FIRENZE: NUOVA OCCUPAZIONE!

Sabato 28 ottobre è nata una nuova occupazione a Firenze, in via Incontri 2!

In un periodo storico in cui l’affitto pesa la metà del salario, occupare non è solo giusto, ma anche doveroso. Negli ultimi anni la governance cittadina non è stata mai capace di fornire risposte all’emergenza abitativa e alla carenza endemica di spazi sociali. Noi, dal canto nostro, sprovvisti dei grandi capitali che soli permettono di intraprendere iniziative in questa città, ci arrangiamo con l’unica pratica che ci risulta percorribile: l’apertura e la cura degli spazi abbandonati, per restituirli all’uso sociale e alla collettività. Passate a trovarci per proporre iniziative o informarvi sui progetti!

 

ALESSANDRIA: PRESIDIO SOLIDALE SOTTO AL CARCERE

PRESIDIO SOLIDALE AL CARCERE DI ALESSANDRIA – SAN MICHELE
Mercoledì 1 novembre dalle ore 15

L’estensione dei regimi detentivi speciali ai reati contro la libera espressione di pensieri sovversivi, conferma la natura politica della differenziazione penitenziaria. Una prigionia politica che per alcuni rivoluzionari dura da più di 40 anni.

Da qualche settimana il compagno anarchico Gino Vatteroni – accusato di avere violato le prescrizioni della detenzione domiciliare a cui era sottoposto – è rinchiuso nella sezione AS2 del carcere di Alessandria – San Michele. Gino si trovava ai domiciliari perché accusato di aver collaborato alla pubblicazione del giornale anarchico internazionalista Bezmotivny.

PER UN MONDO SENZA GALERE
PER LA LIBERTA’

TORINO: CORTEO CONTRO IL CARCERE

CORTEO SABATO 11 NOVEMBRE
DALLE ORE 15
Angolo via Val della Torre/corso Cincinnato (Torino)


GOVERNARE (DA)I MARGINI:
CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ’ CHE NE HA BISOGNO

Mentre non si riesce più a contare il numero di gente massacrata e la cui vita è in scacco per via di necessità e imperativi di guerra che bussano alle porte di questa Europa apparentemente prossima al collasso sia economico che ecologico; mentre i giornali imperversano in una retorica schiacciante in cui terrorista è nominato colui che lotta, si organizza e risponde – colpo su colpo – alla violenza degli Stati, alla violenza delle colonie e all’ingiustizia strutturale dei sistemi differenziati del capitalismo neo-liberale (ossia la produzione, da parte del capitalismo, di categorie di persone sfruttabili, ricattabili e reprimibili a seconda delle sue necessità); mentre tutto questo succede, il carcere – essenza materiale e simbolica, della dirompenza del sistema di controllo, punizione e messa a valore delle classi oppresse – diventa un nodo centrale contro cui lottare. Non solo per ribadire come il potere si materializzi sulle vite di sfruttati e sfruttabili, ma anche per sottolineare quali alleanze vogliamo ribadire, scoprire e valorizzare nel nostro bisogno di organizzarci contro un’esistenza invivibile e inaccettabile.

Il momento storico in cui ci troviamo a vivere ci impone la necessità di ampliare lo sguardo sul fenomeno carcerario, legandolo non solo a un dispositivo fisico repressivo, ma capendo come la diluizione del sistema carcere al di fuoridelle patrie galere coinvolga inevitabilmente i diversi strati sociali e informi il tessuto sociale tutto. Il governo Meloni e le sue politiche, marcatamente classiste, razziste e securitarie, mostra una continuità a ritmo sostenuto, in rapporto con gli esecutivi precedenti nel creare supposti “soggetti criminali” e nemici da cui difenderci. La tendenza è quella giustizialista che continua a materializzarsi nell’uso della decretazione d’urgenza, sia riguardo al fenomeno della cosiddetta “devianza giovanile” sia a quello della migrazione. Decreti che hanno il medesimo obiettivo politico: privazione della libertà personale e di movimento. Un vero e proprio strapotere penale, e carcerario, quello che si sta sviluppando oltre il perimetro dell’istituzione totale per eccellenza, dove a farne le spese sarà la parte più sfruttabile e ricattabile del tessuto sociale.

