Maxi retata l’altra sera in Bolognina. Un’operazione straordinaria che ha coinvolto militari, polizia, carabinieri, finanza, unità cinofile e reparti speciali. 300 persone identificate e controllate, 8 esercizi commerciali ispezionati, 72 veicoli fermati.
Dalle 18 del 30 gennaio sono state moltissime le segnalazioni di fermi indiscriminati, veri e propri rastrellamenti lungo la strada, sotto i portici, alle fermate, dentro i bar.
Questi sono i primi “frutti” dell’accordo per l’ordine e la sicurezza pubblica siglato il 21 gennaio scorso qui a Bologna con la benedizione del ministro dell’interno Piantedosi.
Lepore naturalmente si sfrega le mani e applaude chiedendo la continuità e la costanza di questo tipo di interventi, d’altronde fare la guerra ai poveri per mettere a profitto ogni angolo di città è il suo mestiere.
“Spaccio, immigrazione e degrado” questo il titolo razzista con cui il 22 gennaio 2023 Il Resto del Carlino – giornale storicamente voce di camerati e padronato – comunica l’esito del patto integrato sulla sicurezza tra Prefettura e Comune di Bologna, siglato con la visita del Ministro dell’Interno Piantedosi in città.
Un titolo che sinergicamente esprime e rilancia l’evidente proposito dell’incontro: mistificare la realtà delle cose per legittimare agli occhi dell’opinione pubblica gli abusi di potere sempre più frequenti delle forze dell’ordine e nascondere sotto al tappeto le reali problematiche di quest’organizzazione sociale e di questo modello di sviluppo insensato.
Il nuovo nemico pubblico sono giovani e adolescenti, minori non accompagnati, soprattutto, stranieri, seconde e terze generazioni cresciute ai margini delle metropoli, nelle periferie e per le strade dei quartieri popolari.
Emergenza micro-criminalità, emergenza droga, emergenza immigrazione, emergenza babygang, emergenza malamovida. E m e r g e n z a, parolina dai risvolti repressivi certi, quando è usata dai padroni.
Degrado, spaccio, prostituzione, accattonaggio, danneggiamento al patrimonio pubblico e privato, insediamenti abusivi… questi i focus citati nell’incontro col ministro a Bologna.
Nel mirino corpi randagi, dissidenti, senza fissa dimora, sex workers, senza documenti, e naturalmente chi lotta per la libertà di tutte, contro tutte le gabbie che sorreggono questo sistema di oppressione.
Un’escalation securitaria che attraverso il governo poliziesco delle marginalità mira a sostenere il processo di ristrutturazione neoliberista e a contenere il conflitto sociale all’interno delle città. Una vera e propria guerra ai poveri e alle dissidenze, che con le retoriche della riqualificazione, dell’innovazione urbana e del degrado intende mettere a profitto ogni angolo di quartiere e annientare qualsiasi possibilità di autodeterminazione, relazione e solidarietà dal basso, oltre che qualsivoglia forma di tensione, conflitto e messa in discussione del presente. Un’intensificazione della repressione che opera anche attraverso l’interiorizzazione dell’autorità da parte delle masse sfruttate, sempre più passive e addomesticate. La solidarietà precipita all’interno di rapporti completamente colonizzati dalle logiche dei padroni.
E cosi assistiamo a rastrellamenti quotidiani, morti, abusi e uccisioni che si consumano pressoché nell’indifferenza.
La lista è infinita. Ad unire queste uccisioni il fatto di non essere episodi, tragiche fatalità, ma il preciso esito della medesima violenza strutturale accettata tutti i giorni.
Un sistema di neutralizzazione selettiva che si gioca sempre sulle linee del privilegio, volta ad annientare tutti quei soggetti sociali non utili alla macchina neoliberista e problematici al discorso del potere.
Come il trentaseienne trovato morto in via Carracci a Bologna pochi giorni fa o l’anziano senza tetto settantacinquenne morto di freddo il mese scorso in via San felice, sempre a Bologna, entrambi spirati in pieno centro, a pochi passi da molteplici servizi e attività commerciali.
