TRENTO: DISCUSSIONE SULLA SENTENZA DI APPELLO DEL PROCESSO BRENNERO 2

Diffondiamo:

Le motivazioni della sentenza di appello del processo Brennero 2 (devastazione e saccheggio) dovrebbero arrivare entro il 15 giugno. Abbiamo pensato di trovarci tra imputati/e e solidali per affrontare collettivamente un attacco repressivo che coinvolge tanti compagni e compagne, discutendone sia dal punto di vista giudiziario che sul piano della solidarietà. Ci troviamo domenica 2 luglio alle 11 al terreno No Tav a Mattarello, vicino a Trento. Per informazioni scrivere a trochilidae@autistici.org

UDINE: SULLA SENTENZA DEL 1 GIUGNO

Riceviamo e diffondiamo

Giovedí 1° giugno si è chiusa, con sentenza di primo grado, una pagina della battuta repressiva che sta colpendo i compagni e le compagne dell’Assemblea permanente contro il carcere e la repressione del Friuli e di Trieste.

Quasi una battuta di caccia da parte della digos, che ha mostrato la sua faccia più propria e tetra di polizia politica, avvallata dalla procura e dai tribunali (della moderna inquisizione).
Una caccia alle streghe che ci ha portato in tribunale con svariate incriminazioni per istigazione a delinquere e diffamazione aggravata verso figure istituzionali delle carceri di Udine e Tolmezzo.
Da dove vengono queste incriminazioni?
Dall’aver pubblicamente dato solidarietà alle compagne e ai compagni inquisiti e incarcerati nell’ambito dell’operazione repressiva “Renata” e dall’aver fatto dichiarazioni di condivisione della giustezza dell’azione diretta contro gli apparati militari e le banche che li finanziano, le sedi di partiti politici razzisti e le istituzioni totali.
Dall’aver parlato in piazza e nella trasmissione radiofonica Zardins Magnetics delle storie di rivoluzionarie e rivoluzionari del recente passato, rivendicandole come parte importante della nostra storia di oppresse e oppressi che cercano di non piegarsi al dominio.
Dall’aver fatto da cassa di risonanza alle testimonianze dei prigionieri delle carceri di Udine e Tolmezzo e dall’aver fatto i nomi e i cognomi delle figure istituzionali responsabili della malasanità, della psichiatrizzazione dei detenuti, della malagestione della pandemia da covid 19.

La sentenza, che prevede la condanna ad un anno di reclusione per istigazione a delinquere per un compagno e la condanna per diffamazione aggravata per una compagna con una pena pecuniaria di 3000 euro, dimostra la volontà di digos, procura e tribunale di stroncare il più possibile le lotte contro il carcere e le istituzioni totali,
cercando di fare terra bruciata attorno a chi le pratica e di criminalizzare anche il solo fatto di pensare la possibilità dell’azione diretta contro lo Stato.

Una caccia alle streghe, sì, perché qui il vero crimine che andava individuato, accertato e represso esemplarmente è l’aver parlato-franco, denunciato pubblicamente, davanti a chiunque, in piazza, “categoricamente” (come ci ha fatto notare un compagno, katá-agorein significa letteralmente «sottoporre un discorso alla piazza»). Aver non solo solidarizzato ma catalizzato e promosso il moto di protesta tra il 2019 e il 2020 al carcere di Udine, da anni abbandonato al degrado e dimenticato da tutti. Sì, vogliamo la distruzione del carcere, la distruzione dell’estremismo inumano e repressivo che esso concretizza isolando e cancellando le identità di chi vi è rinchiuso. Parliamo franco, in una società che invece detta le regole e colpisce chi sgarra, una società che non si limita a censurare, ma che con la propria lingua impone la realtà inumana del capitale, una lingua che è imposta a chiunque dall’apparato scolastico e formativo come uno strumento per occultare il proprio sentire più autentico, il sapere intuitivo, ad esempio, che accanirsi su persone inermi non è normale. Questa lingua falsa che si parla nei tribunali e nelle articolazioni dello Stato democratico non si limita a censurare le parole autentiche (“aguzzino”, “intrallazzatrice”) ma indirizza chiunque a parlare, pensare e sentire come essa vuole, al posto di come noi vorremmo parlare, pensare e sentire, e lo fa tanto quanto più ci si abbandona inconsciamente ad essa.