Il mito collettivo, secondo cui la prigione protegge (da cosa esattamente?) e quindi sia un male necessario, non è altro che un mito utilizzato per giustificare, quando ancora ce ne sia bisogno, l’istituzione carcere in sé, luogo ove confinare la miseria e soffocare la protesta contro l’ordine stabilito e creare cittadini obbedienti. E questo mito è di sovente ancorato all’idea, quasi religiosa, del “chi ha peccato deve pagare”. Ma invece è ovvio che le carceri, essendo per essenza strutture coercitive, non possono che avere come unico scopo la disciplina e la sicurezza. Questo controllo sociale totalizzante viene esercitato al di là delle mura del carcere, attraverso la paura che esso incute, ma anche per mezzo delle cosiddette pene alternative, ovvero ulteriori strumenti per aumentare la carcerazione diffusa. La prigione è il luogo di punizione per eccellenza, in cui la società capitalista neoliberale rinchiude coloro che dichiara dannosi, per contenere qualsiasi slancio di rivolta sociale e mantenere così al suo interno valori morali basati sulla disuguaglianza, sullo sfruttamento, sul rispetto dell’autorità e sulla sottomissione alla violenza dello Stato.

Le rivolte, gli scioperi della fame, le lotte dei reclusi che caratterizzano la quotidianità delle carceri, sono l’evidenza di una rabbia irriformabile. Una rabbia relegata, dagli organi governamentali, a una totale silenziazione delle sue rivendicazioni, in cui si vuole privare di significato qualsiasi atto di protesta con la conseguente invisibillazione delle condizioni detentive.

Le parole del ministro della Giustizia Nordio, in visita al carcere Lorusso e Cotugno, lo scorso mese in risposta alla morte di due detenute, non fanno altro che speculare sull’accaduto e portare avanti i calcoli politici di governo, di fronte all’evidenza strutturale che il carcere uccide. Lo scopo delle istituzioni penitenziarie è dunque chiaro: controllare, monitorare, punire, uccidere, poiché la necropolitica è parte integrante della logica carceraria.

Essa si basa sul fare della violenza-tortura-morte uno strumento di controllo e deterrenza per gli internati, verso il mondo dei liberi e in particolare verso quegli strati del tessuto sociale che, in diverse forme, escono dagli schemi costruiti attorno ad essi. Grazie allo sciopero della fame di 181 giorni portato avanti da Alfredo Cospito e alla mobilitazione contro il 41bis e l’ergastolo ostativo al suo fianco, è oggi forse maggiormente noto come lo stato utilizzi la tortura, annientando psico-fisicamente le persone detenute nelle carceri per estorcere informazioni, richiedere il pentimento o la dissociazione. Questi sono i meccanismi brutali di cui si avvalgono le istituzioni per il re-inquadramento di massa della società tutta.

Quando il sistema carcerario esplica la sua funzione violenta e mortifera, l’opinione pubblica tende a polarizzarsi in due correnti non dualistiche tra di loro: da una parte si consolida l’approccio giustizialista, dove si criminalizza e si condanna alla responsabilità individuale dell’espiazione della colpa, discorso accettato da un ampia fetta della società. Dall’altra, invece, il paradigma garantista, abbandonate le proprie velleità di assicurazione dello stato di diritto – come il principio di proporzionalità e funzione rieducativa della pena – si riduce alla mera richiesta di più controllo e sorveglianza negli istituti penitenziari, tramite l’assunzione massiccia di guardie, militari e personale sanitario. Nello specifico i sindacati di polizia avanzano rivendicazioni bastate sulla richiesta di più organico con l’obbiettivo di aumentare la loro capacità di coercizione e violenza nei confronti dex detenutx,soprattutto dex rivoltosx.

Entrambi gli approcci danno voce quindi ad un unicum securitario. Un discorso che nel suo complesso va smascherato. La violenza statale si perpetua nell’ordine carcerario anche attraverso il sovraffollamento, la mancanza di cure sanitarie e i pestaggi della polizia. Pensare di riformare le carceri non è un’orizzonte politico desiderabile perché non può esserci una vera emancipazione senza la distruzione totale dei luoghi di reclusione e della società che li necessita.

CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ CHE NE HA BISOGNO
Rendiamo tangibile la solidarietà a chi resiste e lotta contro la violenza quotidiana della detenzione, attraversando le strade di Vallette per arrivare fino alle mura del carcere Lorusso Cotugno.