Intanto la sanità sprofonda inesorabilmente verso il baratro sotto gli occhi – e sulla pelle – di tutti, mentre Stato e amministrazioni si organizzano per portare la polizia anche all’interno degli ospedali e dei servizi socio-sanitari. Si parte da Roma, Milano, Napoli, ma si valuta anche per altre città e naturalmente per Bologna, dove al policlinico Sant’Orsola sono già stati sperimentati giubbotti antiggressione per gli infermieri.
Un approccio securitario che tende ad investire e a travolgere anche ambiti in cui tali ingerenze non sempre storicamente sono state così accettate, come a scuola, in cui l’intervento militare e poliziesco si fa sempre più violento.
A Parma il 12 ottobre 2022 presso l’istituto tecnico Bodoni hanno fatto irruzione due agenti di polizia che hanno atterrato e immobilizzato con la forza uno studente di 14 anni.(Parma: fuori la polizia dalle scuole)
Nel 2021 a Fano un giovane studente è stato sottoposto a Tso (trattamento sanitario obbligatorio) e ricoverato al reparto psichiatrico di Pesaro soltanto perchè si rifiutava di indossare la mascherina.(Fano Tso su studente)
Gli studenti del Liceo Manzoni di Milano sono stati invece puniti per le loro rivendicazioni sui muri durante l’occupazione. Recitava il murals dipinto in palestra “Non saremo merce per chi lucra sulle nostre vite, stop alternanza”. E poi altre sparse “Salvini appeso”, “Meloni in piazzale Loreto”, “Fuoco sull’autorità”. Non essendo stato possibile individuare i responsabili tutte le famiglie sono state chiamate a risarcire. (Liceo Manzoni, i danni per le scritte li pagano le famglie)
Come per le rivolte dei detenuti, le sollevazioni degli studenti che hanno infiammato l’Italia dopo decine di mesi di isolamento sono finite duramente represse, finanche col carcere. Sono stati quattro i giovani che hanno pagato con mesi di misure cautelari l’aver osato alzare la testa contro l’aternanza scuola lavoro.
Ciò che è chiaro è che non conta da dove arriva la rabbia, la paura, la frustrazione e la sofferenza in crescente aumento, non importa cos’ha da dire chi non ha mai avuto voce, l’importante è contenere, sedare e reprimere.
[Polizia e psichiatria: conosciamo le loro cure e i loro trattamenti]
Il proliferare di pratiche psichiatriche va di pari passo ai processi che vedono le città configurarsi sempre più come industrie di sfruttamento e controllo. Metropoli mediate da aziende private, interconnesse e digitalmente sorvegliate, disciplinate sempre più in senso autoritario e iper-razionale, centri di profitto burocratizzati, scientificamente normati e igienizzati, tra telecamere “intelligenti”, “innovazione” urbana, sofisticate architetture e panchine antidegrado. Speculazione edilizia e militarizzazione dei territori aprono la strada ad affitti impossibili, sfratti e sgomberi, oltre che a progetti di ipocrisia sociale all’insegna del greenwashing, del socialwashing, della menzogna tecnologica [la smart city] e della falsa coscienza. A colpi di riqualificazione, decoro e repressione, si esaspera l’inesorabile processo di espulsione – legittimato da culture securitarie – di tutte quelle soggettività considerate problematiche al discorso del potere e non utili al profitto. Lungo le strade in ogni città rastrellamenti quotidiani si abbattono sulle fasce più marginalizzate della società. Una “sicurezza” sempre più “preventiva” , volta ad asfaltare tutti gli spazi di fiducia, libertà, relazione, intersezione, prossimità e solidarietà dal basso.
In nome delle bandiere del decoro e del degrado, controllo e repressione identificano costantemente nuovi “mostri” su cui scaricare insicurezza e timori per fomentare tutte quelle paure che possono essere strumentalizzate in funzione di consenso: l’obbiettivo é spezzare qualsiasi possibilità di solidarietà e impedire qualsivoglia forma di messa in discussione del presente. La retorica del “decoro” e del “degrado”, la gestione violenta e iper-razionale dello spazio urbano, la pulizia di quanto imprevisto e non-normato, non sono altro che l’esito di un potere che si appella in modo sempre maggiore a paradigmi psichiatrici e a dicotomie di stampo binario e patriarcale. Questi paradigmi si consolidano nell’articolazione del potere di pari passo all’irreggimentazione delle strutture che lo regolano, e che regolano le relazioni all’interno dei territori e tra le persone.
