26 FEBBRAIO – 5 MARZO MOBILITAZIONE IN SOLIDARIETÀ AGLI IMPUTATI/E DEL PROCESSO BRENNERO

Diffondiamo da Abbattere le frontiere:

Il 5 marzo (data da confermare) la Corte di Cassazione si pronuncerà sulle condanne per il secondo troncone del processo per il corteo del Brennero del marzo 2016.

L’abbiamo già scritto tante volte, ma vale la pena ricordarlo: in quegli anni si assisteva allo spostamento dalla rotta mediterranea a quella balcanica e nel 2016, per fermare i migranti che dall’Italia provavano a raggiungere il nord Europa, l’Austria aveva deciso di costruire un muro al passo del Brennero, uno dei più utilizzati.

Il luogo non era certo dei migliori per organizzare un corteo il cui obiettivo era bloccare le vie di comunicazione (“se non passano le persone, non passano nemmeno le merci”), ma in tanti e in tante siamo andate fino al confine, a urlare con slogan e sassi che non avremmo lasciato che il muro venisse costruito impunemente. Nei mesi precedenti e in quelli successivi sono state tante le azioni, più o meno incisive, con cui abbiamo ribadito da che parte stiamo: al fianco di chi sceglie di fuggire da guerre, devastazioni ambientali e povertà.

L’Austria ha poi rinunciato a costruire il muro, ma l’attraversamento delle frontiere è diventato di anno in anno più difficile e letale.

Oggi, con la guerra in Ucraina e il massacro in atto in Palestina, il nesso tra guerra e frontiere è più evidente che mai e purtroppo il significato di quella giornata di lotta è sempre più attuale.
La guerra parte da qui: dai laboratori, dalle industrie, dalle università della Fortezza Europa.
Oggi come allora ci sono cose che ci risultano inaccettabili e abbiamo l’esigenza quasi fisica di palesarlo: come era scritto nel testo di indizione del corteo “Provare ad abbattere le frontiere è anche un impegno a non accettare l’inaccettabile. Un esercizio di etica del linguaggio, una pratica di libertà, un incontro possibile tra compagni di rotta”.

I più di 130 anni di carcere con cui lo Stato vuole mettere a tacere questo slancio di solidarietà non sono un peso solo per coloro che potrebbero vedere le loro condanne confermate il marzo prossimo. Sono un’ipoteca sulla possibilità collettiva di lottare, non perché smetteremo di farlo, ma perché quando il prezzo da pagare si alza sono meno le persone disposte a rischiare e questo costituisce un pericolo per la libertà di tutti e tutte.

L’unico modo per non farci schiacciare è continuare a tenere la testa alta, a dire forte e chiaro quello che pensiamo e a comportarci di conseguenza.

Intrecciare legami di solidarietà con coloro con cui condividiamo le lotte e con coloro sui quali più pesano le conseguenze del capitalismo.

Sabotare i piani di chi è disposto a uccidere e sfruttare altri esseri umani e devastare il mondo in cui viviamo, spesso senza nemmeno sporcarsi le mani, solo per mantenere in vita un sistema mortifero.

Facciamo capire chiaramente che non ci faremo spaventare dalle loro condanne, che le ragioni di quella lotta sono ancora le nostre, che non riusciranno mai a metterci a tacere perché oggi lottare è un’esigenza imprescindibile.

Che vogliamo restare umani.

Sono tanti i modi per declinare la solidarietà a chi era al Brennero quel 7 maggio: la lotta contro le frontiere è lotta contro la guerra.

Dal 26 febbraio al 5 marzo facciamo capire che chi lotta non è mai solo/a!

 

AGITIAMOCI ANCORA! PER LA ROVINA DELLA SOCIETÀ

Diffondiamo:

Agitiamoci ancora!

Nel 2020, sui muri di Imola (BO) furono attacchinati due manifesti in solidarietà con Alfredo Cospito e Anna Beniamino, in seguito alle condanne di secondo grado del processo Scripta Manent e in solidarietà con i compagni e le compagne all’epoca prigionieri nell’ambito dell’operazione Bialystok.

Il manifesto “Agitiamoci”, in solidarietà con Anna e Alfredo, colpì particolarmente la solerte DIGOS di Imola e per me e Luigi arrivò una denuncia per istigazione a delinquere nella fattispecie dell’apologia di delitti con finalità di terrorismo (art. 414 comma 4 c. p.), oltre che per violenza o minaccia ad un corpo politico (art. 338 c. p.) con l’aggravante del luogo pubblico e del travisamento (art. 339 c. p.). A Luigi, inoltre, viene anche contestata la violazione del foglio di via da Imola. Il PM non poteva essere altri che Gustapane, che si sta costruendo una miserabile carriera a Bologna grazie alle operazioni contro gli anarchici.

Luigi si trova agli arresti domiciliari restrittivi dall’8 agosto 2023 in seguito all’operazione Scripta Scelera contro il quindicinale “Bezmotivny”, ma sapendo di fare cosa a lui gradita, colgo l’occasione dell’udienza preliminare che, per entrambi, si terrà il 23 gennaio, per diffondere il manifesto incriminato. Poiché a giugno dello scorso anno Alfredo e Anna sono stati condannati rispettivamente a 23 anni e 17 anni e 9 mesi di carcere, ho modificato il manifesto in modo da poterlo diffondere ancora, ancora e ancora.

