sul sistema sanitario era assolutamente prevedibile dal momento che la protezione relativa legata alla vaccinazione si sapeva coprire un raggio di tempo molto breve e richiedere oltretutto pluri-richiami molto ravvicinati (Israele è già alla quarta dose in un anno).

Ma nonostante il fallimento della campagna vaccinale presentata come unica soluzione sia sotto agli occhi di tuttx, si inaugura il nuovo anno con ulteriori provvedimenti e restrizioni che insisitono sulla linea della premialità e del ricatto, creando un solco nella società ancora maggiore utile soltanto a scaricare in basso costi e responsabilità, per tornare il più in fretta possibile allo sfruttamento di una normalità feroce.

L’istituzionalizzazione di un nuovo principio di discriminazione e la normalizzazione dell’estorsione del consenso informato stanno passando come prassi legittima e consolidando un modello di sanità sempre piu discrezionale che non ha niente a che vedere con quei principi di prossimità, gratuità e universalità, che, quanto meno sulla carta, muovevano l’assistenza sanitaria in Italia.

Non si tratta di negare il vantaggio che possono comportare le vaccinazioni per qualcunx, si tratta di non considerarle per forza l’unica possibilità per tuttx e l’unica risposta necessaria: se per molti i benefici superano i rischi, per altri i benefici sono discutibili e i rischi rimangono indefiniti: è importante non banalizzare scelte terapeutiche che dovrebbero essere valutate caso per caso e rimanere personali.

Se da una parte mascherine, tamponi e test diagnostici restano a carico delle persone (che non trovando accessibilità nel pubblico stanno ingrassando il privato) e gli individui possono essere sottoposti a ricatto vaccinale per il ‘bene comune’ vedendo scaricati su di sè spese e rischi, dall’altra le aziende farmaceutiche produttrici di vaccini che hanno beneficiato di ingenti finanziamenti pubblici, non solo per la ricerca ma anche per la copertura del rischio, possono continuare a negare la sospensione della proprietà intelettuale e a macinare profitti da capogiro.

Due pesi e due misure che parlano dello stesso ricatto.

Una ‘guerra al virus’, che, come ogni guerra, si sta rivelando un’occasione epocale per nuove speculazioni e ristrutturazioni del capitale sulla pelle degli ultimi.

Mentre aumenta il potere delle industrie farmaceutiche la maggior parte dell’insieme di attenzioni e cure necessarie per il sostentamento della vita rimane lavoro sfruttato, invisibilizzato, salariato al ribasso, ultra-proletarizzato e fortemente connotato in termini di genere e razza.

Quanto non è compreso dallo sfruttmento, dalla fabbrica della ‘cura’ e dai ‘servizi’, rimane tombato nelle case, schiacciato in quel privato alienato che esprime gli stessi meccanismi patriarcali di Stato.

L’istituzionalizzazione e la medicalizzazione dell’anzianità ad esempio è un fenomeno relativamente recente legato all’organizzazione capitalista della società e all’espropriazione dello spazio e del tempo ‘non produttivo’ che la sostiene.

Il buon vecchio, produci, consuma, crepa.

Un modello di accentramento corporativo, di espropriazione e profitto che  in tempi di pandemia ha evidenziato in ogni campo l’ipocrisia che lo muove e la sua potenziale e sempre maggiore spregiudicatezza e pericolosità.

Le assunzioni senza precedenti di sanitari interinali a tempo determinato e spesso alle prime esperienze che avevano ‘emozionato’ durante gli scorsi lockdown migliaia di cittadinx terrorizzati dalla narrazione strumentale e guerranfondaia dell’emergenza, poco hanno inciso a livello strutturale se non come forza lavoro sacrificabile usa e getta.

Gli ospedali già provati dal processo di aziendalizzazione, tra burnout, sospensioni e abbandoni spontanei, sono tornati a patire, mentre sanità, trasporti, scuola e lavoro hanno visto soltanto l’applicazione di misure volte unicamente a contenere la massa degli sfruttatx tra capitalismo predatorio, sfruttamento indiscriminato e negligenza verso le generazioni future.

Tantissime persone in questi giorni si sono trovate costrette da lunghe attese perchè il tracciamento pubblico è completamente saltato, mentre altre, spaventate dalla narrazione mediatica e disorientate dalle informazioni contrastanti, hanno assediato gli ospedali affaticandoli ulteriormente nella completa assenza di una medicina territoriale e di prossimità.

Diventa sempre più chiaro a moltx il carattere avventato e sconsiderato di scelte e provvedimenti arbitrari e a breve termine volti soltanto a tutelare gli interessi dei padroni nella totale assenza di cautela in termini di impatto sociale e salute pubblica.

Mentre si ignorano i guariti e i benefici che la loro situazione porta alla collettività, si glissa su una sorveglianza superficiale e opaca rispetto gli eventi avversi e su una sanità dove ad essere abbandonati sono, oggi come ieri, anche e sorpattutto tutti i malati cronici e chi soffre di altre patologie.

Ci troviamo oggi di fronte a quella che è divenuta una sindemia, una condizione in cui l’interazione tra diverse vulnerabilità/criticità rafforza e aggrava ciascuna di esse.

Emerge sempre più urgente la necessità di sviluppare un’epidemiologia dal basso che accanto a riflessioni etiche e filosofiche affianchi una scienza critica militante che sappia rielaborare i fatti alla luce delle tante connessioni possibili, facendo emergere abusi e omertà, poichè non si può considerare il covid senza considerare i differenti contesti in cui si diffonde e l’autodeterminazione di chi li attraversa.

Il rischio è quello di alimentare una guerra tra poverx e di trascurare gli effetti iatrogeni di provvedimenti presi unicamente dalla necessità di tutelare gli interessi dei padroni.

Mentre la deforestazione indiscriminata, l’annientamento della biodiversità e la dipendenza mondiale dai sistemi di sfruttamento/allevamento intensivo continuano a rappresentare un rischio non solo per lo sviluppo di ulteriori pandemie, ma per i già compromessi equilibri ecologici del pianeta, la ‘salute’ diventa sempre più una questione di ordine pubblico da gestire, normare e disciplinare con interventi di tipo securitario che non hanno nulla di ‘sanitario’, volti per lo più a disciplinare una ristrutturazione del capitale sempre più violenta e a contenere una crisi destinata a peggiorare, che non solo non riducono il danno ma non toccano assolutamente le determinanti strutturali che lo riproducono e alimentano.

Oggi piu che mai dobbiamo lavorare a comunità critiche che siano in grado di considerare i diversi rapporti di potere e oppressione in campo, che coinvolgono aspetti politici, economici, ambientali, sociali, culturali, quindi modelli di vita, di relazione, di produzione e riproduzione sociale e di fruizione della cultura.

Per questo è prioritario ritornare a fare attivamente inchiesta, confrontarsi, organizzarsi all’interno delle fratture che abitiamo, per le strade, dentro e fuori ai luoghi di lavoro, nelle scuole, negli ospedali, nelle fabbriche, per rimettere al centro le vulnerabilità che solchiamo, così che l’intersezione delle oppressioni che ci attraversano diventi una forza in grado di esprimere e liberare una più lungimirante urgenza, contro ciò che lo Stato si ostina a chiamare ancora ‘emergenza’.

Bologna, gennaio 2022