OPUSCOLO: NON È FORSE QUESTA GUERRA?

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“Non è forse questa guerra?!” è stato scritto cercando di portare nella discussione collettiva, o individuale che sia, alcune tematiche riguardanti gli intrecci tra alcuni luoghi della Terra, nella fattispecie le rive dello Stretto, e le dinamiche predatorie del capitalismo.
La domanda che titola queste riflessioni e colletta di informazioni non vuole essere retorica, ma la messa a fuoco di un totale dilagare della forma guerra. La riorganizzazione dell’economia mondo sul modello del conflitto totale porta con se un alito mortale di cambiamenti e rinnovate frenesie; il nuovo capitale espande i suoi confini e necessita di tutta una rete di rinnovate infrastrutture a questo dedicate.

Nel corso di queste pagine si sono voluti mettere in evidenza alcuni processi o progetti che costituiscono parte degli sforzi indirizzati alla riorganizzazione del territorio sulla base delle necessità di un élite sempre più lontana dalle persone sulle quali impone i propri piani di accumulo. Qui la questione non è prendere il loro posto, bensì puntare un faro sul come e il chi ci affligge una tale prospettiva talmente mefitica e comprendere come scardinarne l’esistenza.

Elemento fondamentale di questa riflessione è il sempre più acuto sistema repressivo che il legislatore sta mettendo in atto nei confini del ‘bel paese’. Un sistema, quello paventato dal nuovo decreto sicurezza, sempre più stringente ed improntato sulla restrizione della libertà delle persone e la loro sempre più eventuale localizzazione forzata nelle varie forme detentive previste dalla genetica dell’ordine costituito. L’intento che ha mosso la stesura delle pagine di “Non è forse questa guerra?!” è stato quello di raccogliere tra loro dei tasselli che agli occhi di chi scrive costituiscono un più complessivo piano di appropriazione delle esistenze o, quanto meno, una replica di quanto già messo in atto altrove tanto nel suo complesso quanto in maniera frammentata. Dal progetto ponte, alle “smart cities” sino agli interessi che si cuciono sui corpi reclusi, migranti, arginati, incarcerati si evince l’esistenza di un filo rosso, pesante come mille catene, che svela gli intenti di quelle manacce che si allungano minacciose su queste zone del pianeta.

Con la coscienza che questa è una delle tante interpretazioni possibili di elementi ed avvenimenti, si vuole porre nel dibattito questo modo di intrecciarli tra loro. Condividere saperi e percorsi di significazione e conoscenza vuole essere un passo verso una sempre più fitta condivisioni di pratiche. Le informazioni raccolte nel corso di “Non è forse questa guerra?!” sono intrise delle emozioni di chi le intercettava e queste pagine non vogliono essere un triste nenia di rassegnazione, quanto un punto segnato in una, necessariamente, più vasta costellazione emozionale che sia invito ad un’azione sempre più di massa, ossia sempre meno mediata da strutture di delega e rappresentanza.

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TRIESTE: CONTRO IL RAZZISMO DI STATO. UNO SGUARDO SULLA DETENZIONE AMMINISTRATIVA

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Incontro e benefit per le persone recluse nel CPR di Gradisca

17 gennaio 2024 – ore 18

Via Tarabocchia 3, Trieste

La macchina del razzismo istituzionale, in Italia come in Europa, ha potenziato una strumento particolare, quello della detenzione amministrativa. Si tratta di una forma “eccezionale” di trattenimento e segregazione, già ampiamente utilizzato storicamente durante il colonialismo europeo in Africa, in Palestina fin dai tempi del mandato britannico e dal 1948 dall’entità coloniale sionista, per la repressione dei dissidenti e della resistenza, ma anche nel resto del territorio europeo, americano o australiano. Uno strumento che diventa sempre più la norma nella gestione dei cosiddetti flussi migratori e in più generale nel controllo della popolazione straniera.

