BOLOGNA: UNA RADIO CONTRO IL CARCERE, PER CHI STA DENTRO E PER CHI STA FUORI

Diffondiamo:

Ricordiamo a tuttx la puntata di Mezz’ora D’aria in onda oggi 19 aprile alle 17.30 sulle frequenze di Radio città Fujiko (FM 103.1) o sul sito della radio.

In questa puntata aggiornamenti su cpr, deportazioni e Albania. Un contributo dal cpr di Trapani Milo. Una testimonianza su cpr e detenzione amministrativa. Info sui recenti attacchi in Francia e sulle rivolte dei giorni scorsi a Piacenza, invito al presidio del 25 aprile sotto al carcere della Dozza.

Finchè  tuttx non saranno liberx.

Ogni mese uno spazio a disposizione delle persone private della libertà a cui fare arrivare saluti, dediche ed esperienze ma anche un momento per condividere le lotte dentro e fuori.

Di seguito i riferimenti della radio, a cui potete far arrivare le vostre dediche, i vostri pensieri ed esperienze:
– contatto whatsapp e telegram per chi volesse mandare con un messaggio i propri saluti dentro: 3501550853.
– per chi volesse scriverci una mail: info@mezzoradaria.com
– Per chi invece volesse inviarci una lettera: Mezz’ora d’aria, presso Radio Città Fujiko, via Zanardi 369, 40131 Bologna.

Ricordiamo che Mezz’ora d’aria è in onda tutti i sabato pomeriggio alle 17:30 in FM 103.1

Qui si può trovare l’archivio delle puntate di questo appuntamento mensile.

PALERMO: RIQUALIFICAZIONE SIGNIFICA SBIRRI NELLE STRADE

Diffondiamo

Riqualificazione significa sbirri nelle strade, gente in galera e cpr
Parliamone insieme sabato 19 aprile in Piazza Colajanni (Palermo) ore 16.00

Palermo è cambiata molto negli ultimi anni. Il turismo ha modificato completamente molte strade e interi quartieri. Gli interventi del comune negli anni hanno sia assecondato l’ondata turistica, sia favorito progetti di cosiddetta “riqualificazione”, cioé messa a valore di aree a fini speculativi, rendendole più attraenti per nuovi abitanti frequentatori, più ricchi o comunque più decorosi e controllabili

Questi cambiamenti sono stati possibili solo grazie a un maggior controllo della popolazione, da parte degli sbirri e delle telecamere presenti ovunque. Una grossa mano è stata poi data dall’associazionismo, soprattutto di sinistra, che ha fornito la copertura ideologica e la manodopera per portare avanti buona parte dei progetti di “riqualificazione”.

Ballarò è un buon esempio di questi cambiamenti, ma nel quartiere tali dinamiche non hanno totalmente preso il sopravvento. Le diverse “comunità” riescono ancora a mettere in campo forme di abitare e vivere il quartiere resistenti al controllo dello Stato.

Recentemente il contrasto alla vendita di crack e le regolarizzazioni del mercato storico e di quello dell’usato sono state le occasioni per un rinnovato intervento statale, chiesto a gran voce dalle associazioni. Le conseguenze non sono tardate ad arrivare. Ballarò, l’Albergheria e le aree
circostanti sono infestate giorno e notte da volanti e falchi in borghese.

Negli ultimi mesi si sono succeduti numerosi fermi di polizia con arresti, trasferimenti in cpr e correlate violenze sbirresche.

Nel frattempo il governo ha messo a punto nuove norme repressive, che prevedono numerosi e nuovi reati e aumenti delle pene, insomma più carcere per sempre più persone. Il governo ha pure previsto l’apertura di nuovi cpr, centri per il rimpatrio, cioè luoghi dove rinchiudere le persone prive di permesso di soggiorno prima di deportarle.

Queste misure, quindi carcere e cpr, andranno a colpire anche la gente di Ballarò, soprattutto chi sarà ritenuto un ostacolo ai cambiamenti in corso.

E’ il momento, per chi non vuole lasciare tutto in mano a politicanti e sbirri, di prendere la parola e cercare i modi per auto-organizzarsi.

NUOVA PUBBLICAZIONE: “NON SIAMO STATI NOI AD ASSASSINARE PUIG ANTICH” DEI GRUPPI AUTONOMI RIVOLUZIONARI INTERNAZIONALISTI

Riceviamo e diffondiamo

Gruppi Autonomi Rivoluzionari Internazionalisti
NON SIAMO STATI NOI AD ASSASSINARE PUIG ANTICH

Titolo originale: NO FUIMOS NOSOTROS QUIENES ASESINAMOS A PUIG ANTICH
(Grupos Autónomos Revolucionarios Internacionalistas)
Prometeo Ediciones, primavera 2024.

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Per tradurre un libro editato in una lingua diversa occorrono energie e tempo, è necessario quindi dare un senso perchè questa energia e questo tempo non siano sprecati.
Le parole danno un significato all’agire (anche se spesso l’azione si spiega da sola) che è essenziale per costruire la propria forma di e nel mondo. Le parole da sole non sono sufficienti per comprovare la pratica dell’utopia.
Le parole ci aiutano però a non dimenticare, a far conoscere la nostra storia, la storia dei vinti quando a scrivere la Storia sono i vincitori, la storia delle e degli audaci, di coloro i/le quali azzardano e arrischiano, che lanciano il cuore oltre l’ostacolo. Perché come è apparso sulle colonne de «l’anarchie»: La vita, tutta la vita, è nel presente. Aspettare è perderla.
In queste pagine parleranno i GARI e i prigionieri accusati di far parte dei GARI, come sempre nelle nostre pubblicazioni abbiamo voluto dare risalto alla testimonianza diretta per non travalicare l’esperienza soggettiva del percorso individuale di chi ha voluto intraprendere la propria rivolta contro il Sistema; da qui lo sciopero della fame di quarantatré giorni visto con gli occhi di chi lo ha intrapreso, benché contrario a tale pratica,  come unica possibilità per sottrarsi alle continue umiliazioni ci ha riportato alla mente la vicenda di Alfredo Cospito e dei suoi centoottanta due giorni  di sciopero della fame. Ci ha ricordato che dobbiamo avere fiducia nella capacità di auto-critica di chi lo inizia, come hanno ludicamente dimostrato i compagni dei GARI nella Lettera da Fresnes.
Inoltre ci sembra interessante affrontare la questione del terrorismo, questo mostro spaventoso che solo al sentirlo nominare ci azzittisce atterrite dalla paura dei nostri pensieri. In questo testo troverete una visione differente da quella che apparirà nei libri della Collana La vita non attende di prossima uscita, tratti da Programma della fazione terroristica di Narodnaja Volja e da La lotta terroristica (Morozov 1880).
Come anarchiche non abbiamo risposte certe ma solo una selva di punti interrogativi. Ognuna cercherà le proprie risposte e speriamo che nel farlo la terra ci tremi sotto i piedi.

