MESSINA: VERSO IL CORTEO NO PONTE – TERRA, MARE E LIBERTÀ

Diffondiamo questo testo, in vista del corteo No Ponte del 12 agosto a Messina:

Terra Mare e Libertà

(Maschile e femminile sono casualmente alternati)

Con l’insediamento del governo Meloni è stato riesumato il progetto del ponte sullo Stretto di Messina, una “grande opera” che puzza di propaganda fascista, con la differenza che cento anni fa venivano almeno costruite anche case popolari e bonificate aree inospitali: la carota per far passare il bastone delle leggi fascistissime, dell’olio di ricino, della guerra e della miseria dilagante. I nostri moderni patrioti invece si comportano come se non avessero alcuna necessità di conquistarsi il consenso tramite interventi che possano apparire di una qualche utilità per chi vive questo territorio (il sud fisico e psicogeografico di tutte le periferie del mondo). Sono convinti che il popolo bue accetterà a testa bassa l’ennesima devastazione, con il trito, ritrito e putrido miraggio di posti di lavoro per la realizzazione di questa mastodontica impresa – alla cui realizzazione finale non crede più nessuno, ma il cui corollario di movimentazione terra e denaro fa gola a molti profittatori.
Così, mentre in Emilia Romagna impazzavano le alluvioni, lorsignori si facevano fotografare con la pala in una mano e con l’altra votavano il decreto per il collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. Lo chiamano “progresso” gli importatori di civilizzazione, ma qui persino le cozze nel lago di Ganzirri sanno che si tratta dell’ennesimo progetto coloniale. Lo sa chi vive a Milazzo, Priolo, Augusta, Gela e Melilli in balìa dell’industria petrolchimica che li ha sfrattati quando è stata costruita, sfruttati e ammalate nel periodo d’oro della produzione e cassaintegrati quando ha ceduto il passo alla concorrenza estera. Lo sanno i niscemesi ai quali la costruzione della base militare USA ha tolto la frescura della sughereta e l’acqua corrente, dando loro in cambio le radiazioni del MUOS e i militari a spadroneggiare per le strade. Lo sanno i granelli di sabbia di Punta Bianca, la Beccaccia e il Martin Pescatore dei Nebrodi, sfregiati dalle esercitazioni militari. Lo sanno gli aranci della Piana di Catania, estirpati per far spazio all’allargamento della base NATO di Sigonella. Lo sanno pure i semi privatizzati dalla Monsanto e i contadini denunciati per aver fatto le talee di pomodori infischiandosene dei brevetti.
Ne fanno esperienza tutte le disoccupate dell’isola e anche chi è emigrato perché non voleva essere più disoccupato.
Ne fanno esperienza i 6000 detenuti e detenute nelle 23 carceri siciliane che fanno dell’isola una colonia penale molecolare.
E ne hanno fatto esperienza i due prigionieri che sono morti inascoltati nella galera di Augusta nel corso di uno sciopero della fame. Ne fanno esperienza ogni giorno le migranti che si sono rivoltate nel CPR di Pian del Lago (Caltanissetta) a inizio luglio e i braccianti agricoli nei campi del vittoriese. E lo stesso vale per Daouda Diane: l’operaio ivoriano scomparso un anno fa nel siracusano, due giorni dopo aver denunciato in un video la situazione di caporalato nel cementificio di Acate dove lavorava. Colonia è quel territorio occupato con la forza, violentato per profitto ed estrazione di risorse, militarizzato per reprimere ogni forma di vita che insorge contro lo sfruttamento. Che il risorgimento in Sicilia ha significato deportazione e repressione violenta è scritto nelle memorie del sangue di noi indigeni, nipoti e pronipoti di chi era partito garibaldino e si scoprì brigante all’indomani dell’unità d’italia. Il Ponte ai nostri occhi significa tutto questo. I lavori, pur mancando ancora il progetto definitivo, sono già stati assegnati alle solite note aziende armate di cemento e sputazza: WeBuild (ex Salini Impregilo), che furono i costruttori della base di Sigonella, dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e i responsabili dello smaltimento dei rifiuti in Campania, per nominare giusto un paio delle loro gloriose imprese. Queste consapevolezze coinvolgono gran parte della comunità che abita in questa terra, e si declinano a vari differenti e difformi livelli di critica.
La critica, come fanno le radici degli alberi, scava smuovendo dubbi: quelle del Salice arrivano in profondità, quelle del Limone sono invece piccole, quelle del Ficus sono addirittura aeree. Tanti alberi, diverse radici nella stessa terra.
“Ci immaginiamo anarchiche e anarchici, e quindi è anche a noi che parliamo, sebbene sarebbe bello avere una lingua comune anche con chi si immagina qualcos’altro o, e chissà non sia la scelta più saggia, non si immagina per nulla” (Terra e libertà, articolo tratto da “Black seed, a green anarchist journal”, trad. hirundo 2017).
Per queste ragioni abbiamo cominciato questo percorso di lotta intrecciando i nostri passi e incrociando i nostri sguardi con tante anime diverse, col comune obiettivo di frapporci all’apertura dei cantieri. Affronteremo a testa alta chiunque provi a reprimere la forza generativa che sgorga dal cuore delle lotte, chiunque chiamerà violento il nostro opporci con ogni mezzo necessario a un progetto che ci violenta e violenta la terra che abitiamo, ma anche quei partiti che provassero ad approfittare di questo variegato amalgama umano con l’intento di mangiarselo al prossimo banchetto elettorale. Gli andremo di traverso, saremo loro indigesti, ci proveremo con tutta la tenacia che ci batte in petto e, se falliremo, cercheremo di farlo sempre meglio.