In Italia trova espressione oggi nei CPR – prima CPT e CIE – cioè nei centri di tortura e deportazione per le persone senza documenti. Ma negli ultimi anni, dalle misure sull’immigrazione (come il “decreto Cutro” o i vari “pacchetti sicurezza”) al nuovo patto europeo sulle migrazioni e l’asilo, passando per l’accordo Italia-Albania, questo strumento ha trovato nuovi spazi e tempi: è il caso degli hotspot, dove vengono trattenuti per l’identificazione i migranti; dei nuovi centri di detenzione temporanei per le procedure d’asilo ed espulsione accelerate nei luoghi di sbarco – denominati Ctra – per quei paesi di provenienza ritenuti arbitrariamente sicuri; ma anche dei cosiddetti luoghi idonei, individuati nelle camere di sicurezza delle questure o delle stazioni di polizia. Per ragioni di sicurezza, identificazione e deportazione si diffondono sempre più capillarmente nuove forme di restrizione della libertà, applicate senza alcun tipo di garanzia legale, in primis alle persone migranti e razzializzate.

Non si tratta di misure isolate, ma di un complesso di dispositivi di segregazione e controllo che, in un contesto di razzismo sistemico, mirano a ricattare e terrorizzare chi non ha i documenti giusti, e così rafforzare, tra gli altri, i meccanismi di selezione e sfruttamento della forza lavoro immigrata. Vorremmo provare ad approfondire questi temi in una serata di confronto e informazione, in una prospettiva di solidarietà e complicità con le persone che si trovano incagliate in queste strutture (raramente sottomesse, come dimostrano le ribellioni nei CPR e le lotte dei braccianti).

La serata sarà anche un benefit per il sostegno alle lotte e alla solidarietà con quanti si trovano reclusi nelle galere etniche, tra cui il CPR di Gradisca d’Isonzo, a pochi chilometri da Trieste.

TORINO: SANITALIA COMPLICE DEI LAGER DI STATO / ESTRATTO DA UNA VISITA ALLA SEDE

  

Riceviamo e diffondiamo

SANITALIA COMPLICE DEI LAGER DI STATO

Sanitalia si e’ aggiudicata il bando da 8,4 milioni di euro per la gestione del CPR di Torino, chiuso dalle rivolte nel marzo 2023. Dalla partnership con la squadra del TORO, alle cliniche per persone affette da alzheimer, Sanitalia punta anche al business dell’accoglienza. Da 27 mila euro di fatturato nel 2013, passa a 14 milioni nel 2023, soprattutto grazie ai ricchi bandi di gestione di parte della macchina del razzismo di Stato: gestisce CAS nell’astigiano e a Chiaves in val di Susa e nel 2024 tenta la scalata per la gestione dei centri di espulsione in Albania, a Milano e anche a Torino.

La retorica dell’accoglienza dello Stato italiano maschera un sistema razzista che funziona e opera a piu’ livelli: dallo sfruttamento lavorativo, al controllo dei corpi, dei documenti e del movimento.

Il CPR non e’ che una delle parti di questo meccanismo e Sanitalia come tutte le altre aziende, enti e cooperative che collaborano per farlo funzionare ne sono complici dirette.

CONTRO IL RAZZISMO DI STATO, OGNI GABBIA E CHI NE E’ COMPLICE.

BARI: AZIONE SIMBOLICA ALLA STAZIONE CENTRALE

Riceviamo e diffondiamo

Nel CARA di Bari si MUORE

A Bari Palese, all’interno della base Aeronautica si trova il CARA, una struttura nata con lo scopo di accogliere le persone richiedenti asilo è diventata invece l’ennesimo luogo di tortura e detenzione delle persone migranti.
Un luogo di tortura poiché gli “ospiti” del centro vivono in spazi stretti, fatiscenti e sporchi. Collocato in un area che aumenta la sensazione di isolamento il centro è circondato da un alta recinzione e i controlli vengono effettuati sia all’ingresso della base militare che all’ingresso del centro, un luogo tutt’altro che accogliente insomma…
Un luogo di detenzione poiché l’entrata e l’uscita dal centro sono limitate sia dalla distanza dal centro alla città, raggiungibile solo usufruendo delle pochissime navette messe a disposizione che portano a Bari Palese dove i migranti possono prendere i mezzi pubblici (una vera odissea)sia dagli orari molto restrittivi (6.30-19.30) e per uscite superiori alle 24h gli ospiti devono chiedere una specifica autorizzazione alla polizia, indicando anche un domicilio, se per qualsiasi motivo questo non avviene si perde il “diritto all’accoglienza”, ma che libertà è questa?