In seguito alla denuncia io e Luigi scrivemmo un volantino, “Idee Chiare”, che diffondo con piacere a maggior ragione proprio perché il compagno è stato zittito dalla repressione.

Il 23 gennaio alle ore 11, presso il tribunale di Bologna, si terrà l’udienza preliminare.

Veronica

PDF: “Agitiamoci”
PDF: “Idee Chiare”

MASSA: PER MILLE MOTIVI. PRESENZA SOLIDALE CON GLI ANARCHICI ACCUSATI PER LA PUBBLICAZIONE DI “BEZMOTIVNY”

Per mille motivi. Presenza solidale con gli anarchici accusati per la pubblicazione di “Bezmotivny” (Massa, 9 gennaio 2024)

L’8 agosto scorso un’operazione di polizia ha coinvolto dieci anarchici, indagati per associazione sovversiva con finalità di terrorismo e istigazione a delinquere con l’aggravante della finalità di terrorismo, in riferimento alla pubblicazione del quindicinale anarchico internazionalista “Bezmotivny”. A fronte di un’originaria richiesta di arresto in carcere per i dieci indagati, la magistratura ha definito nove misure cautelari: quattro sono pertanto finiti agli arresti domiciliari restrittivi, mentre altri cinque all’obbligo di dimora con rientro notturno. Dopo i primi mesi, nel corso dei quali – tra carcere e domiciliari – si sono verificati alcuni temporanei aggravamenti nelle misure cautelari, per la compagna e i compagni agli arresti domiciliari restrittivi – Gaia, Gino, Luigi e Paolo – è stata fissata un’udienza processuale di giudizio immediato, presso il tribunale di Massa, il 9 gennaio 2024.

Quella di “Bezmotivny” è storia di solidarietà, internazionalismo, sostegno alla prospettiva rivoluzionaria, mentre l’operazione Scripta Scelera, volta a rendere prassi le misure cautelari in riferimento alle accuse di istigazione a delinquere aggravata, è un altro “capitolo” nelle politiche di guerra dello Stato italiano.

Dopo il processo Scripta Manent, il procedimento Sibilla contro “Vetriolo” e il trasferimento in 41 bis di Alfredo Cospito, l’operazione Scripta Scelera ha inteso “smantellare” un giornale anarchico, tentando – vanamente – di dare ancora un monito repressivo, di silenziare l’urgenza della critica sociale, le ragioni della rivolta, la necessità della rivoluzione.

Continuiamo a batterci, vanifichiamo i tentativi di attaccare il principio teorico e pratico della solidarietà rivoluzionaria: sia quella internazionalista con gli sfruttati di tutto il mondo – contro tutte le guerre dei padroni e contro ogni Stato, a partire dal “nostro” –, sia quella con gli anarchici prigionieri.

Per mille motivi, non restiamo inermi: perseveriamo nell’agitazione, nella propaganda, nella lotta rivoluzionaria contro lo Stato e il capitale.

Presenza solidale: martedì 9 gennaio, tribunale di Massa, piazza De Gasperi, ore 08:00.

MILANO: SAVERIO IN CARCERE

Diffondiamo

Il nostro compagno Saverio stava scontando da due settimane i domiciliari presso la sua residenza per un definitivo di 14 mesi legato alla lotta NoTap. La questura di Milano, nonostante il pronunciamento positivo del tribunale di Lecce e la relazione del UEPE, non ha reputato idoneo il domicilio e venerdì 15 dicembre lo hanno arrestato.
Ora si trova a San Vittore, un nuovo domicilio è stato indicato al magistrato di sorveglianza. Seguiranno aggiornamenti appena li si avrà.

Per scrivergli:
Saverio Pellegrino
C.C. Francesco Di Cataldo
Via Filangeri 2
20123 Milano

CONTINUIAMO A SCRIVERE AD ALFREDO

Ad un anno di distanza dalla mobilitazione che ha accompagnato lo
sciopero della fame, è importantissimo continuare a scrivere al compagno Alfredo Cospito, tuttora in 41bis nel carcere di Bancali (Sassari).

Il lavoro certosino (e spesso francamente incomprensibile e contraddittorio) dell’ufficio censura, insieme al pressapochismo tipico
delle patrie galere e all’inaffidabilità delle poste italiane (strumento sempre più spesso appannaggio esclusivo delle comunicazioni galeotte), rende fortemente consigliato l’invio della corrispondenza attraverso
sistemi tracciabili quali le raccomandate (anche senza ricevuta di ritorno). Il tagliando e il codice di tracciabilità permettono di
conoscere lo stato della spedizione e intraprendere poi l’iter burocratico per lo sblocco della corrispondenza, dato che gli agenti non sempre rendono noti i trattenimenti e la posta spesse volte semplicemente scompare.
Invitiamo quindi tutti i solidali a scrivere e ad inviare scansione o
foto dei tagliandi (o comunque dei codici di tracciabilità) alla Cassa
Antirep delle Alpi Occidentali, che si incaricherà di raccoglierli e inviarli all’avvocato di Alfredo per fare i dovuti ricorsi e recuperare quante più lettere possibile.