Corteo Noponte 12 Agosto

La Macchia libertaria sicula

P.S. mentre impaginavamo questo scritto, Giovanni Truglio (sì, lui, quello delle ccir di Piazza Alimonda) è diventato capo del comando interregionale carabinieri Sicilia e Calabria; e Gianni De Gennaro (sì, lui, quello di G8 e di Leonardo Finmeccanica!) è diventato presidente di Eurolink.


Diamo diffusione ad altre due iniziative previste a Messina nelle prossime settimane:

Iniziativa di autofinanziamento per il corteo No Ponte
4 agosto h 17.00
Oasi Lago Raglio

Campeggio No Ponte
11 – 12 – 13 agosto
Camping Marmora

MOBILITIAMOCI PER DOMENICO


Riceviamo e diffondiamo dall’Assemblea permanente contro il carcere e la repressione del Friuli e di Trieste:

A cavallo tra il 2022 e il 2023, il rivoluzionario anarchico Alfredo Cospito ha rischiato di morire, conducendo uno strenuo sciopero della fame, che ha interrotto volontariamente, anche perché era chiaro che le istituzioni lo avrebbero volentieri lasciato morire. La sua lotta e il movimento di solidarietà e di appoggio nei suoi confronti ha messo sotto i riflettori pubblici, in maniera inedita, la barbarie del 41 bis e dell’ergastolo ostativo nel sistema penale e penitenziario italiano.

Nella scorsa primavera, altri due detenuti nel carcere di Augusta sono morti in sciopero della fame, stavolta però nel silenzio generale. Si chiamavano Davide Liborio Zarba e Victor Pereshchako, finiti nell’anonima conta dei morti da carcere che, in Italia, nel 2022 hanno raggiunto la cifra record di 214, e che nel 2023 sono già 83.

Ora un altro detenuto sta conducendo uno sciopero della fame contro il 41 bis: Domenico Porcelli, rinchiuso nel carcere di Bancali, le cui condizioni di detenzione si stanno deteriorando pesantemente.
Per rompere il silenzio omertoso di regime, per compiere un minimo gesto di solidarietà con la lotta di Domenico, per tentare di impedirne l’omicidio di Stato, scriviamo in massa delle mail al ministero della giustizia – dipartimento amministrazione penitenziaria.
dgdetenutietrattamento.dap@giustizia.it – prot.dgdt.dap@giustiziacert.it

Mobilitiamoci MARTEDÌ 25 LUGLIO tra le 9 e le 13, intasiamo le mail dei funzionari con questo testo base:

«Esprimo la mia solidarietà con la lotta di Domenico Porcelli contro la tortura del 41 bis. Non voglio venga lasciato morire. Toglietelo immediatamente da quel regime di annientamento psico-fisico. Contro la tortura mafiosa di Stato non intendo stare in silenzio!».