ARRESTATO STECCO

 

Il 20 ottobre è stato arrestato a Bordighera il compagno anarchico Luca Dolce, detto Stecco, nel contesto di un’operazione del Nucleo Operativo Centrale di Sicurezza (NOCS) della polizia derivata da un’indagine della Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, che ha coordinato le DIGOS di Trento, Trieste, Treviso, Genova e Brescia. Il compagno è stato tradotto prima nel carcere di Imperia, poi in quello di Sanremo. Contestualmente, sono state perquisite le case di alcuni compagni a Rovereto. La perquisizione era stata disposta il 16 ottobre a carico di Stecco, per i processi “No name” e “Diana”: gli sbirri hanno sequestrato dispositivi informatici e telefoni ed inoltre si sono presentati a casa della madre e della sorella di Stecco, a Trieste.

Il compagno – irreperibile alle forze dell’ordine dal 2021 – era ricercato per via di un cumulo di condanne definitive a 3 anni e 6 mesi e per un mandato di cattura derivato dalla cosiddetta “operazione senza nome” del 25 febbraio 2022 (per cui sono già stati condannati due compagni e una compagna, tra cui Juan Sorroche, attualmente recluso a Terni). In quest’ultimo procedimento Stecco è accusato di avere favorito la latitanza di Juan con l’uso di documenti falsi. Il compagno, arrestato nel 2019 per l’operazione Renata, aveva già avuto nel successivo processo una condanna a 2 anni sempre per fabbricazione di documenti falsi. Inoltre, ha ricevuto in appello una condanna a 3 anni e 8 mesi nell’ambito del processo sulla manifestazione “Abbattere le frontiere”, tenutasi al valico del Brennero il 7 maggio 2016, e per cui non vi è ancora un pronunciamento definitivo sulla sessantina di compagni e compagne imputati.

Da parte nostra, non possiamo che solidarizzare con chi si rende irreperibile o si sottrae all’infame giustizia borghese.

Con rabbia e con amore
Stecco libero


Per scrivere a Stecco:

Luca Dolce
c/o Casa circondariale Sanremo
Strada Armea 144
18038 Sanremo

UDIENZA D’APPELLO OPERAZIONE SENZA NOME

Diffondiamo

Oggi, lunedì 23 ottobre, si è tenuta l’udienza di appello dell’operazione cosiddetta “senza nome”. Agnese era accusata di aver favorito la latitanza di Juan e di fabbricazione di documenti falsi. Massimo di estorsione per aver chiesto ad una radio locale la lettura di un testo sulle morti in carcere del marzo 2020. Juan invece di un attacco al Tribunale di Sorveglianza di Trento del 2014.
Questo l’esito della sentenza:
Agnese è stata condannata per il solo favoreggiamento a 8 mesi. La pena in primo grado era di due anni.
Massimo è stato condannato a 6 mesi per violenza privata, in primo grado invece aveva ricevuto una pena ad un anno e un mese per estorsione.
Juan, con nostra grande gioia, è stato assolto.

Sempre avanti, per la libertà!
JUAN LIBERO, STECCO LIBERO, NASCI LIBERO!
Tutti liberi, tutte libere!

TREVISO: SENTENZA DI PRIMO GRADO PER LE PROTESTE NEL CENTRO DI ACCOGLIENZA EX CASERMA SERENA

Diffondiamo:

Sentenza di primo grado per le proteste nel centro di accoglienza Ex Caserma Serena (Treviso): solidarietà a Mohammed, Abdou e Amadou!

Il 20 ottobre il Tribunale di Treviso ha pronunciato la sentenza di primo grado nei confronti di Mohammed, Amadou e Abdourahmane, per le proteste avvenute l’11 e 12 giugno 2020 dentro il centro di accoglienza Ex Caserma Serena di Treviso, di cui i tre erano accusati.
L’accusa di devastazione e saccheggio è caduta, ma è rimasta quella di sequestro di persona per i fatti del 12 giugno. Il PM aveva inizialmente chiesto condanne di 6 anni, ma al termine di questa udienza due di loro sono stati condannati a 1 anno e 8 mesi, e l’altro a 2 anni.

La repressione che i tre hanno subìto ha voluto fin da subito essere esemplare: si voleva punire una rivolta per dare un segnale a tutte le altre, in un’estate in cui le proteste si moltiplicavano in tutti i luoghi di reclusione per persone immigrate in Italia.
Il quarto imputato di questo processo, Chaka Ouattara è morto in isolamento nel carcere di Verona il 7 novembre 2020 nel silenzio e nell’indifferenza generale.

