DAL CPR DI GRADISCA: CRONACHE DI LOTTE E RESISTENZA ALL’INTERNO DEL LAGER

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“Ho avuto un’impressione positiva di ente gestore e forze dell’ordine”, dichiarava qualche giorno fa una parlamentare – esponente di quel partito del cosiddetto centrosinistra, il PD, storicamente il principale responsabile politico dell’esistenza dei campi per le deportazioni – dopo una visita ispettiva fatta a quello di Gradisca.

L’ennesima farsa, l’ennesima narrazione ad uso e consumo dell’esistenza dei campi-lager, con qualche problema di troppo – tocca ammetterlo anche da parte agli strenui difensori della detenzione amministrativa – sulla “agibilità”. Nel rovesciamento più totale della realtà quotidiana di chi vive sulla propria pelle la detenzione a Gradisca e negli altri CPR e carceri della penisola, si mostrano le manovre più subdole per renderlo più operativo e efficace (nell’annichilimento, nel controllo dei corpi).

– “Sta nel distruggere la gabbia”

Rivolte e proteste smontano pezzo dopo pezzo l’infrastruttura della reclusione: sistemi di videosorveglianza, reti, suppellettili, lastre di plexiglass. Colpo su colpo, nei CPR, non è solo uno slogan, ma il ritmo della smontaggio delle sue gabbie. Le condizioni di reclusione e devastazione delle menti e dei corpi (“mi han portato qui per i documenti. Sono rotto giuro“, ci dice un recluso) si riflettono sull’infrastruttura (“non funziona nulla, veramente” gli faceva eco un altro): per ragioni stesse di sopravvivenza il centro deve essere smantellato.

E infatti vediamo confermata un’ipotesi che immaginavamo da tempo: l’area rossa, coinvolta nelle potenti rivolte di gennaio, è tutt’ora per la maggior parte inagibile, con due sole celle in funzione.

Il ministero dell’interno, probabilmente rincuorato dalle parole della parlamentare di opposizione – in fondo, se il servizio funziona, basta dare una spolverata agli ambienti – si affretta a dichiarare che sarebbero imminenti i lavori di ristrutturazione del centro: nuove telecamere di videosorveglianza, la creazione di varchi sicuri per l’accesso dei veicoli (in funzione deportativa?), la sostituzione delle attuali recinzioni di contenimento con barriere anti-scavalcamento (troppe evasioni?) e probabilmente la ristrutturazione dell’area rossa. In poche parole: aumentare l’efficienza del meccanismo di imprigionamento e deportazione.

In controluce, sostenute dalle vive parole di chi è recluso nell’inferno di Gradisca, si intuisce tutta la forza delle rivolte e delle evasioni.

Lo ripetiamo spesso, si tratta delle uniche forme di resistenza possibile dall’interno alla macchina della detenzione e della deportazione, dispositivi tuttavia contrastabili e infrangibili nonostante la loro apparenza di inattacabilità. Il 27 maggio dei grossi fuochi hanno investito l’area blu del CPR di Gradisca. In quei giorni erano in corso, come d’altronde avviene a ritmo settimanale dall’aeroporto di Trieste, le famigerate deportazioni per la Tunisia.

Succede lo stesso due giorni dopo. Sono gesti estremi, ma necessari, che spesso mettono a repentaglio anche chi li compie. È un tutto per tutto. In una cella si sentono male due ragazzi, sono a terra. Solo molto tempo dopo arrivano i sanitari, spaventati a morte – nonostante la scorta di celere eccitata alle loro spalle – come dovrebbe sentirsi chiunque collabori con il lager. I fuochi, per un secondo, forse accendono anche qualche briciolo di consapevolezza in chi si muove attorno e dentro queste strutture di morte, come gli operai-secondini salariati dalla cooperativa EKENE.

Ma la “buona impressione di ente gestore e forze di polizia” si rivela da moltissime altre cose. Dalle condizioni strutturali del centro (camerate scarne, tarate al minimo, senza alcun tipo di “servizio”, “sicuramente peggio di quanto questo centro era un CIE“, ci riferisce un recluso che si è fatto entrambe le versione della detenzione amministrativa) alla non-gestione sanitaria, nella totale assenza di interventi medici quando servono. “L’unica cosa che danno bene è la terapia, ci vogliono tutti drogati, rivotril, valium, gocce…“, ci dice un recluso. Pare che – per quanto riguarda la gestione psichiatrica – sia coinvolta direttamente anche ASUGI, l’azienda sanitaria locale, che svolge le visite psichiatriche e poi assegna le terapie. Ma il dosaggio della tortura è accuratamente somministrato: c’è chi viene riempito di terapia, c’è chi – pur avendo bisogno di uno specifico farmaco – viene imbottito di altre terapie che non regge, che gli fanno male. I CPR, come tutte le carceri, sono luoghi patogeni per natura.

