PRESIDIO A LIVORNO: BASTA MORIRE DI CONTENZIONE

Due giorni antipsichiatrica a Livorno

Sono ancora scarse le informazioni riguardanti la morte della persona, originaria della Val di Cornia, ricoverata nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno deceduta a inizio aprile di quest’anno dopo essere stato legata al letto per oltre una settimana. Le generalità non sono ancora state rese pubbliche. Non sappiamo se è stata fatta un’autopsia e se c’è un indagine della magistratura in corso. Non sappiamo quante contenzioni vengono fatte nel reparto di Livorno.

Di sicuro nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.

Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è  morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.
Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l’incendio che l’aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.
Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.

Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.

Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.

Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.
Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.

Sappiamo che questi dispositivi sono strutturali ai luoghi di reclusione e abbandono, ma ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali, penitenziarie italiane e in tutti i luoghi di reclusione.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.

BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!

Sabato 6 Novembre:
– PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16
–  alle ore 20 PIZZATA + MUSICA  all’ Ex Caserma Occupata in via Adriana 16

Domenica 7 novembre:
– ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica
– ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi
nel pomeriggio proseguimento assemblea

Contro i fascisti sempre, coi servi dei padroni mai

Sull’attacco fascista alla sede della CGIL

Se la nostra solidarietà va alle lavoratrici e ai lavoratori, non certo va alla CGIL, burocrazia sindacale nemica degli sfruttatx. Fasci appesi sempre, ma coi servi dei padroni mai.

Non abbiamo mai sottovalutato la presenza fascista in campo anche in questa fase pandemica, per questo non abbiamo mai rinunciato alla lotta.
Questo attacco è segno dello spazio lasciato a chi è abile a strumentalizzare il malessere generato dall’emergenza.

E’ dall’inizio della pandemia che l’abdicare dei movimenti a qualsiasi confronto/conflitto circa le possibilità di autodeterminazione e critica dal basso rispetto la gestione securitaria ed emergenziale della pandemia ha lasciato campo libero ad iniziative reazionarie.

L’emergenza si sta rivelando un’occasione epocale di attacco alle condizioni di vita di milioni di sfruttatx ma la deriva dominante è un’ipocrita attendismo progressista, composto e democratico. Nonostante gli ultimi due anni abbiano messo in luce tutta la ferocia che sottende al mantenimento di questo sistema di sfruttamento le risposte sono state deboli o isolate.

Liquidare tutto il malcontento diffuso soltanto come interesse borghese o fascista è riduttivo e fa solo il gioco dei padroni: questa narrazione dominante rende ancora più invisibili alcune delle oppressioni, delle diseguaglianze e delle tante contraddizioni che attraversano le strade e quelle piazze.

E’ indicativo che quanto accaduto si inserisca così bene nella propaganda di Stato e padroni.

Assisteremo all’ennesimo siparietto di chi ha compiuto impunemente stragi, di chi ha messo le merci e i profitti prima delle persone, dell’antifascismo da salotto. Lo Stato, i padroni e i suoi servi si laveranno la coscienza sulla pelle dell’antifascismo ma il risultato sarà soltanto un ulteriore azzeramento e livellamento delle contraddizioni in campo, che ridarà lustro al potere, libero di tirare dritto nonostante tutto e tutti.

Ci terremo alla larga dall’ennesimo bagno di ipocrisia, l’antifascismo lo fa chi non ha mai smesso di vivere le strade e i quartieri, chi si batte quotidianamente per l’autodeterminazione, contro lo sfruttamento istituzionalizzato, contro il razzismo e la violenza di Stato.

Sappiamo che non vogliamo tornare alla normalità. Sappiamo che il vaccino non basta e non basterà, sappiamo che il green pass non tutelerà la salute di nessunx e si tradurrà soltanto in un’ulteriore strumento di controllo, sappiamo che finché si rinuncerà alla rabbia, alla critica e al conflitto, non ci sarà lotta e salute per nessunx.