La solidarietà è un atto concreto, non lasceremo mai Alfredo da solo nelle mani dei boia di Stato: sommergiamolo di affetto attraverso
lettere e cartoline!

L’indirizzo per scrivergli è: Alfredo Cospito – C/O C.C. “G.Bacchiddu” – Strada Provinciale 56, n°4 – Località Bancali – 07100 Sassari

mentre per inviare le vostre ricevute:
cassantirepalpi@autistici.org

PS: il compagno può acquistare libri attraverso la direzione del carcere; si può dunque inviargli suggerimenti di lettura, accompagnando il titolo e l’autore con i dati relativi alla casa editrice e, se possibile, il codice ISBN.

Contro tutte le galere!
Cassa AntiRep delle Alpi occidentali

NOTE A PARTIRE DAL CORTEO DELL’11 FEBBRAIO A MILANO

Il 25 giugno a MIlano scatta un’operazione di Polizia che vede emesse sei misure cautelari (obblighi di dimora, divieti e firme) per il corteo dell’11 febbraio scorso in solidarietà allo sciopero della fame di Alfredo Cospito. All’oggi di quelle misure non resta più nulla. Il 14 dicembre infatti il gip, su richiesta del pm, ha deciso di revocare tutte le misure cautelari. Al momento le indagini risultano chiuse, il numero delle persone coinvolte è però salito a 13, imputati a vario titolo di resistenza aggravata, travisamento e danneggiamento.
Oltre a dare aggiornamenti ed esprimere la nostra solidarietà alle persone coinvolte in questa operazione repressiva, vorremmo spendere due parole in più su quella giornata e sulla mobilitazione a sostegno dello sciopero della fame di Alfredo contro il regime di 41 bis e l’ergastolo ostativo. La giornata dell’11 febbraio si inseriva all’interno delle numerose iniziative messe in campo di fronte alle menzogne statali, alla violenza mascherata dietro la freddezza della burocrazia e all’aggravarsi delle condizioni di salute di Alfredo, oramai in sciopero della fame da oltre 100 giorni.
In tutta Italia e all’estero si moltiplicavano cortei, blocchi e iniziative informative o di disturbo, attacchi verso le istituzioni e i loro rappresentanti.
A Milano, all’interno di un percorso cittadino nato e cresciuto intorno alla lotta di Alfredo, centinaia di persone decidono di partecipare al corteo chiamato in Piazza XXIV Maggio. Durante il percorso si susseguono interventi, cori, scritte e danneggiamenti ad alcune vetrine, fino a quando la polizia decide che il corteo non può proseguire oltre. Iniziano le cariche e i lanci di lacrimogeni per disperdere i partecipanti che insieme cercano un’altra strada sicura attraverso la quale muoversi per terminare il corteo.

Al di là del piano giudiziario di questa vicenda, ci pare importante ribadire cosa quel giorno e nelle settimane precedenti, aveva animato la testa e il cuore dei tanti che sono scesi in piazza. La determinazione della lotta di Alfredo è riuscita a rompere il silenzio attorno alla tortura di Stato costituita dal regime di 41bis, fatto di isolamento pressoché totale, deprivazione sensoriale e che ha come unico fine l’annullamento fisico e mentale della persona che lo subisce e che lo Stato continua a legittimare e perpetuare attraverso lo spauracchio della mafia.
Da fuori, tante sono state le parole spese per riportare, far emergere le condizioni e la natura violenta e strutturale di quel regime e del carcere tutto. Un’occasione di lotta che tanti e tante hanno condiviso e che in diverse forme aveva trovato una propria agibilità. Non vogliamo qui addentrarci in analisi riguardo la mobilitazione, saremmo sbrigativi e poco chiari, ma crediamo sia importante guardare a quello che è stato e a ciò che resta per poter continuare a creare terreni di lotta. Ci pare che assieme si è riusciti a prenderci dello spazio nel manifestare in strada, e se i numeri hanno sicuramente favorito, fino a un certo punto, un rapporto di forza con chi gestiva l’ordine pubblico, l’eterogeneità nella partecipazione e composizione pensiamo sia stati dei tasselli fondamentali in quei mesi. Essere riusciti a stare in strada, poi senza interfacciarsi con la polizia per contrattare lo spazio ma provando a prendercelo ci sembra un buon auspicio di ciò che potrebbero essere i cortei nella nostra città. Tentare di creare momenti autorganizzati di protesta in cui si cerca di non dialogare con la polizia, tutelando chiunque voglia partecipare con i propri metodi e pratiche, cercando per quanto possibile di stare assieme durante i momenti concitati e di carica. Abbiamo ancora molta strada da fare, di confronti da avere e riflessioni da condividere per mantenere viva la critica al 41bis e all’ergastolo ostativo, ancora più oggi che lo sciopero della fame di Alfredo è giunto al termine.

