PSICOFARMACI E AUTODETERMINAZIONE

Diffondiamo alcune puntate di approfondimento che i/le compagnx di Ricongiunzioni, trasmissione su Radio Blackout dedicata alla salute di, da, con e tra tutti e tutte, stanno curando,  per conoscere gli psicofarmaci. Cosa sono? Come agiscono? Fino al tema dello scalaggio.

Breve ricettario antipsichiatrico sugli psicofarmaci: https://radioblackout.org/podcast/breve-ricettario-antipsichiatrico-sugli-psicofarmaci-del-18-7-2023/

Cosa sono gli psicofarmaci: https://radioblackout.org/podcast/cosa-sono-gli-psicofarmaci-del-08-11-2023/

Smettere gli psicofarmaci: https://radioblackout.org/podcast/smettere-gli-psicofarmaci-del-28-11-23/

“Queste puntate vorrebbero essere la prima di una serie in cui poter discutere di psicofarmaci e dei problemi/complicanze che possono derivare dal loro utilizzo. Infatti, spesso capita – in prima o terza persona – che si verifichino: prescrizioni non richieste, effetti collaterali invalidanti, difficoltà nella comunicazione con lx psichiatrx circa la possibilità di interrompere o cambiare la terapia, il dubbio che lx nostrx amicx stiano peggiorando da quando prendono i farmaci. Cosa dobbiamo fare quando ci troviamo in queste situazioni? Come possiamo tutelarci se decidiamo di prendere dei farmaci ma rimanendo libere di scegliere per i nostri corpi?”

L’invito è a condividere riflessioni ed esperienze inviandole a ricongiunzioni@anche.no per costruire la prossima puntata – tra circa un mese e mezzo – da punti di vista diversi.

GIORNATA DI MOBILITAZIONE CONTRO L’ESTRADIZIONE DI GABRIELE, PER LA LIBERTÀ DI TUTTE/I LE ANTIFA [5 DICEMBRE]

Diffondiamo:

Chiamiamo per il 5 dicembre, data fondamentale per le sorti di Gabriele, una giornata di solidarietà per fare sentire forza e vicinanza a lui come a tutti e tutte le altre compagne coinvolte in questo caso! Invitiamo in questo giorno chiunque a mostrare striscioni, scritte, graffiti, scendere in strada o utilizzare la propria fantasia per portargli solidarietà ed esprimersi contro la sua estradizione. Gabri deve rimanere in Italia!

Tra il 20 e il 21 novembre a Milano il nostro compagno Gabriele è stato raggiunto da un Mandato d’Arresto Europeo per i fatti accaduti a Budapest nel febbraio 2023. In quel contesto nella capitale ungherese migliaia di neonazisti si sono ritrovati per la commemorazione del “giorno dell’onore” e alcuni di loro sono stati attaccati. Ilaria e Tobias si trovano da febbraio in carcere a Budapest con l’ accusa di aver partecipato a queste azioni e Gabriele è ora agli arresti domiciliari a Milano in attesa dell’udienza, fissata per il 5 dicembre, che deciderà per la sua estradizione in Ungheria.Alcune/i compagne/i tedesche/i su cui pendono altri MAE per gli stessi fatti sono latitanti da mesi.

Di fronte a questo pesante attacco repressivo verso compagni e compagne antifascisti/e che si protrae da 10 mesi rispondiamo con la solidarietà! “Innocenti” o “colpevoli” saremo sempre al loro fianco!

NO ESTRADIZIONE! Gabri Libero!
Ilaria e Tobias liberi!
Solidarietà a tutte e tutti i latitanti
Liberi tutti
Libere tutte


AGGIORNAMENTI SULLX ARRESTATX ANTIFA PER I FATTI DI BUDAPEST

BOLOGNA: CONTRO IL RAZZISMO DI STATO SOLIDARIETÀ A CHI SI RIVOLTA

Riceviamo e diffondiamo:

L’11 e 12 giugno 2020 scoppia una rivolta all’interno del CAS (Centro di Accoglienza Straordinaria) Ex Caserma Serena di Casier, alle porte di Treviso.