Potremmo scrivere pagine su pagine che parlano della situazione disperata del CARA di Bari, ma l’hanno già fatto centinaia di report vecchi e nuovi, l’hanno fatto giornalisti (malintenzionati e non) e l’hanno fatto anche indagini e sentenze di quella farsa che voi chiamate legge. Non è questo il nostro scopo, d’altronde noi non abbiamo bisogno di visualizzazioni non abbiamo bisogno di fare share e non abbiamo bisogno di consensi elettorali, siamo liberi da tutto questo, liberi di attaccare i nemici e veri responsabili di questa situazione, che non sono i 9 medici indagati per la morte di Soumaoro (sicuramente complici di questo schifo) ma le istituzioni come Comune e Asl, le associazioni e le cooperative che lucrano sulla gestione di questi centri guadagnando sulle vite di persone.
Prefetto Francesco Russo, Prefettura e Comune di Bari, La Mano di Francesco Onlus per i tagli all’ambulatorio medico.
Società Cooperativa Auxilium responsabile della gestione generale del CARA.
Ladisa Ristorazione Srl per il cibo di merda che servono mentre registrano una crescita dell’utile netto del 75%.
Lalucentezza Spa per la gestione dell’igiene.
Associazione temporanea di Impresa Gabbiano Magro per la gestione fornitura di vestiario, prodotti per l’igiene, pocket-money e schede telefoniche.

Siete tutti responsabili,siete tutt* nostr* nemici!! Siete tutt* obbiettivi.
Solidarietà a tuttx lx anarchicx colpite dalla repressione dell’operazione “Scintilla”

I cieli bruciano
Fuoco ai cpr

                                                                                                 ⁃ Nemiche di ogni gabbi(A)

BULGARIA: SOLIDARIETÀ ALLE PROTESTE IN CORSO NEI LAGER PER PERSONE IN TRANSITO

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Domenica scorsa, per la prima volta dopo anni, un nutrito presidio davanti al centro di detenzione di Sofia-Busmantsi ha rotto per un pomeriggio l’isolamento dei e delle detenute immigrate che lì sono recluse. Nonostante i tentativi delle guardie di tenere lontane le persone dalle finestre e i trasferimenti di prima mattina per svuotare le stanze da cui si sarebbe più facilmente potuto comunicare con l’esterno, da dentro hanno potuto sentirci, seguirci e contattarci. E’ stata una boccata d’aria fresca nel soffocante silenzio che circonda i lager bulgari per persone immigrate, di cui solo ora si inizia a parlare, grazie alle lotte da dentro e alla solidarietà da fuori.

Il presidio è stato organizzato in solidarietà alle numerose proteste nei centri di detenzione e di accoglienza bulgari dell’ultimo mese. A Busmantsi (il centro di detenzione nella periferia della capitale), le persone hanno protestato contro nuove arbitrarie restrizioni sulle visite e sui pacchi e si sono rifiutate per qualche ora di entrare nelle loro stanze in segno di protesta. Nei giorni successivi, a molte persone sono stati sequestrati i telefoni cellulari (che possono regolarmente avere, a patto che siano senza fotocamera).
Nel centro di accoglienza di Harmanli, che si trova nel sud del paese e vicino al confine con la Turchia, i rifugiati siriani stanno protestando da settimane contro i respingimenti di massa delle loro richiesta di asilo. Nel centro ci sono attualmente circa 900-1000 persone che, dopo aver fatto richiesta di asilo, sono in attesa dei colloqui e di ricevere una decisione sulla loro domanda. Tra settembre e ottobre però sono state respinte la maggior parte delle richieste asilo degli uomini soli. Solo le famiglie continuano (a stento) a ricevere la protezione internazionale. Il 18 ottobre hanno iniziato una protesta e dichiarato uno sciopero della fame.
La risposta dell’amministrazione è stata che ora la Siria è un Paese sicuro, con riferimento al fatto che chi fugge dai bombardamenti israeliani nel sud del Libano si rifugia in Siria. Questa logica perversa e nuova preoccupante tendenza non è ovviamente solo una sadica invenzione dell’Agenzia di Stato bulgara per i rifugiati: negli ultimi anni anche altri Paesi europei stanno iniziando a respingere chi proviene dalla Siria come già fanno sistematicamente con le persone provenienti da altre aree devastate dalla guerra.

