PALERMO: FERMARE LA GUERRA E LA MILITARIZZAZIONE DEI TERRITORI

Corteo nazionale
21 ottobre ore 17
Palermo

Contro il MUOS e le basi militari, contro la Leonardo Spa e tutte le fabbriche di morte.

Rilanciamo l’appuntamento previsto per il 21 ottobre a Palermo per un corteo nazionale contro ogni guerra e la sua industria, contro il Muos e le basi militari, contro la Leonardo Spa e la militarizzazione dei territori.
Ribadiamo la nostra solidarietà ad alcunx compagnx siciliani inquisiti per istigazione a delinquere e atto con finalità di terrorismo per aver pubblicato il video di un attacco alla sede palermitana di Leonardo Spa, leader dell’industria elettronica a fini bellici. (https://sciroccomadonie.noblogs.org/post/2023/07/29/guerra-e-repressione-solidarieta-ad-antudo-e-a-tutti-i-compagni-e-compagne-inquisite-i-negli-ultimi-mesi/)

CONTRO LA GUERRA, CONTRO LA PACE
DEL PATRIARCATO, DEI PRODUTTORI DI ARMI, DELLE STRAGI SUL LAVORO, NELLE CARCERI, ALLE FRONTIERE

MESSINA: VERSO IL CORTEO NO PONTE – TERRA, MARE E LIBERTÀ

Diffondiamo questo testo, in vista del corteo No Ponte del 12 agosto a Messina:

Terra Mare e Libertà

(Maschile e femminile sono casualmente alternati)