In quell’estate di COVID, la gestione statale del virus aveva reso evidente quali fossero le persone che lo stato vuole proteggere a scapito e a danno di quelle da cui si vuole difendere (detenut3, migrant3, non bianch3, pover3 ….).
All’Ex Caserma Serena, mentre un operatore della Cooperativa Nova Facility srl, che gestisce il centro, risulta positivo al tampone, l’ASL locale e la Cooperativa, in collaborazione con Questura e Prefettura, decidono la chiusura totale degli accessi e delle uscite dalla struttura, anche per chi ha un tampone negativo. Centinaia di persone, migranti e non bianche, si trovano quindi di fatto imprigionate, condannate a perdere il lavoro per chi ce l’ha, e esposte più che mai al rischio contagio.

Quell’11 e 12 giugno 2020 chi sta rinchiuso all’ex Caserma decide di ribellarsi, protestando in varie forme.
La questura trasformò questa protesta multipla in responsabilità singola, individuando quattro “ospiti” del Centro come principali fautori e denunciandoli per devastazione e saccheggio, sequestro di persona e resistenza a pubblico ufficiale. Uno di loro, Chaka, morirà nel carcere di Verona, in isolamento, il 7 novembre 2020.

Il 20 ottobre 2023 il Tribunale di Treviso ha pronunciato la sentenza di primo grado nei confronti degli altri tre denunciati: Mohammed, Amadou e Abdourahmane. Cadono tutte le accuse, a parte quelle relative ad un episodio avvenuto il 12 giugno, riconosciuto dal giudice come sequestro di persona. I tre sono stati condannati a 1 anno e 8 mesi (Mohammed e Abdourahmane) e 2 anni (Amadou), ciascuno con pena sospesa.

La repressione che i tre hanno subito fino a qui ha voluto fin da subito essere esemplare: si voleva punire una rivolta per dare un segnale a tutte le altre, in un’estate in cui le proteste si moltiplicavano in tutti i luoghi di reclusione per persone immigrate in italia.
Abdou, Mohammed e Amadou, dopo tre anni di carcere, arresti domiciliari, obblighi di firma, sono liberi con pena sospesa. Eppure ancora sotto il ricatto quotidiano di non riuscire più a ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno, di non avere abbastanza mezzi economici e reti sociali per sostenere non solo le spese legali, ma anche quelle quotidiane e relative alla loro salute, peggiorata di molto dopo questi tre anni.

Per parlare di questa storia e per confrontarci sulle rivolte, sul razzismo di stato, sulla repressione e sulle solidarietà, venite numeros3 al benefit in sostegno ai tre compagni ! Sarà il 9 dicembre alla casa del mondo, via di vincenzo 18a (Bologna)

In programma :
– Alle 18.30 discussione sui fatti dell’ex caserma e sulle lotte delle persone immigrate dentro all’accoglienza
– Alle 21
Zazza e Dj Nosci (rap + dj set)

Ci sarà un bar e cibo per tutt. Il tutto per sostenere i tre compagni inguaiati. Fate girare!

Se la solidarietà è un’arma, bisognerà anche cominciare ad usarla.
tutt3 liber3!

BOLOGNA: CORTEO CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO

Diffondiamo un piccolo racconto, senz’altro parziale e non esaustivo, del corteo di ieri contro la violenza maschile e di Stato, che ha scaldato il cuore di molte compagne, e anche il nostro. 💜​​​🔥​

Ieri a Bologna un centinaio di compagnx, sorelle, donne, frocie, soggettività queer e non binarie, sono scese in strada, spalla a spalla, contro la violenza maschile e di Stato, per unirsi alla marea di rabbia che ha invaso Roma, cosi come tante altre città.

Il corteo ha attraversato la Bolognina, quartiere storicamente popolare preda di un violento processo di gentrificazione e militarizzazione, fino a raggiungere il centro, in Piazza Verdi.

È stato detto forte e chiaro che se le forze dell’ordine pensano di poter saccheggiare una rabbia che non gli appartiene e che gli è ostile, hanno capito male, che questa sicurezza che spettacolarizza e strumentalizza episodi di violenza per fare pinkwashing istituzionale e coprire campagne securitarie, discriminatorie e razziste, fa parte del problema, non è la soluzione; che se pensano di legiferare sui corpi delle donne, per assoggettare altri corpi, troveranno la strada sbarrata.