BOLOGNA: LA GUERRA DEI TANUKI NELL’EPOCA DELLA GENTRIFICAZIONE [PROIEZIONE]

Diffondiamo:

*INIZIATIVA ANNULLATA*

Mercoledì 28 al parchetto di via Fioravanti proiezione di:

Pom Poko – La Guerra dei Tanuki del Periodo Heisei, regia di Isao Takahata (Giappone, 1994)

Nel pieno del boom economico del Giappone, la città di Tokyo necessita sempre più di spazi da cementificare per accogliere la sua crescente popolazione. Un progetto di espanzione urbana, che minaccia la deforestazione e la distruzione di una collina, vede un’inaspettata quanto improbabile opposizione in un gruppo di coraggios* Tanuki, piccoli mammiferi simili ad un misto tra cane e procione dotati di particolarissimi poteri. Riusciranno i simpatici animaletti a difendere il proprio habitat dalle grinfie dell’Uomo? Dallo storico Studio Ghibli (fondato dal maestro Hayao  Miyazaki e dallo stesso Takahata) una piccola perla dell’animazione nipponica che getta uno sguardo particolare sul problema della cementificazione e sulle ricadute che le attività umane hanno sull’ambiente naturale.

Mercoledì 28 giugno al calar del sole ci ritroviamo al parchetto di via Fioravanti per la proiezione del film, per ri-appropiarci della socialità e degli spazi che i progetti di cementificazione e gentrificazione tentano di toglierci. Proprio come i Tanuki scegliamo di resistere e opporci al modello capitalista di questa società, che sempre di più agisce su di noi cercando di reprimerci. Per questo motivo ribadiamo che gli spazi siamo noi a crearli e non aspettiamo che ce li diano.
Ci rivendichiamo la solidarietà come strumento di lotta e resistenza davanti ad uno stato che oggi più che mai ci vorrebbe zitti e omologati.
Esprimiamo la nostra solidarietà agli indagati per 270 bis e a chi lotta dentro e fuori le carceri.

Prima della proiezione dibattito su cementificazione/gentrificazione, per riflettere collettivamente e pensare a nuove prospettive.
Tutti i banchetti sono benvenuti (portati tavolo e luci!).
Il tutto sarà animato da dj set con cenetta a cura del collettivo cannibale.

Resistere è meglio che cementificarsi

BOLOGNA: CHI LOTTA NON È MAI SOLX

In quartiere contro la repressione

Diffondiamo da: https://infestazioni.noblogs.org/post/2023/06/23/chi-lotta-non-e-mai-solx/

Nei giorni scorsi la procura di Bologna ha aperto un’indagine contro 6 compagnə bolognesi e trentinə per fatti inerenti alla mobilitazione in solidarietà ad Alfredo Cospito e con tutte le persone detenute in regime di 41 bis. L’accusa è quella di associazione con finalità di terrorismo, un evergreen buono per tutte le stagioni repressive, da cucire addosso all’occorrenza a chi non ha mai smesso di portare il proprio sostegno ai/alle reclusə.

La mobilitazione contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo iniziata a maggio 2022 ha coinvolto moltissime persone in tutti i continenti, con convinzioni ed esperienze politiche eterogenee, ma che, ognuna con le proprie pratiche, si sono mosse per squarciare il velo di omertà sulla tortura del carcere duro. Azioni solidali, momenti di piazza, presidi, cortei, street parade, in tantə si sono attivatə in questa lotta accanto ad Alfredo.

Non lasceremo solə chi entrerà nel mirino della repressione.

A Bologna già a gennaio 2023 alcunə compagnə hanno subito perquisizioni per la contestatazione all’ex ministra della giustizia Cartabia, con striscioni e lo sversamento di letame davanti al cancello della facoltà di giurisprudenza all’inaugurazione dell’anno accademico. A marzo un compagno e altrə solidali si sono visti notificare un avviso di apertura indagini per un presidio sotto le due torri per Alfredo in sciopero della fame, contro il 41bis e l’ergastolo ostativo.