Con l’insediamento del governo Meloni è stato riesumato il progetto del ponte sullo Stretto di Messina, una “grande opera” che puzza di propaganda fascista, con la differenza che cento anni fa venivano almeno costruite anche case popolari e bonificate aree inospitali: la carota per far passare il bastone delle leggi fascistissime, dell’olio di ricino, della guerra e della miseria dilagante. I nostri moderni patrioti invece si comportano come se non avessero alcuna necessità di conquistarsi il consenso tramite interventi che possano apparire di una qualche utilità per chi vive questo territorio (il sud fisico e psicogeografico di tutte le periferie del mondo). Sono convinti che il popolo bue accetterà a testa bassa l’ennesima devastazione, con il trito, ritrito e putrido miraggio di posti di lavoro per la realizzazione di questa mastodontica impresa – alla cui realizzazione finale non crede più nessuno, ma il cui corollario di movimentazione terra e denaro fa gola a molti profittatori.
Così, mentre in Emilia Romagna impazzavano le alluvioni, lorsignori si facevano fotografare con la pala in una mano e con l’altra votavano il decreto per il collegamento stabile tra la Sicilia e la Calabria. Lo chiamano “progresso” gli importatori di civilizzazione, ma qui persino le cozze nel lago di Ganzirri sanno che si tratta dell’ennesimo progetto coloniale. Lo sa chi vive a Milazzo, Priolo, Augusta, Gela e Melilli in balìa dell’industria petrolchimica che li ha sfrattati quando è stata costruita, sfruttati e ammalate nel periodo d’oro della produzione e cassaintegrati quando ha ceduto il passo alla concorrenza estera. Lo sanno i niscemesi ai quali la costruzione della base militare USA ha tolto la frescura della sughereta e l’acqua corrente, dando loro in cambio le radiazioni del MUOS e i militari a spadroneggiare per le strade. Lo sanno i granelli di sabbia di Punta Bianca, la Beccaccia e il Martin Pescatore dei Nebrodi, sfregiati dalle esercitazioni militari. Lo sanno gli aranci della Piana di Catania, estirpati per far spazio all’allargamento della base NATO di Sigonella. Lo sanno pure i semi privatizzati dalla Monsanto e i contadini denunciati per aver fatto le talee di pomodori infischiandosene dei brevetti.
Ne fanno esperienza tutte le disoccupate dell’isola e anche chi è emigrato perché non voleva essere più disoccupato.
Ne fanno esperienza i 6000 detenuti e detenute nelle 23 carceri siciliane che fanno dell’isola una colonia penale molecolare.
E ne hanno fatto esperienza i due prigionieri che sono morti inascoltati nella galera di Augusta nel corso di uno sciopero della fame. Ne fanno esperienza ogni giorno le migranti che si sono rivoltate nel CPR di Pian del Lago (Caltanissetta) a inizio luglio e i braccianti agricoli nei campi del vittoriese. E lo stesso vale per Daouda Diane: l’operaio ivoriano scomparso un anno fa nel siracusano, due giorni dopo aver denunciato in un video la situazione di caporalato nel cementificio di Acate dove lavorava. Colonia è quel territorio occupato con la forza, violentato per profitto ed estrazione di risorse, militarizzato per reprimere ogni forma di vita che insorge contro lo sfruttamento. Che il risorgimento in Sicilia ha significato deportazione e repressione violenta è scritto nelle memorie del sangue di noi indigeni, nipoti e pronipoti di chi era partito garibaldino e si scoprì brigante all’indomani dell’unità d’italia. Il Ponte ai nostri occhi significa tutto questo. I lavori, pur mancando ancora il progetto definitivo, sono già stati assegnati alle solite note aziende armate di cemento e sputazza: WeBuild (ex Salini Impregilo), che furono i costruttori della base di Sigonella, dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e i responsabili dello smaltimento dei rifiuti in Campania, per nominare giusto un paio delle loro gloriose imprese. Queste consapevolezze coinvolgono gran parte della comunità che abita in questa terra, e si declinano a vari differenti e difformi livelli di critica.
La critica, come fanno le radici degli alberi, scava smuovendo dubbi: quelle del Salice arrivano in profondità, quelle del Limone sono invece piccole, quelle del Ficus sono addirittura aeree. Tanti alberi, diverse radici nella stessa terra.
“Ci immaginiamo anarchiche e anarchici, e quindi è anche a noi che parliamo, sebbene sarebbe bello avere una lingua comune anche con chi si immagina qualcos’altro o, e chissà non sia la scelta più saggia, non si immagina per nulla” (Terra e libertà, articolo tratto da “Black seed, a green anarchist journal”, trad. hirundo 2017).
Per queste ragioni abbiamo cominciato questo percorso di lotta intrecciando i nostri passi e incrociando i nostri sguardi con tante anime diverse, col comune obiettivo di frapporci all’apertura dei cantieri. Affronteremo a testa alta chiunque provi a reprimere la forza generativa che sgorga dal cuore delle lotte, chiunque chiamerà violento il nostro opporci con ogni mezzo necessario a un progetto che ci violenta e violenta la terra che abitiamo, ma anche quei partiti che provassero ad approfittare di questo variegato amalgama umano con l’intento di mangiarselo al prossimo banchetto elettorale. Gli andremo di traverso, saremo loro indigesti, ci proveremo con tutta la tenacia che ci batte in petto e, se falliremo, cercheremo di farlo sempre meglio.

Corteo Noponte 12 Agosto

La Macchia libertaria sicula

P.S. mentre impaginavamo questo scritto, Giovanni Truglio (sì, lui, quello delle ccir di Piazza Alimonda) è diventato capo del comando interregionale carabinieri Sicilia e Calabria; e Gianni De Gennaro (sì, lui, quello di G8 e di Leonardo Finmeccanica!) è diventato presidente di Eurolink.


Diamo diffusione ad altre due iniziative previste a Messina nelle prossime settimane:

Iniziativa di autofinanziamento per il corteo No Ponte
4 agosto h 17.00
Oasi Lago Raglio

Campeggio No Ponte
11 – 12 – 13 agosto
Camping Marmora

In strada al fianco di Alfredo, contro carcere e 41 bis

Un intervento letto durante la Street Rave Parade di Bologna del 22.04.2023

Oggi attraversiamo le strade di Bologna partecipando alla Street Rave Parade, ma oggi vogliamo parlare anche di quello che succede dentro le carceri:

3 giorni fa il compagno anarchico Alfredo Cospito ha interrotto lo sciopero della fame che aveva iniziato il 20 ottobre 2022 per protestare contro il regime detentivo del 41 bis e contro l’ergastolo ostativo.
Uno sciopero della fame durato 181 giorni, durante i quali Alfredo ha perso 50 kg e la sensibilità ad un piede a causa di danni irreversibili al sistema nervoso periferico.