Ancora due parole su questa vicenda, che ci insegna che il dominio non tollera che qualcuna o qualcuno esca dall’automatismo psicologico che porta alla “normale” rimozione di un passato di lotta rivoluzionaria in questo maledetto Paese, nel quale i movimenti antagonisti non riescono a liberarsi di un vasto retroterra di dissociazione e resa. In tempi di elogio del disimpegno, di smobilitazione, di rassegnazione per ogni ipotesi di rovesciamento dell’esistente, abbiamo testimoniato nel nostro piccolo una realtà ben diversa di pratiche e di azione diretta contro il dominio e il capitale, una realtà che non ha mai accettato di piegarsi ai loro compromessi, a nessun recupero democratico, e non accetta più di essere seppellita dall’oblio.
La conferma è giunta con il movimento, minoritario ma, anche qui in Friuli Venezia Giulia, consistente, che si è formato per la campagna di solidarietà con lo sciopero della fame di Alfredo Cospito contro ergastolo e 41 bis. Una campagna nella quale la critica al sistema carcerario è stata struttura portante, che si è accompagnata (nelle sue componenti migliori) a una critica più ampia e complessiva, comprendente la contrapposizione all’emergenzialismo permanente e alla minaccia di guerra nucleare scatenata dalla NATO, forme per mantenere il terrore dei governi, l’obbedienza dei governati e la sopravvivenza dell’Occidente capitalista.

Una lotta che continueremo, al fianco di tutti i prigionieri che non si piegano e di tutte le ribelli, di ogni sfruttato e di ogni proletaria che incontreremo sulla nostra strada, con l’azione diretta, rifiutando ogni delega, senza esitazioni, parlando franco.

Intanto sabato 10 giugno dalle 14 saremo nuovamente presenti fuori dal carcere di Udine per un presidio solidale con i detenuti.

5 giugno 2023


Assemblea permanente
contro il carcere e la repressione
del Friuli e di Trieste

liberetutti@autistiche.org

Associazione “Senza sbarre”
c.p.129, 34121 Trieste

FISSATA L’UDIENZA DI CASSAZIONE DEL PROCESSO PANICO

Venerdì 14 luglio 2023 a Roma si terrà l’udienza di Cassazione della c.d. Operazione Panico.

Ricondividiamo da Lanemesi

Con questa operazione, avviata nel 2017 e sostenuta da un’indagine per associazione a delinquere finalizzata all’“imposizione della propria ideologia con la violenza” (!!), la questura del capoluogo toscano ha avuto mano libera per sgomberare due spazi occupati anarchici storici di Firenze (Villa Panico e Riottosa Zquat, entrambi occupati dal 2007), sfaldare un gruppo anarchico e provare a reprimere una certa modalità d’agire e di intendere, tra le altre cose, l’antifascismo.

In sede processuale, questa operazione repressiva ha fallito nell’intento associativo ma ha ottenuto invece diverse condanne per i reati specifici, tra cui il “più grave”, ovvero un ordigno piazzato fuori una sede di CasaPound a capodanno 2017 che è stato prima preso a calci da un maldestro (per essere generosi…) DIGOS e infine è esploso in mano ad uno sprovveduto artificiere privo di protezioni.

Per questo accadimento la condanna a due compagni sarà, se confermata, di 8 anni.

Inchieste frettolose e convocazioni in procura improbabili, mirabolanti intercettazioni e cicche di sigarette sputate e calpestate o buttate in bicchieri di plastica quali prove chiave, una condanna basata sulla discutibile pretesa di oggettività della prova del DNA ed imbarazzanti udienze con tecnici “super partes” che modificano all’ultimo la propria perizia per farla combaciare coi desideri del Pm in un mirabile show per confermare un castello accusatorio debolissimo.

Ma tutto ciò a noi non interessa, anche se è giusto raccontare i dati di fatto oggettivi.