Due persone, come già condiviso precedentemente, hanno finito per “fare la corda”. Non è bastato perché qualcuno rispondesse alle loro richieste. In un caso, dei compagni di cella hanno dovuto appiccare degli incendi, è l’unico modo perché qualcuno intervenga. E così, mentre un uomo giace a terra con la bava alla bocca, devastato per delle notizie personali, è arrivato un lavorante… per spegnere l’incendio.

L’impressione positiva avuta dalla parlamentare consiste, probabilmente, nello spegnimento di tutti i tentativi – individuali, collettivi – di ribellarsi contro la natura devastatrice e afflittiva di queste colonie dove la tortura è legalizzata.

– Ancora rivolta: fuochi, manganelli, sangue

La totale negligenza sanitaria, ed – oltre – la natura patogena stessa del CPR, è stata anche alla base dell’ultima rivolta nell’area blu. “Scusa il disturbo. Stanno massacrando delle persone qui. Perché stiamo chiedendo il nostro diritto per la sanità“, ci dicono.

E’ la sera del 5 giugno. Un recluso è a terra svenuto nella sua cella, in preda a dolori fortissimi. Nessuno gli presta aiuto, nonostante le ripetute richieste. Qualcuno sostiene che ha ingerito dello shampoo. Dopo una mezz’ora viene acceso un primo fuoco nella sua cella. A quel punto intervengono gli operatori e la polizia, spengono il fuoco e lo portano via in barella.

I fuochi si moltiplicano in tutta l’area blu, in solidarietà con quanto sta accadendo. Il corridoio delle celle è presidiato da guardia di finanza e polizia in antisommossa. Il recluso, dopo qualche schiaffo e una colluttazione avvenuta in infermeria, viene riportato in cella.

Si scaldano gli animi, i fuochi anche. Ci sono lanci verso la polizia, si verificano scontri. Gli idranti cercano di spegnere i fuochi, ma i getti sono anche destinati verso i reclusi e le stanze interne.

A quel punto inizia un intervento muscolare dell’antisommossa, che entra in alcune celle rincorrendo i detenuti e picchiandoli fortissimo, anche quando sono a terra. Dopo qualche minuto di scontri estremamente duri (“stiamo facendo la guerra contro loro“), l’insorgenza viene repressa. Bilancio: teste rotte e corpi ammaccati, senza però piegare l’insubordinazione e la voglia di lottare nei detenuti.

Due giorni dopo, infatti, erano ancora i fuochi da una cella dell’area blu a segnalare la condizione di reclusione del CPR: a due giorni dalla rivolta, dopo essere stato pesantemente malmenato – con ematomi e ferite dappertutto – un recluso non era ancora stato visitato in ospedale.

– Detenzione, repressione, deportazione (e solidarietà)

C’è una testimonianza che sentiamo spesso: quella di una cattività in gabbia – voluta da un ordine di trattenimento, convalidata da un giudice di pace distratto e dai burocrati dell’azienda sanitaria locale, resa possibile da Ekene e tutte le aziende complici della sua riproduzione – a cui corrisponde un totale abbandono. I cessi, il cibo, le cure, i letti: tutto è inservibile nel CPR di Gradisca. Chiuso in una cella, per lunghissime ore sei abbandonato in una situazione di totale subordinazione e al tempo stesso profonda indifferenza. Se stai male resti lì, fin quando qualcuno si degnerà – dopo qualche fuoco magari – a vedere cosa serve. Questa è la realtà della detenzione amministrativa.

Intervengono, invece, prontamente quando si tratta di reprimere o di deportare. Come accaduto di nuovo l’ultimo venerdì del mese, in direzione dell’Egitto; come accade settimanalmente per la Tunisia. Come si ripete – pescando nel mucchio, senza bisogno di charter, con voli commerciali – in chissà quanti altri casi di cui non veniamo a conoscenza.

In un caso, si è riusciti a ricostruire lo svolgimento di una deportazione anche grazie alla resistenza di chi si è fatto valere nell’ingranaggio della macchina delle espulsioni.

