BOLOGNA: VOI DECORO, NOI DE CORE

Aggiornamenti sul processo per alcune scritte comparse sui muri della città durante il corteo dello sgombero dell’occupazione di Via Zago 1, nel maggio 2022. Tre compagnx assolti dall’accusa di minacce.

Giorno 5 luglio si è tenuta l’udienza del processo di primo grado che vede coinvolti 3 compagnx accusati di imbrattamento e minacce private nei confronti del sindaco Matteo Lepore. Quest’ultimo si era costituito parte civile nel processo, chiedendo un risarcimento di 25.000 euro per il danno morale, 10.000 euro di provvisionale nonché di subordinare la sospensione condizionale al pagamento.

Il giudice ha invece assolto lx tre compagnx dall’accusa di minacce “perché il fatto non costituisce reato”, ma li ha condannati al pagamento di una multa di 600 euro a testa per imbrattamento, con la concessione della sospensione condizionale della pena subordinata al ripristino e alla ripulitura dei luoghi o al pagamento delle spese per la stessa ripulitura.

Lepore nel cofano… A quanto vogliamo!

Più forte dell’amore della libertà
C’è solo l’odio per chi ce la toglie

ULTIMA UDIENZA E SENTENZA DEL PROCESSO CONTRO ZAC [11 LUGLIO]

L’11 luglio si terrà l’ultima udienza del processo contro Zac per 280bis (atto di terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi) e 270quinques (autoaddestramento). Dalle ore 9.30 avranno luogo prima la requisitoria del pubblico ministero e poi le arringhe degli avvocati. Dopodiché la corte si riunirà in camera di consiglio ed emetterà la sentenza.

Zac è accusato di un attacco al Consolato greco di Napoli avvenuto il 4 marzo 2021, che l’accusa ha ricondotto alla matrice anarchica e inserito nella campagna di solidarietà a Dimitri Koufontinas, prigioniero greco che nel 2021 era entrato in sciopero della fame per molti mesi, rischiando la morte, per contestare la riforma penitenziaria in atto in quel periodo che implicava un netto peggioramento delle condizioni di carcerazione. Nel corso delle udienze si è manifestata tutta l’inconsistenza dell’impalcatura accusatoria, rendendo evidente la natura puramente politica di questo processo, che si basa più sulla personalità dell’imputato che sui fatti contestati. Tant’è che Zac è rimasto sottoposto alle misure cautelari ed “eletto” (senza candidarsi!) alla sorveglianza speciale.

La richiesta di quest’ulteriore misura da parte della questura, prontamente accettata dal tribunale di sorveglianza, conferma l’accanimento politico contro il compagno. A noi appare evidente che in questo caso, come per altre operazioni di repressione del dissenso politico, si è trattato di un modo per ottenere un qualche risultato al di là dell’esito del processo. In generale, è diventato uno strumento sempre più diffuso come mezzo di prevenzione e di controllo sociale.

Insomma, dato che il vero collante dell’accozzaglia di ipotesi investigative e burocrazia poliziesca portati in sede processuale è l’appartenenza del compagno al movimento anarchico, possiamo dire che ciò che viene messo sotto accusa è una determinata identità politica e che il vero obiettivo è la criminalizzazione di tutte le lotte contro il sistema carcerario e la solidarietà ai detenuti in lotta. Non è un caso che la presunta pericolosità di Zac e il suo arresto siano stati motivati dal contesto della mobilitazione contro il 41 bis e in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame, con l’obiettivo di prevenire possibili coinvolgimenti in una eventuale “escalation” della lotta. Questa operazione si inserisce in una strategia repressiva più ampia che con le stesse caratteristiche ha colpito numerosi compagni e compagne nell’ultimo anno.

Non riconosciamo nessuna forma di distinzione tra colpevolezza e innocenza, che è puro arbitrio di una logica processuale mai neutrale e pieno riflesso dei valori dominanti in un sistema di guerra globale, massacro di popoli e incarcerazione di oppressi e dissidenti. Ciò che invece ci rivendichiamo sono gli ideali, le pratiche, l’identità politica del compagno accusato in cui ci riconosciamo pienamente. Crediamo sia importante rafforzare la solidarietà in un momento di intensificazione della repressione, che nell’attuale contesto di guerra colpisce in maniera sempre più estesa. Per questo invitiamo a una presenza massiccia all’ultima udienza per rendere palese che se l’obiettivo era quello di isolare il compagno non ci sono riusciti e che non c’è rassegnazione tra chi sostiene la lotta contro ogni forma di oppressione.