Da Busmantsi ci è invece arrivata una lettera aperta che recita: “76 siriani, tra cui 8 bambini, stanno soffrendo condizioni dure durante la loro detenzione a Sofia. Sono state date loro due opzioni: Un anno e mezzo di prigione per aver minacciato la sicurezza nazionale della Bulgaria, oppure firmare un ordine di deportazione in Siria. Un rappresentante dell’ambasciata siriana li ha già visitati minacciando di deportarli entro 21 giorni una volta che il numero di persone che accettano di essere deportate sarà pieno *(probabilmente, quando ci saranno abbastanza persone per organizzare una deportazione di massa)*.
I rifugiati vivono in condizioni di vita difficili, non hanno accesso alle cure mediche e si vedono negare le più elementari necessità della vita quotidiana. Sono sfruttati dalle guardie del campo, perché sono costretti a pagare grandi somme di denaro per piccole quantità di cibo; pagano fino a 100 euro per una piccola quantità di verdure”. Notizie simili ci arrivano dall’altro centro di detenzione bulgaro, a Lyubimets.

Le terribili condizioni di vita all’interno dei campi aperti e chiusi per migranti in Bulgaria sono oggetto di rapporti e dibattiti a livello europeo da anni ormai.

A settembre, una delegazione del Comitato per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti (CPT) del Consiglio d’Europa ha effettuato una visita ad hoc in Bulgaria, a causa delle preoccupazioni “legate alle inadeguate condizioni materiali, alle attività e all’assistenza sanitaria, nonché alla mancanza di informazioni sui diritti e di accesso all’interpretazione”.

Non abbiamo bisogno di queste inutili mascherate, che fanno finta che ci sia uno standard da raggiungere, affinché le persone in questi lager possano vivere decentemente. Al presidio è stato gridato in ogni lingua: i centri di Busmantsi e Lyubimets non sono “Case speciali per la sistemazione temporanea degli stranieri”. Sono prigioni a tutti gli effetti, il cui scopo è controllare, reprimere e sfruttare le persone immigrate in transito in Bulgaria.
Ne è dimostrazione il fatto che una parte delle persone è detenuta con l’accusa di costituire una “minaccia alla sicurezza nazionale”. Questo è il pretesto per detenere ed espellere gli individui scomodi, come molti curdi provenienti dalla Turchia e ricercati dal regime di Erdogan, o i dissidenti politici in fuga da Iran, Bielorussia, Russia. C’è anche chi, come il nostro amico Nidal Hassan, è sopravvissuto al genocidio in corso a Gaza e ora si trova detenuto in Europa. Lo stesso pretesto con cui il nostro compagno e dissidente saudita Abdulrahman Al-Khalidi è detenuto da quattro anni. Quattro anni di ricorsi e tribunali per ricevere la protezione internazionale che non arriva mai a causa delle pressioni dell’Arabia Saudita, che ne chiede l’estradizione per poterlo punire per i suoi crimini d’opinione contro il regime.

Anche la criminalizzazione delle persone immigrate è una politica a impronta UE che lo Stato bulgaro applica con zelo, senza preoccuparsi troppo delle superficiali accuse di non rispettare le convenzioni sui diritti umani. Era la moneta di scambio per entrare nell’UE e ora per entrare nell’area Schengen. Di conseguenza, la detenzione amministrativa assume tutte le forme di quella penale. Formalmente è una detenzione temporanea finalizzata all’identificazione e all’espulsione. In realtà, è una punizione.
Non vogliamo rimanere in silenzio di fronte a questa vergogna, come fanno tutti i media mainstream in questo Paese. Continueremo a sostenere le spinte verso la libertà di chi sta fuori e dentro i centri di detenzione e di accoglienza, alle frontiere e per le strade delle nostre città.