Da gennaio 2017 in poi, in 6 anni e mezzo il processo va rapidissimo ed a luglio si metterà la parola fine all’operazione Panico. E sempre da lì partirà un’altra inchiesta, a Roma nel giugno 2020, Operazione Bialystok, atta a colpire la solidarietà portata agli imputati e alle imputate del processo Panico, tra cui un compagno recluso in pessime condizioni detentive.

Operazione che è servita oltretutto da pretesto per alimentare una nomea di “istigatore” per Alfredo Cospito che agevolasse l’applicazione del regime di 41 bis, al fine di censurare le idee del nostro compagno, tuttora recluso nel centro clinico del carcere di Opera, dopo 6 mesi di sciopero della fame contro, appunto, 41 bis ed ergastolo ostativo.

All’oggi i fascisti post-MSI, guidati dalla Meloni, sono a capo del governo, e la presenza in città di squadristi non ci pare scomparsa, anzi: esplicito l’avvenimento di febbraio – i ragazzi picchiati dai fasci fuori dal liceo Michelangiolo – e l’apertura di una nuova sede di CasaPound a Firenze – sono solo gli ultimi avvenimenti legati all’estrema destra.

Il 14 luglio non sappiamo come andrà, né facciamo pronostici: l’unica consapevolezza che abbiamo è quella di voler continuare a lottare contro stato, fascisti e padroni, e quella di portare la solidarietà incondizionata a prigionier* anarchic* reclus* in ogni dove.

Alcun* anarchic*

AGGIORNAMENTI SU GREG ARRESTATO IN FRANCIA

Ricondividiamo da Lanemesi

Arrestato Greg in Francia

Martedì 23 maggio Greg, un compagno francese che ha vissuto molti anni in Italia, è stato fermato e identificato in Francia, nei pressi di Limoges, per un controllo stradale. Il giorno seguente è stato rintracciato e arrestato dalla gendarmerie del posto.

Nel corso dell’udienza a porte chiuse per la convalida dell’arresto svoltasi mercoledì 24 è risultato essere stato emesso dall’Italia un mandato di arresto europeo a suo carico nel mese di marzo per un cumulo pena di 2 anni e 2 mesi per tre diverse condanne giudicate in definitivo.

Il giudice ha confermato la detenzione e Greg si trova in questo momento nel carcere di Limoges. Si attende la prossima udienza che dovrebbe svolgersi la prossima settimana e che sarà incentrata sull’esecuzione del mandato di arresto europeo ed eventuale estradizione.

L’avvocato riferisce che il compagno ha potuto recuperare soldi e vestiti e che sta bene. Gli è stato fatto un versamento e ha avuto modo di fare una prima telefonata ai genitori.

Seguiranno aggiornamenti non appena si avranno.

Tutte e tutti liberi


Aggiornamento sulla situazione di Greg (Francia, 27 maggio 2023)

In attesa dell’udienza per l’estradizione della prossima settimana, Greg ha incontrato a colloquio l’avvocato che l’ha trovato lucido e in forma. Ha inoltre fatto sapere il suo numero di écrou (indispensabile per scrivere in carcere in Francia).

Non facciamogli mancare calore complicità e solidarietà.

Grégoire Poupin
#24587
17B Pl Winston Churchill
87000 Limoges
France

Fuoco alle galere!

DI FAVE, MICROFONI, FUMOGENI E OMBRELLI

Dal campo di fave, sulle mobilitazioni in Sardegna contro carcere e 41bis.

Mentre la procura di Sassari apre un’inchiesta per sanzionare la mobilitazione in solidarietà alla lotta di Alfredo Cospito, nelle carceri italiane le condizioni di vita sono in continuo peggioramento, come dimostrano i 22 suicidi dall’inizio dell’anno (1) e i sempre più frequenti scioperi della fame intrapresi dalle persone recluse.
Due di queste sono decedute a poche settimane di distanza, tra aprile e maggio, nel carcere di Augusta (SR), mentre portavano avanti questa forma di protesta estrema nel silenzio più totale del Ministero, del DAP e dei media (2). Nel carcere di Bancali Domenico Porcelli, recluso a cui è stato applicato il regime di 41 bis, si trova in condizioni di salute sempre più critiche per lo sciopero della fame iniziato il 28 febbraio.