Assistiamo all’uso sempre più frequente e capillare del daspo urbano per allontanare persone “sgradite”, e della manipolabilissima categoria di “pericolosità sociale” di derivazione psichiatrica e fascista per reprimere il conflitto e contenere/sedare diseguaglianze e oppressioni. Vediamo continuamente puntare il dito contro la “malamovida”, neologismo che si vuole contrapposto a “buona movida”, cioè a quella socialità che rientra perfettamente negli spazi e nei tempi del consumo. Anche l’infanzia è nel mirino: attraverso la costruzione mediatica del “bullo” e della “baby gang”, giovani e adolescenti sono continuamente trattati e rappresentati come un problema di ordine pubblico da reprimere mentre rimangono intatti quei modelli che il sistema stesso riproduce ed esalta, pesci grandi che mangiano pesci piccoli all’interno di realtà dove solo chi ha soldi e potere è preso in considerazione, e chi non accetta di essere un cavallino da corsa non è nessuno. Nel frattempo imprese e attività commerciali sono incentivate a tappezzare i marciapiedi di telecamere con la promessa di detrazioni fiscali, gli individui sono incoraggiati a sorvegliare le strade a loro volta, forti di una crescente accessibilità dell’intervento delle forze dell’ordine, cementificandone il ruolo di controllo e repressione anche all’interno dei singoli, costantemente spinti alla delazione piuttosto che alla relazione.
Lo spazio pubblico irrimediabilmente costruito a immagine dell’uomo bianco, eterosessuale e borghese richiede prestazioni sempre più abiliste e performative che seguono norme ideali di neurotipicità o aspettative sociali calate dall’alto piuttosto che concrete e reali esigenze provenienti dalle soggettività oppresse che vivono desideri e bisogni altri.
L’organizzazione algoritmica dello sfruttamento, la mercificazione esasperata di ogni aspetto della vita, sta depoliticizzando l’incontro con noi stessi, con l’altro e con l’ambiente e incoraggiando una sempre più ampia disumanizzazione delle relazioni sociali. La psichiatria è pronta a raccogliere i cortocircuiti di queste oppressioni e a colonizzare con nuovo slancio il quotidiano e l’individuo: la platea di “difetti” e “tare” da “curare” è destinata ad aumentare proporzionalmente allo sfruttamento e all’oggettivazione che attraversano sempre più infanzia ed età adulta. Lo sfruttamento, l’isolamento e il disciplinamento esasperato di ogni aspetto della vita, l’insicurezza legata al presente e al futuro, la vede infatti in prima fila nell’individuazione di nuovi “disturbi” e “terapie” per “contenere” con nuove diagnosi e nomenclature le “ansie”, legate a rabbia, paura e frustrazione in crescente aumento, da addomesticare e spiegare con specializzazioni create ad hoc.
Ma la solitudine a fronte di un contesto comunitario deprivato si riferisce anche ad una vita sociale impossibile nei “loculi” domestici cittadini.
La famiglia nucleare patriarcale come modello dominante continua a svolgere il suo ruolo di piccola istituzione totale, laboratorio quotidiano di abusi, isolamento e oppressioni sistemiche: lo spazio domestico e familiare spesso infatti esaspera dinamiche oppressive con la tendenza mattofobica a isolare una vittima, che diventa tante volte capro espiatorio di situazioni nocive, da punire proprio quando manifesta in maniera eterodossa atti di libertà ed espressione di sè che non vengono capiti o accettati. Non dimentichiamo che, così come le violenze, anche il ricorso alla psichiatria, quando avvengono i TSO, proviene sovente da persone conviventi e spesso parenti della persona interessata, vuoi per mancanza di conoscenza, vuoi per mancata elaborazione di alternative, che il più delle volte nei nuclei famigliari sono assenti o non ricercate per l’accumularsi e incancrenirsi di processi tendenti a circoli viziosi che si richiudono al loro interno.
