IVREA/VALCHIUSELLA: SOLE E BALENO (1998 – 2025). LONTANI DALLE COMMEMORAZIONI, VICINI A CHI LOTTA OGGI

Diffondiamo

Sabato 29 marzo
ore 14.30 : Presidio solidale sotto le mura del carcere di Ivrea
ore 18.00 : Presentazione dell’opuscolo “Democrazie reali. Israele come laboratorio modello della nuova modernità per un Occidente sempre più in crisi” presso lo ZAC (Movicentro Ivrea, dietro la stazione fs)
ore 21.00 : Concerto Ecowar european/australian anarchopunk band

Domenica 30 marzo
ore 10.00 : ritrovo in piazza Brosso, camminata verso la Cavallaria. Pranzo al sacco.

Cassa Anti Repressione delle Alpi Occidentali

TARANTO: SEIZEROQUATTRO

Riceviamo e diffondiamo:

Nella notte tra il 12 ed il 13 marzo, a Taranto , un compagno ed una compagna venivano raggiunti da una volante della polizia mentre erano fermi in una piazzola di sosta della tangenziale sud di Taranto.
All’arrivo gli agenti esternavano sin da subito la loro contrarietà verso una scritta che recitava “Israele terrorista” ponendo più volte la domanda “odi Israele”? al compagno ed accusandolo di aver fatto la scritta in questione più alcuni graffiti e tag presenti sullo stesso muro.
Dopo l’arrivo di un vice ispettore dall’arroganza notevole che cercava di requisire i telefoni di entrambi con nessun risultato , la compagna veniva caricata nella volante mentre il compagno veniva scortato a “sandwich” con la sua auto verso la caserma cittadina.
Verranno rilasciati alle 4 del mattino con l’accusa infamante di “Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa” art. 604 bis, articolo che viene usato “normalmente” contro organizzazioni neonaziste o negazionisti della shoah.
Anche in situazioni come queste possiamo osservare quanto gli Stati si stiano piegando al volere di Stati Uniti e Israele rendendosi vergognosamente complici verso il massacro e lo sterminio in atto contro il popolo palestinese.
Sta a noi restare con la schiena dritta, non farci intimidire da queste patetiche acrobazie accusatorie e continuare a fare tutto ciò che è nelle nostre possibilità contro la guerra ed il mondo che la produce.
Libertà per il popolo palestinese, guerra alla guerra.

TRENTO: 23 ANNI DI CARCERE PER UN’INIZIATIVA CONTRO IL CARCERE

Diffondiamo:

Il 5 marzo scorso, il giudice Gianmarco Giua ha condannato in primo grado 25 tra compagne e compagni a pene che vanno dagli 8 mesi ai 2 anni di galera per un presidio del novembre 2020 sotto il carcere di Spini. Tenuto conto che il processo si è svolto con rito abbreviato (il quale prevede la riduzione di un terzo della pena) e che le condanne hanno superato quanto chiesto dallo stesso PM, si tratta di una sentenza su cui vale la pena fare qualche riflessione. Si tratta, infatti, di una palese anticipazione del DDL (ex) 1660 in discussione al Senato. 19 tra compagne e compagni sono stati condannati per “istigazione” (16 a 10 mesi, 3 a 1 anno). Il motivo è aver urlato “Fuoco alle galere” e frasi simili. Il reato di “istigazione a disobbedire alle leggi” esiste da decenni, ma non aveva mai portato a condanne – per lo meno a Trento – per slogan che caratterizzano da sempre le presenze solidali sotto le carceri. Sembra, appunto, un’anticipazione del “terrorismo della parola” con cui nel nuovo Decreto si vogliono colpire le idee che metterebbero a rischio l’ordine pubblico. Un paio di compagni sono stati condannati rispettivamente a 1 anno e a 1 anno e 2 mesi per “resistenza” in quanto accusati di aver disturbato con dei laser ottici le riprese della Digos. Anche questa sembra un’anticipazione dell’estensione del reato di “resistenza” o – per carceri e CPR – di “rivolta” a condotte che non sono “violente” e nemmeno particolarmente “attive”, coincidendo di fatto con tutto ciò che ostacola l’operato delle forze di polizia o dell’autorità. Due compagni sono stati condannati a 2 anni per un blocco stradale con dei cassonetti incendiati avvenuto in un’altra zona della città.