Quest’ennesima indagine si inserisce in un clima di tensione generale e di avvitamento repressivo che vediamo concretizzarsi sia a livello locale che a livello internazionale, nelle carceri così come nelle strade.

A livello internazionale le lotte ambientali ed ecologiste vengono represse nel sangue, chi vi prende parte viene additato come terrorista, secondo la stessa retorica di slittamento per cui le stesse istituzioni che uccidono i migranti, devastano i territori, emarginano i poveri e torturano nelle carceri, accusano di terrorismo chi lotta per un mondo più giusto e radicalmente diverso.

A livello locale molte città vivono un clima di crescente controllo, disciplinamento e militarizzazione. A Bologna ultimamente abbiamo visto oltre che sfratti e sgomberi, massicce operazioni di polizia, con militari che fermano i/le passantə lungo la strada, eseguendo arresti, retate nei bar e nelle piazze, soffiando sul fuoco della retorica razzista, classista e forcaiola tanto in voga. In Bolognina poverə e migrantə vengono cacciatə sempre più lontano e in zone meno visibili, mentre vengono aperti baretti hipster per ricchi e i prezzi degli affitti aumentano.

Se uno degli scopi della repressione è dividere il mondo in “buoni” e “cattivi”, spaventando i primi e mettendoli in guardia dai pericoli che si corrono frequentando i secondi, pensiamo sia importante esprimere fin da subito la nostra vicinanza e complicità alle persone indagate, e rispondere collettivamente al tentativo di attaccare la solidarietà nel modo che crediamo più efficace: rilanciandola!

Domenica 25 giugno saremo in Piazza dell’Unità dalle 18 per ragionare insieme su quanto sta avvenendo in città e nei territori, per un pomeriggio di socialità e organizzazione dal basso. Invitiamo le realtà e le individualità affini a partecipare attivamente, a portare le loro distro e i loro contenuti, per ribadire che chi lotta non è mai solx e per opporci alla crescente militarizzazione dei quartieri che abitiamo.

Sempre dalla parte di chi lotta

AGGIORNAMENTI SU ZAC E PRESIDIO A TERNI

Diffondiamo:

Un aggiornamento su Zac. A seguire un testo e la chiamata del presidio al carcere di Terni del 25 giugno 2023.

È stata fissata per il 20 settembre a Roma l’udienza del ricorso in cassazione all’esito del riesame del 6 aprile, che ha confermato la misura cautelare in carcere per Zac.

Per scrivere a Zac:
Marco Marino
C.c. di Terni
Via delle Campore,32
05100 Terni (TR)


Per un mondo senza galere e senza la società che le produce.