Un mercoledì, un recluso di Gradisca, con l’inganno, è stato avvertito di un imminente trasferimento verso Roma. Fatti i suoi bagagli, è salito tutto sommato tranquillo su una vettura di polizia. Dopo qualche ora si è però accorto che stavano andando in direzione di Bologna. In effetti, lo portano in un’area isolata dell’aeroporto, con il biglietto di rimpatrio già pronto. Quella in corso era una deportazione. “Mi volevano deportare con l’inganno“, ma “non vedevo il senso di condannarmi in quel modo per uno sbaglio” racconta. Lo fanno passare al controllo doganale e lo portano sulla pista, sotto l’aereo della compagnia Royal Air Maroc. Qui capisce di non avere nulla di perdere, dopo una vita passata in Italia con famiglia e una figlia piccola qui. Si rifiuta di salire, mentre attorno ignari passeggeri che si imbarcano iniziano a capire cosa sta accadendo. Anche a causa di questa attenzione, la polizia di scorta decide di non calcare la mano. Lo riportano in CPR, fa una nuova udienza in tribunale, un paio di giorni dopo questo tentativo di deportazione è libero. Un’altra storia di resistenza, in mezzo alle centinaia di altre storia anonime.

Il giorno successivo alla rivolta del 5 giugno, alcunx solidalx hanno portato un piccolo gesto solidarietà ai reclusi all’interno. Se spezzare i fili della solidarietà e della lotta è uno degli obiettivi della repressione, anche qualche fuoco pirotecnico nella notte può superare le mura (materiali e invisibili) della segregazione. I reclusi all’interno hanno risposto al grido di “libertà, libertà“.

La stessa libertà che per qualche minuto devono aver assaporato i 5 reclusi saliti sul tetto del centro nella serata di domenica 8 giugno. Immediatamente braccati dai carabinieri, hanno deciso di stare lassù per diverse ore. “Cosa vuol dire che siamo irregolari? Chi aveva il carcere ha fatto il carcere, ma ora perché siamo qui, in questo posto merda?” si chiedevano.

Che il grido di libertà possa un giorno alzarsi dalle macerie di tutti i CPR. La resistenza ai suoi sistemi di morte e deportazione, nel frattempo, continua: che si estenda a tutte le gabbie, le frontiere e i quartieri militarizzati che mantengono l’ordine coloniale della terra!

Al fianco di chi lotta ogni giorno: Libertà per tutti e tutte! Fuoco a CPR e frontiere!

https://nofrontierefvg.noblogs.org/post/2025/06/09/dal-cpr-di-gradisca-cronache-di-lotta-e-resistenza-dallinterno-del-lager/

CPR DI BARI PALESE: FUOCHI, RIVOLTE, SCIOPERI DELLA FAME E REPRESSIONE

La situazione nel Cpr di Bari è insostenibile, il caldo sta rendendo ancora più insopportabile le giornate già infernali.
Abbiamo già scritto della situazione insostenibile e delle lotte quotidiane nei Cpr Pugliesi: https://japrlekk.noblogs.org/post/2025/06/04/rivolte-scioperi-resistenze-ed-evasioni-nel-cpr-di-bari-e-brindisi/
Ma i racconti che ci arrivano in questi giorni sono critici: solo stamattina alle 11 B. ci ha raccontato che nel modulo 3 (uno dei moduli più represso e rivoltoso) sono stati accessi materassi (non sappiamo in che quantità) sempre nel modulo 3 un amico ci ha detto che in tutto il modulo non è arrivato il pranzo fino alle 15.

Sempre B. ci ha raccontato che nel suo modulo il cibo è arrivato tardi perché “qualcuno dei rivoltosi ” ha bloccato il carrello.  Anche oggi le guardie sono entrate nei moduli (non abbiamo capito se per picchiare o solo spaventare). Ma la lotta e la resistenza non si mostrano solo nel fuoco e nella violenza fisica. A. un caro amico del 2005 che purtroppo sentiamo rinchiuso da molto tempo in quel posto di merda, è in sciopero della fame da 8 giorni, (questo uno dei tanti intrapresi) fuma solo le sigarette (sigarette che quando possiamo mandiamo noi, una delle lamentele più grosse e motivo di rabbia di A. è che il centro non riesce mai a fornirli tabacco), ha entrambe le mani e le gambe ingessate, abbiamo parlato con un suo compagno di cella che dice che è completamente bianco, ed è molto spaventato per lui.