Il sistema giudiziario e il carcere sono cristallizzatori di una società sempre più diseguale e frammentata, volti a reprimere e disciplinare tutti coloro che non vi si allineano o chi tenta di trasformarlo per una vita all’altezza dei propri desideri. Nella convinzione che sia necessario lottare contro questo stato di cose, continueremo a dare voce e a portare solidarietà a chi si trova ancora rinchiuso ed organizzarci nonostante la repressione continua a colpire e minacciare chiunque non abbassa la testa di fronte alle torture e alle innumerevoli morti nelle carceri, allo sfruttamento nei luoghi di lavoro e dell’istruzione, alla devastazione dell’ambiente, al saccheggio dei territori, alla guerra e al razzismo di stato.

CILE: CONCLUSIONE DEL PROCESSO E DICHIARAZIONI FINALI DI FRANCISCO SOLAR E MÒNICA CABALLERO

Diffondiamo:

Nell’ultima settimana si sono tenute le udienze finali del processo di primo grado contro i compagni anarchici Mónica Caballero e Francisco Solar, arrestati il 24 luglio 2020 e accusati (il solo Francisco) dell’invio dei pacchi-bomba al 54° commissariato dei carabineros e a Rodrigo Hinzpeter, ex ministro dell’interno e della difesa nazionale, nonché dirigente del gruppo Quiñenco (25 luglio 2019), ed entrambi del duplice attacco esplosivo nell’edificio dell’immobiliare Tánica (27 febbraio 2020), situato nel quartiere borghese di Vitacura (nell’area metropolitana di Santiago) e avvenuto nel contesto della rivolta generalizzata scoppiata in Cile nell’ottobre 2019. L’azione contro il 54° commissariato e Hinzpeter venne rivendicata dai Cómplices Sediciosos – Fracción por la Venganza, mentre quella nell’edificio Tánica dalle Afinidades Armadas en Revuelta.

Nel dicembre 2021 Francisco si è assunto la responsabilità per entrambe le azioni, sostenendone le ragioni, la scelta degli obiettivi e la significatività rivoluzionaria.

Il 10 agosto 2022, dopo una serie di proroghe al periodo d’indagine, si sono concluse le udienze preliminari e sono state rese note le richieste di condanna: 30 anni di carcere per Mónica e 129 anni per Francisco (secondo il sistema giudiziario vigente nello Stato cileno la procura esprime le richieste prima dell’inizio della fase dibattimentale vera e propria, il juicio oral). Il 18 luglio di quest’anno, dopo un rinvio, è quindi iniziato il processo, cui i compagni hanno assistito in presenza solamente nel corso delle prime e delle ultime udienze, assistendo in videoconferenza per le restanti. Durante quella del 18 luglio il pubblico ministero, rimodulando le richieste iniziali, ha dichiarato che la procura intende infliggere una condanna tra i 20 e i 25 anni a Mónica e una di oltre 150 a Francisco. Durante l’udienza del 19 luglio Francisco ha ribadito l’assunzione di responsabilità per tutte le azioni.

L’arresto e le udienze contro i compagni sono state costantemente seguite dai mass-media in Cile, vista la rilevanza del processo, volto a dare un monito agli anarchici e alle forme di guerriglia sviluppatesi nella realtà sociale cilena in particolare negli ultimi anni, a partire dalla rivolta generalizzata del 2019-‘20. Alle udienze processuali è coincisa una mobilitazione solidale con attività di agitazione e propaganda, trasmissioni sulle frequenze radiofoniche solidali, iniziative in strada e dibattiti, la pubblicazione di un numero unico (“Complicidad y sedición”).

Riportiamo qui di seguito l’aggiornamento sul verdetto e le dichiarazioni finali dei compagni, presenti in aula durante l’udienza del 6 novembre (si tratta di trascrizioni, pertanto non essendovi una stesura scritta la punteggiatura è stata definita da chi ha tradotto).


Verdetto contro i compagni anarchici Mónica Caballero e Francisco Solar

Ieri, 7 novembre 2023, mentre all’esterno si teneva un presidio solidale, il tribunale – dopo quattro mesi di processo – ha emesso il verdetto contro i compagni Mónica e Francisco.

Francisco è stato dichiarato colpevole come autore per:

– due invii di ordigni esplosivi (alla 54° comisaría dei carabineros e a Hinzpeter);
– un tentato omicidio nei confronti dei carabineros;
– un reato di lesioni gravi nei confronti di un agente dei carabineros;
– un reato di lesioni;
– cinque reati di lesioni lievi;
– un danneggiamento (54° comisaría);
– un tentato omicidio nei confronti di Hinzpeter;
– due reati di collocazione di ordigno esplosivo (edificio Tánica).

È stato assolto dall’accusa di usurpazione di identità.

Mónica è stata condannata in qualità di complice per due reati di collocazione di ordigno esplosivo (edificio Tánica), mentre è stata assolta dall’accusa di possesso di marijuana.

Riassumendo, il tribunale ha accolto quasi tutte le richieste della procura, tranne, nel caso di Francisco, una delle imputazioni di tentato omicidio (che è stata derubricata in lesioni) e l’accusa di furto d’identità (per cui è stata disposta l’assoluzione); nel caso della compagna Mónica ha modificato la sua posizione da “autrice” dei fatti a “complice” e ha rigettato alcune aggravanti richieste dagli inquirenti.

