Diffondiamo
Sabato 7 giugno 2025
ore 18.30
Spazio Antifascista
Nuoro, vico Barisone 4
- Presentazione del blog “Rifiuti
- Aggiornamenti su prigioni sarde, cpr e repressione
- Benefit a sostegno delle lotte
Cresciamo nei terreni incolti, nelle zone asciutte e sassose, ai bordi dei viottoli
Diffondiamo
Sabato 7 giugno 2025
ore 18.30
Spazio Antifascista
Nuoro, vico Barisone 4
Condividiamo e rilanciamo l’appello (in italiano e tradotto) alla solidarietà diffusa con Paolo Todde, compagno anarchico attualmente al 30° giorno di sciopero della fame contro le condizioni detentive del carcere di Uta. Il 9 giugno alle 18.30 è stato chiamato un presidio in Piazza Costituzione (Cagliari): sempre dalla parte di chi lotta, sosteniamo Paolo e lx detenutx di Uta!
Testo in italiano
Il compagno sardo Paolo Todde, già colpito dalla repressione nella prima metà degli anni 2000 per l’inchiesta contro il vecchio FRARIA di Cagliari, attualmente prigioniero in custodia cautelare con l’accusa di rapina dal 23 ottobre 2024 e già prigioniero pochi anni fa sempre con l’accusa di rapina a mano armata, ha iniziato il 25 aprile uno sciopero della fame insieme ad altri prigionieri per protesta contro le condizioni di vita del carcere di Uta (CA). L’intervento dei garanti con le loro vuote ed inutili promesse ha fatto sì che lo sciopero collettivo venisse interrotto dopo meno di una settimana, ma Paolo ha deciso di riprenderlo da solo l’8 maggio con il chiaro intento di portarlo avanti ad oltranza.
Specifichiamo che Paolo ha più di sessant’anni e ha iniziato lo sciopero della fame partendo da un peso corporeo di soli 61kg.
Paolo condivide con noi il sogno di mille cose: una Sardegna libera, l’odio per le galere e la società che le produce e non è mai stato indifferente di fronte alle continue violenze e prevaricazioni delle forze d’ occupazione coloniali. Per lo Stato farlo tacere o eliminarlo serve da monito per chi combatte contro il sistema e per tutti i prigionieri che si ribellano alla galera. Per questo è sottoposto a continue provocazioni e infamie da parte delle guardie penitenziarie, come il blocco arbitrario della corrispondenza, l’ingresso di denaro, non permettergli di effettuare le videochiamate con la scusa che non c’è linea, portarlo con grande ritardo ai colloqui e fare cadere nei secchi in cui lava gli indumenti i libri, la corrispondenza e tutto ciò che può rovinarsi, etc.
Tutte queste violenze si aggiungono alla situazione che vivono tutti i detenuti e che Paolo denuncia da mesi. Infatti, a Uta, l’acqua non è potabile, non può essere utilizzata neppure per cucinare, dopo che l’amministrazione l’ha mescolata al cloro per eliminare il grave inquinamento da colibatteri fecali che la rende inadatta anche per l’igiene personale. Le celle sempre sovraffollate (sono rinchiusi 140 prigionieri in più della capienza massima) sono chiuse 22 ore al giorno. L’accesso alla biblioteca e al campo di calcetto sono contingentati. Le temperature estive del sud Sardegna raggiungono spesso i 43 gradi. L’assistenza sanitaria è inesistente, le provocazioni della polizia penitenziaria sono continue tanto sui prigionieri che sui loro familiari e spesso si traducono in pestaggi.
Una vita di questo genere è insopportabile per qualunque essere umano, e ancora di più per chi in tutta la sua vita non ha mai piegato la testa ed è sempre stato solidale con i nemici del sistema a partire dal Comitato di Solidarietà con il Proletariato Sardo Prigioniero Deportato oltre 30 anni fa. Paolo, come l’anarchico rivoluzionario Alfredo Cospito, ha deciso di utilizzare il suo corpo come una barricata, iniziando, a rischio della propria vita, una lotta immensa che potrà conseguire risultati solo se saremo in grado di condurre, con la stessa determinazione, una mobilitazione di solidarietà rivoluzionaria e internazionale.
Ribadendo la nostra solidarietà ed il nostro impegno ad estendere la lotta perché l’amministrazione non possa avere pace, ricordiamo ai funzionari, alla polizia penitenziaria e ai vari garanti dei detenuti tutti corresponsabili della situazione attuale che gli oppressi hanno una lunga memoria e che se a Paolo dovesse accadere qualcosa, dovranno assumersene tutte le conseguenze.
Non lasciamo solo Paolo in questa sua battaglia.
Chi volesse anche scrivergli può farlo al seguente indirizzo:
Paolo Todde
C.C. “E. Scalas”
09068 Uta (CA)
Alcuni Anarchici Sardi e altri compagni di Paolo
Text in english
CALL FOR SOLIDARITY FOR COMRADE PAOLO TODDE ON HUNGER STRIKE
The Sardinian comrade Paolo Todde, already hit by repression in the first half of 2000 for the investigation against the old anarchist social club FRARIA in Cagliari, currently in remand with robbery charge since 23 October 2024 and already arrested a few years ago with armed robbery charge, began a hunger strike on 25 April along with other prisoners to protest against the living conditions of the prison in Uta (Sardinia). The intervention of the guarantors with their empty and useless promises caused the interruption of the collective strike after less than a week. Paolo decided to resume it alone on May 8 with the clear intention of carrying it to the bitter end.