Prima e durante la sua prigionia è stato picchiato e torturato dalle guardie, è rimasto in isolamento per più tempo e subito vari abusi. A. minaccia di uccidersi da un po’ ormai, settimana scorsa in Tunisia gli è  morta la mamma.  Sa di essere rinchiuso lì per nessun motivo, come tuttx d’altronde. La violenza fisica e psicologica subita da A. è insostenibile, sentire la sua voce al telefono che peggiora ogni giorno fa rendersi conto della situazione. Stanno abbandonando a se stesso un ragazzino. I pochi sorrisi e cose felici che ci scambiamo per telefono, la contentezza di sentire dei fuochi d’artificio e sapere che sono per te,che qualcunx affronta la polizia lì fuori come chi è recluso affronta ogni giorno quelle merde, lottare insieme .
Sapere di qualcunx che ti porta un pacco e che è pronto ad ascoltarti come un amicx sono gesti importanti.

Importanti come un post su Facebook?
Questo non lo so, forse qualcosa è sempre meglio di niente(?). La pagina Mai più Lager ha pubblicato una foto di A. raccontando la sua storia, A. era consapevole e contento di questo, sa che è un modo di resistere , un modo di lottare. Da anarchicx priviliegiatx non lo condividiamo, ma da amici di A. e persone che vogliono il meglio per lui, siamo felici di questo.

Non ci sentiamo di screditare nessun tipo di lotta.
A. ci ha chiesto se avessi visto la foto, ed era molto contento, poi mi ha detto che se volevamo pubblicare anche noi sarebbe stato felice. Rispettiamo queste pratiche e le scelte delx opressx di lottare, ma ribadiamo che mostrare la presenza, la complicità e la solidarietà in modo concreto allx reclusx avrà sempre più forza.

A. NON SARÀ IL PROSSIMO ABEL!!
RESTIAMO VICINX ALX RELCUSX DI BARI, PARTECIPAMO AI SALUTI, ATTIVIAMOCI🐈‍⬛️!

LA FORZA PER RIBELLARSI ARRIVERÀ SOLO DA DENTRO, STA A NOI RACCOGLIERE LA LORO RICHIESTA!!
CHI È IN RIVOLTA CHIEDE IL NOSTRO SUPPORTO!
METTI IN GIOCO I TUOI DIRITTI!!!
FUOCO AI CPR
I CPR SI CHIUDONO COL FUOCO, SI CHIUDONO UNA VOLTA SI CHIUDONO DI NUOVO!

“:L’unico modo è fare come Torino…:”
“In che senso?”:
:”Col fuoco!:”
Discussione avuto con un amico recluso nel Cpr di Bari.
ARRIVERÀ IL CALDO!!
Stamattina un recluso ci ha chiamatx per dirci che stava accendendo un materasso per protesta e che se il giorno dopo il cibo non sarebbe cambiato avrebbe continuato fino a distruggere tutto. A qualsiasi ora nelle chiamate il caos e la rabbia è costante, tanto da rendere difficile la comunicazione.
CHE IL VENTO ALIMENTI IL VOSTRO FUOCO FRATELLI!🔥

AGGIORNAMENTI

Oggi più moduli ci hanno confermato delle rivolte e dei fuochi accesi. F. ci ha raccontato che dopo aver protestato nel proprio modulo è stato trasferito nel modulo 7 e lì è stato picchiato da una quindicina di persone, a detta di F. con la complicità, anzi un vero e proprio pestaggio commissionato da parte del capo dei carabinieri. È la prima volta che ci raccontano di questo ma F. è convinto che sia un modo per punire chi si ribella.  Su questo non sappiamo la verità, ma una cosa che accade spesso è che le persone con cui siamo in contatto, spesso le più ribelli, vengono spesso spostate di moduli con dinamiche non sempre chiare e questo crea delle rotture nei rapporti non indifferente, un ennesima tortura per chi si ribella! Appena possibile abbiamo deciso di portare un saluto a gli amici che ci stavano aspettando e sapevano del nostro arrivo!

Per la vostra vendetta! Per la vostra libertà!