MACOMER: BELLO COME UN CPR CHE BRUCIA

Diffondiamo questo resoconto di un saluto al CPR di Macomer, ostacolato dalle guardie e conclusosi con le notifiche di denunce e fogli di via allx compagnx:

Domenica 17 novembre ci siamo recati ancora una volta al CPR di Macomer per portare solidarietà ai prigionieri e per tentare di comunicare con loro. Il sentiero carrabile che si affaccia sulla struttura e che normalmente utilizziamo per fare i saluti, contrariamente ad altre volte era presidiato da una jeep dei carabinieri. Tuttavia, senza fatica siamo riusciti ad eludere la sorveglianza sino a giungere nel punto stabilito dove abbiamo montato casse e microfono mettendo musica, facendo interventi e urlando cori. Per la prima volta dopo due anni di visite costanti, non c’è stata nessuna risposta, né un urlo, né un fischio, niente di niente. Un silenzio tombale che stride moltissimo con le rumorosissime e talora “focose” risposte che abbiamo avuto altre volte. Come consuetudine passati una ventina di minuti arrivano quattro pattuglie di sbirri (polizia e carabinieri) che ci intimano di andarcene. Dopo i controlli di rito e dei momenti di tensione, per gli atteggiamenti provocatori degli sbirri, prima di lasciarci andare ci hanno notificato altri fogli di via da Macomer e denunce per un’altra iniziativa, effettuata il 2 giugno, fuori dal carcere di Badu ‘e Carros. Ci siamo allontanati rimandando ai prigionieri tutta la nostra solidarietà e vicinanza, ricordando agli sbirri che non ci fermeranno quattro notifiche, denunce e fogli di via e che torneremo molto presto e in molti di più fuori da quel lager di merda. A tal proposito, la sera dello stesso giorno siamo stati a Nuoro, dove c’è la questura che ha emesso i fogli di via e gli avvisi orali. Nuoro è una piccola città fortemente militarizzata e repressa, solitamente la sera si contano più pattuglie che persone per strada. Però quel giorno la città era animata in occasione della manifestazione “Autunno in Barbagia”. Ne abbiamo approfittato facendo un volantinaggio, per ribadire che nonostante le minacce del questore Polverino non lasceremo nel silenzio la rivolta dentro il CPR (lasciamo il volantino a fine testo).

Siamo rammaricati per non avere ricevuto risposta da dentro e non capire il perché questo sia accaduto. Ci chiediamo se si sia innalzato il livello di repressione all’interno della struttura con il cambio di gestione e/o come conseguenza delle ultime proteste o se si sia verificato qualcos’altro che non riusciamo ancora a spiegarci. Intanto tentiamo di muoverci nelle strade e nei centri della Sardegna per cercare di evitare che altri migranti, sfruttati nelle campagne e nell’industria turistica, ma privi di documenti, vengano prelevati da qualche pattuglia per essere ingoiati nel nulla del lager di Macomer.

Cerchiamo di mettere un po’ di sabbia nella macchina razzista e coloniale dello Stato, a fuoco le galere.

Qui il volantino diffuso a Nuoro:

BELLO-COME-UN-CPR-CHE-BRUCIA-1

 

RIVOLTA NEL CPR DI TRAPANI MILO

Diffondiamo

Dai media apprendiamo della rivolta avvenuta sabato scorso nel CPR Trapani Milo. Tutti gli articoli riportano la stessa velina diffusa da un sindacato di polizia, che racconta di una perquisizione nel CPR, contrastata dalle persone recluse, con lanci di oggetti e danneggiamenti. Sarebbe intervenuto il reparto celere di Palermo, che ha arrestato due persone. Il CPR di Trapani era stato chiuso nello scorso gennaio grazie alle continue rivolte che avevano reso inservibile il 90% della struttura. Da circa un mese è stato riaperto, per recludere anche persone appena sbarcate in Italia, sottoposte alle procedure accelerate di frontiera, le stesse recentemente applicate nei lager in Albania, che prevedono l’esame rapido delle domande d’asilo, la detenzione amministrativa e la deportazione per chi proviene da paesi, come la Tunisia e l’Egitto, considerati “sicuri”, come era avvenuto il 15 ottobre scorso per 22 persone sbarcate a Marsala.