Qui il testo pdf

Il 28 marzo il compagno anarchico Zac è stato arrestato in maniera preventiva a seguito di un’indagine ancora in corso per 270 bis (associazione sovversiva con finalità di terrorismo), che coinvolge altre 13 persone, disposta inizialmente dai PM Antonio Ardituro e Gianfranco Scarfò e poi rilevata dal PM Maurizio De Marco. Zac viene accusato di 280 bis (atto di terrorismo con ordigni micidiali e esplosivi) e 270 quinquies (autoaddestramento) per un’azione incendiaria avvenuta il 4 marzo 2021 davanti al consolato greco di Napoli, collocata dall’accusa all’interno della campagna di solidarietà con il prigioniero rivoluzionario Dimitris Koufontinas, all’epoca in sciopero della fame nelle carceri greche. Il 3 aprile Zac è stato trasferito dal carcere di Secondigliano alla sezione di Alta Sicurezza (AS2) del carcere di Terni, e si trova in cella con Juan, compagno anarchico condannato in secondo grado a 14 anni di carcere dal tribunale di Treviso, perché accusato di un attacco esplosivo contro la sede della Lega nord di Villorba (Treviso). Cioè contro i responsabili stragisti della morte di migliaia di migranti lasciati affondare nel Mediterraneo, e di un decreto sicurezza che ha portato fino a 12 anni le pene possibili per i picchetti e i blocchi stradali. Infami promotori di un delirante securitarismo di destra, che fa coppia fissa col più ottuso giustizialismo di sinistra, come volti indistinguibili di una società sempre più carcerogena.  Vogliamo quindi ribadire la nostra solidarietà e complicità con Zac e Juan, con chi è accusato/a di attaccare il sistema economico-politico di carcere e frontiere, e con chiunque si ribella alle imposizioni di questa società. Sempre al fianco di chi lotta e contro chi si arricchisce soffiando sui venti di guerra. Contro chi crede di aver già scritto e prescritto un futuro tecno-militare di controllo totale, calando ogni giorno un po’ di più la ghigliottina atomica sospesa sulle nostre teste e usando lo stato di emergenza permanente (covid, terrorismo, clima, guerra, immigrazione) come tecnica di governo. Ma senza aver fatto i conti con l’imprevedibilità del vivente, che non può rientrare in alcun calcolo predefinito e definitivo. Che i loro conti non tornano lo hanno dimostrato tanto i fiumi che hanno rotto gli argini, portando a galla anni di cementificazione della natura e ingegneria ambientale senza scrupoli, quanto le quotidiane resistenze nei lager di Stato (carceri, cpr e simili). La richiesta di più secondini e corpi speciali avanzata dai servi sindacali in divisa non basterà a prevenire l’insorgere dell’imprevedibile. Come non servirà il miserabile tentativo di psichiatrizzare la tensione anarchica come patologica “condotta” di personalità disfunzionali. Disfunzionali ad alimentare questo stato di cose lo siamo di certo, ma non c’è categoria giuridica o psicologica che può costringerci nella sua morsa, o che può anche solo presumere di riuscire a dire chi siamo, cosa facciamo e cosa vogliamo.  Contro i responsabili della devastazione di interi territori, garanti della pacificazione di ogni conflittualità sociale e armatori della guerra alla natura e ai poveri. Lobotomici funzionari e religiosi soldati del grigio esercito della servitù volontaria. Megalomani disagiati che scambiano l’innovazione scientifica per creazione divina, e la legge di legno della Giustizia per Grazia dei cieli. Fanatici crociati in prima linea sul fronte dell’avanzamento tecnologico eletto a fede, che intende spazzare via ogni residuo non macchinico di autorganizzazione e autodeterminazione, che vorrebbe schiacciare ogni contenuto sovversivo e riproducibile della storia su un eterno presente di cieco progresso, sempre uguale a sé stesso nella sua logica espansiva, in cui non c’è tempo né spazio per immaginare e desiderare alcun futuro altro. Ma tanti dei rivoluzionari imprigionati da decenni nel carcere di Terni rendono irriducibile la memoria delle lotte che si vorrebbero condannate all’oblio. Costruttori di armi e distruttori di sogni. A sentirsi davvero in pericolo sono loro. La scintilla della solidarietà che potrebbe minacciare interessi economici, ordine politico, obbedienza civile e guadagni militari è infatti il principale obiettivo degli attacchi repressivi – spesso preventivi – contro anarchiche e anarchici. L’accusa di pericolosità sociale con cui lo Stato vorrebbe mettere definitivamente al bando l’anarchia, in quanto pensiero radicalmente pratico, e giustificare nuove misure repressive, non è che il goffo tentativo di prevenire e punire l’esplosione di reti e pratiche di solidarietà tra e verso chi si ribella in questo mondo. In particolare, la solidarietà manifestata nei confronti di Alfredo, prigioniero anarchico che nel 2012 ha rivendicato il ferimento dell’allora Amministratore Delegato di Ansaldo Nucleare, uno dei responsabili della produzione di morte atomica. Dal carcere sardo di Bancali a quello milanese di Opera, Alfredo ha lottato con uno sciopero della fame di sei mesi contro ergastolo ostativo e 41 bis, che sono solo “il grado estremo di accanimento dei regimi differenziati: carceri dove l’isolamento continuato e il sovraffollamento delle sezioni comuni sono le due facce di un sistema teso ad annullare l’individuo. Carceri dove le stragi, quelle vere, si sono verificate e si verificano: nella repressione delle rivolte del 2020, nello stillicidio di suicidi, nel trattamento dei più poveri e fragili tra i prigionieri come “materiale residuale” della società tecno-capitalistica imperante” (dichiarazione di Anna, prigioniera anarchica nel carcere di Rebibbia). La lotta contro il 41 bis non si