MERCOLEDì 8 FEBBRAIO ORE 18- PIAZZA VERDI
PER LA FINE IMMEDIATA DELLE MISURE CAUTELARI E PER IL DISSEQUESTRO DEGLI SPAZI SOCIALI IN UNIVERSITA’!
Cresciamo nei terreni incolti, nelle zone asciutte e sassose, ai bordi dei viottoli
MERCOLEDì 8 FEBBRAIO ORE 18- PIAZZA VERDI
PER LA FINE IMMEDIATA DELLE MISURE CAUTELARI E PER IL DISSEQUESTRO DEGLI SPAZI SOCIALI IN UNIVERSITA’!
Stamattina alcunx compagnx del CUA sono stati raggiunti da 12 misure cautelari (10 obblighi di firma e 2 divieti di dimora) per un corteo e un’occupazione di qualche mese fa. Le accuse sono molteplici e pesanti. Durante l’operazione sono state perquisite le case di compagnx ed inoltre sono stati posti sotto sequestro due spazi universitari occupati e autogestiti dal CUA: l’auletta al 38 di Via Zamboni e SPLIT – Spazio per liberare il tempo. Ancora una volta lo Stato attacca con l’obbiettivo di scoraggiare, dividere e isolare chiunque intenda sfidare l’attendismo dilagante e lottare. Ad essere sotto attacco infatti non è solo qualche compagnx, ma tuttx noi. In un momento in cui è sempre più chiaro a molte la necessità di mobilitarsi e agire sul presente, le maglie della legge e della repressione si stringono con l’obiettivo di tenerci isolate: a questa ennesima ed infame operazione repressiva rispondiamo esprimendo la nostra piena complicità e solidarietà.
Pubblichiamo un contiributo di Prison Break Project (del 12/01/23):
“Acciocché l’occhio incontri solo muri”. “Che l’occhio incontri solo muri”. “Che nella mente rimangano solo muri”.
Sono tre passaggi tratti dal bellissimo fumetto di Zerocalcare, “La voragine”, pubblicato per il giornale “L’Essenziale”, in cui viene ripetuto, come un mantra, in cosa consiste l’essenza, la funzione recondita, del regime detentivo del 41 bis.
Tre volte, si diceva. Ogni passaggio scandisce una particolare caratteristica del regime detentivo di cui sopra. Il blindo della cella sempre abbassato, con lo spioncino che dà sul muro del corridoio davanti ad essa, in modo tale che non si riescano mai a vedere le altre celle. L’ora d’aria giornaliera (l’unica) da trascorrere in un minuscolo cortile, fra muri altissimi e con una rete metallica ad impedire di scorgere il cielo. Ed infine le molte prescrizioni da rispettare all’interno della cella, dal divieto di ricevere libri e riviste dall’esterno, alla censura della posta, all’asetticità totale dello spazio, fino al divieto di appendere fotografie alle pareti (se non una, a volte, quando autorizzata). “Che nella mente rimangano solo muri”, appunto.
La fase finale di un processo di annientamento il quale risulta essere la finalità vera della misura restrittiva in questione.
In questi giorni il 41 bis viene tirato in ballo molto più frequentemente del solito. La motivazione è una sola. Il 4 maggio 2022 Alfredo Cospito, anarchico già condannato a 10 anni di reclusione per il ferimento dell’amministratore delegato di Ansaldo nucleare, condanna interamente scontata, sotto processo per “strage contro la sicurezza dello stato” a causa di un ordigno rudimentale esploso nel 2006 davanti alla scuola dei carabinieri di Fossano, ordigno che gli stessi inquirenti hanno definito “a basso potenziale”, che ha fatto esclusivamente danni materiali non particolarmente rilevanti (la pena prevista dal 285 c.p. è l’ergastolo), viene mandato alla sezione del cosiddetto “carcere duro” del penitenziario di Bancali, a Sassari, per decisione dell’allora ministra della giustizia Marta Cartabia. È il primo anarchico ad essere recluso in un regime carcerario del genere.