Bologna, ottobre 2021

Op. Prometeo: assolti Beppe, Robert e Nat

Peppe, Robert e Nat assolti in primo grado nel processo per l’operazione Prometeo. Secondo i giornali, sono stati assolti “per non aver commesso il fatto”, con la formula dell’insufficienza di prove.

In attesa della sentenza, compagni e compagne hanno fatto un presidio trasformatosi in corteo.
Nella scorsa udienza il sostituto procuratore della Dda genovese Federico Manotti aveva chiesto 18 anni e quattro mesi per Beppe, e 17 anni per Robert e Natascia.
Beppe, essendo detenuto per un altro procedimento, per ora rimane in carcere, mentre Nat, dopo due anni, è libera!

Link: https://roundrobin.info/2021/10/op-prometeo-assolti-beppe-robert-e-nat/

Genova, un punto su devastazione e saccheggio

Macerie su Macerie (sulle frequenze di Radio Blackout)
Genova, un punto su devastazione e saccheggio

A vent’anni da allora rimbombano prepotenti le inchieste delle testate italiane sul G8 di Genova.

Non c’è pagina online di questi ambasciatori del vero che per l’occasione non abbia contribuito a revisionare la storia di quelle giornate e trasporla in una deprecabile copia di un quadro cubista, in cui le testimonianze di alcuni macellai in divisa si accostano a quelle dei togati, per andare poi a sfumare nelle rappresentanze dei manifestanti, quelli che ora sono reimpiegati tra le fila di un mite e vacuo “avevamo ragione noi che chiedevamo pacificamente un mondo migliore”.

A urlare, a vent’anni da Genova, sono solo loro, politici, sbirri di varia natura e persino le associazioni culturali rimaste nell’ombra mortifera del cadavere della sinistra. Non è ahinoi la rabbia per le strade di fronte allo sfacelo liberticida, né la forza dei discorsi di chi ha sempre saputo che non c’è nessuna ragione possibile nelle buone intenzioni.

Genova 2001 avrebbe potuto essere contemporaneamente la fine o l’inizio di un milennio. Il fatto stesso che dopo due decadi la rielaborazione da parte di quell’entità di dubbia esistenza che alcuni chiamano il “movimento” non solo non ci sia stata, ma proprio non sia stata possibile, offre senza dover fare analisi storiche la soluzione di quali delle due opzioni sia la risposta.

Dietro alle rappresentazioni propinate, oltre l’incapacità di rispondere prontamente agli scempi del capitale compiutamente globalizzato (ultima non ultima, una pandemia e la sua farneticante gestione), c’è tuttavia il dovere assoluto di continuare a sostenere i compagni e le compagne che ancora oggi stanno pagando a caro prezzo quelle giornate di luglio, trasformate dallo Stato a monito ed esempio.

A Macerie su Macerie un veloce aggiornamento sulla situazione repressiva e una chiacchierata con un compagno di Prison Break Project sul dispositivo della devastazione e saccheggio, sia dal punto di vista penale che sociale, per evidenziare come sia stato funzionale all’imposizione di un certo ordine del nuovo millennio:

Link trasmissione -> qui

Natascia trasferita a Rebibbia

Nel suo 24esimo giorno di sciopero della fame Natascia è stata finalmente trasferita.
Al momento si trova a Rebibbia, perché nel carcere di Vigevano (quello più vicino a Torino e a Genova che sia dotato di sezione AS) pare che al momento non ci sia posto.

Per scriverle:

NATASCIA SAVIO
c/o C.C di Roma Rebibbia
via Bartolo Longo 72
00156 Roma

Link: https://infernourbano.altervista.org/natascia-trasferita-a-rebibbia/

Resoconto del presidio a Santa Maria Capua Vetere

Nel pomeriggio di domenica 4 luglio un gruppo di solidali ha raggiunto il carcere di Santa Maria Capua Vetere per portare solidarietà a Natascia, in sciopero della fame dal 16 giugno, e a tutte le persone detenute.