Anarchice e anarchici

Link PDF: Zac-ultima-udienza-1

AL FIANCO DI JUAN. PER TANTI E TANTI MOTIVI

Diffondiamo

I nostri compagni non li scordiamo mai, Juan libero, abbasso la POLGAI!”

Il 16 luglio prossimo, alle ore 9,30 presso il tribunale di Brescia, inizierà un ennesimo processo contro il nostro amico e compagno Juan Sorroche. L’azione di cui è accusato è un attacco esplosivo avvenuto nel 2015 nella stessa città contro la POLGAI, una struttura in cui si addestrano le polizie di vari Paesi alle tecniche di antisommossa e controguerriglia.

Quando i dispensatori di terrore di Stato si vedono restituire una piccola parte della loro violenza, polizia politica e magistratura lavorano senza sosta per trovare i responsabili di un tale affronto – nessuno osi costrastare il monopolio borghese e statale della violenza! –, al punto che è la terza volta che Juan viene indagato per la stessa azione.

Qual è la massima espressione del monopolio statate della violenza? La guerra. E mentre i diversi complessi scientifico-militar-industriali ci stanno trascinando verso la terza guerra mondiale – di cui il genocidio in corso a Gaza è il capitolo più emblematico e brutale –, le retrovie di questa mobilitazione totale devono rimanere pacificate. Per questo la stretta repressiva verso ogni pratica di lotta non simbolica (pensiamo al drastico aumento di pene per i blocchi stradali e per le azioni di contrasto ai cantieri delle Grandi Opere). Per questo le manganellate contro gli studenti o le rappresaglie padronali-giudiziarie contro i facchini. Per questo le precettazioni in caso di sciopero. Per questo le continue inchieste contro compagne e compagni. Per questo il 41 bis applicato ad Alfredo Cospito. Per questo l’attacco alle idee e alle pubblicazioni anarchiche.

In tempi di guerra finiscono le pantomime garantiste. Lo Stato mostra il suo grugno e il suo maglio. I confini tra fronte esterno e fronte interno si fanno sempre più sfumati; l’immigrato in lotta si confonde con l’antagonista, le sollevazioni nelle periferie incalzano i movimenti antimilitaristi nel ventre della bestia, alle contestazioni nei campus universitari corrispondono le resistenze nei territori colpiti dalla furia estrattivista del capitale.

Ecco un esempio di questi intrecci globali: nella stessa sezione speciale del carcere di Terni dove da anni si trova Juan (e per diversi mesi anche Zac), dal gennaio scorso è rinchiuso il prigioniero palestinese Anan Yaeesh.

Benché la resistenza condotta da Anan nei territori palestinesi sia legittima persino secondo la carta straccia del Diritto internazionale; benché sia noto a tutti che nelle carceri israeliane si pratica sistematicamente la tortura contro i prigionieri palestinesi, il ministro della Giustizia italiano ha accolto la richiesta di estradizione di Anan da parte dello Stato d’Israele, mentre la resistenza armata contro il colonialismo sionista – oggi apertamente genocida – per i giudici italiani diventa “terrorismo”, la stessa accusa con cui si trovano in carcere anche i palestinesi Ali e Mansour, la stessa accusa mossa a Juan per l’azione contro la POLGAI. Ricordiamo allora che questa struttura è attiva a Brescia dal 1974 (anno della strage di Piazza della Loggia) e che nei suoi locali si addestra anche la polizia israeliana. E ricordiamo che in provincia di Brescia (Ghedi) si trova uno snodo fondamentale di quell’imperialismo occidentale attivamente complice della strage senza fine del popolo palestinese: una base NATO in cui sono stipate bombe nucleari in grado di disintegrare popolazioni intere. Il cerchio si chiude.

È importante essere al fianco di Juan contro questo nuovo tentativo di seppellirlo in carcere. Non solo per solidarietà nei confronti di un compagno che ha sempre dato un contributo generoso alle lotte. Ma anche come occasione per rilanciare le iniziative contro il terrorismo di Stato, contro il genocidio in Palestina, contro la guerra globale, la sua economia, la sua logistica, contro la repressione e per la fine del 41 bis. La solidarietà con Juan – e con gli altri compagni e compagne in galera – è per noi parte della mobilitazione da costruire per il futuro processo contro Anan, Ali, Mansour.