Ma che cos’è il 41 bis?

Si tratta di un regime di annientamento e tortura studiato per provocare danni fisici e mentali tramite la tecnica della deprivazione sensoriale e per indurre sofferenza, allo scopo di estorcere confessioni e dichiarazioni. Censura della posta. Colloqui di massimo un’ora con i familiari dietro un vetro divisorio, una volta al mese. Incontri video-registrati. La socialità, nelle due ore d’aria al giorno concesse, è limitata ad un gruppo di 4 persone. Un ambiente in cui si è costantemente osservati ed ascoltati da telecamere e microfoni, sotto il vigile occhio dei GOM, reparto speciale polizia penitenziaria noto per la sua brutalità.

Nato con il pretesto di combattere la mafia, il 41 bis punta a recidere i legami e i contatti dei reclusi con il mondo esterno. L’unico modo per uscirne è quello di pentirsi e collaborare con la giustizia: un mezzo di pressione, di tortura, per estorcere il pentimento. L’isolamento totale, l’annichilimento della personalità del recluso, si accompagna ad una realtà quotidiana fatta di abusi, torture, umiliazioni e sofferenze.

Ad oggi sono 728 le persone recluse nel regime di tortura del 41 bis: fra di loro, 3 detenuti politici, militanti delle nuove brigate rosse, vi sono rinchiusi da oltre 17 anni.

Alfredo si trova in 41 bis perché ritenuto il fondatore di un’organizzazione che non esiste (la FAI – federazione anarchica informale, che per sua stessa definizione, se è informale non può essere un’organizzazione!). Secondo politici e media, Alfredo sarebbe il “leader degli anarchici”, una sorta di boss che dall’interno del carcere impartisce ordini ai suoi seguaci tramite i suoi scritti e le sue parole.

Ci strappa un’amara risata il fatto che per lo Stato sia inconcepibile agire senza una gerarchia, un’organizzazione, un’autorità, un partito.
Noi non lottiamo né per l’egemonia né per il potere: lottiamo contro il potere, contro chi opprime, sfrutta e devasta. Contro galere e CPR, strumenti che Stato e padroni usano per mantenere l’ordine attuale fatto di oppressione e sfruttamento. Non vogliamo conquistare il potere, vogliamo distruggerlo. Non vogliamo prendere i palazzi, vogliamo demolirli. Non vogliamo la trasformazione di questa società ma la sua abolizione. Non vogliamo né obbedire né comandare.

Rispediamo al mittente l’accusa di strage per cui vorrebbero tombare Alfredo nelle patrie galere.
Oggi siamo qui per dire stragista è lo Stato non chi lo combatte! Stragista è lo stato che lascia morire le persone in mezzo al mare, nelle carceri, alle frontiere. Nonostante le sentenze che possono emettere i tribunali, nonostante gli anni di galera con cui provate a seppellire vivi i nostri compagni e le nostre compagne, noi siamo e saremo sempre

Al fianco di Alfredo
Al fianco di Anna, Juan, Ivan
Al fianco di chi lotta dentro e fuori le galere

CONTRO 41 BIS ED ERGASTOLO OSTATIVO
LIBERX TUTTX

SENTENZA D’APPELLO PROCESSO BRENNERO

Da La Nemesi

Il 17 marzo, presso il tribunale di Bolzano, è stata emessa la sentenza d’appello del processo per la manifestazione contro le frontiere del maggio 2016 al Brennero.

Se c’è stato un generale abbassamento delle pene (da 150 a 123 anni complessivi, con 8 assoluzioni per avvenuta prescrizione del reato), il bilancio è comunque pesante (teniamo presente che il processo era in abbreviato). 28 tra compagne e compagni hanno ricevuto pene sopra i 2 anni, mentre 5 compagni hanno preso più di 4 anni (la condanna più alta è stata a 5 anni e 1 mese di carcere) per concorso in resistenza aggravata, violenza privata, lesioni ecc. Non ha retto, come già in primo grado, l’accusa di devastazione e saccheggio.