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Dal prologo di Francisco Solar
Carcere di La Gonzalina – Rancagua
Gennaio 2024

Se stiamo parlando di espressioni di solidarietà rivoluzionaria, solidarietà incentrata sulla liberazione dei compagni imprigionati, è impossibile non citare l’interessante e particolare attività dei Gruppi di Azione Rivoluzionaria Internazionalista (GARI).
Costituito appositamente per sostenere e solidarizzare con i prigionieri del Movimento di Liberazione Iberico (MIL), ha realizzato molte azioni su larga scala per far conoscere e denunciare il brutale trattamento riservato dalla dittatura franchista a questi combattenti imprigionati, che comprendeva anche la pena di morte, come nel caso di Salvador Puig Antich.
Pertanto, l’esperienza di GARI è inseparabile da quella del MIL, dove molti dei suoi membri entrarono a far parte del primo, dando continuità ad approcci e pratiche basati sulla lotta. Così, il modo in cui i membri incarcerati del MIL hanno inteso la solidarietà con i compagni incarcerati, che si riflette in: “[…] l’intensificazione della lotta per distruggere il sistema che genera la repressione è il modo migliore per sviluppare la solidarietà dei rivoluzionari con i prigionieri” , è diventato parte costitutiva delle idee che hanno dato contenuto alle azioni del GARI. Tuttavia, mentre continuare a colpire il potere sarebbe stata la forma più appropriata di solidarietà, che indubbiamente caratterizzava questo gruppo internazionalista, tutta la loro attività ruotava intorno ai prigionieri del MIL. Tutte le loro azioni erano in diretta relazione con la realizzazione di una solidarietà rivoluzionaria che irrompesse con forza sulla scena sociale europea e diffondesse in questo modo la situazione dei compagni imprigionati e la brutalità esercitata dagli ultimi anni del regime di Franco. L’obiettivo era chiaro: evitare le condanne a morte di diversi prigionieri e ottenere la liberazione dei militanti del MIL.
La vita dei GARI fu breve ma di notevole intensità. Scossero la tranquilla normalità di Paesi come l’Olanda, il Belgio e la Francia con ordigni esplosivi, mirando fondamentalmente agli interessi spagnoli. La maggior parte delle loro azioni ottenne, per la loro ampiezza e particolarità, una grande copertura mediatica che, in parte, permise di far conoscere la realtà affrontata dax  prigionierx rivoluzionarx e di generare, in una certa misura, sostegno alla campagna internazionale per la loro liberazione.
L’assassinio di Stato di Salvador Puig Antich da parte della vile garrota segnò un prima e un dopo per l’ampio movimento antifranchista e, in particolare, per l’attività del GARI, con l’entrata in gioco di un fattore decisivo: la vendetta.
L’esecuzione del compagno, lungi dal provocare l’immobilismo dei membri del GARI, costituì una chiara chiamata all’azione che completò e intensificò la lotta per la liberazione dei membri del MIL. La rabbia e l’impotenza si trasformarono rapidamente in attacchi energici contro gli interessi spagnoli, dando un segnale di risposta immediata all’aggressione ricevuta.
Le azioni incorniciate dalla vendetta di Puig Antich riflettono, da un lato, la reazione quasi istintiva dei compagni, che decidono di contrattaccare, e dall’altro la capacità di portare a termine attacchi potenti e immediati, dando un chiaro segno di forza.
Rispondere, vendicare, ripagare ogni aggressione da parte del Potere significa affrontare la guerra in prima persona, significa farsi carico della complessità del conflitto e significa anche saper prendere la parola, capire che non si è spettatori e che le situazioni non sono inavvicinabili.
Sono state queste idee a dare contenuto alle azioni vendicative del 2019 a Santiago [Cile] per le quali sono stato condannato e per le quali sono stato rinchiuso per diversi decenni. Nonostante siano passati vent’anni, il vile assassinio della compagna Claudia López è stato vendicato con una potente esplosione che ha scosso la stazione di polizia dei Carabineros, utilizzata come centro di pianificazione e protezione quella notte del settembre 1998, ferendo diversi poliziotti. Così come gli assassinii e le ondate repressive protette e promosse dall’ex ministro degli Interni Rodrigo Hinzpeter hanno avuto una risposta che ancora oggi tiene in allerta i rappresentanti del potere.
La vendetta, quindi, si inscrive all’interno delle pratiche politiche offensive, dando loro senso e contenuto, costituendo un motore che spinge l’azione vendicativa. Strettamente legata alla memoria, ha la capacità di trovare il momento giusto per entrare in scena, a volte immediatamente, a volte nel corso degli anni. L’importante, ovviamente, è che diventi presente.
In questo senso, la vendetta, oltre al fatto concreto che rappresenta, contiene una dimensione simbolica rilevante nella misura in cui dà conto di un universo di codici condivisi che danno coesione, rafforzano e danno continuità a un determinato gruppo. Non lasciare impunito l’omicidio dex compagnx, praticare la solidarietà rivoluzionaria con x nostrx prigionierx, fanno parte di quell’impalcatura storica che ci permette di continuare a stare in piedi e di non vivere esclusivamente nei libri di storia come molti vorrebbero.
La comprensione della lotta in questo modo spazza via ogni forma di delega che mette nelle mani di terzi la speranza di prendere in mano la situazione.
I GARI non si sono costituiti per ordine di alcun partito o sindacato, né per direttive o mandati di alcun tipo. Ciascuno dei suoi membri, molti dei quali provenienti dal MIL, decise liberamente di dare vita a questo gruppo con lo scopo di sostenere attivamente x proprix compagnx di prigionia. Pertanto, fin dalla sua genesi, l’autonomia è stata un fattore fondamentale che ha determinato ogni loro decisione, che ha dato loro il dinamismo e la flessibilità che ha permesso di adattare le loro pratiche a situazioni e contesti specifici.
Sono stati, in misura maggiore o minore, la continuazione dei MIL, portando avanti l’“intensificazione della lotta per distruggere il Sistema che genera la repressione”, come modo più appropriato e coerente di praticare la solidarietà con x rivoluzionarx imprigionatx, un approccio sviluppato dai MIL, adottato dai GARI e, successivamente, anche da Action Directe.
Questa posizione rompe radicalmente con il vittimismo che generalmente caratterizza la solidarietà con x detenutx, anche quelli che si dichiarano attivx e militantx, ed è per questo che è fondamentale conoscerla e tenerla in considerazione oggi, dove le pratiche assistenziali sono sempre più ricorrenti, dimenticando o tralasciando il fatto e le motivazioni che hanno portato x nostrx compagnx in carcere.