AGGIORNAMENTI DAL CPR DI PALAZZO SAN GERVASIO

Riceviamo e diffondiamo

Nelle ultime settimane la temperatura nella campagna che avvolge il Cpr di Palazzo San Gervasio è salita di tanti gradi. La vita della stagione del pomodoro inizia a popolare i bar e la zona. Come avviene ogni anno da maggio a ottobre i mezzi militari che fendono quotidianamente il paesaggio si alternano con quelli agricoli. Il vociare dei campi e i rombi assopiscono il silenzio nel quale il Cpr è catapultato durante i lunghi inverni lucani.
L’inverno che si è appena chiuso è stato un inverno in cui la macchina della criminalizzazione ha colpito forte le aree lucane di lavoro agricolo. In particolare nel Metapontino dove sgomberi, controlli e arresti si sono ripetuti continuativamente, alcune persone residenti nei casolari o nelle zone del Metapontino sono state fermate e portate nel Cpr di Palazzo. Tra questi fermi e trasferimenti, anche quello di un signore senegalese che è rimasto per un mese nel Cpr nonostante problemi psichiatrici accertati e l’azione di denuncia delle realtà che animano la zona e lo conoscevano. Tutte azioni di sgombero e bonifica finalizzate alle campagne elettorali borghesi e all’apertura della stagione turistica.
Nell’area dell’Alto Bradano, dove si trova Palazzo San Gervasio, l’ex Tabacchificio, l’anno scorso sgomberato e per il quale quest’anno è stato pubblicato il nuovo bando di gestione, resta decadente e sotto sorveglianza H24.

Nelle ultime settimane i rapporti con il dentro sono aumentati. Si è parlato con tante persone tra cui alcune trasferite a Palazzo San Gervasio dopo le rivolte nel Cpr di corso Brunelleschi e quattro persone palestinesi.
Le persone dentro muoiono di fame. Ogni giorno il pulmino bianco che, anonimo, fa la spola dal centro cottura al cpr porta dentro pasti immangiabili con l’intento di deteriorare il corpo e l’anima delle persone.
Quotidianamente il risuono del nome Officine Sociali sui vestiti delle persone che lavorano dentro, si vede nei bar o in strada. Officine sociali, cooperativa che è in attesa dell’ufficialità del nuovo affidamento della gestione del Cpr, nonostante sia stata definita non idonea alla gestione dei centri in altre città di Italia  e nonostante Oussama Darakaoui sia morto nei primi giorni di agosto 2024 (tra il 5 e il 6) dentro quelle  mura nel pieno della gestione della stessa cooperativa.
Le guardie urlano i numeri identificativi, quando alla consegna dei pacchi chi dalla cella si affaccia sul parcheggio dove si sosta e chiede se c è un pacco anche per lui, gli urlano tu chi sei? Se in risposta viene dato il proprio nome, viene chiesto l’id. Questi, a riprova della deumanizzazione e annullamento che avvengono all’interno dei cpr.
Da due settimane un sacco trasparente con roba dentro è abbandonato davanti al muro del Cpr, il numero identificativo scritto su un pezzo di scotch carta è ancora la.
La solidarietà tra compagni di cella è forte.
Arrivera la notte, quando dalla Bradanica invece della luce dei fari da stadio, si vedrà fuoco macerie e libertà per tuttx.

In regione la repressione è forte, le notifiche continuano ad arrivare, e si continua a giocare a guardie e ladre.
Solidarietà a tuttx lx compagnx che vengono affaticatx dalla macchina repressiva, dal 4 giugno ancora più forte.

Vendetta per Ozaro, Oussama, Rabi
Vendetta per tutte le vittime di stato

DA PALAZZO SAN GERVASIO A NAPOLI: AGGIORNAMENTI SULLE LOTTE CONTRO CPR ED ESPULSIONI IN BASILICATA E AL SUD

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DA PALAZZO SAN GERVASIO A NAPOLI
aggiornamenti sulle lotte contro CPR ed espulsioni in Basilicata e al Sud + cena benefit

Il CPR (centro di permanenza per il rimpatrio) di Palazzo San Gervasio è una prigione per chi non ha  documenti europei, un luogo di detenzione prima della deportazione. È a un paio d’ore da Napoli, in provincia di Potenza e sul confine con la provincia di Barletta-Andria-Trani in mezzo alla campagna, dove diverse persone migranti lavorano come braccianti stagionali. Tra i vari CPR che ci sono in Italia (e ora pure in Albania), quello di Palazzo è particolarmente isolato, si sa poco di quello che succede dentro. È anche per questo che viene usato dallo stato come CPR punitivo: una parte dei rivoltosi che hanno fatto chiudere una sezione del CPR di Torino il 22 maggio sono stati portati proprio a Palazzo.

Il CPR di Palazzo, come tutti i CPR, è un luogo di violenza e di morte. Le poche notizie che escono parlano di abusi quotidiani da parte delle guardie e di psicofarmaci a non finire per fare star calmi i reclusi. Qui il 5 agosto 2024 perde la vita Oussama Darkaoui, massacrato dalle guardie e lasciato morire. Dopo questo ennesimo assassinio di stato, i suoi compagni di prigionia hanno dato vita a una grossa rivolta, duramente repressa.
Ma chi è rinchiuso non ha mai smesso di battersi, salendo sui tetti, evadendo e ribellandosi.