We specify that Paolo is over sixty years old and started the hunger strike with a body weight of only 61 kg.
Paolo shares with us a thousand dream: a free Sardinia, the hatred against jails and the society that produces them and has never been indifferent to the colonial occupation forces’violence and prevarications. To silence or to eliminate him for the State is a warning for those who fight against the system and for all prisoners who rebel inside prisons. For that reason he’s subject to provocations and infamies by the prison guards, such as the arbitrary block of correspondence and of the entry of money. They don’t allow him to make video calls with the excuse that there is no line, they bring him with great delay to the talks and drop his books, his letters and everything that can be ruined in the buckets where he washes clothes.
All these violences add up to the situation that all the prisoners live and that Paolo’s reporting since months. In fact, in Uta, water is not potable, it can’t be used even for cooking after the administration has mixed it with chlorine to eliminate the serious pollution from fecal colibacteria that makes it unsuitable also for personal hygiene. The always overcrowded cells (140 more prisoners than the maximum capacity of the jail are locked up there) are closed 22 hours a day. Access to the library and the soccer field are limited. Summer temperatures in southern Sardinia often reach 43 degrees. There is no healthcare and the prison police are constantly provoking prisoners and their families, and doing beatings against pridoners.
This kind of life is unbearable for any human being, and is even more umbearable for those who in their entire lives have never bent their heads and have always fight in solidarity with the enemies of the system starting from the Committee of Solidarity with the Sardinian Proletariat Prisoner Deported. Paolo, like the revolutionary anarchist Alfredo Cospito, has decided to use his body as a barricade, starting, risking his own life, an immense struggle that can only achieve results if we are able to lead, with the same determination, a mobilization of revolutionary and international solidarity.
We reaffirm our solidarity and our commitment to extend the struggle so that the administration have no peace. We remind that officials, the penitentiary police and the various guardians of the prisoners are co-responsible for the current situation and that the oppressed people have a long memory. If something will happen to Paolo, they must assume all consequences. Let’s not leave Paolo alone in this struggle.
Anyone who’d like to write to him can write at the following address:
Paolo Todde
C.C. “E. Scalas”
09068 Uta (CA), Italy
Some Sardinian Anarchists and other Paolo’s comrades
Texto en español
LLAMADA A LA SOLIDARIDAD CON PAOLO TODDE EN HUELGA DE HAMBRE
El compañero sardo Paolo Todde, golpeado por la represión a inicios de los 2000 por la operación contra el Fraria de Cagliari, actualmente en prisión preventiva acusado del atraco del 9 de octubre de 2024 (atraco a un local de apuestas en Sestu), inició el pasado 25 de abril junto a otros presos una huelga de hambre para protestar por las condiciones de vida en la cárcel de Uta (Cagliari). La intervención de los garantes (figura similar al Defensor del Pueblo), con sus promesas vacías e inútiles, provocó que la huelga se viese interrumpida al de una semana. Pero Paolo ha decidido reanudarla el sólo, a partir del 8 de mayo, con la intención de llevarla hasta el final. Señalamos que Paolo tiene 64 años y que ha iniciado la huelga de hambre con un peso corporal de sólo 61 kgr.
Paolo comparte con nosotrxs el sueño de mil cosas como una Cerdeña libre o el odio por las cárceles y la sociedad que las produce, y no ha sido indiferente frente a las continuas violencias y vejaciones de las fuerzas de ocupación colonial (colaboró con el Comite de Solidaridad con el Proletariado Sardo Deportado que prestó apoyo a presxs sardxs dispersadxs en cárceles italianas a finales del siglo XX). Para el Estado doblegarlo o eliminarlo sirve de aviso para quien combate contra el sistema y para todxs lxs presxs que se rebelan frente a la prisión. Por eso (Paolo) ha sido sometido a continuas provocaciones por parte de los carceleros, como el bloqueo arbitrario de la correspondencia o los ingresos de dinero, no permitirle hacer videollamadas con excusas, conducirle con retraso a las visitas, le han tirado sus libros y el correo a los húmedos cestos de la ropa sucia, etc.
Toda esta violencia se suma a la situación que viven los presos y que Paolo lleva meses denunciando. En Uta el agua del grifo no es potable, después de que la administración la mezclò con cloro para eliminar las bacterias fecales que impedían su uso incluso para la higiene personal, ahora no puede usarse ni para cocinar. Las celdas están superpobladas ( hay 140 presos más de la capacidad máxima de la prisión) y están encerrados 22 horas al día. El acceso a la biblioteca y al campo de fútbol se concede a cuentagotas. Las temperaturas veraniegas en el sur de Cerdeña alcanzan los 43 grados. La asistencia sanitaria es inexistente. Las provocaciones de la policía penitenciaria sobre los presos y sus familiares son constantes y a menudo se traducen en palizas. Está vida es insufrible para cualquier ser humano y lo es aún más para quien nunca ha agachado la cabeza y siempre ha luchado en solidaridad con los enemigos del sistema, empezando con el Comité de Solidaridad con el Proletariado Sardo Deportado.