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SOMMARIO

Comunicati
SUL SEQUESTRO DI ANGEL SUAREZ[I]
SUL SEQUESTRO DI ANGEL SUAREZ [II]
SUL SEQUESTRO DI ANGEL SUAREZ [III]
SUL SEQUESTRO DI ANGEL SUAREZ [IV]
COMUNICATO STAMPA INVIATO A «LIBERATION»
PER QUANTO RIGUARDA GLI ARRESTI    “IL CASO SUAREZ”.
ALCUNE PRECISAZIONI POLITICHE SU QUELLO CHE NON È UN FATTO DI INTERESSE GIORNALISTICO
LA SOLIDARIETÀ IN AZIONE.
TELEGRAMMA ALLE AUTORITÀ SPAGNOLE
18 LUGLIO DEL 1974
MI CHIAMO MARIA, ABITO A LOURDES E QUESTA NOTTE ASPETTAVO CHE MI PORTASSERO IN CIELO
LETTERA APERTA A «LA DE PECHE DU MIDI»
ULTIMO COMUNICATO STAMPA
IL NOSTRO E’ TERRORISMO?
AUTODISSOLUZIONE DEI GARI
ELENCO DEI SOGGETTI INCRIMINATI (O IN FUGA)

Testi dei gruppi che parteciparono ai gari
DICHIARAZIONI
A «LIBERATION»
DOBBIAMO ULULARE CON I LUPI
IL SEQUESTRO DEL PRINCIPE DELLE ASTURIE
A COSA VI RIFERITE QUANDO PARLATE DI VIOLENZA GRATUITA?
6 GENNAIO DEL 1975
22 APRILE 1976
23 APRILE 1976
TESTO DI UN GRUPPO CHE PARTECIPO’ AI GARI
LETTERE DALLA PRIGIONE
LETTERA DAL CARCERE DE LA SANTE’
NON SIAMO STATI NOI AD ASSASSINARE PUIG ANTICH
SECONDA LETTERA DALLA PRIGIONE DEGLI ACCUSATI DEL GARI
LETTERE DEI PRIGIONIERI DEI GARI DAL CARCERE SULLO SCIOPERO DELLA FAME
LETTERA DA FRESNES
LETTERA DALLA PRIGIONE DI SAINT-MICHEL
LETTERA DEI PRIGIONIERI PER UN NUOVO SCIOPERO DELLA FAME
LETTERA A UN GIUDICE APOLITICO E INDIPENDENTE
LETTERA DEI PREGIONIERI POLITICI DI LA SANTE’

Appndice
IL M.I.L. E LA RESISTENZA ARMATA IN SPAGNA
COMUNICATO PER GLI ARRESTI DOPO IL RILASCIO Dl SUAREZ. – N. 1
COMUNICATO PER GLI ARRESTI DOPO IL RILASCIO Dl SUAREZ. – N. 2
GRUPPI D’AZIONE RIVOLUZIONARIA INTERNAZIONALISTA COMUNICATO STAMPA DEI GRUPPI AUTONOMI INVIATO A «LIBERATION»
DOCUMENTI RELATIVI ALL’ARRESTO Dl COMPAGNI DEL GARI

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pagine 124
formato 12×16,5 cm
1 copia 6 euro
dalle 4 copie 5 euro
spese di spedizione 1,50 euro piego di libri
pacco tracciabile 5 euro
per informazioni: tremendedizioni@canaglie.org


“E sarà terribile la Federazione del Dolore”

CATANIA: SALUTO AL CARCERE DI BICOCCA

Riceviamo e diffondiamo

CU’ CICCÀTI? (A CHI CERCATE?)

CATANIA, 13 aprile – SALUTO AL CARCERE DI BICOCCA.

Domenica sera il silenzio assordante che circonda l’Istituto penitenziaro Bicocca di Catania è stato rotto dalle grida dellx solidali che a gran voce hanno urlato solidarietà e vicinanza alle reclusx.

Si è poi saputo che in mattinata tre ragazzi a Palermo erano riusciti ad evadere dall’Istituto minorile, il Malaspina. Uno dei tre che è stato ricatturato, rimesso in cella ha provato a dargli fuoco, si è rivoltato contro i guardiani e inferto tagli su sé stesso.

Non sappiamo altro che questo: che tentare di evadere, distruggere la propria cella, ferirsi sono gesti per provare a difendersi la vita mentre ci si ritrova sepoltx in una condizione inumana.
Una condizione in cui, da quando il Decreto Caivano è in vigore, ci stanno finendo sempre più giovanx. E col dl sicurezza questa cosa aumenterà.

I giornali poi dicono che sono stranieri. I minori stranieri in carcere ci finiscono molto più facilmente, anche e soprattutto come sola custodia cautelare. Nelle carceri siciliane vivono condizioni particolari di inferno, anche per il razzismo dei guardiani.

Il Malaspina, sta dentro la città. Il minorile di Catania, quello con più posti della regione, sta invece in periferia, nella zona industriale, in mezzo al nulla. E’ all’interno del complesso penitenziario del Bicocca.

Il carcere di Bicocca è di quelli che isolano del tutto lx detenutx. Un posto poco raggiungibile, sovraffollato (185 detenutx su 136 posti disponibili in regime di AS3) ed un solo muro di cinta divide la struttura per adulti in massima sicurezza da quella per minori. Dentro quelle mura esterne, si trovano così, separati ma assieme, anime che condividono, sotto regimi diversi, la stessa tortura, quella dello stato. E su cui lo stato vorrebbe marcare a sangue lo stesso perenne presente come destino, senza possibilità di uscita. Il dl sicurezza con il reato di rivolta e l’introduzione delle “condotte di resistenza passiva” lo mostra chiaramente.

Il numero degli agenti della penitenziaria supera quelli previsti, chiaro segnale che quei luoghi vengono tenuti in piedi dalla repressione che stato e guardie riversano sullx detenutx.

Lx reclusx, al nostro arrivo, hanno fatto delle battiture, sventolato le fiammelle degli accendini, urlato dei cori, provato ad interagire con lx solidalx.

“A cu’ ciccàti?”> – sono le parole che unx ha urlato dalla finestra. Significa “chi cercate?”. Si stava preoccupando di capire chi in caso andare a chiamare, pensando che i nostri cori fossero rivolti solo a quel qualcunx.

Ci piacerebbe abbracciarlx, per ringraziarlx della solidarietà e dell’umanità del suo gesto, per dirgli che non eravamo lì per qualcunx, ma per ognunx di loro, eravamo lì per lxi, per tuttx.

Ci siamo lasciatx con dellx compagnx che urlavano “torneremo”, siamo sicurx che sarà così.

Anche per questo ci vediamo il 15/04 a Piazza Castello: per immaginare e costruire solidarietà per tuttx lx reclusx, dalle carceri ai CPR!