Il tribunale dovrebbe emettere la sentenza definitiva, comprensiva degli anni di condanna che peseranno su ciascuno di loro, il prossimo 7 dicembre.

Salutiamo i cuori neri che assumono il compito di colpire i potenti.

Amore e anarchia per Mónica e Francisco.


Dichiarazione di Francisco Solar Domínguez

Buongiorno,

le azioni delle quali mi sono già assunto la responsabilità, che ho rivendicato politicamente e per le quali verrò condannato, fanno tutte parte di una lunga tradizione storica, specificatamente anarchica, che si incarica di restituire, in prima persona e senza necessità di intermediari, i colpi dei potenti e dei repressori; perché se qualcuno pensava che le loro politiche del terrore, basate su imposizioni e restrizioni di ogni sorta, così come su ondate repressive in cui addirittura, spesso e volentieri, calpestano la loro propria legalità (che tanto dicono di difendere e rispettare), sarebbero passate inosservate e non avrebbero suscitato risposte, si sbagliava di grosso.

Siamo in molti a saper aspettare il momento giusto per agire, a concepire la memoria non come un baule in cui riporre ricordi da contemplare e lamentele, ma piuttosto come un motore, che dà impulso all’azione vendicatrice come parte di una nostra pratica politica permanente, che si nutre della nostra storia, con i nostri successi e le nostre sconfitte.

Ed è stato questo esercizio mnemonico a nutrire le azioni individuali che realizzai negli anni 2019 e 2020; azioni individuali che non necessitavano né del consenso né dell’accordo collettivo, ma che furono il risultato dell’analisi, della decisione e della volontà personali, azioni che per alcuni altri furono parte e indubbiamente fortificarono la guerriglia urbana anarchica, la quale non scompare a prescindere dai costanti colpi repressivi, dimostrando nei fatti la praticabilità e l’efficacia delle relazioni informali orientate all’azione rivoluzionaria. Dimostrando peraltro come non sia necessaria una grande struttura organizzativa per la realizzazione di azioni incisive.

In questo senso, è importante far notare come le grandi organizzazioni rigide e stabili si trasformino rapidamente nel proprio stesso fine, cioè si organizzano nient’altro che per fortificare l’organizzazione stessa, a differenza delle organizzazioni informali che basano le proprie relazioni sull’attacco, cosa che conferisce loro quel dinamismo che previene l’irrigidimento e la comparsa di logiche burocratiche.

Le azioni, oltre a essere colpi diretti a dei rappresentanti e a dei simboli del potere, e oltre a dimostrare che è possibile realizzare i suddetti attacchi, costituiscono un mezzo per la diffusione di idee e messaggi, messaggi di ribellione e libertà, che verranno recepiti e posti in pratica da chiunque lo desideri. Messaggi che solo collegati con queste azioni costituiscono un reale pericolo per l’ordine imposto.

E parlo di ordine imposto perché in questa società non esiste un contratto sociale per il quale gli individui abbiano delegato la propria libertà allo Stato in cambio di libertà e sicurezza – impostazione che per inciso costituisce le fondamenta degli Stati moderni – ma, al contrario, lo Stato si fonda sulla spoliazione storica delle libertà degli individui, sottomettendoli e limitandoli in sempre più aspetti della loro vita, cosa che fortifica e perpetua il dominio statale. Lo Stato non è più solo un’istituzione, ma lo si ritrova in ognuna delle nostre relazioni, rendendo ancora più complesso ed esteso il dominio statale, e pertanto azioni contro lo Stato non solo sono giustificate, ma assolutamente necessarie. E, certo – come ha detto anche il signor Pubblico Ministero nella sua requisitoria finale – “concediamogli pure la parola!”, ma una parola che sia vincolata all’azione rivoluzionaria, perché una parola che pretenda costruire nuove relazioni, scevre di qualunque autorità, deve necessariamente andare di pari passo con l’azione rivoluzionaria.

Non si può negare la crescita e la proliferazione dei gruppi anarchici, negli ultimi tempi, cosa che ha comportato il fatto che i discorsi e le pratiche antiautoritarie siano presenti in gran parte delle mobilitazioni e delle rivolte attuali. Vedendo l’anarchia come una tensione piuttosto che un punto d’arrivo, e intendendola al pari di una lotta permanente contro ogni espressione dell’autorità piuttosto che una società perfetta o un paradiso terrestre, come in molti suggeriscono, si comprende come queste azioni individuali violente siano una parte imprescindibile di questo percorso di liberazione. Voglio lasciar intendere molto chiaramente che, lungo questo percorso, azioni come queste non sono le prime né saranno le ultime, ma come ho già detto precedentemente sono parte di un continuum storico che non sparirà; nonostante ci condannino a decadi di reclusione, e persino se ci uccidessero, ci saranno sempre individui e gruppi di individui che sono disposti a rispondere alla brutalità dello Stato e del capitalismo: ciò è inevitabile.