Il 20 ottobre scorso Alfredo ha iniziato uno sciopero della fame ad oltranza contro le misure a cui è sottoposto, condotta che perdura ancora adesso e che è deciso a portare fino in fondo. Sono ormai quasi tre mesi, con tutte le conseguenze, tremende, per il suo fisico. La sua determinazione, assieme all’opera indefessa del suo legale Flavio Rossi Albertini, alle azioni di compagni e compagne, anarchiche ma non solo, dell’inizialmente ristretto gruppo di attivisti anticarcerari e al documento diffuso dal pugno di avvocati che denunciavano il clima di caccia alle streghe contro il movimento anarchico, tutto ciò è riuscito a “sollevare il velo di Maya”, a bucare la coltre di indifferenza che da sempre ricopre la condizione carceraria.
Ora il “caso Cospito” è sui giornali, anche nazionali e se ne parla su siti, in radio e in Tv. Un appello sottofirmato da 38 personalità di varia estrazione, che ha raccolto migliaia di adesioni, chiede al ministro della giustizia e al dipartimento penitenziario di tornare sui propri passi e fare di tutto perchè il provvedimento restrittivo venga revocato, nonostante l’ultima parola ora spetti alla Cassazione, visto che il tribunale di sorveglianza di Roma ha respinto il ricorso contro la misura, e dunque il sistema repressivo abbia confermato la necessità di una punizione la più severa possibile nei suoi confronti. Le molte azioni di compagne e compagni, come occupazioni temporanee di spazi pubblici, presidi, manifestazioni, dirette radio dal carcere di Bancali, hanno rilanciato la questione di Alfredo. Tutto ciò ha avuto il merito di imporre al dibattito pubblico la messa in discussione della misura del 41 bis in sé e l’annientamento che comporta in chi vi è assoggettato.
A nostro avviso è necessario allargare un po’ gli orizzonti per considerare la situazione in cui siamo con le varie sfaccettature. Alfredo e Anna non sono gli unici due anarchici condannati duramente per alcune azioni dalle conseguenze tutto sommato contenute. C’è il caso di Juan, anche lui anarchico, condannato a 28 anni in primo grado, accusato di aver piazzato una “pentola esplosiva” davanti alla sede della lega di Villorba, ordigno che, una volta deflagrato, nelle ore notturne, ha fatto solo danni materiali. Attentato per finalità terroristiche, recita l’accusa, l’articolo 280 c.p, reato che prevede, al primo comma, una pena che può arrivare fino ai 30 anni di reclusione.
Il clima di recrudescenza della repressione penale riguarda ormai molti ambiti dell’azione politica. È solo il caso di citare l’instancabile opera della procura torinese, tra un’associazione sovversiva a carico dei militanti dell’Asilo occupato, l’associazione a delinquere contestata al centro sociale Askatasuna, le centinaia di persone messe sotto processo in Valsusa, le misure cautelari emesse nei confronti di attivisti che protestavano contro l’alternanza scuola – lavoro e contro la morte di un loro coetaneo. Si evidenzia inoltre la richiesta della questura di Pavia di sottoporre il militante di Ultima Generazione Simone Ficicchia a sorveglianza speciale a motivo delle azioni volte a far emergere la questione climatica e ambientale.
Come si è arrivati a questo punto? È utile considerare il ciclo repressivo che ormai da diversi anni coinvolge la penisola in un crescendo inesorabile, fra frenate e risalite. Fra gli altri noi del collettivo Prison break project abbiamo ravvisato, nel nostro tentativo di analisi, l’instaurarsi di una forma di diritto penale del nemico contro gli avversari politici e sociali, almeno a partire da Genova 2001, così da riuscire a leggere in modo unitario l’innalzamento generale dell’entità delle pene inflitte. La sconfitta del movimento no global e la scia di punizione poliziesca e di decenni di galera addossati ai 10 “capri espiatori” del blocco nero (Vincenzo Vecchi è in attesa dell’estradizione dalla Francia) ha avuto come ripercussione la legittimazione all’utilizzo reiterato di strumenti repressivi che molti pensavano relegati agli anni bui del regime e agli anni 70, nonché l’emanazione di nuovi.