Paolo, cómo el revolucionario anarquista Alfredo Cospito, ha decidido usar su vida como barricada, arriesgando su propia vida, ha iniciado una lucha que solo puede lograr resultados si nosotrxs somos capaces de llevar a cabo con la misma determinación una movilización de solidaridad revolucionaria e internacional. Reafirmamos nuestra solidaridad y compromiso para extender la lucha de modo que la administración no tenga paz. Recordamos que los oficiales, la policía penitenciaria y los diferentes tipos de carceleros son corresponsables de la situación y que la gente oprimida tiene buena memoria. Si algo le pasa a Paolo tendrán que asumir todas las consecuencias. No dejemos a Paolo solo en esta lucha.
Cualquiera que quiera puede escribir a Paolo a la siguiente dirección:
Paolo Todde
CC E. Scalas
Zona industriale Macchiareddu 19
09010 Uta (CA)
Sardegna (Italia)
Algunxs anarquistas sardxs y otros compañerxs de Paolo
**Paolo Todde es un conocido compañero sardo de 64 años. Ha participado en diversas iniciativas solidarias y en círculos antimilitaristas y anarquistas de Cagliari. En 2004 fue arrestado en relación al ataque a una sede de Forza Italia y en 2005 en la operación contra el círculo anarquista Fraria de Cagliari. En octubre de 2017 fue detenido tras un atraco a una oficina postal y desde el 23 de octubre de 2024 está en prisión preventiva por el atraco a una casa de apuestas.
Texte en français
Appel urgent à la solidariété avec le camarade Paolo Todde en grève de la faim
Le camarade sarde Paolo Todde a eté déjà frappé par la répression dans la prémiere moitié des années 2000, par l’enquête contre le vieux collective FRARIA de Cagliari (Sardaigne).
Dans les dernières années a eté accusé de braquage et a fait 4 ans de prison; maintenaint il se trouve en détention provisoire à partir du 23/10/2024, accusé d’un nouveau braquage.
Le 25 de avril il a commencé une grève de la faim avec des outres prisonners, pour protester contre les conditions de vie dans la prison de Uta (Cagliari).
L’intervention des médiateurs de la prison et leurs promesses vides et sans valeur a provoqué l’interruption de la grève collective, après moins d’une semaine, mais Paolo a pris la decision de réprendre la grève tout seul, le 8 mai, avec l’intention de le lever à outrance.
On veut préciser que notre camarade a 64 ans et quand il a commencé cette grève il ne pesait que 61 kg. Paolo partage avec nous le rève de mille choses: une Sardaigne liberée, la haine envers les prisons et la société que les produit, il n’est jamais eté indifférent face à les violences continuelles et les prévarications des forces d’occupation coloniales. Du côté du état faire taire Paolo, ou l’éliminer, serve d’avvertissement à qui lutte contre cet système et à tous les prisonniers qui luttent contre les prisons. C’est pour ça qu’il subit provocations continuelles et sales coups par les gardiens de prison, par exemple: lui bloquent la corréspondance; lui bloquent l’argent; lui bloquent les appelles vidéo sous le prétexte de l’absence de réseau; l’emmenent en retarde aux visites carcélaires, jusqu’a quand ne manquent que 10 minuts (en lieu d’une heure); pendant les perquisitions les gardens font tomber dans les seaux pour laver les habilles ses livres, sa corréspondace et tout ce que peut se ruiner etc.
Toutes ces violences s’ajoutent à à la situation que les emprisonnés vivent et que Paolo dénonce depuis des mois. En fait, l’eau n’est pas potable, on peut même pas l’utiliser pour cuisiner parce que l’administration pénitentiaire l’a melangée avec du chlore pour éliminer la forte pollution provoquée par les bactéries coli fécaux; pour ça l’eau n’est même pas utilisable pour l’hygiène personnel. Les cellules sont toujours superpeuplées (140 prisonniers en plus de la capacité maximale) et fermées 22h par jour. L’accès à la bibliothèque et au terrain de foot est accordé au compte-gouttes. Les temperatures estivales dans le sud de la Sardaigne touchent souvent les 43°. L’assistance sanitaire est inéxistante, les provocations de la police pénitentiaire sont continuelles vers les prisonniers, et ses familiares et souventelles se traduisent en tabassages.
Une vie comme ça est pénible pour n’importe qui, mais encore pire pour qui dans sa vie n’a jamais plié la tête et a eté toujours solidaire avec les ennemies du système: à partir du Comité de Solidarieté avec le Proletariat Sarde Prisonnier Deporté (CSPSPD), plus de 30 ans avant.
Paolo, comme l’anarchiste révolutionnaire Alfredo Cospito, a decidé de utiliser son corps comme une barricade. Il a mis en risque la vie, et a commencé une lutte que peut apporter des résultats seulement si on créera une mobilitation de solidarieté révolutionnaire et internationale avec la même determination.
En reaffirmant nôtre solidarieté et nôtre engagement pour élargir la lutte, avec le but de ne jamais laisser tranquille l’administration pénitentiaire, nous rappelons aux fonctionnaires, à la pénitentiaire, et aux médiateurs de la prison, tous corrésponsables de la situation actuelle, que les oppressés ont bonne mémoire et que, si jamais ça va arriver quelque chose à Paolo, ils devront s’assumer tous les conséquences.