Si è ricordato come il sistematico annientamento all’interno delle città di spazi di intersezione e solidarietà alimenti processi di desolidarizzazione nei quartieri, quando é proprio la conoscenza reciproca in quartiere che tante volte ha impedito alla violenza di rimanere un fatto privato, a pemettere che fosse socializzata e affrontata.

Si è ribadito che una società che si autoassolve e che delega a esercito e militari un problema sul quale essa stessa si basa non fa la sicurezza di nessunx, che chi stupra e uccide è un uomo, non un immigrato, e anzi, più spesso è il “bravo ragazzo”, quello “conosciuto”, “inserito”, che “non farebbe male a una mosca”.

Si è ricordata la storia che si ripete da secoli, a ciclo continuo, che stronca le vite di compagne e sorelle per il desiderio maschile di dominarle, assoggettarle, annichilirle, e quanto il risentimento dell’assassino di Giulia verso la sua autonomia sia in perfetta continuità con la violenza istituzionale perpetuata dall’attuale Presidente della Camera Lorenzo Fontana, che accusa della crisi sociale proprio le donne che studiano, pensano, si laureano, non si dedicano alla famiglia e non fanno figli.

Si è gridata l’ostilità verso una società che intende ridurre i corpi femminili al loro ruolo riproduttivo, utili solo come dispensatori univoci di cure sempre disponibili, dediti all’uomo, al padre, al capo, a riprodurre lo stato nazione bianco.

È stata portata per le strade la voce delle soggettività trans, queer, non binarie e intersex in carcere, sono state ricordate le compagne detenute e tutte le persone che subiscono la violenza della reclusione.

E’ stata portata solidarietà alla resistenza dei movimenti femministi palestinesi e a tutte le donne, le soggettività frocie, queer e non binarie, che stanno lottando per la libertà e per l’autodeterminazione, contro il saccheggio colonialista e imperialista delle nazioni, tutte.

E’ stata ribadita l’importanza dell’autodifesa, della sorellanza, di riprendersi strade e spazi, perché nessuna sia lasciata sola con i propri guai e con la propria rabbia, perché non saremo mai libere finché tuttx non saranno liberx!


BOLOGNA: CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE E DI STATO

FUOCO AI CPR, MORTE A CHI LI DIFENDE

Diffondiamo:

Il pomeriggio del 4 novembre, mentre in una Cagliari blindata si svolgeva la festa nazionale delle forze armate alla presenza del protettore di torturatori Mattarella, del suo compare mercante d’armi da guerra Crosetto e i criminali delle frecce tricolori, un gruppo di una quindicina di solidali di tutta la Sardegna si è recato al CPR di Macomer per portare un saluto ai reclusi in uno dei peggiori lager italiani. Eludendo la vigilanza di una pattuglia presente nei pressi, i solidali hanno iniziato a mettere musica e ancor prima di iniziare a rivolgersi ai detenuti abbiamo potuto vedere un blindato carico di carabinieri che, forse memori della rivolta di settembre, sono entrati nella struttura per intimidirli. Infatti, contrariamente a quanto è sempre successo, non c’è stata nessuna risposta al saluto, mentre nella zona il silenzio era impressionante.
Dopo un quarto d’ora la pattuglia di vigilanza si è avvicinata intimando di interrompere il saluto ma i solidali hanno continuato sino all’arrivo di diverse volanti, auto dei carabinieri e della digos con manganello d’ordinanza (in tutto una trentina di sbirri), che hanno bloccato i/le partecipanti, sequestrato dei fumogeni, eseguito perquisizioni minuziose sia personali che delle auto, alla ricerca di armi e continue provocazioni anche a carattere sessista verso le compagne presenti. Tutti/e sono stati trattenuti/e sotto la pioggia battente per circa 5 ore per poi essere lasciati liberi di muoversi non senza avere prima ricevuto una denuncia per manifestazione non autorizzata.
Per quanto consapevoli che sia necessario rafforzare le relazioni con i migranti dietro le sbarre, soprattutto per potere raccogliere e rispondere alle loro richieste, siamo soddisfatti di avere dimostrato che noi ci siamo, che le continue intimidazioni sbirresche non ci preoccupano e che ci sentiranno ancora dietro quelle mura urlare che i CPR e tutte le carceri si chiudono con il fuoco.