In questi ultimi mesi abbiamo deciso di appoggiare la lotta di Alfredo Cospito contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo, vere e proprie forme di tortura. Riteniamo inoltre che il sistema carcerario sia funzionale al mantenimento dell’ordine sociale basato sullo sfruttamento capitalista, per questo le iniziative di questi mesi si sono indirizzate anche “contro il carcere e la società che lo rende necessario”.
Prima ci siamo presx le strade e le piazze della città di Sassari per far uscire la sua voce, affinché tutte e tutti sapessero quello che stava succedendo a pochi chilometri dalle nostre case. Poi ci siamo datx appuntamento in diverse giornate sotto le mura del carcere di Bancali per rompere l’isolamento imposto ad Alfredo, amplificando musica, leggendo saluti, comunicazioni e aggiornamenti sulle azioni di solidarietà nei confronti di questa lotta.

A fine gennaio Alfredo è stato trasferito al carcere di Opera (MI), e solo in aprile, dopo sei mesi, ha interrotto lo sciopero della fame in seguito alla sentenza della corte costituzionale che ritiene “illegittimo il divieto per il giudice di ritenere prevalenti le circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata in caso di reati puniti con la pena dell’ergastolo”. Tradotto nel concreto, per la prima volta, un organo di stato apre alla possibilità che Alfredo non sia per forza condannato all’ergastolo; non solo, questa sentenza si applicherà a tutti i casi analoghi al suo. A essere ‘contraddetta’ è proprio la giurisprudenza tutta in materia di reati che prevedono l’ergastolo come unica pena. Il che è davvero un fatto “storico”.

La solidarietà espressa in varie forme durante i sei mesi di sciopero della fame di
Alfredo è riuscita nell’impresa di portare all’attenzione pubblica, seppur per un tempo limitato, le terribili condizioni di vita delle circa 750 persone poste in 41 bis. La lotta iniziata da Alfredo contro questo regime e l’ergastolo non è terminata con la fine del suo sciopero della fame, e lui è ancora sottoposto a 41 bis. Continuano le lotte, le iniziative di solidarietà e continua, di contro, la repressione.

Oggi diverse procure italiane presentano il conto, aprendo inchieste volte a reprimere le diverse azioni intraprese negli scorsi mesi. L’obbiettivo come sempre è quello di intimorire e scoraggiare chi ha deciso di prendere parola e agire concretamente. Non a caso i reati maggiormente contestati nell’inchiesta sassarese sono proprio quelli di manifestazione non autorizzata, in molti casi aggravata dall’aver pronunciato discorsi, aver letto testi e aver cantato in sostegno ad Alfredo.

Questa inchiesta ed altre azioni
giudiziarie attivate in Sardegna contro chi si oppone alle varie forme di colonizzazione del territorio (occupazione militare, colonialismo energetico, trasformazione della Sardegna in un’immensa colonia penale tra carceri di massima sicurezza e CPR) nei fatti criminalizzano la solidarietà e ci proiettano in un clima repressivo poco rassicurante.

La repressione non fermerà le nostre lotte.

Alcunx indagatx del campo di fave


TESTO PDF: Di fave, microfoni, fumogeni e ombrelli

(1) http://www.ristretti.it/areestudio/disagio/ricerca/
(2) https://www.radiondadurto.org/2023/05/12/carcere-due-detenuti-in-sciopero-della-fame-morti-nel-carcere-di-augusta/

 

CATANIA: DENUNCE PER LE MOBILITAZIONI CONTRO IL 41BIS

Centro Sociale Autogestito Officina Rebelde:

Nelle scorse settimane, ad alcun@ attivist@ e frequentator@ del C.s.a. Officina Rebelde, oltre che di altre realtà, sono state notificate delle denunce per avere “disobbedito agli ordini delle autorità”. I fatti contestati riguarderebbero le mobilitazioni a sostegno della lotta contro il 41-bis ed intraprese in solidarietà ad Alfredo Cospito ed al suo sciopero della fame, in particolare un corteo non autorizzato che avrebbe sfilato per le strade della città.

Come collettivo politico abbiamo deciso di sostenere la lotta di Alfredo perché lottiamo contro le ingiustizie carcerarie: dentro questo assetto sociale neoliberista ed autoritario, il carcere opprime soprattutto gli appartenenti alle classi popolari ed il carcere duro è stato spesso usato per piegare i prigionieri “politici” come Alfredo.