A differenza di quanto avvenuto ultimamente in Albania, per il lager di Trapani non si hanno notizie di ispezioni di garanti, parlamentari e associazioni, né di critiche per queste detenzioni illegittime secondo le leggi europee. Nessuno sembra interessarsi alle condizioni delle persone recluse, che invece coraggiosamente continuano a lottare contro l’orrore di questi campi di concentramento.

TORINO: TRE GIORNI DI DISCUSSIONI E MOBILITAZIONE CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI CORSO BRUNELLESCHI [1-2-3 NOVEMBRE]

Diffondiamo da No Cpr Torino

Se primavera ed estate 2024 sono state scandite dal calore di proteste, scioperi, rivolte ed evasioni – soprattutto dentro le galere di in ogni parte del paese – non si può dire che la controparte non stia, di pari passo, affilando la sua lama, puntandola spietatamente contro poverx, migranti e ribelli nonché chiunque porta solidarietà e prova a opporsi e resistere. Gli strumenti legislativi a disposizione delle procure si stanno, infatti, rimpolpando di disegni e decreti legge criminogeni che mirano ad ampliare il ventaglio dei reati, intensificarne le pene e abbassare la soglia di punibilità.

Il ddl 1660, in corso di approvazione, rispecchia molto bene la realtà in cui ci vogliono costringere a vivere. Difatti, in maniera molto dettagliata e puntuale, va a colpire tutti gli ambiti dove negli ultimi anni sono state portate avanti le proteste e le lotte più incisive che hanno attraversato il paese, dai luoghi di detenzione (carcere e CPR) alle mobilitazioni contro il disastro climatico.

D’altronde non servirebbe uno degli ultimi omicidi – in ordine temporale, e tra i più noti, che da decenni accadono nelle campagne italiane – di Satnam Singh a ricordarci che la linea del colore e l’oppressione di classe segnano indelebilmente il destino all’interno delle dinamiche di sfruttamento della forza lavoro. O l’assassinio di Oussama Darkaoui nel CPR di Palazzo San Gervasio a ribadire, ancora una volta, come le galere amministrative assolvano quotidianamente a uno dei loro compiti principali: terrorizzare i/le liberx senza documenti europei – resx clandestinx dalle leggi – affinché non osino lottare, autodeterminarsi ed esistere fuori dagli schemi della paura e del dominio.

Eppure, questa calda estate ci ha dimostrato che davanti alla brutale ingiustizia e violenza agita dallo Stato, non è solo la paura a dominare gli animi. Da Nord a Sud le proteste hanno scaldato i centri di detenzione – sia penale che amministrativi, ad ogni latitudine e per mano di ogni età. Fuori da quelle mura, solidali e complici han cercato le proprie strade per mostrare supporto, tessere legami, far circolare le notizie, rendersi tasselli di comunicazione, affiancando chi ha deciso di parlare per sé attraverso rivolte e proteste.

Sappiamo che il capitalismo differenziale – tanto più se in crisi economica e in un panorama bellico – ha sempre più bisogno di allargare le maglie quantitative del contenimento, irregimentare i metodi di tortura con il fine – neanche tanto sottinteso – di terrorizzare su larga scala e contenere coloro che si ribellano. Guerra, violenza, repressione, sorveglianza e incarcerazione, costituiscono gli strumenti necropolitici per antonomasia che si ripercuotono materialmente sui corpi provocando morte e sofferenza. Spezzano i legami ma, allo stesso tempo, producono nuove relazioni sociali, nuove grammatiche del potere, iscrivendole all’interno di un’economia politica imperniata sulla gerarchizzazione dell’umano.

La necropolitica, provando a interpretare i presenti sconvolgimenti globali, non è tuttavia semplicemente un processo bensì un vero e proprio paradigma. Il conflitto bellico tra l’Ucraina e la Federazione Russa e il genocidio in atto da parte dello stato sionista nei confronti della popolazione palestinese, sono – all’interno di questo quadro – potenti esempi di come agisce tale macchina.