Alfredo libero, Domenico libero, tutte libere, tutti liberi.

Alcunx compagni e compagne contro il carcere e la repressione

ALESSANDRIA: PRESIDIO SOLIDALE SOTTO AL CARCERE

PRESIDIO SOLIDALE AL CARCERE DI ALESSANDRIA – SAN MICHELE
Mercoledì 1 novembre dalle ore 15

L’estensione dei regimi detentivi speciali ai reati contro la libera espressione di pensieri sovversivi, conferma la natura politica della differenziazione penitenziaria. Una prigionia politica che per alcuni rivoluzionari dura da più di 40 anni.

Da qualche settimana il compagno anarchico Gino Vatteroni – accusato di avere violato le prescrizioni della detenzione domiciliare a cui era sottoposto – è rinchiuso nella sezione AS2 del carcere di Alessandria – San Michele. Gino si trovava ai domiciliari perché accusato di aver collaborato alla pubblicazione del giornale anarchico internazionalista Bezmotivny.

PER UN MONDO SENZA GALERE
PER LA LIBERTA’

TORINO: CORTEO CONTRO IL CARCERE

CORTEO SABATO 11 NOVEMBRE
DALLE ORE 15
Angolo via Val della Torre/corso Cincinnato (Torino)


GOVERNARE (DA)I MARGINI:
CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ’ CHE NE HA BISOGNO

Mentre non si riesce più a contare il numero di gente massacrata e la cui vita è in scacco per via di necessità e imperativi di guerra che bussano alle porte di questa Europa apparentemente prossima al collasso sia economico che ecologico; mentre i giornali imperversano in una retorica schiacciante in cui terrorista è nominato colui che lotta, si organizza e risponde – colpo su colpo – alla violenza degli Stati, alla violenza delle colonie e all’ingiustizia strutturale dei sistemi differenziati del capitalismo neo-liberale (ossia la produzione, da parte del capitalismo, di categorie di persone sfruttabili, ricattabili e reprimibili a seconda delle sue necessità); mentre tutto questo succede, il carcere – essenza materiale e simbolica, della dirompenza del sistema di controllo, punizione e messa a valore delle classi oppresse – diventa un nodo centrale contro cui lottare. Non solo per ribadire come il potere si materializzi sulle vite di sfruttati e sfruttabili, ma anche per sottolineare quali alleanze vogliamo ribadire, scoprire e valorizzare nel nostro bisogno di organizzarci contro un’esistenza invivibile e inaccettabile.

Il momento storico in cui ci troviamo a vivere ci impone la necessità di ampliare lo sguardo sul fenomeno carcerario, legandolo non solo a un dispositivo fisico repressivo, ma capendo come la diluizione del sistema carcere al di fuoridelle patrie galere coinvolga inevitabilmente i diversi strati sociali e informi il tessuto sociale tutto. Il governo Meloni e le sue politiche, marcatamente classiste, razziste e securitarie, mostra una continuità a ritmo sostenuto, in rapporto con gli esecutivi precedenti nel creare supposti “soggetti criminali” e nemici da cui difenderci. La tendenza è quella giustizialista che continua a materializzarsi nell’uso della decretazione d’urgenza, sia riguardo al fenomeno della cosiddetta “devianza giovanile” sia a quello della migrazione. Decreti che hanno il medesimo obiettivo politico: privazione della libertà personale e di movimento. Un vero e proprio strapotere penale, e carcerario, quello che si sta sviluppando oltre il perimetro dell’istituzione totale per eccellenza, dove a farne le spese sarà la parte più sfruttabile e ricattabile del tessuto sociale.