L’iniziativa finita sotto processo si era svolta mentre vigeva il divieto di ogni assembramento e mentre nel carcere di Spini – come in tanti altri – era in corso una protesta. Nella realtà rovesciata dei tribunali, ad “istigare” i prigionieri non erano le condizioni repressive interne (culminate, nei mesi precedenti, nella strage di Modena) bensì le parole solidali di compagne e compagni. La sentenza, insomma, prolunga il cordone poliziesco-mediatico con cui lo Stato ha cercato di imporre il silenzio sulle proteste dei detenuti e sulla violenza delle guardie, e prepara il terreno per quell’“istigazione alla rivolta” con cui il DDL vuole punire proprio i presìdi solidali davanti a carceri o CPR. Mai scordare il fatto che l’atto fondativo del primo lockdown su scala nazionale della storia (quello imposto il 10 marzo 2020 dal governo Conte) è stato l’assassinio di 14 prigionieri.

Non è la prima volta che compagne e compagni vengono condannati per degli interventi al microfono (è accaduto di recente a Udine, ed era già accaduto anche a Trento qualche anno fa). E nemmeno per degli slogan: era successo agli 11 compagni condannati a 2 anni di carcere ciascuno per aver urlato “la fabbrica ci uccide, lo Stato ci imprigiona, che cazzo ce ne frega di Biagi e di D’Antona” durante il corteo contro il 41 bis del giugno 2007 all’Aquila (in appello furono poi assolti).

La sentenza di Trento, tuttavia, colpisce a grappolo tutte le espressioni di solidarietà con i detenuti manifestatesi quel giorno (cassonetti incendiati ma anche dei semplici laser ottici, fino a un banale “Fuoco alle galere”). Ora, i giudici sono per lo più dei burocrati e dei passacarte a cui è spesso fuorviante attribuire chissà quali intenti politici. Ma quando il contesto è quello del riarmo, della guerra e dell’economia di guerra, lo spirito del tempo scrive esso stesso le sentenze. Società dei varchi (zone rosse), creazione di masse eccedenti (niente reddito, niente casa, niente documenti), discariche in cui tenerle isolate e impaurite (drastico aumento delle pene per chi lotta in carcere o nei CPR), pedagogia dell’indifferenza (la solidarietà che diventa “istigazione alla rivolta”), attacco alle idee sovversive (“terrorismo della parola”) sono tutti esempi di militarizzazione e di israelizzazione della democrazia. Per questo è necessario non separare le iniziative contro la repressione da quelle contro la guerra.

Fuoco alle galere.

anarchiche e anarchici

MONZA, FOA BOCCACCIO: SOLIDARIETÀ CONTRO LA REPRESSIONE

Diffondiamo:

Il 21 marzo 2025 partirà per quattro compagni della Foa Boccaccio un processo per occupazione e furto di corrente. Pensiamo che questo rappresenti un importante precedente giudiziario che vuole ridurre a mero atto criminale la nostra storia ventennale di autogestione, cultura e lotta sul territorio.

Nello specifico, i fatti contestati sono relativi all’esperienza di via Timavo 12, l’ex rimessa di autobus (dismessa da decenni) attraversata e vissuta da centinaia di monzesi dal luglio 2021 all’agosto 2023. Durante i mesi di attività del collettivo all’interno dello spazio si è attivata una meticolosa manovra repressiva che ha visto cooperare il personale DIGOS della Questura di Monza, la Giunta di centrosinistra di Pilotto e la proprietà dello spazio, “arrabbiata” perché l’occupazione avrebbe potuto interferire con il tentativo di vendere l’area e quindi portare a compimento l’ennesima speculazione edilizia.

Si sono susseguiti quindi mesi di appostamenti polizieschi con schedature di massa delle tantissime persone che frequentavano via Timavo, fino ad arrivare alle fotosegnalazioni nel mese di agosto del 2022, durante le proiezioni serali del cineforum estivo (storica iniziativa che, nel deserto culturale cittadino, è diventata da diversi anni un punto di riferimento per chi non va in vacanza). Durante tali set fotografici, la DIGOS identifica quattro compagni, i cui nomi verranno dati in pasto alla Procura per l’avvio del processo.

Si aggiunge, oltre al quadro penale, un’assurda richiesta di risarcimento civile da parte della proprietà, per una presunta perdita di valore nella compravendita dell’area (poi regolarmente andata in porto), di 100.000 euro.