Ne laissons pas Paolo tout seul dans sa lutte.
On peut lui écrire à l’addresse:
Paolo Todde
CC E. Scalas
Zona industriale Macchiareddu, 19
09010 Uta (CA)
Sardegna (Italia)
Quelques anarchistes et autres camarades de Paolo
Manifesti
Diffondiamo
Cara Radio Onda Rossa,
Intanto grazie per l’attenzione e per dare voce a chi, come noi, si ritrova schiacciato da questo sistema insano e inumano. Questi giorni sono molto faticosi per noi. Il caldo amplifica le sofferenze che già erano insopportabili.
Senza troppo girarci intorno, quello che vi chiediamo è di aiutarci, di rendere trasparenti questi muri, mostrando alla gente i crimini commessi da uno stato che, ipocrita, pretende il rispetto delle leggi che esso stesso vìola sistematicamente restando però impunito. Vorremmo che tutti e tutte riuscissero a capire che non c’è nulla di rieducativo nel carcere. Vorremmo che si superasse la solita narrazione della prigione che garantisce la sicurezza dei cittadini. È falso. Il carcere è criminale, criminoso e criminogeno.
Oggi in Italia vivono migliaia di persone (uomini, donne, ragazzini, perfino neonati con le loro mamme) chiuse come le bestie, in celle piccolissime nelle quali si boccheggia, buttate su brande di ferro con un foglio di gommapiuma lercia come materasso. Vivono chiuse senza servizi igienici adeguati, senza una doccia, senza un luogo sano nel quale cucinare.
Quando vedete le immagini in TV della solita rivolta o dell’ennesimo suicidio, dovete sapere che di carcere si soffre fino a diventare pazzi, di carcere ci si ammala, di carcere si muore. Fuori si vive un’immagine che, per quanto negativa, non riuscirà mai a rappresentare l’oscenità del carcere.
Qui a Regina Coeli abbiamo quasi raggiunto 1200 detenuti (a fronte di 680 posti ufficiali). Col sovraffollamento è saltato tutto: le educatrici non si vedono più, molte attività sono sospese, l’area sanitaria è totalmente inadeguata, con mesi di attesa per una visita. Anche la magistratura di sorveglianza è intasata al punto che non vengono nemmeno concessi i benefici di legge. Il vitto è disgustoso e comunque insufficiente. I lavoranti sono costretti a ridividere, i pezzetti di pollo per farli arrivare a tutti. Servono quasi ogni sera, con questo caldo, un brodo immangiabile fatto con gli avanzi dei pasti precedenti. E quando la cucina non ce la fa (sta erogando il doppio dei pasti) arrivano ranci ridicoli, con un uovo sodo o due fettine sottili di formaggio. Le persone più giovani muoiono di fame, quelle più anziane o più fragili si ammalano. L’acqua corrente è sempre più scarsa. Con quell’unico rigagnolo che c’è rimasto dobbiamo lavarci, cucinare, bere, ecc.
Oltre la metà di chi è rinchiuso qui dentro non ha soldi, quindi non si può permettere i pochi e costosi prodotti che siamo autorizzati ad acquistare dal fornitore monopolista. Così, una massa di almeno 600 persone, ogni giorno deve trovare il modo di rimediare il cibo, il sapone per lavarsi, perfino la carta igienica! (te ne danno un rotolo al mese, le guardie). Poi ci sono gli insetti che ti mangiano. Due sezioni sono piene di cimici e scabbia. I topi sono ovunque.
E poi ci sono quelle maledette gelosie. Guardate bene in carcere: le vedete? Quelle lastre di ferro nero montate davanti alle finestre delle celle. Illegali da molti anni ma mai rimosse per i costi dei lavori. Non fanno passare l’aria, non passa manco la luce. D’estate, quando ci batte il sole, si infuocano. Impazzisci. Cerchi di stare lontano da quella finestra bollente, ma la stanza è piccola, e al lato opposto c’è una porta blindata chiusa. Ti senti in trappola, appiccicato agli altri, tutti insofferenti. Ti fai aria con quello che trovi, ma l’aria è troppo calda. Intorno a te tutto è caldo, come un forno. Anche il cibo che compri si deteriora velocemente perché non c’è un frigo. È una tortura, e nient’altro. Lo stato tortura migliaia di persone. Non lo diciamo solo noi, ma le decine di sentenze della Corte Europea per i Diritti Umani.
Tra noi c’è chi reagisce con forza, sbatte sulla porta, cerca di uscire almeno nel corridoio. Chi invece si lascia andare e decide di imbottirsi di psicofarmaci, dormire e non pensare (quasi il 40% dei detenuti), chi urla, chi piange, chi prega. Potremmo raccontarvi ancora tanto, ma non basterebbe un quaderno interno! Non si tratta più di riforme, decreti o disegni di legge. Qui, ora, si stanno commettendo crimini contro l’umanità. Le persone sono sottoposte a torture, trattamenti degradanti. Qui, proprio ora c’è gente che sta morendo. E non parliamo solo dei 54 suicidi dall’inizio dell’anno, di quelle 54 vite spezzate che oggi sono un numero sui giornali, ma ieri erano reali, avevano un nome, una storia, legami affettivi polverizzati dalla galera. Parliamo anche degli oltre 300 tentativi di suicidio dichiarati dal DAP, sventati il più delle volte da altri detenuti. Parliamo anche degli altri 72 morti per malattie o cause considerate naturali, ma anche quelli sono morti in carcere e di carcere.