Tutto questo, come soggettività con un posizionamento antiautoritario e antipsichiatrico non solo ci riguarda, ma ci chiama in causa. Le strade che vorremmo percorrere sono in direzione altra rispetto alla famiglia intesa come nucleo ciseteronormativo, nella direzione di legami e parentele inedite dove l’aspetto di interdipendenza e cura reciproca si alimentano in un circolo virtuoso.
E’ evidente quanto la fatica ad organizzare una resistenza derivi in primo luogo dall’inesorabile sottrazione di reali spazi di autodeterminazione, soggettivazione e messa in comune delle esperienze, in favore della competizione fra individualità deprivate, impegnate a sopravvivere e concorrere come monadi per rimanere a galla.
CONOSCIAMO LA FALSA SICUREZZA CHE VENDONO PSICHIATRIA E POLIZIA, CONOSCIAMO LE LORO CURE E I LORO TRATTAMENTI!
A fronte di un’oppressione che vede coinvolte sempre più soggettività, crediamo sia urgente e necessario individuare spazi dove liberare complicità, legami nuovi e solidarietà impreviste!
Il comunicato che il CSA (Collettivo Studentesco Autorganizzato) di Parma ha scritto in merito a un abuso di potere da parte delle forze dell’ordine avvenuto all’interno di un istituto tecnico economico.
Mercoledì 12 ottobre presso l’istituto tecnico Bodoni di Parma, hanno fatto irruzione due agenti di polizia che hanno atterrato e immobilizzato con la forza uno studente di 14 anni per motivazioni ancora da chiarire. Riteniamo quest’atto un vero e proprio abuso di potere da parte delle forze dell’ordine, che all’interno degli edifici scolastici non dovrebbero avere nessun accesso.
Inoltre, la preside ha minacciato gli studenti che hanno ripreso la scena, di denuncia. Gli studenti che hanno quindi filmato l’accaduto rischiano una denuncia per un’iniziativa divulgativa assolutamente legittima. Questa è una chiara dimostrazione da parte della scuola di voler insabbiare e sminuire l’accaduto, limitandone la circolazione.
Noi studenti del CSA siamo certi che nessuna motivazione possa giustificare un così spropositato abuso di potere e di forza fisica su un ragazzino, appena quattordicenne, da parte di un uomo adulto.
Questi avvenimenti alimentano la narrazione dei ragazz3, additat3 come delinquenti, senza nemmeno tentare di analizzare l’enorme problema sociale che due anni e mezzo di pandemia si trascinano dietro.
Soprattutto è da tenere in considerazione che la presenza delle forze del ordine a scuola va a frantumare l’immagine, ormai sbiadita, di luogo sicuro e libero, nel quale i ragazzi dovrebbero imparare dal contesto scolastico a gestire la propria vita attraverso il dialogo e la cultura, e non con violenza e obbedienza come invece avviene nelle forze dell’ordine. Inoltre la situazione si prospetta ad aggravarsi, per i continui tagli al istruzione, che rendono l’ambiente scolastico sempre più disagevole, e il conseguente aumento delle spese per la difesa e dunque della repressione, che il nuovo governo di destra, promette.
Questo episodio dunque è la conferma di quanto sia urgente lavorare per aprire un dialogo che coinvolga student3, insegnanti – educator3 – psicolog3 e genitori sulla questione della repressione e sul continuo degrado presente nelle scuole pubbliche.
Bisogna tornare a riflettere sulla necessità di educare anziché punire.
Di seguito diffondiamo un volantino distribuito ieri a Bologna:
NIENTE DA SPARTIRE
– Niente da spartire nè col machismo omofobo, transfobico, misogino e assassino di Putin, nè con la chiamata alle armi del buon padre di famiglia Draghi e dei suoi alleati Nato pronti a dividersi il mondo a costo di un bagno di sangue.