Rifiutiamo categoricamente la volontà di ricondurre alle condotte di quattro singoli compagni la responsabilità di un percorso collettivo che da sempre vive della partecipazione diretta di centinaia di persone, tutte ugualmente “colpevoli” e fianco a fianco nel costruire un’alternativa concreta. Proprio per questa sua efficacia e per il potenziale di coinvolgimento, la pratica dell’occupazione è stata messa sotto attacco dal Governo con il famigerato “Decreto Antirave” nel tentativo di privare i movimenti sociali di uno storico strumento di lotta. Anche solo per poche ore, per pochi giorni o poche settimane, strappare spazi al capitale e farci immaginare nuovi mondi è sempre stato motivo del nostro agire politico.

Tutta questa vicenda evidenzia un salto di qualità repressivo a Monza, dove la Giunta Pilotto ha deciso di sposare le direttive del Governo Meloni: il processo per occupazione è purtroppo solo un tassello nella svolta autoritaria nel governo del territorio cittadino. In questi ultimi 18 mesi abbiamo vissuto la cifra record di 6 sgomberi (via Timavo, via Val D’Ossola, via Verità, via Salvo D’Acquisto, via Boccaccio, via Podgora), con tanto di aperture indagine e nuove denunce, mentre in generale in città il dibattito è schiacciato su posizioni reazionarie, complice la presenza in giunta dell’Assessore alla Sicurezza Ambrogio Moccia, fan delle zone rosse, della videosorveglianza, della retorica contro “maranza” e “baby gang”, del “Regolamento di polizia urbana” che da anni ci vieta di bere una birra su una panchina ai giardinetti.

Nonostante i maldestri tentativi del Sindaco e della sua Giunta di continuare a raccontarsi come amministrazione dialogante e green, i fatti dimostrano che la Monza di Pilotto sarà ricordata soltanto per due cose: da una parte l’attività repressiva, dall’altra l’incalzare rapido nella trasformazione urbanistica della città, con le decine di cantieri che in questi mesi sono stati avviati (o dovranno partire) per la costruzione di nuove residenze e supermercati.

Oggi paghiamo pesantemente l’accelerazione che il Governo ha messo in atto su questo fronte, ma con generosità e rabbia proseguiamo nel nostro percorso.

Tra i numerosi appuntamenti in programma, seguire con attenzione lo sviluppo del processo è un tassello importante.

Grazie a chi finora ci ha supportat3 attivamente nelle decine di iniziative di solidarietà.

Con le radici sempre più salde, ci aspetta la primavera.

Foa Boccaccio 003

* Tra questi 4 imputati c’è anche Maurizio Molla, che ci ha lasciato qualche mese fa e che sarà quindi stralciato dal processo. Scegliamo comunque di citarlo in questo testo per ricordare chi più di tutt3 ha abitato e vissuto ogni giorno lo spazio di Via Timavo insieme a noi.

CATANIA: SALUTO AL CARCERE PIAZZA LANZA

In seguito all’assemblea contro ogni galera e frontiera un nutrito gruppo di solidali si è riunito fuori dal carcere per creare un ponte solidale con lx detenutx.

Il cuore ci porta sempre lì, a sostegno dellx reclusx, per portare vicinanza a chi sta dentro le gabbie volute dal potere. Il carcere di Piazza Lanza si staglia nel centro della città, imponente, nel pieno del traffico cittadino.

I cori hanno riecheggiato all’interno delle mura gelide del carcere, lx detenutx si sono affacciate, urlando insieme a noi, sventolando la fiammella degli accendini fuori dalle sbarre, facendo giochi di luce con la lampada della stanza: creando comunicazione si crea comunità.

Non smetteremo di volgere il nostro sguardo verso lx ultimx, non smetteremo di lottare contro una violenza sistemica di Stato che dentro le mura priva di libertà e dignità lx reclusx.

Nella speranza che le rivolte che hanno animato la Sicilia in questi mesi si moltiplichino:

Freedom, Hurrya, Libertà 🏴‍☠️

CATANIA: ASSEMBLEA PUBBLICA CONTRO OGNI GALERA E FRONTIERA

Diffondiamo

📍Catania 11 Marzo 2025 – Bastione degli Infetti h.17.00

🔴 Continuano le mobilitazioni contro il decreto sicurezza che si appresta ad essere approvato. A subirne maggiormente le conseguenze saranno lx detenutx e lx migranti.

⛓️‍💥 Per questo ci vediamo martedì al bastione degli Infetti h.17.00 per parlare del decreto e degli articoli che riguardano le detenzioni, resistenza passiva, reato di rivolta.