MORTE ALLO STATO
MORTE ALLO STATO DI POLIZIA
MORTE ALLO STATO DI GUERRA

CAGLIARI: SOLIDARIETÀ AI PRIGIONIERI DEL CARCERE DI UTA

Riceviamo e diffondiamo:

PER PAOLO, PER JOAN E PER TUTTX I/LE DETENUTX. FUOCO ALLE GALERE!

TORTURATI FINO ALLA MORTE

Ti costringono, per 22 ore al giorno, a stare chiuso con altre tre persone che non hai mai visto prima (talora provocatori messi con te dall’amministrazione per renderti la vita ancora più complicata) in una stanza di 10 mq; non hai l’acqua calda per lavarti e ti viene impedita la cura dell’igiene personale; il cibo è poco e fa schifo, se vuoi comprarlo lo devi pagare due o tre volte il prezzo di mercato; l’acqua non è potabile ma se vuoi bere senza ammalarti devi comprarla; se fa freddo non puoi riscaldarti e, se fa caldo, non esiste modo per rinfrescarsi, la tua cella raggiunge anche i 43ºC; soprattutto alle ragazze non è permesso uscire dalla cella in canottiera e/o pantaloncini; se stai male, se non ti aiutano i tuoi compagni di cella, nessuno ti soccorre; se finisci in ospedale i parenti ti possono visitare solo se ogni giorno passano prima dall’amministrazione per chiedere l’autorizzazione; gli unici farmaci che vengono somministrati sono il paracetamolo per qualsiasi patologia e il rivotril per rimbecillirti; se hai disturbi psichiatrici vengono ignorati anche se sei pericoloso per te stesso e per gli altri; se sei italiano e ti lamenti le botte sono date con crudeltà, se sei straniero e ti lamenti potresti sparire nel nulla senza che nessuno sappia più niente di te; ogni tanto entrano nella tua cella con la scusa di una perquisizione e casualmente le cose che ti sono più care, libri, lettere e fotografie, cadono nel secchio pieno d’acqua in cui lavi la roba; i tuoi parenti vengono sottoposti a continue pressioni, devono fare ore di fila in qualunque condizione meteo e subire diverse vessazioni nella speranza di poterti incontrare in una sala in cui sono presenti tante altre persone nelle medesime condizioni, i pacchi che ti mandano vengono frequentemente respinti, il cibo che ti mandano adulterato e spesso ti portano al colloquio in ritardo cosicché l’ora a cui avresti diritto si riduce a 10 minuti; non puoi avere un minimo di privacy con un* compagn*. Quelli che sono veramente suicidi dopo una vita di inferno di questo tipo non possono essere considerati tali.

ACCADE A UTA

Secondo dati ufficiali, nel periodo tra il primo gennaio 2025 ed oggi, il carcere di Uta è al primo posto in Italia per il numero di suicidi e per proteste mediante sciopero della fame e/o della sete, al quinto posto per i tentativi di suicidio, al nono per gli atti di autolesionismo. Responsabile di tutto questo sono lo Stato italiano e i politici di ogni colore; il direttore Marco Porcu, la responsabile sanitaria Marina Rocca, i garanti Irene Testa e Gianni Loy, gli sbirri e i sindacati che li proteggono; gli indifferenti, quelli che si girano dall’altra parte pensando che la dignità di un uomo possa essere calpestata, umiliata e annullata da qualcuno a cui viene delegata ogni autorità per difendere l’ingiustizia di un sistema di assassini.

CHIUDERE UTA, CHIUDERE TUTTE LE GALERE, TUTT* LIBER*

Anarchic* contro carcere e repressione

FORLÌ: PRESIDIO AL CARCERE LA ROCCA

Diffondiamo:

Domenica 13 aprile ore 16.30

La legge è la legge dei padroni, la guerra è la guerra dei padroni!

Contro la repressione del dissenso, contro la militarizzazione delle nostre vite, contro il modello-Israele di società militarizzata che si sta diffondendo anche nelle città italiane (zone rosse, varchi, controlli), con la resistenza palestinese nel cuore!

Ci ritroviamo in via F.Corridoni, per rompere uno dei meccanismi chiave del carcere, l’isolamento di chi è ingabbiatx. Il governo Meloni, come quelli che l’hanno preceduto, considera le persone in galera degli scarti umani da eliminare, addirittura il sottosegretario alla giustizia, Andrea Delmastro “gode nel vederli soffocare”.

Il DDL1660 che il governo vuole approvare è studiato, oltre che per reprimere sul nascere ogni ribellione sociale e dare più potere alle forze di polizia, anche per infierire sulle persone recluse (galere, centri per minori, CPR, REMS) affinché anche il più elementare segno di resistenza sia duramente punito: perfino la protesta pacifica, perfino lo sciopero della fame!

SALUTO AL CARCERE DI TARANTO

Diffondiamo:

“Un manicomio di pazzi” così, il SAPPE nel 2018 definiva il carcere di Taranto.
“Un vero e proprio manicomio con detenuti pazzi con licenza d’uccidere poiché tanto non pagheranno nulla”, così continuava nella sua orribile descrizione.
Questi “pazzi” secondo il sindacato sarebbero la causa dei continui disordini che si registrano nel carcere di Taranto, uno tra i carceri di grandi dimensioni più affollati d’Italia, con 940 detenut* su una capienza di 500, di cui 720 definitiv*, costrette a scontare lunghe pene in condizioni di disagio.

Dal 2018 ad oggi non è cambiato molto, neanche le scuse usate dalle istituzioni per giustificare le condizioni disumane delle galere. Una relazione del Procuratore Generale della Corte d’appello di Lecce evidenzia come il sovraffollamento non è il problema principale, ma lo sarebbero appunto i cosiddetti pazzi dal Sappe. L* detenut* affett* da disturbi psichiatrici sono 52 secondo il report e l* detenut* in affidamento al serd intramurale, poiché (ex)consumatori di sostanze, sono 258.
Dal report sappiamo anche che dal 1 luglio 2023 al 20 giugno 2024 non si sono verificati suicidi ma ci sono stati ben 27 tentati suicidi, 18 aggressioni ai secondini e 12 risse tra detenut* e qui sentiamo un’ altra lagna dal sindacato: “Per la capienza regolare della struttura (500 posti) servirebbero 349 guardie, il personale in servizio attivo per 940 detenut* invece raggiunge solo 311 e, ancora più importante, l’età media è di 46 anni… chiedetevi: perché nessun* vuole fare l* sbirr*?