L’estrema plasticità e duttilità dei dispositivi punitivi a disposizione ha reso possibile l’adattamento dell’armamentario inizialmente destinato al contrasto di un determinato fenomeno “criminale” ad un contesto completamente differente. È successo con le “misure di prevenzione” come il foglio di via e la sorveglianza speciale, concepite per contenere, anzi per prevenire, soggetti criminali e poi trasferite decisamente nell’ambito della repressione del dissenso politico; è successo con il reato di devastazione e saccheggio, utilizzato senza soluzione di continuità, a partire dagli anni 2000, contro i manifestanti, poi contro gli ultras, poi di nuovo contro i manifestanti ed infine contro i carcerati in rivolta; è successo con i daspo, provvedimenti ideati ad hoc per colpire gli appartenenti alle tifoserie più “riottose” e trasmigrati in contesto sociale e cittadino; con i reati associativi politici, che fino agli anni settanta e ottanta venivano usati contro formazioni politiche ben strutturate organizzativamente e al giorno d’oggi invece sempre più volti a contrastare gruppi anarchici o libertari che si contraddistinguono per la leggerezza o addirittura la mancanza totale di una struttura “classica”, finendo così per reprimere direttamente l’adesione ad un’idea politica; si sta cercando di impiegare lo schema dell’associazione a delinquere “semplice” per punire sempre più centri sociali, sindacati di base, occupanti di case e così via.
La traiettoria politica che ha portato Alfredo Cospito al 41 bis non è così diversa. La particolare agibilità di una misura carceraria così gravosa, guadagnata in trent’anni di applicazione ed espansione costante (si è passati dalle iniziali 200 e rotti alle attuali 750 persone che vi sono ristrette) ne ha legittimato l’estensione ad altre soggettività: dalla repressione della criminalità organizzata alle nuove Br, ai fenomeni “terroristici” (con tutta la problematica relativa alla definizione stessa del “terrorismo”) al primo militante anarchico.
Genova 2001 ha avuto ricadute su una serie di procedimenti che nulla avevano a che fare con il movimento no global e le sue diverse componenti. Anche la portata politica della vicenda di Alfredo va oltre il caso specifico. La concreta minaccia di una condanna definitiva all’ergastolo ostativo e ad alla pena di morte viva del 41 bis nei suoi confronti rappresenta il culmine raggiunto dal ciclo repressivo del dissenso politico attuale. La generosità ed il coraggio di aver messo il proprio corpo e la propria vita a repentaglio in questa lotta ha avuto la conseguenza di evidenziare le contraddizioni e le smagliature del sistema repressivo ma anche di dare ossigeno e spazio al dibattito antirepressivo e anticarcerario.
Vogliamo che Alfredo Cospito viva e venga al più presto trasferito dal regime di tortura del 41 bis.
Vogliamo che venga scongiurata la possibilità di una condanna all’ergastolo per lui e per Anna Beniamino.
Vogliamo che il 41 bis venga abolito perché totalmente incompatibile con la vita umana.
Vogliamo che l’ergastolo ostativo scompaia dall’ordinamento.
Vogliamo che si avvii un processo che porti alla sconfitta della concezione giustizialista imperante, che vede nel carcere la stella polare.
Vogliamo che la repressione smetta di essere l’orizzonte unico di ogni soggetto sociale e politico che si attiva.
Che nella mente crollino i muri che ci rinchiudono.
Prison Break Project
martedì 7 febbraio, h 16.00, aula magna del dipartimento cospecs
INCONTRO E DIBATTITO
*Introduzione – P. Saitta
*L’incostituzionalità riluttante dell’ergastolo ostativo – L. Risicato
*La sottile linea tra detenzione e tortura – G. Colavecchio
*Dal diritto penale del ‘fatto’ al diritto penale del ‘nemico’: la denuncia degli avvocati sull’erosione delle garanzie processuali – C. Picciotto
*Dall’antimafia all’antiterrorismo e oltre: piccola cronologia del carcere duro e dei provvedimenti speciali; Aggiornamenti sul caso Cospito e sul movimento contro 41bis ed ergastolo ostativo – Attivisti sociali
Diffondiamo: LA NOSTRA BANDA SUONA ANCORA IL ROCK: note sulla perquisizione di questa mattina.
Ieri mattina ha avuto luogo una perquisizione al Centro Sociale Askatasuna. Un’operazione che riguarda i fatti del 15 Ottobre 2022 quando nel controviale davanti al centro sociale si è tenuto un concertone che ha visto la partecipazione di migliaia di persone e decine di artisti della città in difesa dello spazio sociale. Decine di camionette e uomini in antisommossa della polizia e della guardia di finanza hanno bloccato l’ingresso di Askatasuna impedendo il passaggio anche alle lavoratrici ed ai genitori della vicina scuola.