🗣️ Ne parliamo con compagnx della rete, presenteremo una mappa interattiva che ha come intento mappare i centri di detenzione, confinamento e basi militari in Sicilia e riapriremo un discorso sulla cassa anti-carceraria che è attiva a Palermo (vogliamo un mondo senza carceri)

🔴 Sarà occasione per riaprire anche un dibattito sul decreto Caivano che pende sul quartiere S.Cristoforo, luogo dell’assemblea, e delle zone rosse cercando di fare il punto sulla situazione

Sempre al fianco dellx ribelli
Con la Palestina nel cuore
No al decreto sicurezza
Tuttx liberx


Programma

-Aggiornamento dalla rete noddl sicurezza Catania su carcere e cpr

– Presentazione mappa centri di detenzione, confinamento e basi militari in Sicilia

– Cassa permanente per detenutx (Palermo)


Il ddl sicurezza che sta venendo discusso in senato mira a rendere ulteriormente invivibili le vite di chi si ritrova impoverit3, sfruttat3 e detenut3.

L’introduzione del reato di rivolta nelle carceri, oltre alla creazione di nuovi capi d’imputazione, renderà ancora più difficile rompere la parete del silenzio assordante che si sente aldilà delle mura. Proprio mentre dentro e attorno alle carceri stanno succedendo cose sempre più infami.
Quest’anno il DAP regionale ha emesso una nuova circolare che ha misure iper restrittive sui pacchi: quasi niente più cibo, niente più vestiti o coperte calde. Secondo loro, le persone detenute possono continuare a crepare di freddo e gli vengono tolti i cibi per cucinare dentro. Al Cavadonna di Siracusa, al Pagliarelli di Palermo, a Gazzi a Messina, in queste settimane ci sono state delle proteste e alcune hanno portato ad ottenere qualcosa. E ciò ci riempie il cuore.

Ma se il dal passa, anche le battiture e lo sciopero del carrello possono diventare occasione per prendersi altri anni di carcere: da 2 a 8 col nuovo reato di rivolta. Per chi governa, la risposta alla invivibilità dentro è quindi ulteriore detenzione. Oppure lavoro forzato.
Se vuoi provare a guadagnare qualche ora di distrazione dal
vuoto delle giornate e dal sovraffollamento, magari uscire, ti concedono, se ti sei dimostrato docile, di farti sfruttare. Non è cosa da poco quella in gioco, perché dentro ogni cosa può apparire buona quando si tratta di mantenersi in vita e non finire a sentire di doversi ammazzare. Le morti dentro le celle nel 2025 sono già 53, di cui 15 suicidi: non si fa fatica a dire che in Italia esiste la pena di morte. Il suicidio infatti è la principale causa dei decessi nelle carceri: “degli 810 decessi registrati nel quinquennio 2020-2024, 340 sono di persone che si sono tolte volontariamente la vita (il 42% del totale)”.

Il punto è che di fronte a questo stillicidio, quello che fa il Ministero della giustizia è ricattare i detenuti e ribadire che, ai più meritevoli, può essere caritatevolmente concessa la possibilità di una formazione professionale.
Si generano situazioni paradossali, come quella con WeBuild, la multinazionale che sta lavorando al raddoppio della linea ferroviaria a Messina, ovvero che sta sventrando la città e spargendo arsenico su chi ci abita. Situazione che per altro peggiorerà se i lavori del ponte, sempre ad opera di Webuild, inizieranno.

Lo stato italiano ha fatto una convenzione con Webuild che, mentre riceve decine di milioni di euro per avvelenare la nostra terra e le nostre vite, si è proposta di offrire le briciole di una formazione professionale a chi sta recluso. Lavoro non pagato, ancora più infame perché avviene sotto minaccia. Mentre i prezzi dei beni dentro aumentano, mentre i soldi per le attività più libere di formazione e socialità non ci sono. Poi c’è anche quanto sta per incombere su San Cristoforo. Assieme ad altri quartieri di grandi città italiane è diventato un obiettivo specifico del governo: secondo loro è un’area urbana piena di criminali che va bonificata. Il nuovo decreto Caivano sta dando quindi al comune di Catania milioni di euro. Chissà che intende farci oltre a portare altri poliziotti e rendere questo
quartiere militarizzato.