Hanno distrutto un territorio, il bello che è rimasto stanno cercando di svenderlo come stanno provando a fare col fiume Tara, dove l’Acquedotto Pugliese vuole costruire un “impianto di dissalazione delle acque salmastre delle sorgenti del fiume Tara” vendendolo come un progetto che porterà acqua potabile a 385.000 persone, ma che sappiamo bene che porterà solo speculazione e distruzione.
Siamo tossic*, delinquent* e pazz* per colpa vostra, siamo malat* per colpa vostra: secondo un report scientifico del 2020 pubblicato su Nature nel 2024, I bambini di età compresa tra 6 e 11 anni identificati nei comuni di Taranto/Statte avevano una prevalenza statisticamente significativa più alta di bambin* affett* da autismo (ASD) rispetto ai bambin* di altri comuni.

I risultati osservati in questo studio sono indicativi dell’associazione tra la vicinanza residenziale alle strutture industriali che emettono inquinanti atmosferici (Ilva) e una maggiore prevalenza di ASD.
Speriamo ci saranno sempre meno sbirri per le vostre carceri e purtroppo, tra zone rosse e repressione in aumento, ci saranno sempre più pazz*, tossic* e delinquent* in quei posti, le vostre carceri crolleranno e noi speriamo di essere ancora lì fuori a supportare chi si rivolta e combatte per farle crollare.
Per questo, la sera del 28 marzo, un gruppo di solidali ha voluto portare un po’ di sana pazzia fuori dal carcere di Taranto, con cori,fuochi e un piccolo discorso si è sovvertita la monotonia e distanza che regna sovrana nei luoghi di detenzione.
Un’ immediata risposta è arrivata dall’interno con cori e battiture, abbiamo sentito la gratitudine dellx reclusx che ci hanno anche avvisatx dell’arrivo delle guardie data la loro posizione di maggiore visibilità. Il loro calore ci ha ricordato ancora una volta quanta potenza, vicinanza e complicità può esplodere con un gesto così piccolo come un saluto.

Solidarietà a l* compagn* fermate e denunciate a Taranto la notte tra il 12 e il 13 marzo.
Tutt* Liber*
Pazz*, tossic* e delinquent* a volte anarchic

MAPPE DELLA DETENZIONE, MILITARIZZAZIONE E REGIME DI FRONTIERA IN SICILIA

Diffondiamo da Sicilia No Border:

SICILIA: UNA COLONIA PENALE E MILITARE, AVAMPOSTO DELLA FORTEZZA EUROPA

In Sicilia, l’apparato tecno-militare-carcerario è parte centrale di un’espropriazione estrattivista di stampo coloniale che da più di un secolo impoverisce e mette costantemente in pericolo chi vi è natx o abita. Questa terra insulare, resa zona di frontiera anche dalla Fortezza Europa, è sempre più un luogo in cui continuare a impiantare l’industria più tossica (petrolchimici e affini), e la sua versione apparentemente green (distese di pannelli solari e pale eoliche), nonché tanti avamposti militari.
L’apparato tecno-militare-carcerario si legittima in Sicilia da un lato come una rara opportunità di lavoro, venendo fatto entrare tramite stage e interventi “educativi” nelle scuole pubbliche o nascondendosi come intervento umanitario (come nel caso dell’indotto lavorativo prodotto dalle cosiddette emergenze sbarchi) e, dall’altro, come veicolo di modernizzazione, anche attraverso una rappresentazione della “mafia” come presunto tratto culturale del popolo siciliano (e non un prodotto preciso dell’agire sinergico e complice di imprenditori e pubblici ufficiali, ovvero di capitalismo e stato nazionale).
La crescente criminalizzazione e detenzione di coloro che vengono considerati come “pericolosi” e portatori di “degrado” (sex worker, ambulanti, giovani delle periferie, ecc.) favorisce inoltre un’altra grande forma di sfruttamento di quest’isola: la sua turistificazione. Le speculazioni sui centri urbani (Palermo, Catania e Siracusa in primis), sulla costa (si pensi a Marzamemi, Taormina o Cefalù) e nei paesi in montagna e campagna (es. le Madonie, il siracusano), aumentano gli affitti e rendono impossibile continuare a vivere per abitanti sempre più impoveritx, espulsx, sfrattatx, incriminatx. In questo senso, l’eventuale costruzione del ponte sullo stretto si configura come un’ulteriore arma di questo attacco, poiché al di là dello sventramento della terra dato dai lavori, aumenterebbero i turisti, il traffico delle merci e anche l’operatività della NATO, che già sta usando la Sicilia per permettere il genocidio in Palestina e le altre guerre.

E’ per questo che militarizzazione, detenzione e confinamento vanno letti e combattuti assieme. Con questi presupposti, qui potete trovare una mappa sui luoghi della detenzione, del confinamento e della militarizzazione legata alla NATO e alla occupazione statunitense in Sicilia. Aprendola troverete  informazioni più specifiche ma, come indicazioni di base, sappiate che in:

  • nero sono indicate le case circondariali e di reclusione per maggiorenni,
  • arancione le strutture detentive per minori,
  • blu le REMS,
  • verde i CPR e i CPRI,
  • rosso gli hostpot,
  • rosa i Centri di prima accoglienza,
  • giallo la sede della polizia europea di frontiera FRONTEX,
  • viola le basi e gli avamposti logistici della NATO e dell’esercito statunitense.

Alcune di queste strutture (CPR/I, Hotspot, CPA) sono espressione diretta del razzismo coloniale del regime europeo di frontiera, ovvero volte al confinamento di persone perché migranti e povere. La criminalizzazione specifica di cui sono oggetto le persone migranti e non (abbastanza) bianche si rivela anche nelle carceri e negli istituti per minorenni: le persone migranti in prigione sono proporzionalmente molte di più (17% della popolazione detenuta, a fronte di un 10% rispetto a quella abitante in Italia).
Lo stato opera poi una differenza tra i cosiddetti detenuti normali e quelli considerati come più pericolosi, esposti a regimi di detenzione ancora più duri. La maggiore pericolosità sociale viene attribuita a chi si organizza con altrx (reati associativi) o a chi viene rappresentato come un “barbaro” “arretrato” (mafiosi, trafficanti, ecc.) autore di “reati” efferati. Questo nasconde la natura politica della criminalizzazione: non è giustizia, ma una vendetta dello stato la scelta di seppellire in carcere chi si ribella alle oppressioni sistemiche e alla violenza guerrafondaia e razzista in cui siamo immersx; punire chi  lavora per la mafia, rappresentandoli come demoni vuol dire celare che in Italia la mafia è un prodotto del capitalismo di stato; il cosiddetto traffico o favoreggiamento dell’immigrazione “clandestina” non esisterebbero se tuttx fossero liberx di muoversi e sostare.
In tutte queste galere, l’oppressione legata all’appartenenza di classe e di genere, nonché all’orientamento sessuale, si amplifica e impatta in maniera diversificata le condizioni di vita, i vissuti di violenza e abuso a cui si è espostx.
È necessario essere consapevoli di come lo stato, differenziando i trattamenti, tenta di creare divisioni, ma tutto il sistema penale va abbattuto, in qualsiasi forma questo si presenti e in qualsiasi modo tenti di legittimarsi.
Nel 2022, nelle carceri siciliane sono “state suicidate” dallo stato 11 persone (in totale 85 in Italia) e vi sono stati 5 tentativi di suicidio negli istituti penali per minorenni (12 in Italia). Nel 2023 sono state invece 8 le persone “suicidate” nell’isola. In altri termini, le carceri siciliane si distinguono anche per la violenza che vi viene esercitata e le molteplici forme di autodifesa che vengono dispiegate.
Nelle carceri e nei CPR si susseguono rivolte, scioperi della fame, tentativi di evasione, che ne compromettono il funzionamento. A chiunque è detenutx vanno dedicate le azioni e pensieri di chi si trova fuori.