Il CPR di Palazzo, come tutti i CPR, è anche un business per chi collabora al suo funzionamento, in un territorio in cui di lavoro e di soldi ce ne sono pochi. Questi soggetti a volte esagerano persino per i tribunali borghesi: vari medici, avvocatx e la società che gestiva il cpr sono attualmente sotto processo per maltrattamenti, violenze e truffe all’interno del centro. Quegli stessi tribunali però sono molto efficaci nel reprimere chi, da fuori, tenta di rompere l’isolamento dei reclusi. Questi ultimi anni, una serie di denunce e di processi hanno colpito compagne e compagni che lottano contro il CPR di Palazzo San Gervasio, per spezzare ogni forma di solidarietà.

A Napoli la normalizzazione delle “zone rosse” trasforma alcune zone della città, come Garibaldi, in anticamere delle deportazioni nei CPR più vicini, ed espone le persone più povere e vulnerabili a controlli arbitrari sulla base del colore della pelle. Complici con chi si ribella contro il razzismo di stato, dentro e fuori dalle mura dei CPR, pensiamo che da Napoli possiamo dare un contributo per rafforzare le lotte contro il CPR di Palazzo San Gervasio e contro la macchina delle deportazioni.

Ci vediamo martedì 10 giugno ore 18,30 al terzo piano autogestito (via monteoliveto 3, Napoli) : accoglieremo dellx compagnx dalla Basilicata e dalla Puglia per una discussione sulla situazione attuale, e a seguire cena benefit.

PRESIDIO AL CPR DI TRAPANI-MILO [28 GIUGNO]

Diffondiamo da Sicilia NoBorder:

Il CPR di Trapani è un luogo di detenzione amministrativa, dove lo Stato rinchiude in gabbia le persone che non hanno il giusto pezzo di carta, per poi tentare di deportarle.

Come tutti i CPR è un luogo dove il regime dello Stato e delle frontiere si perpetua tramite la violenza e la tortura. I CPR sono galere che restano in piedi grazie all’uso quotidiano di idranti, manganelli e psicofarmaci, e in cui lo stato fa di tutto per non fare uscire le voci dellx reclusx.

Perché provare a rompere l’isolamento sotto le mura del CPR di Trapani-Milo?

Le notizie che arrivano all’esterno sono di un luogo che tenta in ogni modo di sotterrare le voci che urlano rabbia e chiedono libertà.

Nel CPR di Milo i telefoni personali sono stati sequestrati anche quando ne erano state spaccate le fotocamere e spesso viene impedito anche di usare le cabine del centro. Lenzuola e biancheria sono fatte in modo che non possano esser usate per bruciare, e se lo fanno è per poco, o per impiccarsi – è anche così che lo stato prova ad affossare ogni forma di insubordinazione o determinazione.

Questo luogo è stato teatro di numerose rivolte. Nel marzo 2023 una ribellione aveva costretto, in seguito ad un rogo, alla riduzione dei posti a 40.

A Gennaio del 2024 invece lx reclusx hanno distrutto la struttura, rendendola inagibile per circa il 90% e determinandone la chiusura.

I CPR si chiudono col fuoco dellx reclusx, con la rabbia di chi da dentro urla vendetta e diventa scheggia che si scaglia contro il potere.

In seguito alla distruzione di maggior parte della struttura, e dopo gli ennesimi lavori di ristrutturazione e ammodernamento, il CPR di Milo è tornato ad essere agibile ad Ottobre del 2024, aumentando la capienza fino a 204 posti. Le persone recluse, che in un primo momento erano una 40ina, sono presto diventate più di cento. La vicinanza con l’aereoporto di Palermo, snodo a livello nazionale per le deportazioni in Tunisia ed in Egitto, ha così permesso di far riaccendere anche a Trapani i motori della macchina che uccide, tumula e deporta le persone migranti.

Sabato 28 Giugno ci ritroveremo sotto le mura di questa prigione, in solidarietà allx reclusx e contro lo Stato che rinchiude e tortura. Nella speranza che il CPR di Milo torni inagibile e mai più in funzione, nella speranza che sbarre massicce e muri altissimi per un giorno vengano abbattute dallx reclusx e dallx solidali.

Che questa solidarietà polverizzi anche per poco la distanza che vogliono frapporci, saremo lì, perché compagnx di chi si ribella.