è conclusa con la fine dello sciopero della fame di Alfredo, che si trova ancora sottoposto a questo infame regime. Né crediamo che sia sufficiente la contestazione “democratica” e benpensante contro questo strumento di condanna a morte, considerato legittimo quando viene applicato ai cosiddetti boss mafiosi, a cui lo Stato stringe la mano, per poi rinchiuderli in una tomba da cui si esce solo con l’abiura e il pentimento, cioè barattando la propria libertà con quella di qualcun altro; o l’umanitarismo ipocrita di chi, appellandosi all’incostituzionalità dei regimi più duri, rivendica un carcere “più giusto”, come luogo di rieducazione (ma poi a cosa? Ai principi di una società che produce morte e devastazione a ogni latitudine?). Il 41 bis e l’ergastolo sono la punta dell’iceberg di un universo carcerario fatto di annientamento fisico e psicologico, che deve essere abbattuto dalle fondamenta. Sappiamo bene che salvare la facciata della democrazia amputandone le terminazioni più cruente non renderà il mondo un posto più libero. Siamo convinte/i che il carcere stesso e non solo i suoi eccessi sia il prodotto non riformabile di una società che opprime. Ai vertici di quest’ultima troviamo la magistratura antimafia e antiterrorismo con la sua presunzione di intoccabilità, che ottiene sacrosanto potere politico, altissima gloria mediatica, grasse carriere e soldi a profusione costruendo teoremi di supercazzole. Con lo scoppio della guerra tra imperialisti occidentali e russi e la conseguente esasperazione della “crisi” economica, la repressione è aumentata in modo da arginare ogni potenziale conflittualità interna agli stati, anche grazie all’accelerazione della pacificazione sociale che è passata per la gestione iperautoritaria del covid con misure fino a quel momento ritenute inaccettabili, come lockdown, coprifuoco, green pass, obbligo vaccinale, divieto di manifestazione. Pandemia, nucleare, economia di guerra: questi i terreni su cui sperimentare il controllo sulle popolazioni secondo logiche militari, e dare il colpo di grazia a ogni forma di opposizione attraverso l’applicazione di strumenti emergenziali di irreggimentazione di massa. Proprio l’accettazione sociale di questi ha reso possibile isolare e stigmatizzare quelle poche frange di persone che non hanno voluto adeguarsi a un sistema asfittico e impersonale. Si è così permesso allo stato di spogliarsi delle pur poche ipocrisie garantiste, dando inizio a una caccia spietata verso quelle minoranze politiche che hanno continuato ad avere una voce dissenziente all’interno del deserto che chiamano società. Non a caso nell’ultimo anno operai, studenti, organizzazioni sindacali, disoccupati e movimenti sociali hanno subito pesanti attacchi da parte della magistratura con denunce, condanne e arresti, come quello di sette sindacalisti delle organizzazioni di base la cui lotta per il miglioramento delle condizioni lavorative è stata equiparata al reato di “estorsione” e la rabbia ai tempi del covid messa sotto accusa con l’“aggravante camorristica” (negli scontri di ottobre 2020 a Napoli per esempio). Imbarazzanti capriole linguistiche vomitate dalla fusione di antiterrorismo e antimafia. Tocchiamo oggi con mano come la progressiva sparizione della conflittualità non ha fatto altro che peggiorare le condizioni di vita, alimentare sistemi di sfruttamento e controllo, così come di sofferenza e disagio. Mentre si agita l’emergenza del terrorismo islamico, del terrorismo rivoluzionario e del sistema mafioso riempiendo le galere di mezza Italia, vengono intanto criminalizzate intere comunità di islamici e meridionali, le loro reti affettive e lavorative, di sopravvivenza materiale e culturale, solidarietà, recalcitranza (verso lo Stato), innanzitutto perché storicamente migranti e colonizzate, poco integrabili, povere, ricattabili, sfruttabili, e quindi condannabili. E al tempo stesso la critica e la violenza rivoluzionaria vengono mostrificate dalla retorica infamante delle inchieste giornalistico- giudiziarie antianarchiche costruendo immagini consumabili via cavo che azzerano ogni concetto critico, mentre la condivisione degli stessi ideali viene costipata nella categoria giuridica di “associazione terroristica”. Lo Stato colpisce gli/le anarchici/che non necessariamente e non solo per l’effettiva offensività o per la disponibilità al rischio mostrata anche nei momenti più bui della storia recente di questo Paese, ma come monito e laboratorio di pratiche repressive con cui liquidare ogni forma di dissenso e ogni individualità che resiste al setaccio. Del resto, inesorabile destino del re è quello di rimanere nudo a ogni giro di vite. Per quanto l’ipocrisia democratica vorrebbe a tutti i costi conciliare autorità e libertà, con bastone in pugno e carota alla mano, esse restano del tutto incompatibili. Basta già solo uno sforzo di logica per intuirlo. La menzogna sistematica che si fa Stato è al servizio del potere di pochi, e per questo non ha niente a che vedere con la libertà. Quindi non riconosciamo e non ci interessa la distinzione tra colpevoli e innocenti, che è degno prodotto di questa cultura, puro arbitrio dell’Inquisizione, e trappola verbale di un linguaggio manipolato e manipolatorio costruito ad arte per far piovere anni di galera su chi non si è integrato a dovere. Spezziamo l’isolamento carcerario imposto dalla tecnocrazia che chiude a chiave i corpi e militarizza le menti dentro e fuori le mura di questa galera a cielo aperto. Non potranno disporre mai a loro pieno piacimento della vita di chi la libertà se la porta dentro e l’ha condivisa qui e ora, in anni di lotte, amore e rabbia.