Infine, voglio approfittare di questa occasione per mandare un saluto complice ai prigionieri e prigioniere, anarchici e sovversivi, che lottano nelle carceri di questo paese.

Viva l’anarchia!

[6 novembre 2023]


Dichiarazione di Mónica Caballero Sepúlveda

Cercherò di essere abbastanza breve, visto che avevo deciso di non prendere la parola in questa sede, però reputo che sia necessario precisare una serie di questioni piuttosto specifiche rispetto ad alcune affermazioni in prevalenza del Pubblico Ministero.

Dunque, ho deciso di rilasciare una dichiarazione finale in questo processo, che mira a essere una punizione esemplare, perché non posso lasciar passare l’opportunità di difendere e chiarire una serie di aspetti che hanno a che fare con le idee e le pratiche che ho difeso e adottato praticamente negli ultimi 20 anni della mia vita.

Il signor Pubblico Ministero ha chiesto al mio coimputato se sono anarchica. E sì, certo che sono anarchica, però questo che significa? Dicendo anarchismo mi riferisco a un insieme di idee e pratiche che, inquadrate in principi che sono, ad esempio, il mutuo appoggio, la solidarietà, l’autogestione, costruiscono idee e pratiche che si iscrivono nella distruzione e nella costruzione, che voglio dire con questo?, la costruzione di ciò che è…

Quando mi riferisco all’anarchismo, intendo quell’insieme di idee e pratiche che in base a principi come il mutuo appoggio, la solidarietà e l’autogestione, costruiscono le condizioni affinché tutti gli individui… costruiscono le condizioni affinché tutti e tutte ci sviluppiamo in maniera integrale, tuttavia allo stesso tempo queste condizioni mirano alla distruzione di ogni forma di dominio.

Cosa intendo con “ogni forma di dominio”? Quelle forme di dominio che sono, ad esempio, l’attuale sistema di oppressione economica imperante, ciò vale a dire il capitalismo, e anche l’egemonia del potere politico, ovvero l’attuale Stato.

All’interno di queste pratiche noi anarchici possediamo un ampio ventaglio, come ben diceva il Pubblico Ministero. Tra le pratiche anarchiche esiste la violenza, ma ciò non è appannaggio unicamente dell’anarchismo, e allo stesso modo l’anarchismo non contempla la violenza come sua unica espressione pratica; e sì, ci sono compagni che hanno collocato degli ordigni, o che hanno spedito ordigni esplosivi, ma insisto: questa pratica di violenza politica non appartiene al solo anarchismo e l’anarchismo non esercita unicamente la violenza politica.

In relazione a tutto ciò, devo necessariamente porre una domanda e contemporaneamente rispondermi: che cosa caratterizza la pratica anarchica? Le pratiche anarchiche, violente o meno, si inscrivono e traggono ispirazione necessariamente all’interno delle idee antiautoritarie. Non possiamo separare l’idea dalla pratica antiautoritaria anarchica, finanche rivoluzionaria in un ampio spettro, senza tenere in considerazione la complementarietà tra idea e pratica. Vale a dire che le pratiche anarchiche non si sostengono senza la colonna vertebrale delle idee. Mettendo in chiaro tale questione rilevante tra idea e pratica, posso categoricamente dire che una pratica anarchica, violenta o no, non sarà mai indirizzata in maniera indiscriminata.

Il Pubblico Ministero, in una delle sue repliche, chiedo venia, durante la sua requisitoria, ha menzionato un concetto molto azzeccato e antico di noialtri anarchici: si è riferito alla propaganda con il fatto. La prospettiva del Pubblico Ministero sulla propaganda con il fatto, o ciò che ha cercato di spiegare in relazione a questo concetto, è una maniera molto miope di vederla, fondamentalmente perché ha tentato di inquadrarla nel contesto storico in cui ebbe il suo apogeo. Se non ricordo male, tra la fine dell’‘800 e l’inizio del 1900, durante un congresso a Londra, un gruppo di anarchici di diversi luoghi del mondo assunsero come pratica la propaganda con il fatto, e questa propaganda con il fatto la incarnarono attraverso assassinii, collocazioni di ordigni esplosivi, e una lunga lista di altri episodi. Ma la propaganda con il fatto è molto più di questo. Ciò che io sto facendo, ciò che sta facendo il mio coimputato in questo stesso processo, con le nostre parole, è propaganda con il fatto; questo è il punto: tutto ciò va molto più in là del mero esercizio della violenza, e nello specifico degli ordigni esplosivi.

Devo anche sottolineare come in questo processo, così come in tutti gli altri processi penali in cui sono stata e in quelli di cui sono stata spettatrice, nei confronti di compagni e compagne tanto in Cile come in altre parti del mondo, si è sempre assimilata la nostra visione politica a dei fatti delittuosi, e mi pare curioso, per non dire altro, che si stia negando questo aspetto investigativo, altrimenti che senso avrebbe avuto il sequestro delle decine, per non dire centinaia, di libri, le centinaia o migliaia di volantini, poster, opuscoli, e così via? Non capisco se non abbia altro scopo che lo studio della nostra concezione del mondo o del nostro modo di intendere la politica o lo scontro con il dominio, e non comprendo la negazione di questo aspetto.