Qui con noi c’è un anziano nordafricano. Ha 78 anni, cammina a fatica, gira spaesato. Dopo quasi 2 mesi ancora si confonde e non ricorda la sua cella. Dobbiamo aiutarlo per tutto, ha un’autonomia molto ridotta. Abbiamo fatto di tutto per segnalarlo, non può stare qui! Siamo molto preoccupati per lui. Non vogliamo che diventi l’ennesima “morte naturale”, conteggiata cinicamente tra i numeri che non contano!
Ci sentiamo soli, esclusi da una società cieca, ma capace di catalogare, marchiare ed escludere. Non si riesce a non pensare almeno una volta a farla finita. Non vuoi soffrire più. Qualche volta reagiamo, lottiamo, cerchiamo di unirci. Ma ogni protesta è sedata, repressa. In tanti hanno paura. Dopo la prima rivolta in sesta hanno spedito 15 capri espiatori nelle carceri più remote (perfino in Sardegna) facendo perdere loro la possibilità di vedere i familiari. Nonostante ciò, e nonostante il DL sicurezza, in sole 3 settimane ben 4 sezioni sono insorte, per disperazione. Ci sono stati incendi, lanci di oggetti. Almeno una volta a settimana il carcere è invaso dal fumo acre e tossico dei roghi. Dalla settima, dove stanno chiusi 23 ore su 24 (con l’ora d’aria spesso negli orari più caldi) quasi ogni sera si sentono battiture e grida di aiuto. Sentiamo ogni giorno notizie da altri penitenziari. Viterbo, Firenze, Milano, Trani, Trieste. Stesse storie, stesse proteste. A volte siamo costretti ad urlare, fare rumore, accendere fuochi. Vogliamo farci sentire, vogliamo essere considerati vivi perché, per quanto ci vogliano zitti, fermi, passivi, noi non siamo ancora morti!
Siamo esseri umani come voi. Alcuni hanno sbagliato, altri sono innocenti, altri ancora li hanno resi “sbagliati” con leggi liberticide che hanno creato reati dove non ce ne sono.
Siamo qui, davanti a voi, dentro Regina Coeli, dove subiamo torture, maltrattamenti, umiliazioni, trattamenti degradanti. Questo succede davanti a voi, proprio adesso. Il nostro è un grido d’aiuto, aiutateci a resistere e ad esistere!
Detenuti Liberi Regina Coeli
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PRESENTAZIONE DEL DEL LIBRO ‘CARTE FORBICI SASSI’
Sfide da e contro le prigioni e il patriarcato
Questo libro è una sfida. Sfida a noi stesse nel partire da sé attraverso il racconto autobiografico di prigioniere. Sfida all’immaginario comune sul carcere femminile. Sfida alle logiche carcerarie e patriarcali. Un insieme di voci di compagne che, ognuna partendo dai suoi interessi ed esperienze personali, contribuisce alla narrazione di cosa è, oggi, concretamente, il carcere femminile, e di cosa è nello specifico per le compagne anarchiche, al fine di creare uno strumento di conoscenza che rompa l’isolamento e ci possa rendere più forti e preparate.
L’immaginario carcerario a cui abbiamo avuto più facilmente accesso attraverso preziosi racconti orali, autobiografie, analisi e forme artistiche riguarda la sua parte maschile, ma le nostre esperienze nelle istituzioni totali hanno delle specificità che è necessario nominare per non cadere nell’appiattimento attorno al soggetto maschile inteso come universale, in questa esperienza del carcere è possibile trovare la forza di affrontarlo dentro di noi con le nostre idee e il nostro amore per la libertà.
30 MAGGIO a CATANIA – L.U.P.O ORE 18
A seguire live rap by ANAFEM (queer riot rap) e PASSA
2 GIUGNO a PALERMO – Piazzetta Sant’Agata alla Guilla (Capo) ORE 16
Diffondiamo
Nel primo pomeriggio di sabato 17 Maggio – mentre la città di Torino si svegliava con un’area del CPR totalmente distrutta dal fuoco dei ribelli – Hamid veniva aggredito, umiliato, sottoposto a violenza e arrestato da un branco indistinto e numeroso di poliziotti in Barriera di Milano: il quartiere più militarizzato e mediatizzato di Torino.
Non si conoscono con certezza i momenti che hanno preceduto il suo fermo brutale, quello che si sa – senza ombra di dubbio e senza possibile edulcorazione da parte di Procura e giornalisti- è che Hamid è stato ammanettato mentre urlava disperato: inginocchiato e schiacciato a terra con violenza da vari poliziotti. Che è stato sbattuto dalla Polizia contro la volante dove volevano farlo entrare mentre lui si dimenava terrorizzato. E che gambe e testa sono state colpite, spinte e schiacciate contro le portiere da vari poliziotti in contemporanea mentre lui lottava, urlava e chiedeva aiuto a squarciagola. Chi ha provato ad aiutarlo e a inserirsi in quella dinamica di sopraffazione ha preso insulti, spintoni, colpi e minacce da parte dei poliziotti. E porta oggi in tasca una denuncia – appena stampata – di resistenza a pubblico ufficiale e, in certi casi, tentata procurata evasione.