 

NUOVA PUBBLICAZIONE: ALCUNI SCRITTI SU KAMINA LIBRE. IDENTITÀ IRRIDUCIBILI DI UNA LOTTA ANTICARCERARIA

Diffondiamo

È uscito il libro “Alcuni scritti su Kamina Libre, identità irriducibili di una lotta anticarceraria”. Il libro, nato dalla tesi di laurea del compagno prigioniero Francisco Solar e poi ampliato, racconta l’esperienza del collettivo di prigionieri Kamina Libre nato nel 1995 nel carcere di Santiago del Cile, che per anni ha portato avanti uno scontro permanente all’interno del Carcere di Alta Sicurezza (CAS) cileno fino ad ottenere il “ritorno in strada” di tutti i suoi membri. La prima presentazione è avvenuta all’interno della sedicesima Tatoo Circus benefit per prigionier* a El Paso (Torino). Nella discussione di sabato 15 l’esperienza di lotta del Kolektivo Kamina Libre tra gli anni Novanta e i Duemila nelle carceri cilene è stata messa a confronto con altre esperienze di lotta dei/delle detenuti/e, come la COPEL in Spagna negli anni Settanta, per riflettere da differenti prospettive sull’autorganizzazione dei/delle prigionieri/e e sul rapporto dentro-fuori dalle mura del carcere. Perché parlare di Kamina Libre oggi? Come espresso da Francisco nella sua prefazione al testo “l’esperienza di Kamina Libre ci mostra l’importanza di portare avanti un atteggiamento combattivo in carcere, di portare avanti in modo autonomo giornate di lotta al suo interno, così come di generare legami di complicità con ambienti solidali, sostenendo una pratica reale di attacco. Scrivere oggi di Kamina Libre significa parlare di scontro e autonomia”.

Dall’introduzione italiana:

Identità irriducibili. Contributo alla traduzione italiana

Oggi attraversiamo un momento cruciale della situazione giuridica del compagno Marcelo Villarroel Sepúlveda nelle carceri cilene, da qualche mese è iniziato un ricorso per cercare di annullare le condanne inflitte dalla giustizia militare durante il periodo di Pinochet che persistono sul compagno.

Marcelo fu arrestato per la prima volta nel novembre 1987, all’età di 14 anni, accusato di aver svolto attività di propaganda armata contro la dittatura all’interno di un liceo di Santiago e per la sua militanza nel MAPU-LAUTARO, un’organizzazione politico-militare marxista-leninista attiva contro la dittatura di Pinochet e nella successiva transizione democratica. Nel 1992 venne di nuovo arrestato dopo due anni di clandestinità nei quali fu ricercato sempre per la sua militanza nel MAPU-LAUTARO, che intanto, dopo la fine della dittatura di Pinochet nel 1990, aveva deciso di continuare la lotta armata “contro il riposizionamento capitalista mascherato da democrazia”. L’operazione antiterrorismo coinvolse trenta agenti e culminò in uno scontro armato che procurò a Marcelo tre ferite di arma da fuoco. Nel 1994 fu inaugurato in Cile il regime di alta sicurezza nel quale Marcelo fu trasferito insieme ad altri 33 prigionieri. In questo primo periodo di detenzione a partire dal 1995 prese parte al Kolektivo Kamina Libre. Successivamente è stato accusato di aver preso parte alla rapina al Banco Santander del settembre 2007 a Valparaíso e alla rapina al Banco Security dell’ottobre 2007 a Santiago, durante la quale l’agente Luis Moyano è morto in una sparatoria. Dopo un periodo di clandestinità, Marcelo fu arrestato il 15 marzo 2008 insieme a Freddy Fuentevilla a Neuquen, in Argentina. Furono poi estradati in Cile il 15 dicembre 2009. Il 2 luglio 2014 il tribunale cileno lo ha condannato a 14 anni di carcere per le due rapine, successivamente si sono poi aggiunte altre accuse, arrivando a un totale di 46 anni di carcere:

-Associazione terroristica: 10 anni e 1 giorno.
-Danneggiamento di un’auto della polizia con gravi lesioni ai carabinieri: 3 anni + 541 giorni.
-Coautore dell’omicidio qualificato come terrorista: 15 anni e 1 giorno.
-Furto con intimidazione, legge 18.314: 10 anni e 1 giorno.
-Attentato esplosivo contro l’ambasciata spagnola: 8 anni.

Lo Stato, i suoi meccanismi ideologici e il capitale tentano ancora una volta di seppellire le fila del movimento combattente, di fare calare il silenzio sui contenuti politici, le scelte di lotta e i decenni di tradizione rivoluzionaria. Compagni in ogni dove (Cile, Italia, Grecia, Spagna ecc…) hanno dedicato, oggi come ieri, la loro vita alla lotta contro l’oppressione per costruire un mondo di uguaglianza e libertà, assumendosi le responsabilità e compiendo scelte che hanno portato alla prigionia o alla morte, dando anima, corpo e pensiero alla causa rivoluzionaria. Tali scelte sono parte integrante di una continuità storica insurrezionale che mantiene viva nei nostri cuori e nelle menti la visione della rivoluzione sociale.

Esportare l’isolamento

Già da fine Ottocento le polizie europee stavano cercando un coordinamento per reprimere il movimento anarchico (le leggi antianarchiche approvate a partire dal 1890 in vari Stati europei e la sistematizzazione della pratica della schedatura politica prendendo a modello la polizia asburgica ne sono un esempio), oggi siamo davanti a una vera e propria globalizzazione della repressione e della controrivoluzione. In questo contesto di coordinamento repressivo tra Stati, l’Italia si sta ponendo come modello nella differenziazione carceraria e nell’isolamento dei prigionieri. Soltanto nell’ultimo anno le democrazie francese e cilena hanno avviato interlocuzioni con i professionisti dell’antimafia e dell’antiterrorismo italiani per esportare nei loro paesi, entrambi attraversati negli ultimi anni da un forte livello di conflittualità sociale, il modello del 41bis.