La repressione non ci fermerà: non l’ha fatto in passato e non lo farà oggi, queste denunce ci rafforzano soltanto nella convinzione di essere nel giusto e sono una grande dimostrazione di debolezza da parte di istituzioni che non sono più abituate a fronteggiare il dissenso. Noi proseguiremo nelle nostre lotte a fianco di chi è ingiustamente carcerato, vittima di discriminazioni razziali o di genere, per il reddito, contro il futuro di sfruttamento, guerra e devastazioni ambientali che le élite globali vorrebbero imporci.
Attivisti del csa “Officina Rebelde” e di altre realtà sociali di Catania sono colpiti da denunce per le mobilitazioni a sostegno della lotta contro il 41bis e in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame.

https://www.osservatoriorepressione.info/catania-denunce-le-mobilitazioni-41bis/

70 INDAGATI PER I PRESIDI AL CARCERE DI BANCALI IN SARDEGNA

70 fra compagne e compagni indagati per i presidi tenuti fra Novembre e Gennaio fuori al carcere di bancali, dove era detenuto Alfredo Cospito in regime di 41bis. Le accuse sono per manifestazione non autorizzata. Inoltre nelle settimane scorse è uscito un articolo di giornale, firmato dalla giornalista Nadia Cossu, con elencati i nomi e i cognomi di tutti e 70 gli indagati. I compagni sardi proseguono, nonostante le denunce, a portare avanti presidi sotto le carceri e i cpr sardi, dove proseguono le lotte di alcuni detenuti come Alessio Attanasio in sciopero del vitto, o di un altro detenuto in 41bis che è in sciopero della fame da 2 mesi e ha perso 13 kg.

http://www.ondarossa.info/newsredazione/2023/05/70-indagati-presidi-al-carcere-bancali

AGGIORNAMENTI SUI FATTI DI BUDAPEST

Il febbraio scorso a Budapest venivano fermate 4 persone con l’accusa di essere coinvolte a vario titolo nel ferimento di alcuni nazisti. Due di queste, una compagna tedesca e una ragazza ungherese, sono poi state rilasciate, mentre le altre due, un compagno tedesco e una compagna italiana, si trovano tutt’ora in carcere. A tre mesi da questi arresti abbiamo deciso di scrivere un testo per cercare di condividere un quadro minimo della situazione e soprattutto per dare qualche aggiornamento rispetto alla condizione della compagna italiana, un’amica molto prossima con la quale molti di noi/voi hanno condiviso lotte, lutti, gioie e dolori negli ultimi quindici anni.

Il contesto

Per cominciare è utile sapere che gli arresti non sono avvenuti in un giorno qualsiasi. L’11 febbraio è una data di culto per i neonazisti ungheresi, ribattezzata “Giorno dell’ Onore” in memoria del massacro di un battaglione nazista completamente annientato nel febbraio del 1944 mentre tentava di eludere l’assedio dell’Armata Rossa alla città di Budapest. Negli ultimi anni le celebrazioni legate a questa ricorrenza hanno iniziato ad attirare neonazisti da altri paesi e sono nel tempo diventate un appuntamento sempre più frequentato da certi ambienti dell’estrema destra suprematista europea, in particolare tedesca, anche per via della maggiore tolleranza locale, rispetto a quanto comunemente permesso in Germania, verso l’esibizione di simboli, bandiere, uniformi. Dato il risalto oramai internazionale dell’evento, e il crescere delle proteste contro l’opportunità di ospitare in città questo tipo di parate, per la prima volta proprio quest’anno persino le autorità locali avevano deciso che non fosse appropriato concedere la fortezza di Buda come ritrovo ufficiale del raduno – come normalmente accadeva – e pertanto gli organizzatori della rete neonazista Blood and Honour hanno organizzato “solo” una marcia campestre fuori città, strutturata come percorso avventura nella foresta in cui avvenne la disfatta. Nei pressi della fortezza si sono ritrovati invece alcune centinaia di antifascisti.
È questo probabilmente lo scenario della città di Budapest nei giorni in cui vanno inquadrati i fatti.