Un intero angolo di quartiere ha visto, nessuna riscrittura mediatica o giudiziaria della narrazione potrà coprire la verità. Tutti sanno che la Polizia ha ucciso Hamid.
Poche decine di ore dopo il suo corpo senza vita viene trovato – con il collo stretto da lacci delle scarpe – nella decima sezione del Blocco B del carcere Lorusso e Cotugno di Torino. Nessuno in quartiere, né dei suoi amici, crede che si sia ucciso per scelta. E se anche fosse: Hamid è morto di un pestaggio della Polizia nel quartiere di Barriera di Milano a Torino e poi è anche morto, come tanti, di carcere. In entrambi i casi un omicidio di Stato.
Ma Hamid non è morto “solo” di questo. Era appena stato liberato dalla detenzione in due CPR: Brindisi e poi Gjader in Albania, la nuova struttura coloniale fuori dai confini nazionali.
Sappiamo quanto piaccia alla sinistra moderata sferrare colpi retorici indignati contro il nuovo lager in terra albanese e prevediamo come – per coprire il pestaggio, la violenza del carcere e la tortura in tutti i CPR – l’attenzione verrà indirizzata verso l’inumanità del CPR oltre confine. Tocca a noi ripetere piuttosto l’ovvio: seppur un pezzo della morte di Hamid possa essere attribuita a quel lager, lui non è morto unicamente di quello. E’ stato sottoposto alla tortura sia dei lager nostrani che di quelli di forma coloniale.
La morte di Hamid ci urla e indica molti dei responsabili del razzismo strutturale e quotidiano. Racconta le sorti di chi arriva in Italia senza documenti europei e scoperchia nitidamente l’evidenza del razzismo nella quotidianità nel capitalismo contemporaneo.
Hamid è stato ucciso dai CPR, dal carcere e dai pestaggi della Polizia in strada.
Hamid è stato ucciso dal razzismo nei suoi mille volti.
Diffondiamo da rifiuti.noblogs:
Poco importa se uno combatte da solo o se combattono in centomila; se uno s’accorge di dover combattere, combatte, e poco importa che abbia o no compagni di lotta. Io dovevo combattere e tornerei a farlo. (H. Fallada)
Il 25 aprile scorso i prigionieri del carcere di Uta hanno iniziato uno sciopero della fame per protestare per le condizioni di vita nel carcere, vere e proprie forme neppure tanto sottili di tortura. Tra le tante ragioni della protesta saltava subito all’occhio quella per l’acqua dei rubinetti del carcere, tanto piena di colibatteri fecali da rendere rischioso persino utilizzarla per lavarsi.
I solidali hanno subito iniziato una campagna di supporto alla lotta, sia tra i familiari dei detenuti all’esterno della prigione (che l’amministrazione carceraria ha dimostrato con modi “fisici” di non gradire), che nelle piazze di Cagliari, tanto da riuscire a far uscire la notizia dello sciopero nel maggiore quotidiano locale sardo.
Per evitare ulteriori danni all’immagine dell’amministrazione sono intervenuti immediatamente Gianni Loy, garante della città metropolitana, e Irene Testa, garante regionale (chiamati in causa nel documento dei prigionieri per la loro totale assenza), che hanno incontrato alcuni prigionieri, hanno misurato le dimensioni delle celle e hanno dichiarato alla stampa, come sempre, di essere a conoscenza da tempo della grave situazione che promettevano di risolvere nel giro di una settimana. I prigionieri hanno interrotto lo sciopero in attesa dei risultati promessi e mentre Irene Testa è tornata alla sua occupazione abituale (convegni, dichiarazioni alla stampa e totale indifferenza verso le richieste dei prigionieri), Gianni Loy è giunto addirittura (sic!) a chiedere il ripristino del reparto ospedaliero nel carcere aprendovi però finestre (sinora assenti), naturalmente chiuse da sbarre.
Ha completato l’opera l’amministrazione penitenziaria “risolvendo” il problema dell’acqua non potabile mescolandola a tanto cloro da renderla inutilizzabile anche per cucinare. Questa mossa, che ha come conseguenza principale che i detenuti con meno disponibilità economica abbiano difficoltà anche per cucinare. Noi la chiamiamo TORTURA, una tortura moderna di quelle che non lascia segni visibili, quella che alcuni sociologi chiamano “autoinflitta” perché le vittime possono pensare di esserne la causa diretta e non attribuirla a coloro che la praticano.
L’amministrazione penitenziaria supportata dai garanti (che nei giorni scorsi hanno espresso alla stampa “vivo apprezzamento” per la recente nomina di Pietro Borrutto che sostituisce Marco Porcu, di cui non sentiremo la mancanza, come direttore di Uta) ha agito tentando di dividere e scoraggiare i prigionieri in lotta ma, nonostante questo, alcuni di loro hanno ripreso e continuano lo sciopero della fame mettendo a rischio la loro vita.