Alla luce di questo quadro disarmante crediamo sia necessario incontrarci per discutere tuttx assieme dei risvolti che avrà il ddl sui corpi delle reclus3 e l’approvazione del modello Caivano sul quartiere S.Cristoforo.
CI VEDIAMO MARTEDI’ 11 MARZO AL BASTIONE DEGLI INFETTI H.17.00

ALCUNI AGGIORNAMENTI DAL LAGER CPR DI GRADISCA D’ISONZO

Diffondiamo:

Riceviamo dall’interno del CPR di Gradisca la notizia che otto prigionieri sono saliti sul tetto e hanno distrutto l’attrezzatura di sorveglianza. Probabilmente si è trattato di un tentativo di evasione: da settimane ormai si moltiplicano i buchi nelle reti delle gabbie e riprendono gli incendi. La polizia, spesso in assetto antisommossa, entra nelle celle nel tentativo di riportare l’ordine, fatto – come sappiamo – di sottomissione, deportazione e annichilimento. E’ successo anche il giorno successivo a questi episodi: numerosi sono stati i pestaggi, impressionanti al punto da sembrare “un film in diretta”, ci è stato detto. Un ragazzo ha provato il salto, si è rotto una gamba ed è stato trasportato in ospedale.

Sono tanti i tasselli di questa macchina imperfetta. Cure negate, per le vendette quotidiane nella gestione del campo. Le deportazioni, spesso con voli charter, in direzione della Nigeria e dell’Egitto, e a ritmi vertiginosi verso la Tunisia. Ma anche le angherie più sottili, l’arbitrio poliziesco: perfino i libri, ora, sono materia da negoziare. Così, alcune guardie di sorveglianza hanno deciso che con loro non sarebbe entrata nemmeno la letteratura: chi è prigioniero deve morire di noia, starsene in gabbia e sottomettersi al regime di tortura che hanno preparato per lui.

Lo stesso regime che ora vorrebbero estendere con l’apertura di altri cinque CPR sul territorio nazionale (è notizia di qualche giorno fa che il Ministero dell’Interno ne sta individuando i siti) e che, alla fine della catena, è disposto anche ad uccidere. Lo abbiamo ricordato di fronte al Tribunale di Gorizia (responsabile di un procedimento farsa per la morte di Vakhtang Enukidze a poche settimane dalla riapertura del lager di Gradisca e dove ha sede, anche, il Giudice di Pace che convalida i trattenimenti): i nomi di Vakhtang, Orgest, Anani, Arshad e prima ancora Majid, morti di stato, sono stati tra i nostri discorsi, insieme a quelli dei senza nome che si ribellano ai dispositivi del razzismo di stato.

Finché i CPR rimarranno aperti, ed anzi se ne costruiranno altri, finché ne esisterà l’idea, noi staremo dalla parte di chi non si piega allo stato razzista. Rimarremo complici e solidali dei rivoltosi e continueremo a far risuonare le loro voci, testimonianze di chi da dentro non smette di accendere fuochi, spaccare telecamere, tagliare reti e scappare.

COME PROVANO A RIEMPIRE UN CPR. AGGIORNAMENTI SU PRIGIONI, RAZZISMO DI STATO E RIVOLTE IN SICILIA

Diffondiamo da Sicilia No Border:

In questi ultimi giorni il Cpr di Trapani Milo ribolle.

Sono i giorni in cui i famigliari di Moussa Balde e Ousmane Sylla si trovano in Italia per ribadire con forza che i loro cari sono stati uccisi dai Cpr e dal regime di frontiera dello stato italiano.

Ousmane, prima di doversi togliere la vita nel Cpr di Ponte Galeria a Roma, dove “i militari italiani non conoscono altro che il denaro”, è stato detenuto 4 mesi a Trapani Milo. Da qui, a fine gennaio 2024, era stato spostato come molti altri, perché le rivolte che si susseguivano avevano infine reso inagibile la struttura.

Nell’Ottobre 2024, Milo ha riaperto. A novembre una prima nuova rivolta al suo interno, a mostrare che la situazione lì dentro è irrevocabilmente insostenibile: da un lato 5 celerini di Palermo che si certificavano feriti, dall’altro due fratelli tunisini portati prima nella camera di sicurezza della questura di Trapani, e poi in carcere. In questi giorni si vedono tanti furgoni di celerini entrare, almeno un’ambulanza con una persona dentro uscire.

Le storie di chi si trova intrappolato in questa prigione per migranti continuano a dare un’immagine chiara delle diverse funzioni a cui assolvono questi luoghi, oltre che delle tremende condizioni di vita all’interno e della costante violenza poliziesca.