Per un’Intifada mondiale delle oppresse e degli oppressi. Per trasformare la guerra dei padroni in guerra ai padroni.

Come abbiamo urlato a Brescia durante i cortei per i cinquant’anni dalla strage di Stato di Piazza della Loggia, “i nostri compagni non li scordiamo mai, Juan Libero, abbasso la POLGAI!”.

compagne e compagni

ROMA: SULLO SGOMBERO DI TORRE MAURA OCCUPATA

Diffondiamo:

de SUPPOSTE e de MATTONI

Martedì 7 maggio 2O24 lo spazio occupato in via delle Averle nel quartiere Torre Maura, da più di 32 anni autogestito,è stato sgomberato con un blitz poliziesco alle 6 del mattino.
Mobilitati un centinaio di agenti di polizia di stato, affiancati da vigili del fuoco e municipale, hanno proceduto allo scasso del cancello d’entrata, dopo aver prima rimosso i cassonetti e poi le auto nei parcheggi adiacenti, per fare spazio a blindati e mezzi dell’impresa edile che successivamente ha murato ogni possibile accesso.
La casa è stata quindi invasa minacciando e trascinando fuori due persone che al momento si trovavano all’interno.
Durante tutta la giornata, grande è stata la vicinanza dei solidali che spontaneamente sono arrivati numerosi sul posto mossi dal comune sentimento per la difesa degli spazi di libertà’.
Torre Maura Occupata è sempre stata punto di riferimento senza gerarchie né confini: da Centro Sociale ad Ateneo Libertario a Casa Collettiva. Uno spazio di confronto e condivisione di conoscenze e attività senza finalità di profitto: palestra, sala prove, erboristeria, serigrafia, biblioteca e gran bazar der raccatto/dono, a disposizione di chiunque secondo i propri bisogni, contro spreco e consumismo.
Quindi un luogo di resistenza all’avanzare di un sistema omologante e intollerante verso chi risulti inadattabile ai suoi criteri.
Una storia di lotta ad ogni tipo di sopraffazione senza compromessi, per la Liberazione Animale e della Terra, contro nucleare ed ogni nocività, per la distruzione di ogni forma di dominio, controllo e coercizione: dal carcere alla psichiatria ai centri di detenzione per migranti.
La Narrazione di potere intenzionalmente occulta e mistifica la complessità di esperienze come questa, significativamente e veracemente anomale nella società dello spettacolo, esultando per la restaurata legalità e il trionfo dello Stato!
Questa operazione mascherata da pubblico interesse con supposte finalità sanitarie, oltre ad essere una vendetta del mini(sindaco) fascista nei confronti dello spazio da sempre
antiautoritario, e già in passato sotto attacco da sinistri rappresentanti locali, corrisponde alla solita strategia speculativa per la quale la miseria non può che dilagare, creando nuovi nemici per distogliere lo sguardo dai reali responsabili di povertà, guerre e discriminazioni di ogni tipo.

MA KE DAVERO
ci si lascia ancora abbindolare da questa trita propaganda mediatica e dalle promesse elettorali?

MADDECHÉ !!!

NÉ SUPPOSTA NÉ MATTONE,
SENZA SERVI NESSUN PADRONE!
SEMPRE PADRONI di NULLA PEDONI di NESSUNO
PER L’AUTOGESTIONE OVUNQUE … VERSO L’ANARCHIA!

TORREMAURA SGOMBERATA MA MAI DOMA !

BREVE AGGIORNAMENTO DALLA GRECIA E RIFLESSIONI A MARGINE

Diffondiamo:

Nella data di venerdì 24 maggio, i giudici si sono espressi sulla detenzione di solo 3 dellx 9 solidali reclusx ad Amygdaleza, decretandone il rilascio. Per lx altrx 6 decideranno altri due giudici che però hanno pensato di rimandare la decisione a lunedì. Continua quindi la detenzione amministrativa di 6 solidali nel cpr greco.
Cos’è per loro d’altronde qualche giorno in più o in meno di reclusione deciso sulla pelle dei corpi altrui..!
Continua intanto lo sciopero della fame di 40 persone migranti principalmente di origine egiziana recluse all’interno dello stesso CPR in protesta contro le condizioni detentive.
Seguiranno aggiornamenti.