Da parte nostra, oltre a ribadire la nostra solidarietà ed il nostro impegno a portare la lotta oltre le sbarre, convinti che sino a quando anche un solo prigioniero continua la lotta l’amministrazione non dovrà e non potrà avere pace, ricordiamo ai solerti garanti, corresponsabili con i loro silenzi e mediazioni della situazione attuale, che, se ad un solo prigioniero in sciopero dovesse accadere qualcosa, dovranno assumersene responsabilità ed oneri.
Ai prigionieri in lotta vanno il nostro appoggio, solidarietà e complicità.
TUTTE LIBERE, TUTTI LIBERI
CHIUDERE UTA, CHIUDERE TUTTE LE GALERE
Anarchicx contro carcere e repressione
Diffondiamo
In un clima di guerra sempre più dispiegata e di repressione che affina i suoi strumenti, il processo per la manifestazione del 4 marzo 2023 a Torino in solidarietà al compagno Alfredo Cospito e contro il 41 bis sta per iniziare.
Durante i mesi di mobilitazione in solidarietà ad Alfredo, il vero volto della democrazia si è mostrato e qualche crepa si è aperta, mostrando il 41 bis come uno strumento repressivo utilizzato per rimettere in riga i recalcitranti, una tortura a norma di legge.
Solidarietà e lotta sono gli strumenti che abbiamo per ribaltare l’esistente e per questo, alle porte dell’inizio del processo, vogliamo continuare a urlare la nostra solidarietà a chi lotta nelle galere e la nostra opposizione al 41 bis.
Contro il 41 bis, contro l’ergastolo e contro tutte le forme di detenzione.
Solidarietà ad Alfredo, Chiudere il 41 bis!
Tutti e tutte libere
24 MAGGIO
Corteo città – carcere – città
Partenza dalla stazione di Cuneo ore 15.00
1 GIUGNO
Presidio solidale al carcere di Quarto d’Asti ore 17.00
7 GIUGNO
Presidio al carcere delle Vallette
Ritrovo al capolinea del tram 3 – Torino
ore 17.00
Diffondiamo
Siamo una rete di collettivi e singole soggettività che si riunisce a Bari dall’inizio di settembre 2024 a seguito delle focose proteste accadute nelle carceri italiane nell’estate 2024. Abbiamo riconosciuto anche grazie alle loro proteste come il pugno di ferro dello stato, sta colpendo sempre più forte. Nelle carceri e nei CPR vediamo la violenza della stato nella sua forma più tangibile ma ormai anche nelle strade si vedono gli attacchi mirati a chi in questo Paese prova ad andare avanti. Ce lo stanno facendo capire bene: se hai il portafoglio pieno (e la pelle bianca) “sii felice sei a bari” altrimenti fuori.
Galere e CPR sono strutture detentive fondamentali per la continuazione e la crescita di questa società ipocrita e sbagliata. Quando sei fuori dalla “legge del momento” devi essere punitx, che tu sia un migrante o una persona trans, che il problema sia la casa o il documento… l’obbiettivo è annullarti e gli strumenti sono tanti. Affinché tu possa essere da esempio, perché la nostra libertà significa la loro banca rotta.
Ed è per questo che nasce questa assemblea: alla repressione che cresce vogliamo rispondere costruendo alleanze bastarde e complicità insolite, vogliamo far scoppiare la bolla del decoro urbano e ricolorare le strade. Vogliamo rompere l’isolamento delle persone detenute a Bari, nel carcere e nel cpr, e provare dal basso a costruire una cassa cittadina per chi viene colpitx dalla repressione.
A CHI HA UNA BOMBA DENTRO AL CUORE LIBERTÀ A TUTTX LX PRIGIONIERX – FUOCO AI CPR
Diffondiamo alcuni aggiornamenti sulla situazione del compagno Alfredo Cospito, che descrivono un evidente inasprimento delle condizioni già di per sé aberranti della reclusione in 41 bis.
Da alcuni mesi, Alfredo sta affrontando una progressiva limitazione nelle già esigue possibilità di vivibilità del regime detentivo a cui è stato assegnato dal 2022, tra cui il blocco praticamente totale della corrispondenza da/per l’esterno, l’impossibilità di accedere alla biblioteca interna (autorizzazione che Alfredo aveva avuto dalla Direzione), il blocco dei libri regolarmente acquistati in libreria tramite il carcere (come prevede il regime del 41 bis) e di altri beni, come farina o indumenti, di uso quotidiano.
Tutto ciò avviene, guarda caso, in coincidenza con la condanna in primo grado per rivelazione di segreto d’ufficio del sottosegretario alla giustizia Delmastro (proprio per la vicenda delle intercettazioni ambientali, divulgate in Parlamento da Donzelli, delle conversazioni tra Alfredo e gli altri reclusi che all’epoca facevano parte del suo “gruppo di socialità”). Altre “coincidenze” che viene da pensare possano avere il loro peso in questa vicenda sono le dimissioni a fine del dicembre scorso del direttore del DAP, Giovanni Russo, che aveva testimoniato non proprio a favore di Delmastro nel processo a suo carico e, ancora guarda caso, il ritorno al comando della sezione 41 bis di Bancali del graduato dei GOM che era stato trasferito proprio per il suo coinvolgimento nella faccenda delle intercettazioni.