– Niente da spartire con le analisi geopolitiche, non è affar nostro scegliere sull’altare di quale stato e a quali interessi si può sacrificare la vita delle persone.
– Niente da spartire con i mercanti e produttori di armi, prestigioso comparto dell’export Made in Italy che fanno soldi a palate e non hanno cessato i loro sporchi traffici neanche un giorno in piena pandemia, attività essenziali, dicevano, mentre milioni di persone vivevano confinate nelle loro case senza deroghe a costo di sofferenze mentali e fisiche.
– Niente da spartire con l’economia della guerra su cui il capitalismo strutturalmente si regge.
– Niente da spartire con lo spettacolo della guerra. I media sciacalli vanno in cerca instancabilmente di immagini e storie tragiche da dare in pasto all’opinione pubblica al servizio della propaganda guerrafondaia dell’Occidente.
– Niente da spartire con il pietismo sulle badanti ucraine che fino a quando non sono diventate funzionali alla narrazione dei governati di casa nostra erano invisibili, democraticamente sfruttate e ricattatte col cappio al collo dei permessi di soggiorno.
– Niente da spartire con il razzismo dell’accoglienza per cui sulla linea del colore si decide chi far passare e chi far inseguire coi cani alle frontiere e far morire in mare.
– Niente da spartire con i signori del nucleare e della guerra (che sono gli stessi, fatalmente) quelli che di mestiere producono devastazione ambientale e morte.
Sono il problema e non la soluzione.
– Niente da spartire con chi ha fatto dei nostri territori una polveriera disseminando basi Nato massicciamente nel sud dell’italia e nelle isole,e reprimendo duramente chi vi si oppone. In queste periferie dell’impero, a Taranto, in Sardegna e in Sicilia le acciaierie e l’industria pesante avvelena e fa ammalare ad ogni respiro e uno dei motivi per cui non si può dismettere è la natura “strategica” della produzione per l’autarchia dell’industria bellica.
Sappiamo di vivere in un mondo che si regge sulle stragi in mare, al lavoro, nelle carceri, nelle case, nei campi di concentramento ai confini dell’Occidente in cui milioni di persone vengono usate come strumenti di pressione e merce di scambio, una guerra a bassa intensità in cui, come per la pandemia, il problema dei governanti è stabilire quante morti e quanta sofferenza è “tollerabile” dalla società civile come danno collaterale procurando di spostare il limite sempre un po’ più in là.
Sappiamo altresì che la rimozione collettiva di questa ferocia serve allo Stato per conservare saldamente il primato della violenza.
Guerra alla vostra guerra e Guerra alla vostra pace
A Torino dal primo febbraio la polizia sarà dotata del “taser”, la pistola elettrica che paralizza e stordisce chi viene colpito. Fa parte della dotazione di armi “non letali” di cui sono equipaggiate le polizie di mezzo mondo. In realtà, i dati dei paesi come gli Stati Uniti, dove questi aggeggi sono utilizzati da molti anni smentiscono la non pericolosità di queste armi, perché il numero dei morti ha ormai superato il migliaio. Persone colpite ripetutamente, cardiopatici, persone fragili rischiano di morire se colpite da queste armi di “deterrenza”. Non solo. I poliziotti verranno dotati di telecamere sistemate sui caschi e le divise: un ulteriore sistema di controllo che le forze del disordine statale potranno accendere e spegnere a piacimento per meglio reprimere le lotte.
Dopo la sperimentazione avviata a settembre 2018, anche la polizia bolognese, a partire da metà febbraio, avrà in dotazione la pistola elettrica. Idem le volanti della questura di Forlì-Cesena e del commissariato di Cesena e presto anche la polizia della provincia di Modena.
Ad aggiudicarsi la gara per la fornitura di 4482 pistole elettriche su tutto il territorio nazionale l’azienda Axon.
La pistola elettrica si andrà ad aggiungere alla dotazione già in uso consegnando nelle mani delle forze dell’ordine un ulteriore dispositivo potenzialmente mortale, e quindi aumentando, non diminuendo, la potenzialità offensiva e letale di guardie e polizia.
