CUNEO: CORTEO SOLIDALE  CON I BRACCIANTI E I MIGRANTI IN LOTTA 

Diffondiamo:

Ad Alba, nelle ricchissime Langhe, decine di lavoratori agricoli continuano a non avere un tetto sotto cui dormire a pochi giorni dall’inizio della vendemmia. E’ una storia che si ripete identica in molti distretti agricoli, e la provincia di Cuneo è uno degli esempi più lampanti delle contraddizioni insite nella produzione agroindustriale, come da anni dimostrano le vicende della vicina Saluzzo. Per questo domani 19 agosto saremo in piazza al fianco di questi lavoratori, per chiedere ancora una volta casa e documenti per tutt, dal Piemonte alla Puglia.

[fonte fb: comitato lavoratori delle campagne]

BORGO MEZZANONE: BRACCIANTI IN SCIOPERO

Diffondiamo dalla pagina del Comitato Lavoratori delle Campagne:

Oggi il ghetto di Borgo Mezzanone, il più grande d’Italia, è stato bloccato da uno sciopero dei braccianti! Nessuno è andato a lavorare e i lavoratori gridano che vogliono documenti, case, contratti! Solo la lotta paga!

Comunicato dei braccianti in sciopero il 10 agosto: Vogliamo le case, non ci danno neanche i containers!

Siamo le persone che abitano nel “ghetto” di Borgo Mezzanone. Alcuni di noi vivono qui da tempo, altri sono arrivati da poco. Molti di noi lavorano in agricoltura, e da anni ci organizziamo in autonomia per avere una vita migliore. Siamo scesi in strada tante volte, abbiamo alzato la voce e trovato il modo per farci ascoltare, perché non accettiamo che la nostra vita dipenda da un documento, perché non è giusto essere sfruttati mentre molti fanno i loro interessi e si arricchiscono alle nostre spalle: i padroni, chi costruisce i campi dove viviamo, chi li gestisce, chi decide le politiche migratorie e spesso anche le organizzazioni che dovrebbero difenderci, come i sindacati.

Oggi 10 agosto manifestiamo davanti ai cancelli del CARA, il centro per richiedenti asilo costruito qui a Borgo Mezzanone nel 2005, nel quale si trova anche la sede della Commissione Territoriale per il diritto di asilo: un luogo importante per molti motivi. In questo campo nel 2021 sono stati installati decine di nuovi containers con i fondi della regione Puglia, che dichiarava di voler combattere lo sfruttamento e dare un posto migliore in cui vivere a chi stava nel ghetto. Oltre al danno, la beffa: quei container, che altro non sono che un nuovo ghetto, sono pronti all’uso, ma sono vuoti da due anni, mentre nelle scorse settimane decine di persone hanno perso la casa per gli ennesimi incendi divampati nel ghetto. Tutto questo proprio nel periodo di massimo affollamento dell’anno, quando sta per iniziare la raccolta del pomodoro.

Come ripetiamo da sempre, la vita nei centri di accoglienza e nei campi di lavoro non è la vita che vogliamo, tantomeno se dobbiamo vivere nelle tende o nei container, che non sono case vere, ma solo strutture precarie che arricchiscono che le costruisce e chi le gestisce, dove non siamo liberi e veniamo isolati. Lo sanno bene tanti di noi che vivono dentro il campo: il cibo è estremamente scadente, ci sono pochi posti e i container sono sovraffollati, ci sono pochissimi bagni e le condizioni igieniche, soprattutto d’estate, sono pessime. Abbiamo già protestato in prefettura e con la cooperativa che gestisce il campo molte volte per denunciare queste condizioni, ma poco o nulla è stato fatto. Nel frattempo, ci sono circa 130 nuovi container chiusi da anni, che potrebbero, nell’immediato, migliorare le condizioni soprattutto di chi ha perso la casa. Ma anche aprirli a fine agosto, come ha promesso il Prefetto di Foggia, sarebbe comunque troppo tardi. Non vi sembra assurdo? A noi sembra un’ingiustizia che non possiamo accettare.

Inoltre, come è ormai noto, il governo ha destinato più di 53 milioni dei fondi del PNRR al comune di Manfredonia per l’eliminazione del ghetto di Borgo Mezzanone e per trovare soluzioni abitative alternative per i lavoratori agricoli. A gennaio è stato firmato l’accordo per il progetto, che però ripete il solito copione e propone soluzioni inaccettabili: da un lato realizzare “foresterie” (cioè nuovi “campi”), dall’altro riadattare le borgate della bonifica o della riforma agraria, facendo una distinzione tra lavoratori stagionali e stanziali, come se la precarietà di vita e di lavoro a cui siamo costretti fosse una nostra scelta. Ignorando gli innumerevoli fallimenti di esperienze simili nel passato, si intende usare ingenti quantità di denaro pubblico (e quindi anche i nostri) per questioni che competerebbero ai datori di lavoro. Come se non bastasse, il governo non ha dato alcun segnale sull’approvazione di questo e degli altri progetti presentati dai comuni della provincia, e la scadenza era il 30 giugno: che fine faranno tutti questi soldi?