Alle nostre latitudini i venti di guerra soffiano in molteplici direzioni; ne sono un esempio, da un lato, gli investimenti massicci nel settore bellico da parte del governo Meloni, dall’altro la stesura di decreti sicurezza, creati ad hoc, in cui vengono categorizzati sempre più nuovi nemici interni, evocando incessantemente una supposta minaccia incombente sulla stabilità del sistema economico e sociale.

Non limitandoci a osservare il fenomeno della guerra, come mera espressione dei/delle governanti di turno o di contingenti necessità geopolitiche, ci preme piuttosto leggere il presente bellico come parte integrante del capitalismo, e nella fattispecie di quello neoliberale, grimaldello della paura e della retorica massmediatica: base discorsiva per l’assestarsi o l’accelerare di alcune modificazioni del presente. Fondamentale, in merito ai discorsi oggetto di questa chiamata, l’intensificarsi di una retorica potente sul nemico interno delineato, non solo in chi lotta o dissente, ma soprattutto in colui che si trova ai margini del privilegio di classe e razza. A tal proposito, il razzismo sistemico e sistematico, l’islamofobia, la clandestinizzazione forzata delle persone in viaggio senza documenti europei, la brutalità delle frontiere e le morti in galere e CPR, sono parte del complesso set di strumenti torturatori che il potere si dà per tenere sotto scacco una vasta quantità di popolazione. Ne consegue un’architettura lineare che oggi sfrutta sul lavoro, domani capitalizza nei centri di detenzione e – magari – in un futuro guerreggiato neanche troppo lontano, ricatta per comporre le fila di una possibile legione straniera.

Delineare la geografia del razzismo sistemico e sistematico diventa lo strumento analitico fondamentale per trovarsi, tra complici e solidali, riconoscersi e identificare i punti di attacco. A seguito dell’importante chiamata promossa dalla Rete Campagne in Lotta (https://campagneinlotta.org/violenze-e-morte-alle-frontiere-razzismo-quotidiano-segregazione-rispondiamo-a-tutto-questo/) ad Aprile a Roma, proponiamo un seguito di quel momento di confronto a Torino, per l’1/2/3 Novembre 2024.

Occasione preziosa per lanciare anche un’iniziativa pubblica contro la riapertura del CPR di Torino, chiuso per la prima volta nel Marzo 2023 grazie a tre settimane di coraggiose rivolte, che han permesso al fuoco di distruggere, totalmente, una galera per persone senza documenti europei attiva da 25 anni.

Un anno e mezzo fa, all’incirca, il CPR di Corso Brunelleschi veniva distrutto dalla rabbia dei reclusi, rendendo materialmente più fragile un tassello della macchina delle espulsioni nostrane. Da quelle calde giornate invernali di fuoco, numerose sono state le rivolte, le evasioni e gli scontri contro la polizia, che hanno caratterizzato la quotidianità all’interno dei lager di Stato italiani. La violenza agita dalla detenzione amministrativa va inserita in un quadro ampio e complesso che conduce a uno sguardo sulla macchina delle espulsioni e ai CPR, come la punta visibile di un iceberg, in cui si annodano più strati e substrati di violenza e razzismo sistemico.

Se, infatti, il razzismo è un concetto solido – tangibile nella sua produzione di conseguenze materiali – urge produrre un discorso intellegibile che, con puntualità, renda esplicita la geografia dell’oppressione, lungo la linea del colore e della classe.

Estrapolare la lotta contro i CPR, da un discorso unicamente antidetentivo, ci consente di rendere esplicito il ruolo che queste prigioni hanno nel fungere anche, e non solo, da monito ai liberi e rafforzare così il ricatto del permesso di soggiorno. Lottare contro le galere amministrative, assume così, un significato nel porsi a fianco dei migranti, lavoratori e non, che chiedono documenti, casa e tutele per tuttx. In questo panorama, attaccare la forma tangibile di una frontiera vuol dire porsi al fianco di chi è rimbalzato, tramite dispositivi e leggi europee, tra l’essere l’oggetto di scambio tra Stati, merce di profitto per privati, strumento di pressione mediatica per fini nazionalistici e/o manodopera a basso costo.