Già conosciamo il ruolo minimo che il CPR di Trapani svolge all’interno del regime di frontiera: il collegamento logistico con l’hotspot di Pantelleria, i ripetuti trasferimenti delle persone identificate nell’hotspot di Pozzallo, Lampedusa o Porto Empedocle. Ma nelle ultime settimane si sta cercando di far tornare a funzionare il Cpr a capienza piena. Alla riapertura in Ottobre si parlava di circa 80 posti, circa un terzo di quanti ce ne fossero prima delle rivolte di Gennaio 2024, ma in questi mesi i detenuti sono aumentati e i posti previsti da bando della prefettura sono i 200 di prima. Mentre dall’alto dello scranno ministeriale si mandano ordini a prefetti e questori di tutta Italia per aumentare gli arresti e le detenzioni di persone immigrate, il Cpr di Trapani si va riempiendo rapidamente di umanità eccedente, in arrivo da ogni parte: dalla Sicilia, dal resto d’Italia, da altri Cpr, dalle carceri, dalle città e dalle campagne. Tutto a grosso profitto degli enti gestori: le cooperative sociali “Vivere Con” e “Consorzio Hera” prima e “Officine sociali” ora.

Ora i reclusi sono circa 130 e la situazione all’interno è totalmente militarizzata e invivibile.

Ma andiamo con ordine.

A inizio Gennaio, al carcere Cavadonna di Siracusa, più di seicento detenuti iniziano una protesta contro la circolare del provveditorato siciliano del DAP in cui si vieta l’ingresso in carcere di molti cibi, tra cui la farina, e vestiti invernali. Viene negato calore. Materiale, perché come ci si scalda senza vestiti in strutture che son senza riscaldamento e acqua calda? E simbolico, quello delle relazioni, del poter ricevere cose da fuori e, dentro, poter cucinare e condividere momenti di socialità. E’ una questione di sicurezza, dicono i carcerieri, declinandola in una retorica paradossale. Si tratterebbe, infatti, di evitare che nei pacchi entrino beni pericolosi non solo perché infiammabili, ma perché “voluttuari”, perché mostrano posizioni “di privilegio” tra detenuti. Secondo il provveditore sarebbe infatti questo a non permettere “una gestione penitenziaria equilibrata ed equa”.

Molto equa ed equilibrata sarebbe allora invece la detenzione al CPR di Milo, dove l’unico cibo fa per tutti schifo e i pacchi sono ritenuti ancora più “voluttuari”. Possono contenere cibo e vestiti senza zip e cappucci, no ai libri. Possono essere depositati in teoria ogni giorno, tranne la domenica, fino alle 20, ma poi chissà quanto ci mettono ad arrivare tra le mani dei reclusi. Nei CPR siciliani il cellulare non lo puoi tenere e a Milo le telefonate costano care e se non hai contanti non chiami proprio nessuno. E sparisci. Anche per il tuo avvocato. E ti isolano. E ti fanno sentire ancora di più che potresti sparire da un momento all’altro.

A Siracusa lo sciopero del carrello, della cucina e le battiture, hanno consentito ai detenuti di negoziare sulla circolare, riducendo il numero di beni vietati all’ingresso. Nelle settimane successive sappiamo di un aumento di detenuti, soprattutto egiziani, al Cpr di Trapani in arrivo dal Cavadonna di Siracusa. Non è chiaro se si tratti di trasferimenti espressamente punitivi o (più probabilmente) per fine pena e mancanti rinnovi del permesso di soggiorno dentro il carcere, fatto sta che i trasferimenti sono coincisi con la mobilitazione che ha messo in seria difficoltà le autorità carcerarie e che ha visto la protesta allargarsi da Siracusa al Pagliarelli di Palermo, dove più di quattrocento detenuti sono stati per due settimane in sciopero del carrello. Chissà cosa succederà quando il ddl sicurezza entrerà in vigore: tutte queste minime pratiche di autodifesa costeranno un’incriminazione per rivolta e da 2 a 8 anni di carcere.

Sappiamo che da tempo ogni mese da Roma parte un charter di deportazione verso l’Egitto che fa scalo anche a Palermo. Aeroitalia è l’ultima compagnia che sta facendo i voli in questi mesi. E’ plausibile che i trasferimenti dal carcere di Siracusa a Milo facciano parte della macchina della deportazione: che preparino l’imbarco o un rilascio con un ordine di espulsione.