Già lo scorso 6 marzo eravamo scesi in strada a Foggia per chiedere chiarezza immediata alla prefettura sull’utilizzo di questi fondi e sottolineare l’inefficacia delle soluzioni proposte, e ci era stato risposto che era ancora tutto fermo. Quel giorno abbiamo protestato anche contro i ritardi e i dinieghi della commissione territoriale, ricevendo la promessa di velocizzare i tempi delle risposte e di favorire la regolarizzazione. Ma oggi abbiamo anche nuovi motivi per protestare: con l’approvazione del decreto “Cutro”, le possibilità di avere riconosciuto un permesso di soggiorno si sono ulteriormente ristrette, mentre si parla di fare entrare 400 mila lavoratori con i decreti flussi nei prossimi 3 anni. E per chi è già in Italia e magari è costretta a lavorare “in nero” perchè irregolare, solo silenzio e baracche, rischiando ogni giorno la vita sul lavoro, per strada e anche nei luoghi in cui viviamo.

Vogliamo un cambio di rotta immediato da parte della commissione territoriale, delle questure e del governo: non possiamo continuare ad attendere mesi e mesi per un documento o un appuntamento, ed è impressionante la gran quantità di esiti negativi alle domande presentate, anche quando soddisfano i già ristrettissimi criteri della legge. Contribuiamo in maniera decisiva all’economia di questa provincia e del paese ma non ci è concesso avere case normali in cu vivere. L’unico vero modo per farla finita con ghetti e caporalato, come dicono istituzioni e giornali, è darci un documento e rispettare i contratti collettivi che prevedono casa e trasporto per gli stagionali.

Per questo siamo qui davanti oggi: pretendiamo risposte precise e urgenti dal presidente della Regione, dal Prefetto e quindi dal Governo per quel che riguarda le case e i documenti.

Chiediamo quindi:

– Apertura immediata dei nuovi container per le persone che ne hanno necessità, a prescindere dal loro status giuridico e dal possesso di un documento. Nel frattempo, continuiamo a pretendere case per tutti;

– Che la commissione territoriale riduca i tempi di attesa e che rilasci pareri positivi a chi fa richiesta di protezione, considerando le condizioni di vita e di lavoro che da anni siamo costretti a sopportare;
– Un riscontro urgente, da parte dell’ente gestore, a seguito della denuncia della situazione all’interno del CARA.

Infine vogliamo chiarezza dalla Prefettura e dal Governo sui tempi e le modalità di realizzazione del progetto PNRR. Non accetteremo l’ennesima speculazione, siamo noi a dover decidere cosa farne. Le soluzioni di cui si parla in nessun modo possono essere costituite, ancora una volta, da centri di accoglienza, tendopoli o campi container. Nessuna persona dovrebbe vivere per strada, in un ghetto ma neanche in una tenda o in un container.

Tutt dobbiamo essere liberi di circolare liberamente, di scegliere la vita che vogliamo, liber da sfruttamento e violenza in tutte le sue forme, compresa quella istituzionale.

Per questo, oggi come ieri, non ci stanchiamo di ripetere che pretendiamo documenti e case per tutt subito e condizioni di lavoro che ci facciano vivere bene.

TORINO: CORTEO E ASSEMBLEA NAZIONALE CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI TORINO E LA GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI

Diffondiamo:

Sabato 1º luglio alle 17 a Torino – Piazza Castello – corteo nazionale per mobilitarci tuttə insieme contro CPR, detenzione e contro tutte le frontiere!

Il 2 luglio invece a Porta Palazzo, dalle 11, assemblea nazionale.

Piu info qui:

CORTEO E ASSEMBLEA NAZIONALE CONTRO LA RIAPERTURA DEL CPR DI TORINO E LA GESTIONE DEI FLUSSI MIGRATORI

STATO D’EMERGENZA ANTI-MIGRANTI

Il governo Meloni ha dichiarato “lo stato di emergenza su tutto il territorio nazionale a seguito dell’eccezionale incremento dei flussi nel Mediterraneo”. Avrà una durata di sei mesi e sarà sostenuto da un primo finanziamento di cinque milioni di euro che presumibilmente verranno utilizzati per dar vita a un centro per il rimpatrio dei migranti (Cpr) in ogni regione.