Abdou, Mohammed e Amadou hanno passato tre anni tra carcere, arresti domiciliari e obblighi di firma. A tutto questo si aggiunge il ricatto quotidiano di non riuscire più a ottenere o rinnovare il permesso di soggiorno, di non avere abbastanza mezzi economici e reti di relazioni per sostenere le spese legali e tutto il peso della repressione.
Per questo è importante tenere viva la solidarietà nei confronti dei tre e di tutt* quell* che spesso nell’isolamento più totale lottano per la propria libertà.

Venerdì mentre il Tribunale di Treviso pronunciava la sua sentenza, c’è stato un presidio solidale davanti al tribunale e diversi striscioni di solidarietà sono apparsi in diverse città d’Italia: a Torino, a Roma in occasione del corteo per la Palestina nelle strade di Torpignattara, e anche a Borgo Mezzanone, in provincia di Foggia, per ribadire ancora una volta che chi lotta non è mai solo.

Per Chaka, in solidarietà con Abdou, Mohammed e Amadou, TUTT LIBER!

IL PROBLEMA NON È IL FUOCO / CENERE E MACERIE – APPUNTI LIBERTARI SUGLI INCENDI IN SICILIA E SARDEGNA

Diffondiamo, da Scirocco Madonie, un opuscolo sugli incendi che hanno colpito e devastato i territori di Sicilia e Sardegna. L’opuscolo contiene due testi: il primo, “Il problema non è il fuoco”, è stato scritto e diffuso nell’estate 2023 da compagnx sicilianx; il secondo, “Cenere e macerie”, è il testo di un compagno sardo uscito sulle pagine di Nurkuntra qualche anno fa.

«Se c’è qualcosa che lega la “colonizzazione di ieri” agli incendi di oggi, è questo accartocciarsi impaurito della coscienza dei colonizzati, è questo rinnovarsi di paura e ubbidienza. Le assemblee possono essere allora dei polmoni collettivi in cui respirare l’aria pulita della rivolta, del riscatto e della festa (per curarsi dalla compressione delle molte paure e dei fumi neri), inceppando i meccanismi nemici. Il rifiuto della delega, il ricordare le responsabilità del Sistema per le nostre sciagure, la disponibilità ad affrontare solo questioni alla portata dell’azione diretta o del controllo diretto dei singoli e delle assemblee abitanti, una pratica interna in cui tutti siano sia pensatori che agenti del percorso (rompendo il circuito chiuso e scisso della militanza), incrinare il rapporto di forza tra decisori e condannati (all’evacuazione, all’emigrazione, all’umiliazione) – tutte queste attività insieme potrebbero rappresentare un farmaco collettivo. Anzi, di nuovo con i greci, un pharmakon: medicina per gli oppressi e veleno per gli oppressori».

Qui l’opuscolo completo in PDF: OpuscoloIncendiWEB

ROMA: APRIAMO LA STREET PARADE CON UN CARRO CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE

Diffondiamo da L38Squat:

APRIAMO LA STREET PARADE “IL GRIDO DELLE PERIFERIE PRENDE FORZA IN STRADA” CON UN CARRO CONTRO LA VIOLENZA MASCHILE SULLE DONNE

Saremo in testa alla street parade e non vogliamo che siano altri a parlare al posto nostro.

Ogni giorno i quartieri popolari vengono dipinti come “terra di nessuno”, facile teatro di violenze contro le donne e la gente che li abita come complice silenziosa.
L’Italia femminicida utilizza i mezzi d’informazione per cristallizzare la violenza. Ogni giorno veniamo bombardatx dalle notizie mediatiche con i particolari scavati nella vita delle donne uccise da mariti, fidanzati, amici cugini e zii senza che venga mai rivolta un’accusa alle fondamenta di una società basata sulla sopraffazione.
La politica difende il potere patriarcale e strumentalizza gli episodi di violenza maschile sulle donne per campagne securitarie che hanno lo scopo di terrorizzarci, disciplinarci e spingerci a restare chiuse in casa. La risposta politica ai più eclatanti episodi di violenza sono blitz di polizia nei quartieri popolari, i militari nelle stazioni e un innalzamento delle pene e tutto ciò niente ha a che fare con il contrasto alla violenza sulle donne. Le tante politiche di populismo penale fatte sulla nostra pelle non hanno mai prodotto alcun risultato: i dati pubblicamente noti che riguardano la violenza maschile sulle donne sono invariati. Mai viene nominata l’importanza delle reti di solidarietà e sorellanza, mai ci si riferisce al lavoro dei centri antiviolenza, mai si parla della necessità di educare contro gli stereotipi di genere che collocano le donne sotto il controllo degli uomini.
Viviamo nelle occupazioni di case, sbarriamo i portoni per portare solidarietà a chi è sotto sfratto, ma sappiamo bene che spesso le mura domestiche sono tutt’altro che luoghi sicuri per noi perchè è proprio in famiglia che avviene il maggior numero di violenze.
Chi parla al posto nostro non sa che alcune volte è stato proprio il senso di appartenenza e la conoscenza reciproca in quartiere a permettere a molte di noi di cavarsela, impedendo che la violenza restasse un fatto privato.
Se il primo passo è riconoscere la violenza che su di noi viene agita, il secondo è avere la possibilità di fuggirne. Sappiamo quanto è complicato riuscirci quando non hai una indipendenza economica o una rete di relazioni su cui poter contare.
Questo è per noi un motivo in più per scendere in strada e darci forza insieme, perché nessuna venga lasciata sola coi propri guai. Lo facciamo con la musica che piace a noi, con lo spirito alto di chi non je la darà mai vinta.
Venerdì 27 ottobre – ore 18.30
Partenza dal primo ponte del quartiere Laurentino 38
(via Ignazio Silone altezza via Gian Pietro Lucini)