Ma al Cpr di Milo non ci arriva soltanto chi è già recluso in Sicilia. A metà febbraio un volo charter ha portato al Cpr di Trapani una decina di detenuti del Cpr di via Corelli a Milano. Lì era sovraffollato, mentre a Trapani c’era posto e il Cpr andava riempito, c’è da arricchire il nuovo ente gestore. Cosa di meglio se non trasferire un po’ di eccedenza umana, magari provando a liberarsi di chi disturba la “quiete” del Corelli.

Continuano anche i trasferimenti dall’hotspot di Pantelleria, dove ci sono stati sbarchi nelle scorse settimane: si parla di decine di persone che stanno così ingrossando il numero dei prigionieri e le tasche dell’ente gestore.

Nel frattempo, mentre a Catania il prefetto ha istituito le zone rosse in gran parte del centro cittadino, utilizzando argomentazioni esplicitamente razziste che prendono di mira lavoratrici sessuali straniere e negozianti gambiani e senegalesi, a Palermo (ma anche a Messina), fermi e raid polizieschi delle ultime settimane hanno portato diverse persone a finire ingabbiate a Milo. Persone che spariscono nelle caserme e solo giorni dopo vengono ritrovate rinchiuse in Cpr.

Per non parlare di quanto successo a Ribera. Il 10 febbraio, nel pieno centro del paese dell’agrigentino, in questo periodo pieno di lavoratori stagionali per la raccolta dell’arancia dichiarata DOP in Europa, un ragazzo tunisino, Mahjoub Aymen, è stato freddato da tre colpi di pistola. Una settimana dopo, polizia e altra gendarmeria ha portato in commissariato decine di persone come parte delle indagini. Sono andati a prendere gente allo stesso bar dell’omicidio, ma anche negli insediamenti informali dove lavoratori stagionali stanno in questo periodo di raccolta. Molti di loro non sono più usciti liberi dalla caserma, ma rinchiusi anch’essi al Cpr di Milo.

Ci sono due elementi che meritano attenzione in questo rinnovato protagonismo del Cpr di Milo.

Il primo è legato al ruolo che continuano ad assumere le cooperative sociali che si susseguono nella gestione del CPR di Trapani: “eccellenze” siciliane che tenendo insieme accoglienza e detenzione hanno fatto fortuna e vincono bandi in tutta Italia.

La società cooperativa sociale onlus “Consorzio Hera” con sede a Castelvetrano (TP), ha gestito il CPR di Trapani per anni, fino a novembre 2024. Nasce nel cuore del più grosso distretto di olive da tavola di Italia, è un attore ben posizionato nel mercato della detenzione, gestendo anche l’hotspot di Pozzallo, il Ctra di Modica-Ragusa e il Cpr di Brindisi, dove gestisce anche il CARA e non dimentichiamo che ha provato a guadagnarsi anche la gestione dei centri Albania, poi vinta da Medihospes. Ma, soprattutto, è molto presente con centri di accoglienza, CAS e centri per minori nelle campagne tra la provincia di Trapani e quella di Agrigento. La sappiamo gestire diversi centri d’accoglienza a Campobello di Mazara, dove ogni anno da Settembre centinaia di lavoratori soprattutto West Africani si ritrovano per la raccolta delle olive e si organizzano contro la macchina dello sfruttamento e del razzismo. È lì che nel 2021 ha perso la vita Omar Balde, lavoratore morto bruciato nell’incendio del ghetto, ed è da lì che quando il ghetto è stato sgomberato, nell’estate del 2023, alcune persone sono state portate al Cpr di Milo. Cosa non strana, perché ogni anno, fuori dalla stagione di raccolta, raid polizieschi portano persone da Campobello al Cpr di Milo.

Il Consorzio Hera, che prova a ripulirsi la faccia pubblicamente parlando di diritti e progetti di inclusione, con tanto di servizio civile e progetti di etnopsicologia, è in realtà attore cruciale della macchina dello sfruttamento e della detenzione degli immigrati in Italia (e ne trae pure un bel profitto!).

Lo stesso si può dire per l’ente che da qualche mese lo sta ora gestendo: Officine Cooperative sociali, con sede a Siracusa. E’ anch’essa molto abile nel tenere insieme business detentivo e accoglienza: ora gestisce il CPR di Palazzo San Gervasio (PZ), di Macomer (NU) e di Bari, nonché il CARA di Borgo Mezzanone, l’hotspot di Taranto, il CPA di Pian del Lago (CL). Il suo bilancio è passato dai 559.106 euro del 2021 ai 5 milioni del 2023, fino a raggiungere più di 14 milioni di euro nell’ultimo anno, proprio in coincidenza con l’ottenimento della gestione delle due strutture di Caltanissetta prima e Trapani poi. Bel risultato per una cooperativa che è nata nel 2016 con l’obiettivo di “promuovere inclusione sociale e lavorativa”.