Link: https://www.osservatoriorepressione.info/migranti-governo-dichiara-lo-demergenza/

TORINO: CORTEO CONTRO CARCERE E CPR

Dopo le forti rivolte che hanno infiammato il CPR di Torino Sabato 4 e Domenica 5 Febbraio ci è stato confermato, da chi è ancora recluso dentro, che la maggior parte delle aree sono inagibili. La capienza totale del centro è stata drasticamente ridotta dal fuoco.

Di sei sezioni detentive solo l’area Verde rimane interamente aperta con circa 25 persone recluse all’interno. Nell’area Blu, ulteriormente distrutta durante le rivolte, rimangono recluse 11 persone fra la saletta della mensa e l’unica stanza rimasta agibile.
Tre persone sono state ricoverate in ospedale per i violenti pestaggi provocati da polizia, carabinieri e guardia di finanza intervenuti per cercare di sedare le rivolte.
Dalle testimonianze che abbiamo raccolto un gruppo di reclusi è stato trasferito in carcere in flagranza di reato a causa delle identificazioni avvenute da parte dei “charlie” che hanno riconosciuto i colpevoli degli incendi e grazie anche ai riconoscimenti video del sistema di sorveglianza attivo all’interno del centro.

Dopo aver sequestrato 28 persone in un magazzino del CPR per quasi 24 ore e aver lasciato altri a dormire per terra nelle stanze adibite a mensa senza materassi ne coperte, sono iniziati i trasferimenti.
In pochi sono stati rilasciati con decreto di espulsione dal territorio italiano, mentre la maggior parte sono stati trasportati nel CPR di Macomer in provincia di Nuoro.
In particolare 25 persone, prelevate in due tranche nella notte fra il 6 e il 7, sono partite alle 8 di mattina dal CPR di Torino su un pullman della polizia verso l’aeroporto di Milano per poi atterrare in Sardegna ed essere condotte a Macomer.
Dai racconti dei reclusi emerge che il CPR sardo è ancor più degradante di quello torinese. Una struttura simile ad un carcere di massima sicurezza. Le celle sono “lisce”. Un letto, un tavolo e nessuna coperta. Le sezioni sono interrate – una costante dei centri detentivi dell’isola – e divise in blocchi da otto persone. Una cella da quattro e due da due. Non esiste socialità esterna tra blocchi diversi e la possibilità di contatto con gli altri detenuti è impossibile.

Nelle giornate del 7 e dell’8 ci hanno testimoniato da dentro che sono continuati i prelevamenti improvvisi delle persone nelle stanze ed i successivi trasferimenti, a quanto pare, sempre in direzione di Macomer.
Chiunque si sia opposto al trasferimento è stato pestato malamente dalla polizia.

In questi ultimi giorni le deportazioni sono continuate prevalentemente verso Marocco, Tunisia ed Egitto con trasferimenti che hanno coinvolto dei piccoli gruppi di persone, a volte anche solo una persona come il caso di un ragazzo egiziano deportato la scorsa notte. Secondo le testimonianze, durante le deportazioni le persone vengono prelevate con violenza dalla polizia e sedate con un’iniezione in infermeria prima di partire.
La nuova regola vigente all’interno del CPR di corso Brunelleschi è che nessun recluso può utilizzare i propri soldi liquidi se non attraverso un conto interno, rendendo ancor più limitato l’acquisto di qualsiasi cosa.
Limitando inoltre anche la possibilità di comprare delle schede telefoniche e quindi raccontare all’esterno cosa accade.
Le comunicazioni sono ulteriormente impossibilitate dalle guardie che spesso interrompono fisicamente le chiamate.

Domenica 5 febbraio dopo la rivolta:
Troviamoci in strada in solidarietà ai reclusi al fianco dei rivoltosi

DOMENICA 12 FEBBRAIO CORTEO CONTRO CARCERE E CPR

Ritrovo in piazza CLN ore 14.30

SEMPRE AL FIANCO DI CHI LOTTA PER DISTRUGGERE LA PROPRIA GABBIA.

CONTRO OGNI FRONTIERA
FUOCO AI CPR
TUTTǝ LIBERǝ

PADOVA: GIUSTIZIA PER OUSSAMA. CORTEO CONTRO IL RAZZISMO ISTITUZIONALE E GLI ABUSI DELLA POLIZIA

28 GENNAIO 2023 – ORE 14.00 CONCENTRAMENTO ALLA STAZIONE CENTRALE DI PADOVA

Oussama Ben Rebha aveva 23 anni, dopo un fermo di polizia, il suo corpo è stato raccolto dalle acque del Brenta senza vita.