Come già dicevo prima sono anarchica, pertanto nemica di ogni forma di dominazione, sottomissione od oppressione realizzata attraverso qualsiasi struttura di potere, per cui lo Stato, in tutte le sue forme e rappresentazioni, è illegittimo. Partendo dall’idea per cui questo, lo stesso Stato, si creò e consolidò a partire dall’idea del bene comune, o per lo meno il bene della gran maggioranza, cosa che è assai lontana dalla verità, vivo in un mondo in cui un gruppo privilegiato esiste al prezzo della miseria della grande maggioranza. Costruire forme antagoniste alle relazioni di potere è necessario affinché esista uno sviluppo integrale di tutti gli abitanti di questo mondo, tanto umani quanto animali.

Infine, posso dire a tutti i presenti che aspetto piuttosto tranquillamente il verdetto di questo tribunale, perché so che le idee di emancipazione alle quali ho dedicato buona parte della mia vita trascendono me stessa.

In ultimo, ai presenti e ai miei compagni e compagne presenti, come a coloro che ascolteranno o leggeranno in seguito le mie parole, posso dire che fino all’ultimo respiro che mi rimanga, sempre affermerò: morte allo Stato e che viva l’anarchia!

[6 novembre 2023]

Qui il PDF del testo.

 

“Dal fuoco alle esplosioni, percorriamo lo stesso percorso di vendetta. Solidarietà e complicità con Monica e Francisco”

“Che i prigionieri escano e le carceri brucino. Monica, Francisco e Marcelo in strada! Morte allo Stato, viva l’Anarchia!”

FIRENZE: NUOVA OCCUPAZIONE!

Sabato 28 ottobre è nata una nuova occupazione a Firenze, in via Incontri 2!

In un periodo storico in cui l’affitto pesa la metà del salario, occupare non è solo giusto, ma anche doveroso. Negli ultimi anni la governance cittadina non è stata mai capace di fornire risposte all’emergenza abitativa e alla carenza endemica di spazi sociali. Noi, dal canto nostro, sprovvisti dei grandi capitali che soli permettono di intraprendere iniziative in questa città, ci arrangiamo con l’unica pratica che ci risulta percorribile: l’apertura e la cura degli spazi abbandonati, per restituirli all’uso sociale e alla collettività. Passate a trovarci per proporre iniziative o informarvi sui progetti!

 

ALESSANDRIA: PRESIDIO SOLIDALE SOTTO AL CARCERE

PRESIDIO SOLIDALE AL CARCERE DI ALESSANDRIA – SAN MICHELE
Mercoledì 1 novembre dalle ore 15

L’estensione dei regimi detentivi speciali ai reati contro la libera espressione di pensieri sovversivi, conferma la natura politica della differenziazione penitenziaria. Una prigionia politica che per alcuni rivoluzionari dura da più di 40 anni.

Da qualche settimana il compagno anarchico Gino Vatteroni – accusato di avere violato le prescrizioni della detenzione domiciliare a cui era sottoposto – è rinchiuso nella sezione AS2 del carcere di Alessandria – San Michele. Gino si trovava ai domiciliari perché accusato di aver collaborato alla pubblicazione del giornale anarchico internazionalista Bezmotivny.

PER UN MONDO SENZA GALERE
PER LA LIBERTA’

TORINO: CORTEO CONTRO IL CARCERE

CORTEO SABATO 11 NOVEMBRE
DALLE ORE 15
Angolo via Val della Torre/corso Cincinnato (Torino)


GOVERNARE (DA)I MARGINI:
CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ’ CHE NE HA BISOGNO

Mentre non si riesce più a contare il numero di gente massacrata e la cui vita è in scacco per via di necessità e imperativi di guerra che bussano alle porte di questa Europa apparentemente prossima al collasso sia economico che ecologico; mentre i giornali imperversano in una retorica schiacciante in cui terrorista è nominato colui che lotta, si organizza e risponde – colpo su colpo – alla violenza degli Stati, alla violenza delle colonie e all’ingiustizia strutturale dei sistemi differenziati del capitalismo neo-liberale (ossia la produzione, da parte del capitalismo, di categorie di persone sfruttabili, ricattabili e reprimibili a seconda delle sue necessità); mentre tutto questo succede, il carcere – essenza materiale e simbolica, della dirompenza del sistema di controllo, punizione e messa a valore delle classi oppresse – diventa un nodo centrale contro cui lottare. Non solo per ribadire come il potere si materializzi sulle vite di sfruttati e sfruttabili, ma anche per sottolineare quali alleanze vogliamo ribadire, scoprire e valorizzare nel nostro bisogno di organizzarci contro un’esistenza invivibile e inaccettabile.