Dove lo stato segna confini noi sogniamo orizzonti, complici e solidali con lx reclusx in lotta

Fuoco alle galere

Freedom, Hurryia, Libertà

TORINO: AGGIORNAMENTI DA UN CPR IN COSTANTE RICOSTRUZIONE

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A Torino, in seguito all’ultima rivolta al cpr di corso Brunelleschi di venerdì 16 maggio, i tre quarti del cpr sono inagibili. L’area bianca, da cui la rivolta è partita, è bruciata interamente. Le persone che vi erano recluse hanno dovuto dormire fuori per due giorni, e sono successivamente state quasi tutte trasferite. La maggior parte, come spesso accade, è stata deportata nei cpr punitivi del sud Italia: Palazzo San Gervasio, Bari e Brindisi. Spostati come pacchi, anche chi aveva affetti e famiglia vicini, rendendogli oltretutto estremamente più difficile tenere il filo della propria difesa, e obbligandoli a cambiare avvocato da un giorno all’altro e a dover ricostruire tutto daccapo, in un nuovo lager. C’è anche chi dopo varie peripezie e un tentativo fallito di deportazione in Tunisia si trova ora al cpr di Caltanissetta. Il giovane che quella sera aveva tentato di arrampicarsi sulla rete di recinzione ed era caduto, facendosi molto male, è stato portato in ospedale solo dopo ore e ore di insistenze congiunte da parte dei reclusi e dei solidali presenti fuori dalle mura, per poi essere nuovamente recluso. Il suo tentativo di evasione e il conseguente pestaggio da parte delle guardie erano stati le scintille che avevano portato l’insofferenza dei reclusi a manifestarsi nella rivolta.

Ad oggi, nell’area blu, l’unica superstite, sono recluse 30 persone. I lavori vanno avanti nelle adiacenti aree rossa e verde e, da oggi, anche nella bianca, che potrebbero presto essere pronte. Distrutta un’area se ne appronta un’altra, un’affannosa ricostruzione ad ogni costo. Di fronte all’ormai innegabile evidenza del fallimento della gestione del centro, Sanitalia cerca di placare gli animi con vaghe promesse di miglioramenti nelle condizioni di detenzione, come quella di non trattenere più di 30 persone per area, e di portare un dentista a visitare i reclusi nelle loro celle. Ci sono però almeno quattro persone con infezioni gravi in bocca, che avrebbero bisogno di cure urgenti, e non di un dentista a domicilio. Quattro altre persone sono costrette a dormire nella mensa perché con gravi fragilità psichiche, e sono totalmente abbandonate a loro stesse, senza alcun supporto medico. C’è chi non riesce nemmeno a parlare o a fare una doccia; chi chiaramente, anche secondo i parametri di un cpr, dovrebbe essere considerato non idoneo al trattenimento.

Nelle ultime settimane non sono poi mancate le passerelle di parlamentari del PD e di figure istituzionali varie, venute a costatare che i lager funzionino ancora come dovrebbero; come se facessero un giro allo zoo, tra commiserazione e compiacimento. Proprio stamattina dei consiglieri comunali del PD in visita, preannunciati da pulizie frettolose e sguardi minacciosi atti a redarguire da eventuali lamentele, si sono permessi di chiedere ai reclusi perché non volessero tornare nel loro paese. Non si sono meritati risposta, ma si meritano invece di essere menzionati come fautori di questo infame sistema razzista che permette che le persone vengano criminalizzate, imprigionate e deportate per la mancanza di un documento in tasca, e come complici di tutte le torture che in questi lager avvengono.

E’ solo grazie al coraggio dei detenuti che emerge la verità di ciò che accade dietro alle mura di corso Brunelleschi.
Solo grazie alla solidarietà, se queste voci non vengono soffocate.

CPR MACOMER: TRASFERIMENTI AL CPR IN ALBANIA

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Ieri alle 7 del mattino sono entrati una ventina di agenti in antisommossa dentro il blocco destro e sinistro del CPR di Macomer. Hanno preso con la forza 8 persone, per trasferirle in Albania.

La macchina razzista dello Stato continua il suo sporco lavoro di deportazione. Il nuovo lager sorto in Albania, gestito dalla cooperativa Medihospes, può recludere fino a 144 persone destinate al rimpatrio.