Da questa prospettiva, è chiara la necessità di continuare a prendere consapevolezza che non ci si può troppo perdere in distinzioni e distinguo tra detenzione e accoglienza, come non si stancano di ripetere da anni i richiedenti asilo costretti a vivere al CPA di Pian del Lago, a Caltanissetta, che è contiguo al CPR e condivide con questo parte delle stesse recinzioni. Ancora nell’estate del 2022 hanno più volte occupato le strade del centro città, denunciando le condizioni di detenzione di fatto prodotte dall’effetto combinato di sorveglianza costante, minacce da parte del personale, sottrazione del pocket money, assenza di cure mediche, limitazioni delle possibilità di uscita e 7 chilometri di distanza dal centro cittadino in assenza di alcun tipo di collegamento.

Chiara risulta anche la necessità di ribadire che il CPR è una struttura detentiva, espressione del razzismo di stato, che si articola e riproduce insieme agli interessi del capitale privato, quello dell’agroindustria in primis.

Il secondo elemento è che la rinnovata centralità di Trapani Milo è dovuta anche allo svuotamento del Cpr di Caltanissetta (sappiamo anche di trasferimenti da Pian del Lago a Milo) in previsione dei lavori di ristrutturazione. Infatti è cosa nota che le continue rivolte di questi anni hanno ridotto grandemente la capacità di recludere del centro. E così, gli 11 milioni messi a bando l’anno scorso per l’ampliamento del Cpr stanno trovando concretezza nei lavori che dovrebbero iniziare in queste settimane. Come è possibile ricostruire dal bando della Prefettura di Caltanissetta, l’ampliamento porterà a un incremento di ulteriori 56 posti che si aggiungono ai 92 posti attualmente disponibili. A occuparsi dell’ampliamento e a costruire gli immancabili nuovi uffici per il nuovo personale delle forze dell’ordine che verrà mobilitato all’interno, saranno la Sicil Techno Plus s.r.l, la M.E.GAS. s.r.l. e la Conpat scarl, le prime due con sedi legali rispettivamente a Belpasso e Bronte (CT), la terza proveniente da Roma. A dicembre 2024, secondo quanto è stato possibile ricostruire, i reclusi effettivamente presenti dentro il CPR erano circa una trentina.

L’ampliamento del CPR rafforzerà la capacità di cattura di questa macchina della deportazione, che si salda direttamente con la macchina dello sfruttamento delle persone razzializzate in Sicilia, con un elevato numero di reclusi catturati direttamente dalle campagne siciliane, come nel caso dei lavoratori stagionali della fascia trasformata ragusana. Qui i padroni ne sfruttano la condizione di deportabilità attraverso la messa a lavoro in condizioni disumane per poi denunciarne la condizione di “irregolarità” per evitare di pagarli. Una macchina di sorveglianza e cattura che sembra estendersi a macchia d’olio anche in città, in una Caltanissetta sempre più “smart”, con il moltiplicarsi di videocamere di sorveglianza a seguito dei “nuovi patti per la sicurezza urbana” che il Prefetto Armenia ha siglato con i sindaci di Caltanissetta e Gela a ottobre 2024. Che si aggiungono agli occhi sempre presenti delle guardie in pattuglia, che soprattutto in Piazza si possono vedere passare decine di volte in poche ore. A questo si aggiunge la recente “svolta per la sicurezza urbana”, ossia l’assegnazione da parte del Comune di Caltanissetta dei lavori per la “riqualificazione” del chiosco tra due delle principali vie del centro storico all’associazione “Formazione Sicurezza” che dovrà ristrutturarlo perché sia utilizzabile per le “associazioni di volontariato” delle forze dell’ordine. Così, a quanto annuncia la Prefettura, questa ex edicola diventerà ulteriore spazio di vigilanza sul centro storico.

È probabile che il Cpr di Pian del Lago chiuderà per un periodo per garantire la sicurezza dei lavori, e che Milo diventerà ancora più centrale in tutti i meccanismi detentivi sull’isola (e non).

Pian del Lago poi riaprirà, pieno di speranze repressive e telecamere di ultima generazione.

E poi entrambi verranno distrutti, ancora una volta.

Finché non ce ne libereremo, di questi come di tutti i Cpr, grazie al fuoco dei reclusi e a quello della solidarietà.