Solidali con la resistenza palestinese, al fianco di chi è reclusx, di chi è in sciopero della fame e di chi si rivolta nei CPR, condividiamo qualche brevissima riflessione a margine.

Ci preme ricordare che solo nelle ultime settimane, lo strumento della detenzione amministrativa sembra aver ampliato le sue maglie a fronte dell’ampliarsi della solidarietà con il popolo palestinese.
Così ricordiamo il caso di Seif, un educatore algerino che da anni vive a Roma con status di rifugiato, a cui, per un commento pro Palestina all’interno di chat private, è stato revocato lo status di rifugiato e portato nel cpr di ponte Galeria, dove è rimasto per qualche giorno e al momento è in attesa dell’esito del ricorso contro la revoca dello status di rifugiato e l’espulsione.
Non dimentichiamo che pur, con strumenti giuridici diversi, l’Italia sarebbe pronta a consegnare a Israele tramite estradizione i 3 palestinesi, Anan, Ali e Mansour, attualmente detenuti nelle carceri italiane.

In Francia, sono avvenuti dal 7 ottobre diversi casi di detenzione amministrativa di persone con documenti non europei – palestinesi ma anche di altri paesi – per aver espresso solidarietà alla resistenza palestinese contro il genocidio di Israele. D’altra parte la detenzione amministrativa è uno strumento repressivo ampiamente usato dallo stato francese già da diversi anni anche contro persone con documenti europei, considerate una minaccia per l’ordine pubblico. Una tendenza che si andrà generalizzando grazie a quanto previsto dall’ultima legge sull’immigrazione, perfettamente allineata con le politiche di morte richieste dal patto europeo su migrazione e asilo, diventato operativo da aprile 2024.

In Grecia, a seguito dell’arresto di 26 persone per l’occupazione dell’Università di Atene in solidarietà alla resistenza palestinese, lx 9 internazionali sono statx portatx al cpr, in applicazione di una legge greca che consente la detenzione amministrativa, anche di persone con cittadinanza europea, che siano segnalate come indesiderabili per ragioni politiche dallo stato greco e quindi espellibili. Evidente in questo caso è l’utilizzo di tale strumento per prendere di mira i moti di solidarietà per la Palestina.

La detenzione amministrativa rappresenta il fondamento del sistema frontiere nella civiltà Europea, dove migliaia di persone migranti vengono imprigionate per non avere i documenti. E rappresenta anche uno degli strumenti principali della civiltà israeliana nel condurre il genocidio palestinese. In entrambi i casi, si tratta di uno strumento volto all’annientamento psico-fisico dellx individux individuati come nemicx nell’attuale società.

La detenzione amministrativa sembra aver ampliato il suo campo di applicazione in questo momento di guerre, quale strumento di contenimento dei nemici interni individuati su basi politiche, nella forma più arbitraria che consente di oltrepassare le seppur minime garanzie previste dai sistemi penali.

Queste forme detentive, praticate anche dal fascismo, e da tutti i regimi, sono la normalità nei sistemi giuridici delle civiltà occidentali.
Uno dei motivi in più per augurarcene attivamente al più presto l’inesorabile tramonto.

BOLOGNA: LA LIBERTÀ NON SI MISURA

Aggiornamenti:

Lunedì 20 maggio a Bologna si sono tenute presso il Tribunale delle Libertà sia l’udienza di riesame per chiedere la revoca/attenuazione delle misure sia l’udienza d’appello con cui la PM chiedeva il riconoscimento dell’aggravante per 270bis per i reati contestati e il conseguente aggravamento (arresti domiciliari) delle misure cautelari a cui attualmente sono sottopostx 3 compagnx a seguito delle indagini aperte relative ad episodi avvenuti in territorio bolognese durante la mobilitazione in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame contro il 41bis e l’ergastolo ostativo.

Né il riesame né l’appello sono stati accolti, confermando le misure ax 3 compagnx: per 2 compagnx obbligo di firma, per una compagna obbligo di dimora con rientro notturno e obbligo di firma.