Non tutti sanno che il nome T.A.S.E.R. non si riferisce propriamente all’arma ma al nome dell’azienda che l’ha prodotta e messa in commercio (diventata poi AXON), si tratta dell’acronimo di Thomas A. Swift’s Electronic Rifle, romanzo pubblicato nel 1911, l’azienda si sarebbe ispirata a quest’avventura per il nome della sua ‘impresa’.
Ma vediamo, questa impresa, dove affonda le sue radici:
Tom Swift e il suo fucile elettrico;oppure Daring Adventures in Elephant Land
Un’ avventura imperialista sullo sfondo di un continente africano rappresentato come selvaggio e oscuro, dove il protagonista, Tom Swift, sviluppa un fucile elettrico per la caccia all’avorio.
L’Africa nel contesto del libro esiste solo come territorio di conquista, le comunità nere locali, rappresentate come a malapena umane, possono essere saccheggiate, depredate, controllate, guidate o uccise, a completa disposizione dei conquistatori bianchi e “civili”.
Altri riferimenti sul taser:
QUANDO LO STATO SPARA SULLA FOLLA
Le armi non letali come ingrediente della repressione (Qui)
TASER: ARMA A IMPULSI ELETTRICI
Storia, introduzione in Italia, autodifesa (Qui)
TASER Repressione da shock
Aperiodico del Collettivo Antipsichiatrico Senzanumero (Qui)
Dal 1° settembre in tutta l’area dell’Unione Terre di Castelli (Castelnuovo Rangone, Castelvetro di Modena, Guiglia, Marano sul Panaro, Savignano sul Panaro, Spilamberto, Vignola, Zocca) sarà possibile per le forze dell’ordine utilizzare il daspo urbano per allontanare soggetti indesiderabili, individualità dissidenti e marginalità sgradite.
La misura, voluta dalla sindaca di Vignola Emilia Muratori (PD) in qualità di assessore dell’Unione con delega alla Sicurezza, potrà essere applicata a luoghi pubblici come le autostazioni, le stazioni dei treni, i centri storici, i servizi sanitari, le scuole, le fiere, oltre che ai mercati e agli spettacoli, ai parchi, ai centri sportivi e ai luoghi della cultura.
Arriverà quella soglia di saturazione in cui l’insieme delle oppressioni e delle discriminazioni sistemiche diventerà inaccettabile?
Il tema del “decoro” continua ad alimentare una macchina della sicurezza sempre più infame e affamata: ad ogni provvedimento restrittivo ne consegue un altro più duro.
Il disciplinamento esasperato di ogni aspetto della vita sta individuando sempre nuovi bersagli su cui scaricare insicurezza e timori: sicurezza, controllo, disciplinamento e sanzionamento preventivo, diventano i nuovi paradigmi su cui fondare relazioni e legami in una sempre piu ampia disumanizzazione delle relazioni sociali.
Mentre nei programmi scolastici le istanze femministe e transfemministe vengono depoliticizzate, strumentalizzate e spogliate della loro intrinsceca conflittualità (chi propone il daspo urbano è lo stesso che vuole “cambiare una mentalità patriarcale e retriva”), l’asse portante del controllo patriarcale attraverso cui si perpetra la riduzione strumentale e svilente delle persone a oggetti diventa sempre più forte.
La dottrina della “tolleranza zero”, la retorica militare della “guerra” al “crimine”, al “nemico”, all'”invasore”, all'”alieno”, la “difesa” e “riconquista” (fortificazione/colonizzazione) dello spazio (riqualificazione e messa a profitto) si accompagnano alla morale “disinfettante” della “pulizia” e del “decoro”.
Neoliberismo e iper-regolazione penale vanno di pari passo: naturalizzare le ingiustizie sociali e puntare sulla “sicurezza” è utile a fomentare tutte quelle paure che possono essere usate in funzione di consenso.
Normare in senso punitivo si presta alla necessità neoliberista di manodopera salariata sottopagata: l’essere inseritx/piegatx o meno nella catena dello sfruttamento diventa condizione/presupposto minimo per esistere. Chi è contro, fuori, sotto, o ai margini di questa condizione deve essere neutralizzato poichè mette in discussione l’ordine costituito.