Il momento storico in cui ci troviamo a vivere ci impone la necessità di ampliare lo sguardo sul fenomeno carcerario, legandolo non solo a un dispositivo fisico repressivo, ma capendo come la diluizione del sistema carcere al di fuoridelle patrie galere coinvolga inevitabilmente i diversi strati sociali e informi il tessuto sociale tutto. Il governo Meloni e le sue politiche, marcatamente classiste, razziste e securitarie, mostra una continuità a ritmo sostenuto, in rapporto con gli esecutivi precedenti nel creare supposti “soggetti criminali” e nemici da cui difenderci. La tendenza è quella giustizialista che continua a materializzarsi nell’uso della decretazione d’urgenza, sia riguardo al fenomeno della cosiddetta “devianza giovanile” sia a quello della migrazione. Decreti che hanno il medesimo obiettivo politico: privazione della libertà personale e di movimento. Un vero e proprio strapotere penale, e carcerario, quello che si sta sviluppando oltre il perimetro dell’istituzione totale per eccellenza, dove a farne le spese sarà la parte più sfruttabile e ricattabile del tessuto sociale.

Il mito collettivo, secondo cui la prigione protegge (da cosa esattamente?) e quindi sia un male necessario, non è altro che un mito utilizzato per giustificare, quando ancora ce ne sia bisogno, l’istituzione carcere in sé, luogo ove confinare la miseria e soffocare la protesta contro l’ordine stabilito e creare cittadini obbedienti. E questo mito è di sovente ancorato all’idea, quasi religiosa, del “chi ha peccato deve pagare”. Ma invece è ovvio che le carceri, essendo per essenza strutture coercitive, non possono che avere come unico scopo la disciplina e la sicurezza. Questo controllo sociale totalizzante viene esercitato al di là delle mura del carcere, attraverso la paura che esso incute, ma anche per mezzo delle cosiddette pene alternative, ovvero ulteriori strumenti per aumentare la carcerazione diffusa. La prigione è il luogo di punizione per eccellenza, in cui la società capitalista neoliberale rinchiude coloro che dichiara dannosi, per contenere qualsiasi slancio di rivolta sociale e mantenere così al suo interno valori morali basati sulla disuguaglianza, sullo sfruttamento, sul rispetto dell’autorità e sulla sottomissione alla violenza dello Stato.

Le rivolte, gli scioperi della fame, le lotte dei reclusi che caratterizzano la quotidianità delle carceri, sono l’evidenza di una rabbia irriformabile. Una rabbia relegata, dagli organi governamentali, a una totale silenziazione delle sue rivendicazioni, in cui si vuole privare di significato qualsiasi atto di protesta con la conseguente invisibillazione delle condizioni detentive.

Le parole del ministro della Giustizia Nordio, in visita al carcere Lorusso e Cotugno, lo scorso mese in risposta alla morte di due detenute, non fanno altro che speculare sull’accaduto e portare avanti i calcoli politici di governo, di fronte all’evidenza strutturale che il carcere uccide. Lo scopo delle istituzioni penitenziarie è dunque chiaro: controllare, monitorare, punire, uccidere, poiché la necropolitica è parte integrante della logica carceraria.

Essa si basa sul fare della violenza-tortura-morte uno strumento di controllo e deterrenza per gli internati, verso il mondo dei liberi e in particolare verso quegli strati del tessuto sociale che, in diverse forme, escono dagli schemi costruiti attorno ad essi. Grazie allo sciopero della fame di 181 giorni portato avanti da Alfredo Cospito e alla mobilitazione contro il 41bis e l’ergastolo ostativo al suo fianco, è oggi forse maggiormente noto come lo stato utilizzi la tortura, annientando psico-fisicamente le persone detenute nelle carceri per estorcere informazioni, richiedere il pentimento o la dissociazione. Questi sono i meccanismi brutali di cui si avvalgono le istituzioni per il re-inquadramento di massa della società tutta.

Quando il sistema carcerario esplica la sua funzione violenta e mortifera, l’opinione pubblica tende a polarizzarsi in due correnti non dualistiche tra di loro: da una parte si consolida l’approccio giustizialista, dove si criminalizza e si condanna alla responsabilità individuale dell’espiazione della colpa, discorso accettato da un ampia fetta della società. Dall’altra, invece, il paradigma garantista, abbandonate le proprie velleità di assicurazione dello stato di diritto – come il principio di proporzionalità e funzione rieducativa della pena – si riduce alla mera richiesta di più controllo e sorveglianza negli istituti penitenziari, tramite l’assunzione massiccia di guardie, militari e personale sanitario. Nello specifico i sindacati di polizia avanzano rivendicazioni bastate sulla richiesta di più organico con l’obbiettivo di aumentare la loro capacità di coercizione e violenza nei confronti dex detenutx,soprattutto dex rivoltosx.

Entrambi gli approcci danno voce quindi ad un unicum securitario. Un discorso che nel suo complesso va smascherato. La violenza statale si perpetua nell’ordine carcerario anche attraverso il sovraffollamento, la mancanza di cure sanitarie e i pestaggi della polizia. Pensare di riformare le carceri non è un’orizzonte politico desiderabile perché non può esserci una vera emancipazione senza la distruzione totale dei luoghi di reclusione e della società che li necessita.

CONTRO IL CARCERE E LA SOCIETÀ CHE NE HA BISOGNO
Rendiamo tangibile la solidarietà a chi resiste e lotta contro la violenza quotidiana della detenzione, attraversando le strade di Vallette per arrivare fino alle mura del carcere Lorusso Cotugno.