Le accuse

Delle due persone ancora oggi in carcere sappiamo solo che sono state fermate a bordo di un taxi e che la loro detenzione si basa su pochi elementi indiziari che la polizia ungherese ritiene sufficienti a richiedere un supplemento di indagine. Per quanto riguarda la compagna italiana sarebbe indagata per due episodi, ma almeno uno dei due non sarebbe compatibile con quanto attestano i suoi biglietti aerei. L’accusa è quella di “aggressione a un membro della comunità” e sarebbe collegata ai ferimenti di alcuni nazisti avvenuti per mano di ignoti nei giorni precedenti al fermo. Gli atti delle indagini sono comunque ancora in corso di traduzione e vi lasciamo immaginare le difficoltà di reperimento delle informazioni e di coordinamento tra avvocati.

La detenzione

La detenzione in Ungheria prevede la possibilità di ricevere lettere, telegrammi, soldi, alimenti o indumenti, solo da persone direttamente registrate e autorizzate ai colloqui. Per questo motivo per tutto il primo mese di detenzione entrambi non hanno ricevuto neppure il pacco di prima necessità e hanno dovuto arrangiarsi con i vestiti che indossavano. Attualmente il compagno tedesco è autorizzato ai colloqui con i genitori e può dunque comunicare con loro via telefono o skipe e ricevere beni di prima necessità e lettere. La compagna italiana ha inizialmente ricevuto l’autorizzazione a comunicare con i genitori e con il legale italiano, autorizzazione però revocata subito dopo la prima telefonata. Da allora ha un telefono in cella ma non è autorizzata a comunicare con nessuna persona differente dal suo avvocato ungherese e dal funzionario di collegamento dell’ambasciata italiana. Un primo ricorso contro questa decisione è stato respinto, dunque tutto lascia pensare che nei prossimi mesi la sua detenzione continuerà senza possibilità di colloqui e di contatti con l’esterno, se non mediati dall’avvocato del posto. Allo stesso modo anche noi qui fuori, privati di canali diretti con lei, dobbiamo affidarci ad informazioni riportate indirettamente, con tutte le difficoltà che questo comporta nella costruzione della solidarietà. In ogni caso sembra stia bene e, nonostante le difficoltà dei primi mesi di detenzione, ora la situazione appare migliorata. Il primo pacco è stato consegnato e le condizioni detentive sono diventate meno gravose da quando non è più isolata e condivide la cella – non più infestata dalle cimici – in compagnia di una detenuta con cui ha stretto un buon rapporto. Queste novità l’avrebbero portata alla decisione di non sollevare pubblicamente sui media locali il caso della propria situazione detentiva, come in un primo tempo le aveva invece suggerito di fare l’avvocato.
Nell’immediato i mezzi di informazione ungheresi hanno trattato la notizia degli arresti con un certo clamore, col passare delle settimane invece l’attenzione è scemata e il caso sembra al momento seguire procedure ordinarie, per quanto lente e arbitrarie possano apparire. La stessa lentezza nella consegna del pacco di prima necessità e le pessime condizioni sanitarie delle celle non sono da considerarsi frutto di un accanimento personalizzato, ma piuttosto normale amministrazione delle carceri ungheresi. Le indagini rimangono comunque ancora aperte e abbiamo notizia di un interrogatorio senza avvocati, al quale si sono entrambi rifiutati di rispondere.