Vari sono stati gli interventi che hanno espresso forte solidarietà nei confronti della compagna rinchiusa in AS3, che si trova alla terza settimana di sciopero della fame per ottenere il trasferimento da quel carcere. È stato sottolineato come il meccanismo di dispersione dei prigionieri e delle prigioniere attuato dal DAP, attraverso trasferimenti in carceri situate a centinaia e centinaia di chilometri di distanza dai propri affetti, dai propri contesti di vita e di lotta – e nel caso di Natascia rendendo quasi impossibile il confronto con il proprio avvocato a processo già cominciato – sia chiaramente volto a isolare completamente chi è recluso/a e a spezzare le relazioni di solidarietà tra dentro e fuori. Di fronte alla determinazione grande di Natascia, sappiamo che una presenza fuori dalle mura del carcere che la tiene prigioniera non è che un tassello minuscolo di quello che possiamo fare per supportarla nella sua battaglia.

Conosciamo bene anche l’intento punitivo della dispersione, in questi giorni attuato anche nei confronti di molti detenuti di S.M.C.V., in particolar modo del reparto Nilo, la sezione in cui il 6 aprile 2020 sono avvenuti i pestaggi e le torture. A distanza di un anno, in cui torturati e torturatori sono stati tenuti fianco a fianco, avvengono i trasferimenti per volontà del DAP in chiara ottica vendicativa per le misure di sospensione e gli arresti che hanno riguardato la penitenziaria, soprattutto considerato che due delle prigioni di destinazione, Modena e Rieti, sono quelle nelle quali lo Stato ha consumato e poi sepolto la strage del marzo scorso. Le altre destinazioni note sono le carceri di Terni, Perugia, Carinola e Ariano Irpino.

Il giorno in cui i media hanno portato alla ribalta lo “scandalo di SMCV”, nelle sezioni del carcere è stata interrotta l’energia elettrica (le guardie parlano di blackout…), ma tutto lascia immaginare all’intento di far sì che ai detenuti e alle detenute non arrivasse alcun tipo di notizia.

Fuori, intanto, la solidarietà verso i detenuti si è fatta sentire in molte città con messaggi che sconfessano l’esistenza delle cosiddette “mele marce” nel sistema penitenziario, sottolineandone invece la profonda natura marcia e assassina. Il DAP grida allo scandalo e invoca la protezione delle guardie. I giornali parlano anche di un “blocco doloso dei telefoni del penitenziario, causa attentato a una centrale telefonica”.

È stato riportato oltre il muro ciò che giornali e tv stanno raccontando in questi giorni in merito al carcere di Santa Maria, ribadendo però che i toni intrisi di stupore e scandalo di cui i servizi giornalistici sono farciti in questo momento sono puramente ipocriti. La brutalità dei pestaggi del 6 aprile 2020, era già emersa un anno fa dalle testimonianze di detenuti e parenti e la loro voce era rimasta perlopiù inascoltata, fino a quando non sono scattate le misure nei confronti di secondini e vertici della penitenziaria. Agli occhi di chi voleva vedere e alle orecchie di chi voleva sentire, la spirale di violenza e rappresaglia da parte delle guardie e del DAP durante e in seguito alle rivolte del marzo 2020 è stata immediatamente e fortemente percepibile, nonostante il megafono mediatico strillasse unanimemente alla “cieca violenza dei detenuti”.

Le recenti notizie di pestaggi, abusi e violenze da parte delle guardie in tante altre prigioni d’Italia, come per i recenti casi di Foggia, Melfi, Monza, Palermo e altri ancora, non fanno che confermare la natura violenta e vendicativa del carcere e di chi ci lavora.

Questo abbiamo voluto riportare ai detenuti e alle detenute di S.M.C.V. che durante tutto lo svolgimento del presidio si sono fatti sentire con urla (purtroppo non comprensibili da fuori) e forti battiture, dopodiché il gruppo di solidali ha lasciato le mura del carcere dopo una scarica di fuochi d’artificio.

A FIANCO DI NATASCIA IN SCIOPERO DELLA FAME!
CON I DETENUTI E LE DETENUTE DI SANTA MARIA CAPUA VETERE!
LIBERTÀ PER TUTTE E TUTTI!