TUTTA LA NOSTRA SOLIDARIETÀ E COMPLICITÀ AX COMPAGNX COLPITX.

ALFREDO LIBERO!
41BIS È TORTURA!
CHE DELLE GALERE RIMANGANO SOLO MACERIE.

TORINO: ALLA REPRESSIONE SI RISPONDE CON LA LOTTA [CORTEO 2 GIUGNO]

Dall’assemblea torinese contro il carcere e il 41 bis alcune riflessioni  a seguito dell’operazione city, per rilanciare il corteo del 2 giugno:

Il corteo del 2 giugno prossimo è una prima risposta all’operazione repressiva denominata “City” che ha colpito alcunx compagnx in merito ai fatti del 4 marzo 2023 a Torino. Pochi giorni prima di quella data, una sentenza di Cassazione che aveva stabilito la permanenza in 41bis del nostro compagno Alfredo Cospito pareva sancire la sua condanna a morte, dopo sei mesi di sciopero della fame. In quella giornata le strade della città sono state percorse dalla nostra rabbia e dalla nostra determinazione.

L’operazione della procura di Torino aspira in modo evidente a estendere il reato di devastazione e saccheggio a tutte le persone presenti, con l’implicito “Se eri lì, sei complice!”. L’intenzione è ovviamente quella di dividere e scoraggiare la partecipazione a future iniziative di piazza che prevedano di mettere in campo quelle pratiche conflittuali che da sempre sono patrimonio del movimento, nel tentativo di annullare i momenti in cui rabbia, lotta e istanze sociali si mischiano e rafforzano reciprocamente. Del resto, è risaputo che la repressione agisce anche cercando di spezzare i legami solidali tra le diverse sensibilità, con la chiara volontà di disincentivare la partecipazione e isolare per meglio colpire. Rendere inoffensivi gli attivisti, scoraggiare gli indecisi, criminalizzare idee e pratiche di scontro con lo Stato e il Capitale: ecco la ricetta per disinnescare il potenziale conflitto sociale in un momento in cui le contraddizioni generate – crisi, guerre e devastazione ambientale – pongono il sistema in una palese condizione di precarietà.

Cucendo l’abito del nemico pubblico addosso a chi si oppone con determinazione e criminalizzando chi non tace, anche con questa azione repressiva si tenta di evitare la contaminazione tra le varie modalità e istanze di lotta. Se infatti tra le cause dell’estendersi delle condizioni di oppressione c’è anche la nostra attuale incapacità di mettere in campo rapporti di forza favorevoli, è vitale per l’apparato poliziesco e repressivo inasprire l’attacco generalizzato alle classi approfittando delle loro separazioni e antagonismi, al fine del mantenimento dell’attuale sistema di sfruttamento e disciplinamento totale.

L’intenzione di questa chiamata per una piazza nazionale a Torino proprio il giorno della “Festa della Repubblica” è quella di rilanciare un momento di strada che materializzi il senso del corteo di un anno fa, e della repressione che lo ha seguito, nel contesto dove quello si è dato e questa si sta dando. Vogliamo inquadrarlo nella complessità di una società stretta nella morsa di una retorica bellica che, mentre normalizza un genocidio algoritmico mandandolo in mondovisione, produce un discorso martellante sul nemico interno identificato non solo in chi lotta, disobbedisce e diserta, ma anche in coloro che abitano le oppressioni strutturali del capitalismo odierno, dove la detenzione amministrativa e penale si inserisce come tassello disciplinante diventando l’unico orizzonte di chi non può, o non vuole, sottostare a imposizioni sempre più stringenti.
Il sistema punitivo statale italiano vede la sua massima espressione nel regime di 41bis e nell’ergastolo ostativo, ma la macchina repressiva e detentiva si articola in forme molteplici, più o meno subdole, con l’identico fine persecutorio; e anche recentemente si è visto come ad esempio i CPR si pongano alla confluenza di molte tipologie di oppressione: usati come monito per i liberi, minaccia nei contesti lavorativi e ricatto in quelli di lotta, questi luoghi di invisibilizzazione per eccellenza ci mostrano continuamente quante forme possa assumere la brutalità dello Stato. Quando questa viene sconfitta non lo si deve certo ai commissariamenti della magistratura o alle preghiere riformiste (a volte avanzate perfino da chi quei luoghi li ha istituiti), bensì, sempre, alla rivolta e al fuoco dei ribelli.
Con questo spirito siamo scesi più volte in strada, e lo abbiamo fatto anche il 4 marzo.