La Germania

Se sul lato ungherese i riflettori sulla vicenda sembrano essersi spenti, in Germania i fatti di Budapest trovano ancora spazio sui giornali e sono oggetto di indagini parallele da parte della polizia federale. L’ipotesi avanzata è quella di una continuità tra quei ferimenti e altri episodi simili avvenuti in Germania. Con questa giustificazione la polizia ha avviato negli ultimi mesi una serie di perquisizioni negli ambienti antifascisti e spiccato sette nuovi mandati di arresto, agendo di concerto con una campagna mediatica faziosa e aggressiva volta ad accreditare la necessità di inserire i gruppi Antifa tedeschi nell’elenco dei gruppi terroristici riconosciuti dall’Unione Europea. Per contestualizzare meglio questa intensità repressiva occorre sapere che negli ultimi anni il governo regionale della Sassonia si è radicalizzato ancora più a destra, in linea con la più generale tendenza federale, e dopo le forti proteste antifasciste del 2009/2011 proprio in questa regione è stato più volte utilizzato il reato di “associazione criminale” per indagare, perquisire, arrestare compagni legati agli ambienti Antifa. Fino ad oggi nessuna inchiesta era arrivata a processo ma questo tipo di imputazione ha permesso di intercettare centinaia di persone coinvolte direttamente negli eventi o informate sui fatti. Dal 2019 è stata istituita una commissione speciale dedicata agli Antifa (Soko Linx), una mossa elettorale con copioso stanziamento economico che ha rivendicato arresti ampiamente spettacolarizzati nel novembre 2020. Ad aggravare la situazione nel 2021 si è poi aggiunta la figura di un infame che ha iniziato a contribuire attivamente con gli inquirenti. Il processo scaturito da quei fatti dovrebbe arrivare a sentenza proprio a fine maggio 2023 e per la prima volta il capo di imputazione di “associazione criminale” è rimasto sul tavolo delle condanne possibili. Lo stesso gruppo portato a giudizio a Dresda (definito dalla stampa la “banda del martello”) è quello a cui oggi in Germania si vorrebbe attribuire anche la paternità dei fatti di Budapest. Per quanto riguarda nello specifico la compagna italiana arrestata non abbiamo nessun motivo concreto per ritenere che sia al momento coinvolta nel versante tedesco dell’inchiesta.

Prossime tappe

La prossima decisione del pm sulle misure cautelari per i due arrestati di Budapest sarà presa il 14 giugno prossimo. L’avvocato in quel frangente dovrebbe anche presentare una prima domanda per il trasferimento ai domiciliari. Nel caso della compagna italiana c’è chi si sta occupando di trovare per lei casa e lavoro sulla città di Budapest, a questo scopo contatti e suggerimenti sono i benvenuti. Sulla carta esiste anche la possibilità che possa ottenere gli arresti domiciliari nel suo paese di origine, come previsto dalla legislazione europea, e in questo caso le soluzioni abitative non mancherebbero. Lo stesso discorso vale per il compagno tedesco. Se questa prima richiesta non dovesse andare a buon fine, la difesa ci riproverà nel corso del mese di agosto, quando – trascorsi i primi sei mesi di detenzione preventiva – dovrebbe aprirsi per entrambi una possibilità di uscire di prigione.
Nel frattempo i compagni tedeschi stanno progettando una campagna pubblica di solidarietà che speriamo di poter condividere al più presto.
A Milano stiamo pensando ad un incontro pubblico da organizzarsi tra la fine di maggio e l’inizio di giugno, per provare a farci raccontare quanto sta accadendo in Germania e Ungheria e collegarlo a quanto accade nelle nostre città. Sarà anche occasione per rilanciare una campagna di raccolta fondi necessari per affrontare le spese legali e materiali a cui questa nostra amica e compagna sta andando incontro. Non lasciamola sola!
Seguiranno aggiornamenti…

Invitiamo chi può a contribuire alle spese legali:

MARTINA DEMICHELA
IBAN: IT38G0306930510100000001519
BIC: BCITITMM
CAUSALE: BENEFITBU
PAYPAL: Martina Demichela
Martina.demichela@gmail.com

dieci maggio duemilaventitre
alcuni amici e tante compagne da Milano

ALFREDO COSPITO: PRONUNCIA CORTE COSTITUZIONALE

Pronuncia Corte Costituzionale Alfredo Cospito
SENTENZA N. 94
ANNO 2023

[…] PER QUESTI MOTIVI LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, come modificato dall’art. 3 della legge 5 dicembre 2005, n. 251 (Modifiche al codice penale e alla legge 26 luglio 1975, n.354, in materia di attenuanti generiche, di recidiva, di giudizio di comparazione delle circostanze di reato per i recidivi, di usura e di prescrizione), nella parte in cui, relativamente ai delitti puniti con la pena edittale dell’ergastolo, prevede il divieto di prevalenza delle circostanze attenuanti sulla recidiva reiterata di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18 aprile 2023