PALERMO: FERMARE LA GUERRA E LA MILITARIZZAZIONE DEI TERRITORI

Corteo nazionale
21 ottobre ore 17
Palermo

Contro il MUOS e le basi militari, contro la Leonardo Spa e tutte le fabbriche di morte.

Rilanciamo l’appuntamento previsto per il 21 ottobre a Palermo per un corteo nazionale contro ogni guerra e la sua industria, contro il Muos e le basi militari, contro la Leonardo Spa e la militarizzazione dei territori.
Ribadiamo la nostra solidarietà ad alcunx compagnx siciliani inquisiti per istigazione a delinquere e atto con finalità di terrorismo per aver pubblicato il video di un attacco alla sede palermitana di Leonardo Spa, leader dell’industria elettronica a fini bellici. (https://sciroccomadonie.noblogs.org/post/2023/07/29/guerra-e-repressione-solidarieta-ad-antudo-e-a-tutti-i-compagni-e-compagne-inquisite-i-negli-ultimi-mesi/)

CONTRO LA GUERRA, CONTRO LA PACE
DEL PATRIARCATO, DEI PRODUTTORI DI ARMI, DELLE STRAGI SUL LAVORO, NELLE CARCERI, ALLE FRONTIERE

MESSINA: VERSO IL CORTEO NO PONTE – TERRA, MARE E LIBERTÀ

Diffondiamo questo testo, in vista del corteo No Ponte del 12 agosto a Messina:

Terra Mare e Libertà

(Maschile e femminile sono casualmente alternati)