“Al mattino il Ministro Darmanin e la delegazione sono stati ricevuti alla casa circondariale di Roma Rebibbia dalla capo Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria facente funzioni, Lina Di Domenico, e guidati dal Direttore del Gom – Gruppo operativo mobile, hanno visitato la sezione destinata ai detenuti sottoposti al regime del 41bis. […] A seguire, hanno incontrato il Procuratore Nazionale antimafia, Giovanni Melillo, presso Palazzo Farnese, sede dell’ambasciata di Francia.”[1]

Secondo le dichiarazioni di Darmanin la prima struttura di alta sicurezza ispirata al modello italiano dovrebbe essere completata a fine luglio 2025, con almeno altre due a seguire negli anni successivi. Se in Francia il 41bis è tornato solo oggi un tema della discussione politica nazionale, giustificato anche in questo caso dalla lotta alle mafie e al narcotraffico[2], da oltre un anno nel nuovo Cile democratico di Boric è in corso un dibattito sull’opportunità di implementare il regime del 41-bis, nel contesto più ampio di una riforma della gendarmeria e del regime penitenziario. Per il procuratore nazionale cileno Angél Valencia “È importante guardare all’esperienza italiana, gli italiani hanno ottimizzato i loro sforzi per combattere la criminalità organizzata, hanno creato nuove carceri rispettando gli standard europei sui diritti umani”[3]. Nel settembre 2024 l’ambasciata d’Italia a Santiago ha organizzato un incontro per presentale alla Corte costituzionale cilena il modello del 41-bis e la sua storia[4], tenuto dal Professor Antonello Canzano dell’Università Roma Tre il quale ha sottolineato come la sua genesi si trovi in ben trent’anni di storia repressiva dello Stato italiano.

“Questo quadro non è il risultato di un singolo intervento, ma di una graduale evoluzione normativa nel corso di 30 anni, continuamente adattata in base alla sua efficacia”, ha affermato il professore durante la sua esposizione in Aula, al termine della quale si è generato un interessante dialogo in chiave comparata a cui hanno partecipato anche i ministri Miguel Ángel Fernández, Nancy Yáñez, Héctor Mery e Marcela Peredo. Ampia attenzione è stata dedicata al cosiddetto “modello italiano” di lotta al crimine organizzato, di cui parte integrante rappresenta il regime speciale di detenzione previsto dall’articolo 41bis dell’ordinamento penitenziario italiano, volto a neutralizzare la possibilità che gli autori di reati più gravi, soprattutto legati alla criminalità organizzata, possano condurre attività illecite dal carcere.”[5]

La visita di Canzano in Cile, lungi dall’essere un evento isolato è stata preceduta pochi mesi prima da quella del magistrato Giovanni Tartaglia Polcini, Consigliere del Ministero degli affari Esteri e vicedirettore del programma europeo EL PACCTO 2.0[6], il programma europeo di cooperazione con il Sud America per la lotta alla criminalità organizzata, non a caso con L’Italia come paese coordinatore. Degna di menzione è anche la nuova legge antiterrorismo cilena approvata a inizio febbraio 2025, più “moderna, efficace e democratica” che andrà ad ampliare il reato di associazione terroristica, permettendo la detenzione anche in assenza di reati specifici per chi all’occorrenza ne sarà considerato membro o anche solo “finanziatore” di un’associazione terroristica, andando a colpire in maniera più efficace anche la solidarietà fatta di benefit per i prigionieri.

L’inasprirsi delle tensioni internazionali, sociali e politiche dovute alla tendenza alla guerra e alle contraddizioni insite a questo sistema capitalista richiedono agli Stati un’azione sempre più preventiva, una contro-insurrezione in assenza di insurrezione, per garantire la tenuta del fronte interno in un periodo storico in cui il recupero delle lotte da parte dello Stato portato avanti tramite welfare e piccole concessioni non è ormai più sostenibile. Il carcere distilla “la quintessenza delle pratiche repressive legate alla ristrutturazione sociale e politica, in forme più palesemente autoritarie (quelle più asettiche dell’UE e quelle più becere dei sovranismi nazionali sono equivalenti da questo punto di vista, si vedano le politiche antimmigrazione e la propaganda di guerra in corso) in un occidente che ancora non si capacita di essere in piena crisi e cerca con una mano di arginare con manie securitarie le falle di una nave che affonda e con l’altra di arraffare quanto più possibile per riempirsi le tasche prima del naufragio.”[7] È in questo contesto che la guerra sul fronte interno si allarga e accelera il consolidamento di un diritto penale del nemico, con gli ultimi sviluppi repressivi come il DDL 1660 in Italia il quale prevede l’introduzione del reato di “terrorismo della parola”, fino ad ora non codificato ma comunque utilizzato nelle varie operazioni repressive contro la stampa anarchica come Sibilla e Scripta Scelera. Il DDL 1660 non si risparmia inasprimenti di pena anche sul fronte del carcere, aumentando le pene per rivolte e prevedendo un’aggravante per il reato di “istigazione a disobbedire alle leggi” se il fatto è commesso “all’interno di un istituto penitenziario o a mezzo di scritti o comunicazioni diretti a persone detenute”[8].

I regimi di alta sorveglianza e di isolamento diffusi nel mondo, con apice nel 41bis, puntano a rompere la solidarietà tra il dentro e il fuori del carcere e tra gli stessi prigionieri attraverso la differenziazione carceraria, anche per questo riteniamo che sia importante tornare a riflettere sulle esperienze di chi, come il Kolektivo Kamina Libre, sia sotto la dittatura, sia nel periodo di transizione alla democrazia, ha continuato a lottare sia all’esterno che all’interno del carcere contro l’oppressione e per una società radicalmente diversa, rompendo la divisione dentro/fuori per ottenere il ritorno in strada dei suoi membri, ma anche inserendosi, con le riflessioni sui prigionieri sociali, in un dibattito che in quegli anni sembrava schiacciato dall’opposizione prigionieri comuni versus prigionieri politici.

Marcelo Villarroel in strada!

Tuttx liberx!