Altro elemento significativo è che il giudice ha negato a tutte e tutti coloro che ne hanno fatto richiesta la possibilità di accedere alla cosiddetta riforma Cartabia. Benché la data della sentenza fosse stata rinviata formalmente per consentire a imputati e imputate di ricorrere alla nuova legge, la richiesta di accedervi è stata negata con il pretesto dei precedenti penali e della “pericolosità sociale” di imputate e imputati. Ma c’è un dato ancora più emblematico: l’argomento principale per il rigetto delle “pene sostitutive” è stata la mancata abiura delle proprie condotte da parte degli imputati. La natura sempre più apertamente premiale delle sentenze non vale solo per la magistratura di sorveglianza, ma anche per i tribunali ordinari. A fare la differenza sul tipo di pena non è tanto il reato in sé, ma il “ravvedimento” o meno dell’accusato.

Per più di 30 imputati e imputate, quindi, potrebbero aprirsi in futuro le porte del carcere.

Questa sentenza non fa che prolungare la violenza strutturale del razzismo di Stato, quell’insieme di leggi, pratiche neocoloniali, detenzione amministrativa e dispositivi polizieschi che producono stragi, morti in serie e un’umanità costretta in condizioni di semi-schiavitù. Dalla raccolta nei campi ai tanti settori dell’“economia informale”, dal ricatto del permesso di soggiorno – che pesa sulla logistica, sull’edilizia, sulla ristorazione, sui “lavori di cura”… – al grasso mercato degli affitti in nero, il terrore esercitato dalle frontiere è parte strategica quanto innominabile dello sfruttamento capitalistico.

123 anni di carcere per un corteo ci dicono in modo plateale che siamo in guerra, che i margini del dissenso consentito si restringono e che il conflitto non negoziato è una diserzione dal fronte da punire in modo esemplare.

Il muro anti-immigrati al Brennero – che la polizia austriaca aveva definito una mera “soluzione tecnica”… – non è stato costruito. Forse grazie anche a chi quel 7 maggio 2016 si è battuto con generosità e coraggio.

Solidarietà alle compagne e ai compagni condannati.

RICHIESTA DI APPELLO PER IL PROCESSO “BIALYSTOK”

Diffondiamo: nelle ultime settimane sono state notificate ax imputatx del processo “Bialystok” le richieste di appello alla sentenza di primo grado presentate dall’accusa. Sostanzialmente il pubblico ministero Dall’Olio prova a riproporre lo stesso impianto accusatorio dopo aver fatto un vistoso buco nell’acqua col il processo di primo grado che non ha visto riconoscere le accuse associative (art. 270bis e 416 in subordine), di attentato (art. 280), di istigazione (art. 302 e 414 cp), e di incendio. In risposta le difese hanno presentato a loro volta richiesta di appello.

È evidente l’intenzione della controparte di tenere in vita il più possibile un procedimento che cerca di provare la pericolosità dei rapporti di solidarietà tra anarchicx, e nello specifico la possibilità di Alfredo Cospito di “influenzare” l’anarchismo d’azione all’esterno del carcere attraverso scritti e lettere.

L’udienza è stata fissata per il giorno 30 Maggio.

G8 GENOVA: NEGATA L’ESTRADIZIONE DI VINCENZO VECCHI

Il 24 marzo la Corte d’appello di Lione ha respinto la richiesta d’estradizione presentata dall’Italia nei confronti di Vincenzo Vecchi, uno dei condannati per le giornate di Genova 2001. Vecchi era stato condannato nel 2012 in via definitiva a 11 anni e 6 mesi di carcere per l’accusa di devastazione e saccheggio, reato che in Francia non esiste. Nel codice penale italiano, invece, il reato di devastazione e saccheggio è eredità del fascismo: il codice Rocco lo inserisce fra i reati contro l’ordine pubblico prevedendo pene altissime. Dopo le corti d’appello di Rennes e di Angers, che hanno respinto la richiesta di estradizione rispettivamente nel 2019 e nel 2020, quella di Lione è la terza corte d’appello francese a rifiutare la validità del mandato d’arresto europeo nei confronti di Vincenzo. Secondo i giudici francesi, l’estradizione avrebbe rappresentato un “un oltraggio sproporzionato al rispetto della sua vita privata e familiare”.