E se quelle giornate sono riuscite a rompere il muro del silenzio riguardo a un circuito di tortura “bianca” in Italia e a mettere in evidenza come e quanto i tribunali applichino la vendetta dello Stato contro i suoi nemici interni, al di là di ogni fantasticheria sul diritto, lo sappiamo, la partita è ancora aperta. Non solo perché questo regime carcerario di tortura si sta palesando come strumento nelle mani della DNAA (Direzione Nazionale Antimafia-Antiterrorismo) come modello di repressione a monito di tutti i rivoltosi, ma anche perché questo regime è un dispositivo di guerra, e sarà ancora molto utile, contro il nemico interno, in questi tempi di guerra.

Negli ultimi due anni la guerra guerreggiata è alle porte. Dalle periferie del mondo occidentale, è dilagata avvicinandosi sempre di più alla fortezza Europa. Il controllo sui territori diventa serrato, militari e sbirri pattugliano ogni angolo, chi vive e attraversa i quartieri interessati da questa incessante militarizzazione rischia quotidianamente di finire dentro una galera o un CPR.

Ma quando inizia la guerra? Chi decide quando questa comincia? Inizia veramente, nel caso europeo, fuori dai confini dell’Unione? O è la stessa organizzazione sociale, anche in tempi che vengono descritti come tempi di pace, a incarnarla, alternando momenti più o meno feroci? L’Italia e l’UE si trovano di fatto in guerra. Da un lato sostengono il settore militare israeliano, come dimostrano i dati relativi all’invio di armi e munizioni verso Israele dell’ultimo trimestre del 2023, per un valore pari a 2,1 milioni di euro. Dall’altro, fin dai primi giorni del genocidio in Palestina, l’Italia ha trasformato la stazione aeronavale di Sigonella in Sicilia in una base di appoggio per gli aerei spia e per quelli che trasportano armi, e ha trasferito diverse unità navali nel mare di fronte a Gaza. Inoltre, dal 5 marzo 2024 ha ufficialmente preso parte alla missione “Aspides” nel Mar Rosso, a difesa del commercio internazionale, contro i ribelli Houthi e le azioni di sabotaggio da loro messe in campo contro le navi israeliane a sostegno della
resistenza a Gaza.

I media nostrani hanno invece costruito l’idea di questo possibile inizio, questo emergere della prossimità bellica, datandolo all’azione russa del febbraio 2022 e il suo allargamento a partire dalla responsabilità di Hamas (e indirettamente dell’Iran) del 7 ottobre 2023. Questa visione non è solo faziosa e non si limita a scaricare la responsabilità bellica sulla controparte, retorica più che scontata da parte di ogni Stato, ma soprattutto è inaccettabile perché mette in campo l’idea che tutto si giochi sul piano geopolitico. Se invece dobbiamo ravvisare un periodo in cui alcune istanze della società-guerra si sono violentemente palesate e possono essere considerate gli antefatti di questo ultimo biennio, dovremmo tornare agli attentati parigini del 13 novembre 2015 che hanno portato in Francia, e in tutta l’Europa occidentale, un susseguirsi di normative sull’ordine pubblico che hanno segnato un punto di svolta della militarizzazione interna e
delle politiche di controllo sociale. Ci pare evidente che non esiste un’anormalità da una lato, la guerra come eccezione, e una normalità, la politica, dall’altro. Non è facile capire cosa sia realmente la guerra oggi, visto il proliferare nel nuovo millennio di nomenclature come “guerra ibrida”, “guerra infinita”, “guerra mondiale a pezzi”, ma quello che possiamo affermare con certezza è che siamo entrati in un periodo in cui si è ben oltre la militarizzazione degli spazi pubblici, fisici o simbolici che siano. L’economia di guerra e il richiamo alle esigenze di arruolamento paventati senza mezzi termini dai governanti, il potenziamento del riarmo industriale, la stretta su qualunque tipo di opposizione, la censura attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali e social, evidenziano il processo di mobilitazione delle società verso la guerra che gli stati europei hanno innescato come ormai unico mezzo per dirimere il ginepraio delle politiche neoliberali, la corsa all’accaparramento delle risorse naturali e la gestione degli esseri umani considerati come mera eccedenza, anche all’interno del territorio UE.