Sentiamo sempre più urgente, prioritario e impellente incontrarci e organizzarci per analizzare il reale mortifero in cui viviamo, trovarci tra complici e tessere le reti di alleanze possibili con il fine di trovare i punti di attacco all’impianto razzista che scandisce la quotidianità nel capitalismo di oggi.

Il coraggio dirompente del reclusi del CPR di Torino nel Febbraio 2023 non può rimanere silente, dimenticato e rifagocitato dalla macchina razzista.

A tal proposito invitiamo compagnx, complici, solidali a venire a Torino nei primi giorni di Novembre per tre giorni di discussione e mobilitazione nazionale.


PROGRAMMA GIORNATE

VENERDI 1 NOVEMBRE
ORE 16 CORTEO NEL QUARTIERE DI SAN PAOLO CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI CORSO BRUNELLESCHI
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SABATO 2 NOVEMBRE
DALLE ORE 1O ASSEMBLEA PRESSO IL CSOA GABRIO, Via Francesco Millio 42 Torino
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DOMENICA 3 NOVEMBRE
DALLE ORE 10 ASSEMBLEA (solo la mattina)
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Per info e ospitalità scrivere a: antirazzistxpiemonte@autistici.org

POTENZA: PRESIDIO DAVANTI AL CPR DI PALAZZO SAN GERVASIO IN SOLIDARIETÀ AI RECLUSI

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Domenica 6 ottobre
ore 15

Quest’estate, anche nella provincia di Potenza, è stata una stagione di razzismo di stato, fuori e dentro le mura del Centro di espulsione.
Da una parte, ai lavoratori delle campagne è stata negata ogni possibilità di alloggio e tra sgomberi, tagli di acqua ed elettricità è stata resa ancora più dura l’intera stagione di lavoro.
Dall’altra parte del muro, nel CPR di Palazzo San Gervasio, solo le proteste sui tetti contro le condizioni di prigionia ed il cibo scaduto hanno interrotto il lungo filo di violenze che ha portato, il 5 agosto scorso, alla morte di Oussama Darkaoui, un giovane ragazzo ammazzato a seguito delle percosse ricevute, come raccontano i suoi compagni di prigionia.

Dopo la rivolta scatenata dalla rabbia per questa uccisione, è cominciato il processo di insabbiamento che ha riportato il CPR potentino a lavorare nel silenzio generale. Sin dalle prime ore, la direzione del centro ha fatto circolare la notizia di ricoveri ospedalieri per autolesionismo che avrebbero riguardato il ragazzo ucciso, così da orientare l’informazione mediatica su un possibile suicidio o una responsabilità da attribuire alla vittima stessa.
ll questore di Potenza, invece, ha stabilito il rilascio immediato di 14 prigionieri, dichiarando la necessità di allegerire il sovraffollamento del CPR.
È stato poi lo stesso ospedale a smentire qualsiasi ricovero e gli avvocati delle persone rilasciate in tutta fretta a descriverle come i testimoni di quanto accaduto a Oussama Darkaoui.

Martedì 8 ottobre, presso il tribunale di Potenza, si terrà l’ennesima udienza di un processo contro alcunx solidali che in passato hanno partecipato a manifestazioni fuori dal CPR di Palazzo San Gervasio, al fianco delle persone recluse.
Al tempo, il lager potentino imprigionava le persone trasferite da Lampedusa dopo una rivolta di massa che aveva distrutto il campo di internamento isolano e il governo, con il decreto Salvini, rafforzava la guerra contro le persone immigrate mettendo mano alla normativa sui permessi di soggiorno e aumentando i tempi e i luoghi di prigionia.
Come in altri processi contro i/le compagnx, anche qui compare l’accusa di istigazione, un reato che vuole spezzare la solidarietà attaccando il senso stesso delle lotte.

Se il DDL 1660 – o nuovo “pacchetto sicurezza” – sferra un ennesimo pesante attacco ad ogni forma di lotta fuori e dentro le galere e i centri di espulsione, è importante ora, a due mesi dalla morte di Oussama Darkaoui, tornare davanti alle mura del CPR per non lasciare sole le persone che hanno lottato durante l’estate e rispondere alla repressione rompendo l’isolamento.

Cassa di solidarietà La Lima