Indice:

-Identità irriducibili
-Intervento di Claudio Lavazza per l’edizione in italiano
-Nota delle Ediciones Abandijas
-Come prologo
-Prologo II
-Introduzione
-Antecedenti generali
-Organizzazione ed espressione nel carcere di alta sicurezza
-L’uso del corpo come simbolo di espressione
-Conclusioni
-Allegati
La gabbia d’oro
Gli echi delle eliche
Pensando, pensando
La lotta dentro e al di fuori
Intervista a Kamina Libre
Detenuti sociali
-Alcuni poster e immagini
-Bibliografia
-Qualche domanda a Marcelo Villarroel
-Poche parole su Edizioni El Buen Trato
-Contributo di Marcelo Villarroel alle Edizioni El Buen Trato

Totale 210 pagine

Per contatti: presospolitico@anche.no

[1] https://ambparigi.esteri.it/it/news/dall_ambasciata/2025/02/italia-francia-nordio-incontra-lomologo-darmanin-3-febbraio/

[2] https://www.lefigaro.fr/actualite-france/gerald-darmanin-justifie-les-prisons-haute-securite-pour-les-narcotrafiquants-pour-affirmer-l-autorite-de-l-etat-20250203

[3] https://www.emol.com/noticias/Nacional/2024/04/22/1128642/carcel-italianas-modelo-chile-crimen.html

[4] https://ansabrasil.com.br/english/news/news_from_embassies/2024/09/06/italy-and-chile-united-in-the-fight-against-organised-crime_3ef7f9a4-9206-42ac-9a7b-3d89dad8b577.html

[5] https://ambsantiago.esteri.it/it/news/dall_ambasciata/2024/09/lambasciatrice-valeria-biagiotti-e-il-professor-antonello-canzano-in-visita-protocollare-al-tribunale-costituzionale/

[6] https://iila.org/it/al-via-la-seconda-fase-del-programma-el-paccto-di-lotta-alla-criminalita-organizzata-transnazionale-panama-11-13-marzo-2024/

[7] https://lanemesi.noblogs.org/post/2025/02/03/anna-beniamino-fisiopatologia-del-mostro-carcerario-veleni-e-antidoti-ottobre-2024/

[8] Opuscolo “Lo Stato è guerra. Il Fronte interno della guerra. Diritto penale del nemico”

TRENTO: STECCO CONDANNATO A 3 ANNI E 6 MESI

Diffondiamo

Ieri [il 21 marzo] si è svolto, presso il tribunale di Trento, il processo di primo grado contro il nostro amico e compagno Stecco, accusato di aver favorito la latitanza dell’amico e compagno Juan e di aver contraffatto dei documenti di identità. Stecco è stato condannato – con rito abbreviato – a 3 anni e 6 mesi di carcere (una pena più alta di quella chiesta dallo stesso PM). Questa sentenza sembra decisamente un monito: chiunque aiuti fuggiaschi e latitanti, la pagherà cara. La condanna di ieri fa il paio con il dispiegamento davvero impressionante di uomini e mezzi che ha portato all’arresto dello stesso Stecco. Su quest’ultimo aspetto, per come emerge dai faldoni dell’operazione “Diana”, uscirà una sintesi di ciò che è utile che compagne e compagni sappiano dell’armamentario del nemico.

Fuori dal tribunale, si è svolto un presidio di solidarietà con Juan e Stecco, in particolare contro l’ennesima imposizione della videoconferenza.

Questo il volantino distribuito:

Un calcolo sbagliato

Questo è il tuo segreto, Butch. Continuano a sottovalutarti.

Pulp fiction

Oggi il nostro amico e compagno Stecco (in carcere a Sanremo) è a processo qui a Trento perché accusato di aver fabbricato dei documenti falsi per un altro nostro amico e compagno, Juan (in carcere a Terni), quando quest’ultimo era latitante. La cosa in sé non richiede grandi parole. Se Stecco ha fabbricato quei documenti, ha fatto bene, perché servivano ad evitare il carcere a un compagno ricercato. Sottrarsi alla polizia politica è una necessità che accompagna da sempre chi lotta per la libertà e per la giustizia sociale. La differenza è che oggi – con la fine dell’“asilo politico” su cui hanno potuto contare per decenni gli esuli e gli oppositori, e il drastico aumento delle forme di controllo tecnologico – è sempre più difficile riuscirci. Una volta introdotti, i dispositivi di sorveglianza possono colpire chiunque (come si è visto, su scala di massa, con il green pass), per cui è necessario non farsi abbindolare dai pretesti con cui vengono giustificati.

Oggi Stecco non sarà fisicamente in aula perché gli è stata imposta la videoconferenza. Quest’ultima, un tempo riservata ai detenuti in 41 bis e poi agli accusati di “terrorismo”, dal Covid in poi è stata estesa praticamente a tutti i prigionieri. In tal modo, il detenuto non può vedere facce amiche in tribunale, non può difendersi adeguatamente (il confronto con l’avvocato avviene solo per telefono) e può dire la sua solo se il giudice non decide di premere un pulsante e tagliare il collegamento audio e video. Nemmeno l’inquisizione era riuscita a far sparire il corpo e la voce degli accusati. Quello di risparmiare sulle spese di trasferimento dal carcere al tribunale è uno sfacciato pretesto: ci sono detenuti che vengono portati in altri carceri dotati dei collegamenti per la videoconferenza invece di essere portati direttamente nei tribunali della stessa regione. Se poi – questa è la tendenza – in futuro le sentenze verranno stabilite dagli algoritmi, le macchine giudicheranno degli umani che aspetteranno la loro sorte dietro gli schermi: un indubbio risparmio di tempo e di carta. Al totalitarismo non si arriva mai tutto d’un colpo, né è mai esistito un potere che affermi di perseguire dei fini apertamente malvagi. La guerra viene promossa in nome della “pace”; la repressione si chiama “sicurezza”; chi si ribella è un “terrorista”.

C’è però un aspetto con cui Stato, padroni e tecnocrati non hanno fatto i conti: la variante umana. Questa si esprime in mille modi: i corpi dei detenuti che si prendono lo spazio con le proteste e le rivolte; i disertori che si rifiutano di diventare carne da cannone; le disfattiste e i disfattisti che sabotano la macchina della guerra; i lavoratori e le lavoratrici che scioperano; il popolo palestinese che resiste. Il prigioniero palestinese Anan Yaeesh (in carcere insieme a Juan), accusato di “terrorismo” da uno Stato italiano complice del sistema genocida israeliano, ha scritto in una sua commovente dichiarazione di sentirsi privilegiato, lui chiuso in una cella, rispetto al suo popolo costretto a vivere tra le macerie, sotto le bombe, senza acqua né elettricità; un popolo imprigionato in un campo di concentramento high tech, ma che la strapotenza israeliana non riesce a domare.

Se i partigiani palestinesi sono “terroristi”, allora diventa motivo di orgoglio essere inquisiti per “terrorismo”, come la polizia politica e la Procura stanno facendo per l’ennesima volta contro anarchiche e anarchici trentini (tra cui Stecco e Juan).

Lo sbaglio dei potenti è pensare che lo spirito di rivolta e l’umano gesto di rifiuto possano essere previsti e impediti dalla smisurata potenza di calcolo delle loro macchine.

Libertà per Juan e Stecco

Basta videoconferenza, vogliamo vedere i nostri compagni in aula!

Con Gaza nel cuore, contro guerra e repressione

anarchiche e anarchici