Diffondiamo:
Ieri mattina hanno arrestato un nostro compagno, Tonio, mentre usciva da Corsica. Gli inquirenti parlano di sei attacchi alla linea dell’alta velocità tra Firenze e Bologna. Non sappiamo chi abbia compiuto questi attacchi, ma non fatichiamo a immaginare quali siano le motivazioni che potrebbero aver spinto qualcuno ad agire. Chiunque abiti o conosca il Mugello sa di cosa parliamo. In realtà basta fare una ricerca di due minuti su internet per capire cosa rappresenta il Tav per il Mugello. I giornali evocano la strategia della tensione, confidando nella scarsa memoria di questo paese. Come se l’odio dello stato e dei fascisti verso il movimento di allora e il disprezzo che mostrarono per la vita umana possano essere associati all’amore per un territorio e per quella vita che proprio il Tav ha distrutto e continua a distruggere. Era il 2012, dopo solo tre anni dal primo treno partito, e già erano stati calcolati 57 km di corsi d’acqua persi. 57. kilometri. Una tragedia annunciata sin dal progetto iniziale. Un ecosistema distrutto anche secondo la stessa magistratura che oggi accusa Tonio, che condannò ben 19 tra dirigenti e direttori dei lavori per quello che era un disastro troppo evidente per essere insabbiato. Ad essere insabbiate furono invece proprio le stesse condanne, annullate con un colpo di spugna finale dalla cassazione. Ma non è per ignoranza che si associano queste azioni alla strategia della tensione. Come si trasforma il danneggiamento di un quadro elettrico in una punizione esemplare? Aspetta, com’era la risposta? Ah già.. il terrorismo! Il punto della questione è sempre più evidente: quando si parla di pene non è importante cosa hai fatto, è importante chi sei, quali sono le tue idee e quanto si teme che possano diffondersi. In questi giorni Alfredo Cospito sta morendo pur di non sottostare al regime di tortura del 41 bis. Regime che gli è stato inflitto per una “strage” che non poteva ferire nessuno e non ha inftti ferito nessuno a parte il cantiere di una scuola carabinieri. Sempre questa settimana ad altri tre compagni di Corsica sono stati notificati altrettanti avviamenti di indagini per associazione sovversiva con finalità di terrorismo per aver partecipato ad un imbrattamento al comando militare della Sardegna in cui una torcia è stata lanciata su della vernice prendendo inavvertitamente fuoco. Totale dei danni dell’azione: tre nanosecondi di fiamme accidentali e una macchia nera su una parete. Questa è la realtà in cui ci troviamo ad agire: la cosiddetta giustizia distorce come sempre se stessa quando si tratta di colpire chi lotta. A Tonio va tutta la nostra solidarietà. Tonio libero. Tutti liberi.
Per scrivergli e mostrargli affetto (consigliamo con telegramma e posta 1)
Antonio Recati
Carcere circondariale di sollicciano
Via Minervini 2r,
50142, Firenze
Ieri sera (26 gennaio) un nutrito gruppo di compagnx e solidali si è riunito sotto al carcere di Sollicciano per portare il proprio affetto e solidarietà a Tonio e alle persone detenute. Odiamo il carcere e la società che ne ha bisogno. Liberx tuttx!
Diffondiamo, da Quarticciolo Ribelle:
Carcere, il vostro record è una strage.
82 suicidi nel 2022, detenuti che avrebbero dovuto scontare pochi mesi, detenuti ancora in attesa di giudizio, detenuti con fragilità psichiche. Appesi ai lenzuoli, imbottiti di farmaci, inalano bombolette del gas. Un record che è una strage.
Ivrea, Torino, Siena, Rieti, Santa Maria Capua Vetere, Bari… centinaia di mele marce tra i secondìni. Centinaia di detenuti torturati. Casi isolati, episodi per cui si faranno lunghi processi. Processi in cui il Ministero della Giustizia si costituisce parte civile: si sentono infangati nella loro reputazione, lamentano il danno di immagine a via arenula, come potevano immaginare cosa combinavano quei secondìni nel buio delle prigioni?