Rilanciamo quindi l’appello che diffondemmo l’anno scorso in merito alla corrispondenza indirizzata ad Alfredo, come primo passo perché riacquisti incisività e costanza la mobilitazione per strappare Alfredo dall’isolamento e per continuare a lottare contro l’ergastolo e il 41 bis.
CONTINUIAMO A SCRIVERE AD ALFREDO!
È importantissimo continuare a scrivere al compagno Alfredo Cospito, tuttora in 41 bis nel carcere di Bancali (Sassari). Il lavoro certosino (e spesso francamente incomprensibile e contraddittorio) dell’ufficio censura, insieme al pressapochismo tipico delle patrie galere e all’inaffidabilità delle poste italiane (strumento sempre più spesso appannaggio esclusivo delle comunicazioni galeotte), rende fortemente consigliato l’invio della corrispondenza attraverso sistemi tracciabili quali la raccomandata (anche senza ricevuta di ritorno) o la “Posta 1”. Il tagliando e il codice di tracciabilità permettono di conoscere lo stato della spedizione e intraprendere poi l’iter burocratico per cercare di sbloccare la corrispondenza, dato che gli agenti non sempre rendono noti i trattenimenti e la posta spesso semplicemente scompare.
Invitiamo quindi tutti i solidali a scrivere e ad inviare scansione o foto dei tagliandi (o comunque dei codici di tracciabilità) alla Cassa Antirep delle Alpi Occidentali, che si incaricherà di raccoglierli e inviarli all’avvocato di Alfredo per fare i dovuti ricorsi e recuperare quante più lettere possibile.
La solidarietà è un atto concreto, non lasceremo mai Alfredo da solo nelle mani dei boia di Stato: sommergiamolo di affetto anche attraverso lettere e cartoline!
L’indirizzo per scrivergli è:
Alfredo Cospito
C. C. “G. Bacchiddu”
strada provinciale 56 n. 4
Località Bancali
07100 Sassari
Mentre per inviare le vostre ricevute: cassantirepalp@autistici.org
Contro tutte le galere!
Cassa AntiRep delle Alpi Occidentali
Riceviamo e diffondiamo:
CARTE FORBICI SASSI. Sfide da e contro le prigioni e il patriarcato
Questo libro è una sfida. Sfida a noi stesse nel partire da sé
attraverso il racconto autobiografico di prigioniere. Sfida
all’immaginario comune sul carcere femminile. Sfida alle logiche carcerarie e patriarcali.
LIBRO 222 pag, 8 euro (per le distro 5 euro) benefit prigionierx per info, copie e presentazioni: forbici @ riseup . net
Un insieme di voci di compagne che, ognuna partendo dai suoi interessi ed esperienze personali, possa contribuire alla narrazione di cosa è, oggi, concretamente, il carcere femminile, e di cosa è nello specifico per le compagne anarchiche. Vorremmo creare uno strumento di conoscenza che rompa l’isolamento e ci possa rendere più forti e preparate.
Sappiamo che non esistono ricette né verità assolute, ed è per questo che riteniamo interessante vedere il carcere femminile dagli occhi delle compagne. Perché tutte si sono opposte, in varie forme, al suo potere di coercizione, ed è lì che si capisce cos’è, non descrivendolo in sé ma guardandolo nelle forme della sua ristrutturazione di fronte alla resistenza.
Condivisione di esperienze intorno all’universo carcerario che reputiamo ancor più urgente se pensiamo alla detenzione femminile. L’immaginario carcerario a cui abbiamo avuto più facilmente accesso – attraverso preziosi racconti orali, autobiografie, analisi e forme artistiche -riguarda la sua parte maschile. Ma le nostre esperienze nelle istituzioni totali hanno delle specificità che è necessario nominare per non cadere nell’appiattimento attorno al soggetto maschile inteso come universale. Vorremmo anche andare oltre all’intendere il femminile come una semplice specificità, come se fosse una sottocategoria del genere carcere. Ci sembra invece che proprio perché nel carcere femminile sia più evidente il volto patriarcale del potere, comprendendolo si possa anche gettare luce su questo aspetto del dominio che permea anche il carcere maschile, e tutta la società occidentale.
Non è stato facile per nessuna scrivere queste parole; mettersi al tavolo e ripensare, rivivere, chiedersi di tutto quel magma esperienziale cosa potesse essere utile, cosa controproducente, cosa troppo intimo, cosa troppo banale. Questi testi sono autobiografici e parlano di momenti nelle vite di ognuna anche difficili e dolorosi; in diversi dei testi che presentiamo ciò non viene nascosto. Questo per noi è un motivo in più per trovare l’ispirazione nelle parole di chi ha attraversato la paura e l’ha saputa trasformare: troviamo doppiamente validi questi racconti perché sanno non minimizzare le emozioni difficili da vivere, quelle che ci fanno sentire deboli, e al contempo condividerle, per ricordarci che possiamo essere forti. Il fatto stesso che queste compagne abbiano deciso di scrivere questi testi per noi significa che anche attraverso l’esperienza del carcere è possibile trovare la forza di affrontarlo dentro di noi con le nostre idee e il nostro amore per la libertà.