Il mito collettivo, secondo cui la prigione protegge (da cosa esattamente?) e quindi sia un male necessario, non è altro che un mito utilizzato per giustificare, quando ancora ce ne sia bisogno, l’istituzione carcere in sé, luogo ove confinare la miseria e soffocare la protesta contro l’ordine stabilito e creare cittadini obbedienti. E questo mito è di sovente ancorato all’idea, quasi religiosa, del “chi ha peccato deve pagare”. Ma invece è ovvio che le carceri, essendo per essenza strutture coercitive, non possono che avere come unico scopo la disciplina e la sicurezza. Questo controllo sociale totalizzante viene esercitato al di là delle mura del carcere, attraverso la paura che esso incute, ma anche per mezzo delle cosiddette pene alternative, ovvero ulteriori strumenti per aumentare la carcerazione diffusa. La prigione è il luogo di punizione per eccellenza, in cui la società capitalista neoliberale rinchiude coloro che dichiara dannosi, per contenere qualsiasi slancio di rivolta sociale e mantenere così al suo interno valori morali basati sulla disuguaglianza, sullo sfruttamento, sul rispetto dell’autorità e sulla sottomissione alla violenza dello Stato.

Le rivolte, gli scioperi della fame, le lotte dei reclusi che caratterizzano la quotidianità delle carceri, sono l’evidenza di una rabbia irriformabile. Una rabbia relegata, dagli organi governamentali, a una totale silenziazione delle sue rivendicazioni, in cui si vuole privare di significato qualsiasi atto di protesta con la conseguente invisibillazione delle condizioni detentive.

Le parole del ministro della Giustizia Nordio, in visita al carcere Lorusso e Cotugno, lo scorso mese in risposta alla morte di due detenute, non fanno altro che speculare sull’accaduto e portare avanti i calcoli politici di governo, di fronte all’evidenza strutturale che il carcere uccide. Lo scopo delle istituzioni penitenziarie è dunque chiaro: controllare, monitorare, punire, uccidere, poiché la necropolitica è parte integrante della logica carceraria.

Essa si basa sul fare della violenza-tortura-morte uno strumento di controllo e deterrenza per gli internati, verso il mondo dei liberi e in particolare verso quegli strati del tessuto sociale che, in diverse forme, escono dagli schemi costruiti attorno ad essi. Grazie allo sciopero della fame di 181 giorni portato avanti da Alfredo Cospito e alla mobilitazione contro il 41bis e l’ergastolo ostativo al suo fianco, è oggi forse maggiormente noto come lo stato utilizzi la tortura, annientando psico-fisicamente le persone detenute nelle carceri per estorcere informazioni, richiedere il pentimento o la dissociazione. Questi sono i meccanismi brutali di cui si avvalgono le istituzioni per il re-inquadramento di massa della società tutta.

Quando il sistema carcerario esplica la sua funzione violenta e mortifera, l’opinione pubblica tende a polarizzarsi in due correnti non dualistiche tra di loro: da una parte si consolida l’approccio giustizialista, dove si criminalizza e si condanna alla responsabilità individuale dell’espiazione della colpa, discorso accettato da un ampia fetta della società. Dall’altra, invece, il paradigma garantista, abbandonate le proprie velleità di assicurazione dello stato di diritto – come il principio di proporzionalità e funzione rieducativa della pena – si riduce alla mera richiesta di più controllo e sorveglianza negli istituti penitenziari, tramite l’assunzione massiccia di guardie, militari e personale sanitario. Nello specifico i sindacati di polizia avanzano rivendicazioni bastate sulla richiesta di più organico con l’obbiettivo di aumentare la loro capacità di coercizione e violenza nei confronti dex detenutx,soprattutto dex rivoltosx.

Entrambi gli approcci danno voce quindi ad un unicum securitario. Un discorso che nel suo complesso va smascherato. La violenza statale si perpetua nell’ordine carcerario anche attraverso il sovraffollamento, la mancanza di cure sanitarie e i pestaggi della polizia. Pensare di riformare le carceri non è un’orizzonte politico desiderabile perché non può esserci una vera emancipazione senza la distruzione totale dei luoghi di reclusione e della società che li necessita.

CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ CHE NE HA BISOGNO
Rendiamo tangibile la solidarietà a chi resiste e lotta contro la violenza quotidiana della detenzione, attraversando le strade di Vallette per arrivare fino alle mura del carcere Lorusso Cotugno.