Eppure casi tutti identici: le perquisizioni con i modi forti, le squadrette, gli isolamenti punitivi, le cellette adibite a stanze delle torture, le chat tra gli agenti che si vantano delle loro gesta, i medici che non si accorgono di nulla e alla fine i trasferimenti per chi sopravvive.
Più di 700 detenuti in libertà vigilata da due anni che dovranno tornare in carcere alla fine delle feste perché il parlamento si è scordato di legiferare sul loro caso. Penitenziari sovraffollati, penitenziari senza acqua potabile, educatori sotto organico, psicologi sotto organico. Solo le guardie e i detenuti.
È in corso una strage, non c’è nessuna fatalità in quello che sta accadendo nelle patrie galere ma il freddo burocratico calcolo di un sistema penale che conta i morti e accumula voti per chi invoca la forca.
Ad essere condannati per strage sono però Juan, Anna e Alfredo. Per azioni dimostrative in cui nessuno è morto. Alfredo ha superato i due mesi di sciopero della fame. Alfredo è rinchiuso al 41bis in un regime che è una tortura. Non lasciamolo solo
Ci vediamo il 31 dicembre, come ogni anno, sotto il carcere di Rebibbia.
ODIO IL CARCERE e la società che ne ha bisogno
(la scritta nella foto dice “81 suicidi”, mentre veniva realizzata i giornali rendevano noto l’82esimo suicidio di questo 2022, a Bergamo. Non si fa in tempo neanche a denunciare quanti sono che aumentano)
Da Radio Blackout
Il 5 dicembre si è tenuta la prima udienza del processo d’appello bis contro Anna Beniamino ed Alfredo Cospito, già condannati in primo e secondo grado per un attentato alla Caserma degli allievi carabinieri di Fossano nel 2006.
La Corte d’appello di Torino, chiamata a ridefinire la pena nei loro confronti, dopo la decisione della Cassazione di configurare i fatti di Fossano come strage politica, ha accolto una delle tre eccezioni di incostituzionalità avanzate dalla difesa e ha rimandato alla Corte Costituzionale la decisione su quel punto. Nello specifico hanno sollevato la questione di legittimità costituzionale sul divieto di prevalenza di una attenuante specifica (fatto tenue, previsto per i reati contro la personalità dello stato) perché non sarebbe applicabile a Cospito in ragione della recidiva reiterata specifica. Questo significa che avrebbero accolto la tesi difensiva che si tratti di un fatto tenue. Sia chiaro: la prospettiva, nella migliore delle ipotesi, sarebbe comunque di moltissimi anni di carcere.
Durante l’udienza, Alfredo Cospito e Anna Beniamino, arrivati rispettivamente a 46 e 31 giorni di sciopero della fame erano collegati in video conferenza dal carcere di Sassari e da quello di Rebibbia ed hanno fatto dichiarazioni spontanee.
Cospito, recluso in regime di 41bis ha dichiarato che avrebbe continuato la propria lotta contro l’ergastolo ostativo e il 41bis sino al suo ultimo respiro.
In seguito c’è stata la requisitoria del Procuratore generale che ha chiesto l’ergastolo, con un anno di isolamento diurno per Alfredo Cospito e 27 anni ed un mese per Anna Beniamino. Poi la parola è passata agli avvocati difensori. Il 19 dicembre in corte d’appello leggeranno le motivazioni della decisione presa oggi. Poi bisognerà attendere che si pronunci la corte costituzionale.Tempi lunghi, mentre le prospettive di sopravvivenza di Alfredo Cospito, diminuiscono giorno dopo giorno. Il tribunale di Sorveglianza, dopo il ricorso contro il 41bis presentato dai difensori il 1 dicembre, continua a tacere.
Davanti al tribunale ieri c’è stato un presidio di solidali, che prima hanno fatto un blocco stradale e poi si sono mossi in corteo sino ai giardini reali.
Ne abbiamo parlato con l’avvocato Gianluca Vitale, uno degli avvocati della difesa. Dalla diretta è emerso in modo chiaro che l’intera operazione “Scripta Manent” si basa su forzature giuridiche, che si incardinano in una logica di diritto penale del nemico. La logica che animò il legislatore, quando negli anni Trenta introdusse nell’ordinamento il reato di “strage politica”, un reato che all’epoca prevedeva la condanna a morte immediata, ed oggi porta alla morte con lenta tortura tra carcere a vita e 41bis.