Se questo è quanto sta succedendo in Europa, quello che sta succedendo nell’altrove guerreggiato ci parla di centinaia di migliaia di morti, di persone mandate al macello sull’altare del profitto e dell’accaparramento. La guerra là è più feroce, senza limiti, ma ha gli stessi scopi di quella non guerreggiata qua. La guerra asimmetrica che lo stato di Israele sta conducendo dal 7 ottobre contro Gaza ne è summa ed esempio: la migliore democrazia in tempi bellici, un modello per gli altri stati. In un connubio fra high tech e sterminio, rimozione della memoria e costruzione di una sempre nuova narrazione della storia, laboratorio a cielo aperto di meccanismi sociali. Lo stato di Israele rappresenta sicuramente la migliore risposta alle necessità di una società in guerra.

Ma proprio partendo dal modello perfetto di Israele e dalla resistenza palestinese possiamo iniziare a pensare che questo sistema possa essere
disarticolato. Israele per continuare a mantenersi in vita ha bisogno di spietate complicità e collaborazioni che attraversano il capitale in ogni sua
forma: i luoghi di lavoro, della cultura e della formazione. Le atrocità che stanno avvenendo a Gaza sono possibili grazie al contesto geopolitico strutturato dall’Occidente fin dall’avvento degli stati-nazione: secoli di colonialismo di insediamento, accordi e collaborazioni occidentali che hanno permesso il massacro di chi in quei territori ha sempre vissuto. Un esempio per tutti sono le università, che rappresentano uno strumento di normalizzazione, legittimazione e complicità rispetto al genocidio in corso a Gaza, oltre che del colonialismo di insediamento e della pulizia etnica perpetrata da Israele ai danni del popolo palestinese da più di 75 anni. Attraverso accordi e partnership, vengono sviluppate tecnologie belliche e securocratiche che prima vengono testate sulla pelle del popolo palestinese e poi riversate nel mercato globale, per essere usate contro il nemico interno ed esterno. Attraverso accordi e collaborazioni con l’università, aziende belliche come Leonardo, Thales-Alenia o Elbit, si stanno espandendo, generando nuovo profitto garantito dall’utilizzo di infrastrutture pubbliche e conoscenze del mondo universitario: ostacolare il loro ingresso e la loro normalizzazione contrattuale significa evidentemente opporsi alla militarizzazione sempre più pervasiva della nostra società e può proporsi come una delle modalità effettive di resistenza alla guerra totale che questo sistema genera e alimenta.

Ma per mettere in atto questa resistenza, e perché sia possibile condurla ancora a lungo, per affrontare la lotta contro la generale oppressione di classe e razza, di cui la repressione rappresenta un aspetto, dobbiamo costruire la solidarietà più larga e duratura possibile intorno a chi viene colpito.

Le forme di ribellione e lotta che si danno dentro le prigioni a cielo aperto e in quelle chiuse delle mura sono una testimonianza importante che non solo disvela le efferatezze dello Stato e la brutalità della sua violenza, ma rilancia il coraggio di chi, stretto nella morsa più asfissiante e totalizzante del potere coercitivo, ricorda ai liberi il coraggio della rivolta.

Per la creazione di complicità tra chi viene colpito dalla violenza di Stato e Capitale. Per rivendicare la presenza auto-organizzata in strada. Per ribadire che la risposta alla repressione è continuare la lotta!⁩

BOLOGNA: LA LIBERTÀ NON SI MISURA

Diffondiamo:

PRESENZA SOLIDALE  DAVANTI AL TRIBUNALE IN VIA D’AZEGLIO 56

A fine aprile 3 compagnx sono state sottoposte a misure cautelari (obbligo di firma per due di loro, firme, obbligo di dimora e rientro notturno per una terza). I fatti loro contestati fanno principalmente riferimento alla campagna che si è svolta a Bologna lo scorso anno, in solidarieta ad Alfredo contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. Come se ciò non fosse abbastanza il pm ha fatto appello: chiede che venga riconosciuta l’aggravante di terrorismo e che lx 3 compagnx siano messe ai domiciliari. Oggi 20 maggio si sta tenendo l’udienza.

Sempre al fianco di chi lotta!