Con l’insediamento del governo Meloni è stato riesumato il progetto del ponte sullo Stretto di Messina, una “grande opera” che puzza di propaganda fascista, con la differenza che cento anni fa venivano almeno costruite anche case popolari e bonificate aree inospitali: la carota per far passare il bastone delle leggi fascistissime, dell’olio di ricino, della guerra e della miseria dilagante. I nostri moderni patrioti invece si comportano come se non avessero alcuna necessità di conquistarsi il consenso tramite interventi che possano apparire di una qualche utilità per chi vive questo territorio (il sud fisico e psicogeografico di tutte le periferie del mondo). Sono convinti che il popolo bue accetterà a testa bassa l’ennesima devastazione, con il trito, ritrito e putrido miraggio di posti di lavoro per la realizzazione di questa mastodontica impresa – alla cui realizzazione finale non crede più nessuno, ma il cui corollario di movimentazione terra e denaro fa gola a molti profittatori.
Così, mentre in Emilia Romagna impazzavano le alluvioni, lorsignori si facevano fotografare con la pala in una mano e con l’altra votavano il decreto per il collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. Lo chiamano “progresso” gli importatori di civilizzazione, ma qui persino le cozze nel lago di Ganzirri sanno che si tratta dell’ennesimo progetto coloniale. Lo sa chi vive a Milazzo, Priolo, Augusta, Gela e Melilli in balìa dell’industria petrolchimica che li ha sfrattati quando è stata costruita, sfruttati e ammalate nel periodo d’oro della produzione e cassaintegrati quando ha ceduto il passo alla concorrenza estera. Lo sanno i niscemesi ai quali la costruzione della base militare USA ha tolto la frescura della sughereta e l’acqua corrente, dando loro in cambio le radiazioni del MUOS e i militari a spadroneggiare per le strade. Lo sanno i granelli di sabbia di Punta Bianca, la Beccaccia e il Martin Pescatore dei Nebrodi, sfregiati dalle esercitazioni militari. Lo sanno gli aranci della Piana di Catania, estirpati per far spazio all’allargamento della base NATO di Sigonella. Lo sanno pure i semi privatizzati dalla Monsanto e i contadini denunciati per aver fatto le talee di pomodori infischiandosene dei brevetti.
Ne fanno esperienza tutte le disoccupate dell’isola e anche chi è emigrato perché non voleva essere più disoccupato.
Ne fanno esperienza i 6000 detenuti e detenute nelle 23 carceri siciliane che fanno dell’isola una colonia penale molecolare.
E ne hanno fatto esperienza i due prigionieri che sono morti inascoltati nella galera di Augusta nel corso di uno sciopero della fame. Ne fanno esperienza ogni giorno le migranti che si sono rivoltate nel CPR di Pian del Lago (Caltanissetta) a inizio luglio e i braccianti agricoli nei campi del vittoriese. E lo stesso vale per Daouda Diane: l’operaio ivoriano scomparso un anno fa nel siracusano, due giorni dopo aver denunciato in un video la situazione di caporalato nel cementificio di Acate dove lavorava. Colonia è quel territorio occupato con la forza, violentato per profitto ed estrazione di risorse, militarizzato per reprimere ogni forma di vita che insorge contro lo sfruttamento. Che il risorgimento in Sicilia ha significato deportazione e repressione violenta è scritto nelle memorie del sangue di noi indigeni, nipoti e pronipoti di chi era partito garibaldino e si scoprì brigante all’indomani dell’unità d’italia. Il Ponte ai nostri occhi significa tutto questo. I lavori, pur mancando ancora il progetto definitivo, sono già stati assegnati alle solite note aziende armate di cemento e sputazza: WeBuild (ex Salini Impregilo), che furono i costruttori della base di Sigonella, dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e i responsabili dello smaltimento dei rifiuti in Campania, per nominare giusto un paio delle loro gloriose imprese. Queste consapevolezze coinvolgono gran parte della comunità che abita in questa terra, e si declinano a vari differenti e difformi livelli di critica.
La critica, come fanno le radici degli alberi, scava smuovendo dubbi: quelle del Salice arrivano in profondità, quelle del Limone sono invece piccole, quelle del Ficus sono addirittura aeree. Tanti alberi, diverse radici nella stessa terra.
“Ci immaginiamo anarchiche e anarchici, e quindi è anche a noi che parliamo, sebbene sarebbe bello avere una lingua comune anche con chi si immagina qualcos’altro o, e chissà non sia la scelta più saggia, non si immagina per nulla” (Terra e libertà, articolo tratto da “Black seed, a green anarchist journal”, trad. hirundo 2017).
Per queste ragioni abbiamo cominciato questo percorso di lotta intrecciando i nostri passi e incrociando i nostri sguardi con tante anime diverse, col comune obiettivo di frapporci all’apertura dei cantieri. Affronteremo a testa alta chiunque provi a reprimere la forza generativa che sgorga dal cuore delle lotte, chiunque chiamerà violento il nostro opporci con ogni mezzo necessario a un progetto che ci violenta e violenta la terra che abitiamo, ma anche quei partiti che provassero ad approfittare di questo variegato amalgama umano con l’intento di mangiarselo al prossimo banchetto elettorale. Gli andremo di traverso, saremo loro indigesti, ci proveremo con tutta la tenacia che ci batte in petto e, se falliremo, cercheremo di farlo sempre meglio.

Corteo Noponte 12 Agosto

La Macchia libertaria sicula

P.S. mentre impaginavamo questo scritto, Giovanni Truglio (sì, lui, quello delle ccir di Piazza Alimonda) è diventato capo del comando interregionale carabinieri Sicilia e Calabria; e Gianni De Gennaro (sì, lui, quello di G8 e di Leonardo Finmeccanica!) è diventato presidente di Eurolink.


Diamo diffusione ad altre due iniziative previste a Messina nelle prossime settimane:

Iniziativa di autofinanziamento per il corteo No Ponte
4 agosto h 17.00
Oasi Lago Raglio

Campeggio No Ponte
11 – 12 – 13 agosto
Camping Marmora