Chi ha compagnx non morirà, ciao Sante.

Ciao Sante,
noi lo sappiamo
che le loro prigioni,
sono sempre per noi.

Oggi abbiamo una responsabilità in più,
sulla memoria, su tutto.
Chi ha compagni non morirà.

“Non ho nulla da vendere. Ci ho messo 50 anni a diventare Comunista. E 20 anni 8 mesi ed 1 giorno di prigione. E 11 anni di carcere di massima sicurezza. E cinque anni di celle punitive. E la posta censurata. E i vetri divisori ai colloqui (per 3 anni non ho potuto accarezzarti, Severina). E le cariche dei carabinieri nei cortili delle prigioni. E il sangue nelle celle. E il sangue dal naso. E il sangue dalla bocca. E i denti rotti. E la fame all’Asinara. E il silenzio obbligatorio al bunker della Centrale, a Cala d’Oliva. E i racconti dei torturati. E i colpi contro le porte per non farti dormire. E i colloqui respinti senza un motivo. E la posta sottratta. E il linciaggio del vicino di cella. E il vivere col cuore in gola. E la pressione che sale. E il cuore che senti ingrossare. E il compagno che se ne va con la testa. E le divisioni a cinque unità nei cortili. E le rotture politiche. E le divisioni che teoricamente avrebbero dovuto rafforzarci. E il dilagare del soggettivismo. E i vetri infranti ai colloqui. E le rivendicazioni coi pugni chiusi. E la ritirata strategica. E gli scioperi della fame condannati. E i sorrisi spariti. E i soggettivisti sconfitti. E gli odi tra i compagni. E le demolizioni personali. E la disgregazione umana. E le perquisizioni anali. E le sei diottrie perse. E l’assalto coi cani nelle celle. E i compagni colpiti da schizofrenia. E i primi tradimenti. E la massa dei dissociati. E l’isolamento politico. E l’isolamento umano. E la piorrea che avanza. E gli anni che passano e i giorni che conti. E i silenzi, i silenzi, i silenzi.
Questo, tutto questo ho pagato. Questo e altro ancora ho da difendere”

“Liberi dal silenzio” Sante Notarnicola

Complici e solidali con chi lotta

L’escalation repressiva “di strategica valenza preventiva” iniziata a marzo scorso con la proclamazione dello stato d’emergenza sta mostrando tutto il suo volto e colpendo tutti i piani del movimento.

Ora il pugno sempre più duro sulle lotte operaie, perché stanno alzando troppo la testa e tenendo aperti diversi fronti di lotta con resistenza e determinazione. Misure cautelari per aver scelto di non rimanere chini a subire. 21 perquisizioni, 5 divieti di dimora per resistenza aggravata, lesioni e violenza privata.

La macchina della repressione ha sempre pronto come ribaltare il senso della violenza per criminalizzare chi sceglie di difendersi.

Si entra a casa della gente sempre più facilmente, si sequestrano computer, cellulari, si incarcera.

Nell’ambito di una profonda crisi economica e sociale destinata ad ampliarsi in maniera esponenziale lo Stato mostra il suo volto affrontando in termini di repressione chiunque si opponga apertamente alle condizioni di sfruttamento cui è sottoposto. Colpire forte perché sia d’esempio e da monito per tutte e tutti.

Quest’ennesima operazione repressiva dimostra come il carcere, strumento di gestione delle diseguaglianze e del conflitto sociale, stia diventando ogni giorno sempre di più un orizzonte concreto per gli oppressi e le oppresse e per chi ha scelto di lottare.

Chi saranno le prossime e i prossimi?

Ciò che sta succedendo è lo specchio di ciò che avverrà esponenzialmente sempre più. Tutte le menzogne democratiche di un sistema patriarcale basato sul dominio si stanno svelando. Si sta giocando una partita epocale tra chi è disposto a lottare per la riappropriazione della propria vita e contro ogni forma di oppressione, e chi porta avanti un sistema predatorio che annienta la vita di persone, territori e comunità , ed è pronto a reprimere duramente chiunque sia disposto a metterlo in discussione.