Dal fascismo alla democrazia lo Stato non tollera chi lotta per la sua distruzione.
Ascolta la diretta:
Diffondiamo le dichiarazioni di Alfredo e Anna all’udienza d’appello per il ricalcolo delle condanne nell’ambito del processo Scripta Manent (Torino, 5 dicembre 2022)
DICHIARAZIONE DI ALFREDO COSPITO
Leggo soltanto quattro righe. Prima di scomparire definitivamente nell’oblio del regime del 41 bis lasciatemi dire poche cose e poi tacerò per sempre. La magistratura della repubblica italiana ha deciso che, troppo sovversivo, non potevo più avere la possibilità di rivedere le stelle, la libertà. Seppellito definitivamente con l’ergastolo ostativo, che non ho dubbi mi darete, con l’assurda accusa di aver commesso una “strage politica”, per due attentati dimostrativi in piena notte, in luoghi deserti, che non dovevano e non potevano ferire o uccidere nessuno e che di fatto non hanno ferito e ucciso nessuno. Non soddisfatti, oltre all’ergastolo ostativo, visto che dalla galera continuavo a scrivere e collaborare alla stampa anarchica, si è deciso di tapparmi la bocca per sempre con la mordacchia medievale del 41 bis, condannandomi ad un limbo senza fine in attesa della morte. Io non ci sto e non mi arrendo, e continuerò il mio sciopero della fame per l’abolizione del 41 bis e dell’ergastolo ostativo fino all’ultimo mio respiro, per far conoscere al mondo questi due abomini repressivi di questo paese. Siamo in 750 in questo regime ed anche per questo mi batto. Al mio fianco i miei fratelli e sorelle anarchici e rivoluzionari. Alla censura e alle cortine fumogene dei media sono abituato, queste ultime hanno l’unico obiettivo di mostrificare qualunque oppositore radicale e rivoluzionario.
DICHIARAZIONE DI ANNA BENIAMINO
Questo è un processo politico, che si è mostrato teso fin dall’inizio alla somministrazione della pena esemplare, processo alle nostre identità di anarchici più che ai fatti, processo a chi non abiura le proprie idee.
Una strage senza strage attribuita senza prove è il culmine di un crescente impegno di Antiterrorismo e Procure per esorcizzare lo spettro dell’anarchismo d’azione. Nello stesso disegno si colloca l’imposizione del regime 41 bis ad Alfredo Cospito, reo di intrattenere rapporti con il movimento anarchico dal carcere. Lo sciopero della fame ad oltranza che il compagno sta portando avanti dal 20 ottobre è l’extrema ratio contro isolamento e deprivazione sensoriale, fisica, psichica, contro un bavaglio politico. Bavaglio che gli ha impedito finanche di leggere le motivazioni dello sciopero stesso. Il 41 bis è il grado estremo di accanimento dei regimi differenziati: carceri dove l’isolamento continuato e il sovraffollamento delle sezioni comuni sono le due facce di un sistema teso ad annullare l’individuo. Carceri dove le stragi, quelle vere, si sono verificate e si verificano: nella repressione delle rivolte del 2020, nello stillicidio di suicidi, nel trattamento dei più poveri e fragili tra i prigionieri come “materiale residuale” della società tecno-capitalistica imperante. Se qualcosa accadrà ad Alfredo Cospito qualsiasi individuo dotato di pensiero critico capirà chi siano i mandanti ed esecutori del suo annientamento fisico, non essendo riusciti ad effettuare quello politico e ideale. Sono cosciente di essere ostaggio di un sistema che nasconde dietro al feticcio di “sicurezza” e “terrorismo” il suo collasso politico, economico, sociale, ambientale.
Opporsi a questo è necessario.
Potete distruggere la vita delle persone, non riuscirete a spegnere il pensiero e le pratiche antiautoritarie.
Non riuscirete a spezzare la tensione rivoluzionaria, non riuscirete a spegnere l’anarchia.
Saluto Alfredo e tutti i compagni.
Anna Beniamino