Appello per una mobilitazione nazionale contro il razzismo istituzionale, gli abusi di polizia, i cpr, per chiedere verità e giustizia per Oussama e per tuttə.

striscione a Bologna

CONTRO PATRIARCATO, RAZZISMO E VIOLENZA DI STATO


DA FIRENZE A CIVITANOVA MARCHE
,
ACCANTO A CHI OGGI NON C’È PIÙ, AL FIANCO DI CHI LOTTA!

Arriverà quella soglia di saturazione in cui l’insieme delle oppressioni e delle discriminazioni sistemiche diventerà inaccettabile?

Cosa unisce una professoressa trans* che sceglie il fuoco pur di smettere di subire violenze da questa societa’, due sex workers brutalmente uccise, l’omicidio di una donna trans* e l’assassinio di un uomo razzializzato ammazzato in questi giorni, mentre intorno i passanti riprendevano coi telefonini?
Li unisce il fatto di non essere episodi, fatalità, ma il preciso esito di una violenza strutturale accettata tutti i giorni.

La violenza razziale e di genere non e’ un problema di ordine pubblico, avere una vulnerabilità o una diagnosi psichiatrica non significa essere potenziali assassini diversamente da chiunque altro, non è né con la psichiatria, né col giustizialismo, che stravolgeremo alla radice la cultura segregazionista, patriarcale e machista che tiene in piedi questo sistema basato sullo sfruttamento che si riproduce nelle relazioni individuali e collettive.

Ci sono responsabilità precise che vanno indicate.
Chi arma le mani di chi uccide, ammazza?

Non è forse chi porta avanti campagne d’odio cavalcando le paure delle persone a fini economici, propagandistici ed elettorali?

Non sono media, giornali e stampa che veicolano stereotipi ed esasperano insicurezze e paure?

Non sono gli interventi di polizia e repressione che cacciano quotidianamente le fasce più povere e marginalizzate della popolazione dalle città, per fare spazio a profitto e speculazione?

Non è la dottrina securitaria e machista della “tolleranza zero”, della “guerra al nemico”, all’”invasore”?

Non è la morale “disinfettante” bigotta e borghese della “pulizia” e del “decoro” per la fortificazione/colonizzazione dello spazio,  contro l’altro diverso da sé, neutralizzato come soggetto?

Non sono forse la violenza delle frontiere, il ricatto dei documenti, le discriminazioni istituzionalizzate?

Non è la delega, l’ipocrisia e l’indifferenza 
quotidiana?

In nome del Capitale, degli Stati e delle frontiere ogni giorno lə migranti e i migranti in fuga da guerra e povertà subiscono controlli razziali, ricatti, rastrellamenti, violenze e deportazioni. Tutto questo avviene nelle stazioni dei treni, negli areoporti, nelle questure e nei cpr, nei centri di “accoglienza”, all’interno delle città, nei luoghi dello sfruttamento di massa.

In nome del sistema patriarcale alla base di ogni Stato e di questa violenza, che necessita di muri e confini per esercitare il suo potere, ogni giorno le nostre compagnə queer, trans e gender-variant sono respintə in quanto imprevistə e indesideratə, allontanatə dalle famiglie, espostə a sfruttamento, a persecuzioni, aggressioni e vessazioni, sul lavoro, per le strade, nella vita quotidiana.

Quando sopravvivono alle aggressioni vengono incarceratə per essersi difese.

E’ importante dire forte e chiaro che la polizia non solo non ferma abusi e uccisioni ma fa parte del problema: quando non è quella che ammazza, tortura e reprime, è quella che aggredisce e umilia.

 Il carcere ha la funzione di difendere lo Stato patriarcale e la società borghese da eventuali minacce alla sua integrità, serve da schermo per coprire le disuguaglianze e le oppressioni su cui si regge, affinché tutto rimanga tale.

Se oggi le istanze femministe e transfemministe vengono sempre più depoliticizzate e assorbite dallo Stato e dal Capitale, strumentalizzate e spogliate della loro intrinseca conflittualità, essere oggi in strada ha una valenza doppiamente importante.

Una compagna trans è accusata di aver dato fuoco al citofono di una sede della Lega: in questura è stata descritta come “un uomo travestito da donna” nel tentativo di scalfire e umiliare ciò che vorrebbero annientare. 

424 e 270bis, incendio con aggravante di finalità di 
terrorismo.

“Terrorismo”, la parola magica per intimidire e spaventare chi non intende più subire, la macchina della repressione ha sempre pronto come ribaltare il senso della violenza per colpire chi intende lottare, agire per difendersi.

Si, vorremmo che questa gente provasse un briciolo di quel terrore e di quella violenza di cui si serve per opprimere e opprimerci.

Non dimentichiamo nulla.