Un messaggio invece è importante che emerga chiaro, se colpiranno forte, colpiremo ancora più forte, diciamo a questa gente che non staremo fermi a subire mentre il cappio ci si stringe intorno.

Complici e solidali con chi lotta

ARAFAT E CARLO LIBERI SUBITO

Il canto d’amore di Cri

Una rivisitazione de Il canto d’amore di J. Alfred Prufrock, di Thomas Stearns Eliot

Si parla di attendismo, lotte e rivoluzione, in particolare qui a Bologna, nello specifico in Bolognina.

Allora andiamo, tu ed io,
Quando la sera si stende contro il cielo
Come un paziente eterizzato disteso su una tavola;
Andiamo, per certe strade semideserte,
Mormoranti ricoveri
Di notti senza riposo in quartieri fantasma
Strade che si succedono come un tedioso argomento
Con l’insidioso proposito
Di condurti a domande che opprimono.
Oh, non chiedere « Cosa? »
Andiamo a fare la nostra visita.

Nella stanza le persone vanno e vengono, parlando di libri
 e della prossima presentazione.

La nebbia gialla che strofina la schiena contro gli spettri dei cantieri,
Il fumo giallo che strofina il suo muso contro i portici vuoti
Lambì con la sua lingua gli angoli della sera,
Indugiò sulle pozze stagnanti negli scoli,
Lasciò che gli cadesse sulla schiena la nebbia che arriva nell’inverno,
Scivolò sul terrazzo, spiccò un balzo improvviso,
E vedendo che era una fredda sera d’ottobre
S’arricciolò attorno all’ex mercato, e si assopì.

E di sicuro ci sarà tempo
Per riavere ciò che ci è stato tolto dagli spettri dei cantieri,
Ci sarà tempo, ci sarà tempo
Per prepararci una faccia per incontrare le facce che incontreremo;
Ci sarà tempo per la rivoluzione, l’autogestione,
E tempo per tutte le opere e i giorni delle mani
Che sollevano e lasciano cadere una domanda sul nostro piatto.

Tempo per te e tempo per me,
E tempo anche per cento indecisioni,
E per cento visioni e revisioni,
Prima di prendere un’altra birretta o vedere un altro film.

Nella stanza le persone vanno e vengono, parlando di libri
 e della prossima presentazione.

E di sicuro ci sarà tempo
Di chiedere, « Possiamo osare? » e,
« Possiamo osare? »

Tempo di volgere il capo e scendere la scala,
Con una zona calva in mezzo ai nostri capelli
– (Diranno: « Come diventano radi i loro capelli! »)
Con il nostro abito per la mattina, e quello della sera.

Oseremo
Turbare l’universo?

In un attimo solo c’è tempo
Per decisioni e revisioni che un attimo solo invertirà.

Perché già tutte le abbiamo conosciute, conosciute tutte:
– Le repressioni, l’annientamento, lo sfruttamento,
 abbiamo conosciuto gli sgomberi, i soprusi, i morti, le frontiere,
Abbiamo misurato la vita con cucchiaini da caffè alle assemblee;
Abbiamo conosciuto le voci che muoiono con un morente declino
Sotto i pifferi che giungono da una stanza più lontana.

Così, come potremmo rischiare?

E abbiamo conosciuto tutti gli occhi, conosciuti tutti:
–
 Gli occhi che ci scrutano, giudicano e fissano in una frase formulata,
E quando siamo formulati, appuntati a uno spillo,
Quando siamo trafitti da uno spillo e ci dibattiamo sul muro,
Come potremmo allora cominciare
A sputar fuori tutte le oppressioni, e i mozziconi dei nostri giorni e delle nostre
abitudini?
Come potremmo rischiare?