Gli spazi pubblici, inibiti all’incontro libero e generativo, diventano il bersaglio di una macchina repressiva sempre più specializzata nel rendere invisibili le contraddizioni sociali prodotte dal capitalismo: identificare, preventivamente allontanare, rinchiudere e castigare tutte quelle soggettività che queste contraddizioni subiscono ed esprimono serve ad impedire qualsiasi possibilità di liberazione, autodeterminazione e messa in discussione dei rapporti di potere ed oppressione che attraversano le città e le nostre esistenze.
Resistere a tutto questo è una responsabilità di tutte e tutti.
Ronde istituzionalizzate? No, qui li chiamano “facilitatori di strada per le zone della movida” per “attività di prevenzione dei rischi e di mediazione dei conflitti”.
Come cambiano le carte in tavola quando si gioca con le parole! Succede che ti trovi le ronde per le strade e nessunx si è oppostx.
Sul sito del ministero dell’Interno che ne dà notizia è possibile leggere che “l’iniziativa rientra nell’ambito dell’accordo sulla sicurezza integrata stipulato tra Regione Emilia Romagna e prefettura di Bologna, nonché della normativa nazionale sulla sicurezza urbana e di quella regionale che ha previsto, nell’ambito della riforma della polizia locale del 2018, l’introduzione di tale figura professionale.”
Per istituire questa ‘nuova figura professionale’che solcherà le strade della città vetrina bolognese e imolese sono stati previsti ‘finanziamenti ad hoc’.
“Con un apposito corso sono stati formati i primi 18 aspiranti street tutor con la collaborazione della scuola interregionale di polizia locale. In qualità di docenti anche dirigenti della Polizia di Stato e ufficiali dell’Arma dei carabinieri.”
Una bella formazione con dirigenti della polizia e carabinieri come ‘docenti’ per 18 aspiranti sbirri di quartiere (120 euro, 10 ore di lezione e passa la paura, anche le guardie mancate potranno avere il loro riscatto, in rete si trovano enti di formazione che propongono il corso ‘professionalizzante’).
“Opereranno, già dalla fine di giugno, in spazi adiacenti ai locali, nelle aree più delicate della città individuate dal Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica e in luoghi nei quali si svolgono eventi pubblici.”
La Lega, in linea di continuità, va già oltre chiedendo che si abbandoni l’ipocrisia dell’impiego degli street tutor soltanto per locali, ‘movida’ e iniziative pubbliche legate all’intrattenimento, per estendere la possibilità del loro impiego in maniera generica alle ‘aree più turbolente della città’.
Le vie bolognesi nel mirino al momento sono via delle Moline e via Mascarella, assieme a piazza San Francesco.
A Imola verranno impiegati nell’area del centro storico (con particolare attenzione a piazza Matteotti e piazza Gramsci, via San Pier Grisologo, Vicolo Giudei, al Centro Intermedio in viale Carducci), nella zona della stazione ferroviaria e nel quartiere Pedagna (in particolare piazza Mozart).
Sempre il sito del ministero dell’interno fa presente che “l’impiego delle nuove figure assume grande rilevanza nell’attuale contesto di vigilanza per il rispetto delle norme di comportamento richiesto per la prevenzione della diffusione dell’epidemia da Covid-19.”
E che fai! Le norme anticovid non gliele metti?! Una chiara iniziativa con intento sanitario!
In Piazza San Francesco proprio in questi giorni a Bologna un esempio di salute pubblica: uno street tutor fa intervenire la polizia che denuncia un uomo “di origine messicana” perchè “infastidiva un cliente seduto ad un dehor”.
Il ‘buttafuori per risolvere i conflitti di strada’ è in realtà un buttadentro vestito di democratica retorica.
A quanto pare i nuovi paladini della strada “saranno in contatto tra loro tramite auricolare e avranno un referente alla polizia locale, con cui comunicare direttamente in caso di necessità.” (qui)
Ieri Merola (sindaco di Bologna) e Alberani (presidente di Acer) hanno inaugurato in sordina il cantiere ACER che svenderà al profitto e all’ipocrisia un’altro pezzo di storia del quartiere Bolognina, l’Xm24, sgomberato con le ruspe democratiche il 6 agosto 2019.