Le deportazioni fanno ingrassare anche le pance di compagnie aeree come Aeroitalia, AirMediterranean, AlbaStar e Smartwings che organizzano appositi voli charter, lucrando sulle espulsioni e sui trasferimenti da un CPR all’altro. Per compiere quest’operazione vengono usati anche aeri di linea. Sappiamo di voli interrotti grazie alla lotta degli stessi detenuti, che sono riusciti a far bloccare la partenza una volta a bordo. Infatti, spesso, le persone oggetto di espulsione o trasferimento vengono sedate. Quindi è nostra responsabilità cercare di inceppare questo tassello della macchina razzista, nel caso dovessimo trovare degli indizi di una deportazione in atto. Di seguito alcune info utili a riguardo:

“Un aereo non può decollare se ogni passeggero non è seduto con le cinture di sicurezza allacciate.
Un modo per ritardare la partenza, chiedendo lo sbarco della persona in stato di trattenimento coatto, è rimanendo in piedi nell’aeromobile, impedendo così la partenza fino all’ottenimento della richiesta di discesa!

Se quando sali su un aereo vedi:
– Pattuglie delle forze dell’ordine fuori (affianco o difronte) dall’aereo;
– Una persona razzializzata, nera o est-europea, seduta nell’aeromobile con affianco 2 brutti ceffi;
Sappi che è altamente probabile che sia in corso una deportazione.”

RESISTERE ALLE DEPORTAZIONI: racconto in messaggistica istantanea di una deportazione bloccata

CONTRO I MILLE VOLTI DEL RAZZISMO DI STATO, BLOCCARE LA MACCHINA DELLE ESPULSIONI È POSSIBILE.

TORINO: HAMID È STATO UCCISO

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Nel primo pomeriggio di sabato 17 Maggio – mentre la città di Torino si svegliava con un’area del CPR totalmente distrutta dal fuoco dei ribelliHamid veniva aggredito, umiliato, sottoposto a violenza e arrestato da un branco indistinto e numeroso di poliziotti in Barriera di Milano: il quartiere più militarizzato e mediatizzato di Torino.

Non si conoscono con certezza i momenti che hanno preceduto il suo fermo brutale, quello che si sa – senza ombra di dubbio e senza possibile edulcorazione da parte di Procura e giornalisti- è che Hamid è stato ammanettato mentre urlava disperato: inginocchiato e schiacciato a terra con violenza da vari poliziotti. Che è stato sbattuto dalla Polizia contro la volante dove volevano farlo entrare mentre lui si dimenava terrorizzato. E che gambe e testa sono state colpite, spinte e schiacciate contro le portiere da vari poliziotti in contemporanea mentre lui lottava, urlava e chiedeva aiuto a squarciagola. Chi ha provato ad aiutarlo e a inserirsi in quella dinamica di sopraffazione ha preso insulti, spintoni, colpi e minacce da parte dei poliziotti. E porta oggi in tasca una denuncia – appena stampata – di resistenza a pubblico ufficiale e, in certi casi, tentata procurata evasione.

Un intero angolo di quartiere ha visto, nessuna riscrittura mediatica o giudiziaria della narrazione potrà coprire la verità. Tutti sanno che la Polizia ha ucciso Hamid.

Poche decine di ore dopo il suo corpo senza vita viene trovato – con il collo stretto da lacci delle scarpe – nella decima sezione del Blocco B del carcere Lorusso e Cotugno di Torino. Nessuno in quartiere, né dei suoi amici, crede che si sia ucciso per scelta. E se anche fosse: Hamid è morto di un pestaggio della Polizia nel quartiere di Barriera di Milano a Torino e poi è anche morto, come tanti, di carcere. In entrambi i casi un omicidio di Stato.

Ma Hamid non è morto “solo” di questo. Era appena stato liberato dalla detenzione in due CPR: Brindisi e poi Gjader in Albania, la nuova struttura coloniale fuori dai confini nazionali.
Sappiamo quanto piaccia alla sinistra moderata sferrare colpi retorici indignati contro il nuovo lager in terra albanese e prevediamo come – per coprire il pestaggio, la violenza del carcere e la tortura in tutti i CPR – l’attenzione verrà indirizzata verso l’inumanità del CPR oltre confine. Tocca a noi ripetere piuttosto l’ovvio: seppur un pezzo della morte di Hamid possa essere attribuita a quel lager, lui non è morto unicamente di quello. E’ stato sottoposto alla tortura sia dei lager nostrani che di quelli di forma coloniale.

La morte di Hamid ci urla e indica molti dei responsabili del razzismo strutturale e quotidiano. Racconta le sorti di chi arriva in Italia senza documenti europei e scoperchia nitidamente l’evidenza del razzismo nella quotidianità nel capitalismo contemporaneo.

Hamid è stato ucciso dai CPR, dal carcere e dai pestaggi della Polizia in strada.
Hamid è stato ucciso dal razzismo nei suoi mille volti.

ALTRO CHE GIUSTIZIA, QUI SERVE SOLO VENDETTA!

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