E abbiamo già conosciuto le parole, conosciute tutte
–
 Le parole ingioiellate e false (Ma alla luce di una lampada rassicuranti sirene!)
Che ci tagliano la voce

Che ci fa divagare a questo modo?
Braccia appoggiate a un tavolo, o avvolte in uno scialle, prima di un’altra birra.

Potremmo rischiare, allora?
– Come potremmo cominciare?

. . . . . . . . . . . .

Diremo, abbiamo camminato al crepuscolo per strade strette, parlando di rivoluzione,
E abbiamo osservato i mostri dei cantieri
Dalle collinette dietro il parco?…

Avremmo potuto essere un paio di ruvidi artigli
Che corrono sul fondo di mari silenziosi

. . . . . . . . . . . . .

E il pomeriggio, la sera, dorme così tranquillamente!
Ex mercato,
Lasciato solo,
Addormentato… dimenticato?… o gioca a fare il malato,
Sdraiato sul pavimento, qui fra te e me.

Potremmo, dopo le birrette , le punte, e i campari,
Aver la forza di forzare il momento alla sua crisi?

Ma sebbene abbiamo pianto e digiunato, pianto e pagato,
Sebbene abbiamo visto il nostro declino, la nostra fine
Portata su un vassoio,
Non siamo lucidi – e non ha molta importanza;
Abbiamo visto vacillare il momento della nostra grandezza,
E abbiamo visto l’eterno Lacchè reggere il nostro soprabito ghignando,
E a farla breve, ne abbiamo avuto paura.

E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Dopo le birrette, i campari e gli spritz,
E fra un banchetto e qualche chiacchiera
Fra noi, ne sarebbe valsa la pena
D’affrontare il problema sorridendo,
Di comprimere tutto l’universo in una palla
E di farlo rotolare verso chi sgombera e opprime,
Di dire: « Sappiamo tutto, non abbiamo paura »
–
 Se una, appoggiandole una mano sulla spalla,
Avesse detto: « Non abbiamo paura. »

E ne sarebbe valsa la pena, dopo tutto,
Ne sarebbe valsa la pena,
Dopo gli aperitivi, le presentazioni,
Dopo i romanzi, i film, dopo le birrette e i thè, dopo le ore al mercato
E questo, e tante altre cose?

– E’ impossibile dire ciò che intendo!

Ma come se un disegno si rivelasse un poco alla volta, unendo i puntini su uno schermo:
Ne sarebbe valsa la pena
Se uno, alzandosi dalla sedia,
E volgendosi verso tutti noi avesse detto:

« Non è per niente così,
Non è per niente così che doveva andare. »

. . . . . . . . . . .

No! Non siamo combattenti, ne rivoluzionari;
Siamo il prodotto della battaglie evitate,
Utili forse a ingrossare un corteo, a dar l’avvio a una scena o due,
Ad avvisare gli altri; uno strumento facile, di certo,
Deferente, felice di mostrarsi utile, creativo,
Prudente, cauto, meticoloso;
Pieno di nobili sentenze, ma un po’ ottuso;
Talvolta, in verità, quasi ridicolo –
E quasi, a volte, il Buffone.

Diventiamo vecchi… diventiamo vecchi…
 Sceglieremo il nostro cantuccio per raccontarcela.

Divideremo i nostri capelli sulla nuca?
Avremo il coraggio di parlare di anarchia? Rivoluzione?
E quando vedremo Bologna affondare, riqualificata, pulita, spogliata,
Porteremo libri in biblioteca, e cammineremo sotto i portici senza un nodo in gola?

Abbiamo udito le sirene cantare l’una all’altra.
 Non credo che canteranno per noi.

Abbiamo visto un galeone al largo cavalcare l’onde
E lo abbiamo perso di vista
Nella notte in burrasca
Quando il vento rigonfia l’acqua bianca e nera.