“Il giorno dopo la festa di Liberazione dal nazi-fascismo, il PD e Acer sono venuti di nascosto in quartiere per esporre alle telecamere le macerie di XM24, un luogo che per 17 anni è stato un presidio di antifascismo e avamposto culturale contro razzismo e discriminazioni nel quartiere Bolognina.” Dal sito di Xm24 (qui)
L’iniziativa è stata tenuta nascosta per la paura di subire contestazioni, che puntuali, invece, sono arrivate.
Costa 7 milioni di euro “l’abitare condiviso” di Merola e Alberani.
Sfratti e sgomberi per fare spazio a speculazione edilizia e progetti di ipocrisia sociale all’insegna del greenwashing, della menzogna tecnologica e della falsa coscienza.
Un altro mostro urbano che si inserirà tra le attività finanziarie e amministrative che stanno trasfromando la Bolognina in un centro direzionale burocratizzato e sterilizzato, vetrina di ingresso per i turisti col portafoglio in arrivo da tutta Europa grazie all’alta velocità e alla nuova stazione.
Tra “innovazione”, “architetture contemporanee” e panchine antidegrado.
Un modello di sviluppo che a colpi di decoro e repressione annienta un quartiere storicamente popolare per farne terreno di speculazione immobiliare e conquista militare, mentre gli affitti si alzano e il costo della vita aumenta.
La Bolognina diventa la nuova stazione per l’alta velocità, la Fiera, la Trilogia Navile, il Tecnopolo, i Campus, lo Student Hotel, il People Mover, i palazzi di Giulia Srl., l’Unipol… E ora anche questi 11 appartamenti, 7 milioni di euro sulle ceneri di Xm24, che si vogliono far passare come ‘progetto sociale’.
Spariscono con un colpo di spugna le migliaia di corpi, progetti, collettivi, attività, laboratori che dal basso per diciassette anni hanno tenuto vivo un presidio di solidarietà e antifascismo, contro il razzismo e le discriminazioni nel quartiere Bolognina.
Se ne sente la mancanza, oggi piu che mai.
Resistere alla desertificazione sociale e organizzarsi contro l’ipocrisia istituzionale per l’autogestione e l’autodeterminazione è una responsabilità di tutte e tutti!
Solidarietà a Xm24
Complici e solidali con chi non si arrende alla città vetrina!
“Giovanna attualmente si trova all’ospedale Molinette con due emorragie celebrali e plurime fratture al volto. Ha inoltre subito pressioni da un’operatrice nonostante lo stato fortemente provato per le lesioni subite e l’estrema situazione di fragilità, colpevolizzandola per il fatto di essere stata ferita nell’ambito di una iniziativa del movimento no tav violando quel patto di sicurezza e protezione che si dovrebbero trovare in una condizione normale nel momento in cui si varcano le porte dell’ospedale. E’ notizia di questa mattina, inoltre, che la polizia è andata alle Molinette entrando nella stanza di Giovanna cercando di interrogarla contrariamente a quanto definiscono le norme anti-covid che vietano l’entrata di esterni, compresi i parenti, in ospedale.”
Il ferimento è avvenuto a seguito del lungo corteo che il 17 aprile ha attraversato e aggirato i numerosi blocchi allestiti dalle forze di polizia che militarizzano il territorio, tra i paesi della Valle da San Didero a San Giorio, conclusosi con un saluto ai presidianti che ormai da giorni resistono sul tetto del presidio all’interno delle recinzioni.
Le mobilitazioni si oppongono alla costruzione di un nuovo autoporto, cantiere collaterale del progetto, ormai monco, della Torino- Lyone.
Le forze dell’ordine in assetto da guerra hanno regito con spropositati mezzi e particolare violenza: è durante un fitto lancio di lacrimogeni ad altezza uomo che Giovanna è stata colpita in pieno volto.