Per un mondo altro da questo e una vita senza capi, né sbirri, né sbarre. Al fianco di tutti i rivoluzionari e rivoluzionarie prigioniere/i nelle carceri di tutto il mondo Finché ogni gabbia non sarà distrutta.

ASSEMBLEA NAPOLETANA CONTRO CARCERE E REPRESSIONE

25 GIUGNO 2023, ORE 15:00 PRESIDIO AL CARCERE DI TERNI

CONTRO IL PONTE, CONTRO QUESTO MONDO

Diamo diffusione ad un volantino distributo a Messina al corteo No ponte il 17 giugno 2023

CONTRO IL PONTE, CONTRO QUESTO MONDO

Il progetto del ponte prevede di sacrificare questi luoghi e la vita di chi li abita, ignora senza difficoltà tutte le ragioni tecniche e di buon senso contrarie alla sua realizzazione, si propone di schiacciare qualsiasi opposizione materiale ad esso. Tutto per la gloria dello Stato, i profitti del capitale, il ricatto del lavoro, il mito dello sviluppo, nonché il risparmio di tempo per arrivare prima alla morte.
Siamo contro il ponte perché è il prodotto e il simbolo del mondo in cui siamo costretti a vivere, con le sue gabbie di acciaio e cemento, con le sue reti di corpi e merci che devono muoversi senza tregua, sempre più veloci.
Chi è nato è cresciuto in questa terra dovrebbe percepire chiaramente la voracità coloniale di questa grande opera. Dovremmo sentirla sulla nostra pelle, nelle nostre ossa, dopo che ci hanno già imposto l’industrializzazione, i petrolchimici, le basi e i poligoni militari, le politiche agricole europee, con il loro portato di nocività e veleni, di distruzione di luoghi, comunità e forme di vita autonome, di emigrazione forzata, mentre quello che rimane viene trasformato in una vetrina artificiale per turisti annoiati.
Se il progresso tanto sbandierato è il progresso del petrolchimico e delle basi militari perché il ponte dovrebbe essere diverso? Perché dovremmo continuare ad affidarci agli esperti e ai tecnici che da sempre propagandano e legittimano i processi devastanti portati avanti da Stato e Capitale?
Non è possibile separare la lotta contro il ponte da quella contro il mondo che lo vuole, lo progetta e lo produce. L’opposizione al ponte e il suo sabotaggio possono e devono avvenire non solo qui dove intendono realizzarlo, ma ovunque ci sia un’infrastruttura destinata al dominio e alla distruzione del vivente, e che contribuisce a mantenere in piedi questo mondo a noi nemico. Ognuna e ognuno con le proprie pratiche e le proprie tensioni, per un’opposizione continua, diffusa e senza sosta. C’è solo l’imbarazzo della scelta!