Ci siamo troppo attardati ad osservare,
Con la paura che ci schiaccia,
Finché le sirene ci svegliano, e anneghiamo.

Soffio

Ad un anno dalla strage di Stato nelle carceri

Un intervento letto a Modena il 6 marzo sotto al carcere Sant’Anna:

Sono qui fuori perché credo che quello che succede dietro quelle mura ci riguardi tutte e tutti!

E’ passato un anno da quei giorni di marzo. 
Ricordo che seguivo le notizie al computer, e la conta dei morti continuava a salire!

Dicono che sono morti di overdose, lo hanno detto dal primo giorno, ma queste sono morti di Stato e qui fuori lo sappiamo bene!

Io non sono un medico ma ho avuto le mie esperienze, e so, che anche con l’assunzione di quantitativi rischiosi ed elevati di metadone, la morte per insufficienza respiratoria non sopraggiunge subito, ci sono segnali, sonnolenza, diminuzione delle capacità vitali, è un processo non immediato, che avrebbe permesso ad eventuali soccorsi di intervenire.

Ma chi interviene se chi ha la tua vita in mano è lo stesso che ti ha riempito anche di calci e manganellate? Se è proprio lui che vuole la tua morte?

Quattro morti sono sopraggiunte durante e dopo i trasferimenti in altri carceri, questo conferma che non sono stati soccorsi!

Il silenzio di medici e infermieri è assordante rispetto gli abusi compiuti in quei giorni e rispetto agli abusi che si perpetuano ogni giorno in tutte le carceri! Infermieri, medici, tecnici, operatori, complici di un sistema che li vede colpevoli per l’omertà con cui attraversano quelle mura.

Perché al carcere è evidentemente riconosciuto il diritto di provocare  malattia, menomazione e anche di uccidere!

Lo ha detto la procura di Modena: “Indagini da archiviare”

. Nessuna responsabilità! Sono morti per overdose. Nessun pestaggio. Assistenza sanitaria garantita. Tutto a posto.

Vogliono mettere a tacere non solo le ragioni delle rivolte, ma tutto ciò che ne è seguito.

Non possiamo permetterlo! Non dobbiamo permetterlo! Perché ne approfitteranno per stringere una morsa ancora più stretta intorno a chi vive l’oppressione carceraria!

In carcere si muore, oggi come ieri, oggi piu di ieri. I suicidi sono in continuo aumento!

Questa pandemia ha portato allo scoperto l’incompatibilità della condizione detentiva con qualsiasi concetto di salute, non solo per le ridicole condizioni igieniche, per il sovraffollamento, o per l’assistenza sanitaria inesistente, ma strutturalmente: il carcere è in sè stesso l’antitesi della salute, della prevenzione e della cura per la violenza e la deprivazione su cui si fonda.

Isolamento, solitudine, sradicamento, attese e procedure alla mercé completa della discrezionalità di guardie e direzione, sono la prima fonte di deterioramento psicologico per chi subisce la reclusione.

L’impossibilità di comunicare annienta e distrugge corpi e menti, generando handicap, disturbi e malattie psico-somatiche.

Il carcere non deve esistere e le persone devono uscire!

Sovvertire le ingiustizie è l’unica possibilità che abbiamo per non soccombere allo schifo che ci circonda e la solidarietà è l’arma che il potere teme di più!

Se il carcere è lo strumento che lo Stato ha per mantenere le diseguaglianze,  controllare il conflitto sociale e far si che nulla cambi, combatterlo è una necessità per tutte e tutti noi!

Cinque detenuti hanno avuto il coraggio e la determinazione di esporsi e alzare la testa, si sono messi a rischio scegliendo la loro coscienza al silenzio!

Ma più saremo, ad alzare la testa, piu qualcosa potrà cambiare.

Soltanto lottando possiamo rompere il filo spinato dell’omertà che avvolge queste mura affinché le rivolte, e il sacrificio di chi non c’è più non siano stati inutili!