TERRORISTA É IL PATRIARCATO, TERRORISTA É LO STATO

Da Femministe Antimilitariste – Assemblea lotto3antimilitarista

Qualche settimana fa riinizia la giostra punitiva contro il movimento antimilitarista e contro l’occupazione militare: perquisizione a casa di una compagna con annesse denunce per una decina di persone, dove, accanto ad uno dei capi d’imputazione, trova spazio l’aggravante di finalità di terrorismo. Nel 2019 viene chiusa l’indagine dell’operazione Lince, operazione che vede 45 persone imputate, di cui 5 con l’accusa di 270bis (associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico). Non ci stupisce che le procure continuino a creare teoremi associativi, l’intento è chiaro: criminalizzare la lotta in quanto tale. Siamo qui per ribadire che terrorista è il patriarcato che ci vuole impaurite e terrorizzate, che ci fa camminare per strada con l’ansia, che ci uccide nelle nostre case, che ci vuole vittime.

Nel 2022 ammonta a 120 il numero di femminicidi lesbicidi trans*cidi nello stato italiano. Chi è che terrorizza?

Siamo qui per ribadire che terrorista è lo stato, che crea confini e frontiere, che ha bisogno della guerra, e per questo bombarda e devasta con le sue bombe la nostra terra e altrove le vite di migliaia di persone. Stato che ha tra le sue armi quella dello stupro, in tempo di pace e in tempo di guerra. Stato che si pone come detentore assoluto di violenza legittima, che riproduce gli schemi e il sistema patriarcale, impedendoci di abortire, criminalizzando l’autodifesa, mettendo poi alla sbarra le persone su cui viene perpetrata sistematicamente la violenza. Di fatto criminalizza l’autodeterminazione: sia quella di fare col proprio corpo quello che si vuole o di lottare per una vita migliore, di difendere i territori che abitiamo.

Siamo qui per rimandare le accuse al mittente, non facciamoci intimorire dalle procure: solidali e complici con l3 compagn3 colpit3 dalla repressione, SA LOTA SIGHIT

TORINO: PRESIDIO AL CARCERE – CECCA LIBERA!

Da notav.info

CECCA CONDANNATA AL CARCERE PER AVER APPESO UNO STRISCIONE DI SOLIDARIETÀ.

Luglio 2013. Manifestazione notturna al cantiere Tav di Chiomonte. Marta, compagna pisana, viene fermata dalla polizia dopo una violenta carica. Pestata, insultata e molestata sessualmente dalle forze dell’ordine, viene pure denunciata. Durante il primo interrogatorio di Marta, tenuto dagli ormai celebri pm con l’elemento Padalino e Rinaudo, il movimento No Tav organizza un presidio per non lasciare Marta da sola ad affrontare quel difficile momento. Un gruppo di compagne, donne, amiche decide di portare uno striscione che, oltre a solidarizzare con Marta, denuncia le violenze della polizia. “Se toccano una toccano tutte”. Un gesto di solidarietà femminista, contro la violenza maschile in divisa nei confronti di una compagna. Non fanno in tempo ad aprirlo per appenderlo fuori dal tribunale che la polizia carica, manganella e poi denuncia. In un processo farsa in cui le molestie subite da Marta vengono completamente rimosse così come le ragioni del presidio, le compagne vengono accusate di ogni sorta di reato. La Pm punta il dito sul “clima festoso” del presidio a indicare la pretestuosità della presenza del movimento. Per la Pm le donne presenti avrebbero dovuto vestirsi a lutto e piangere tutte le loro lacrime per dimostrare il loro dolore per la vittima? Una reazione determinata da parte di quelle donne è un fatto così inaccettabile e incomprensibile? Ancora, la Pm insiste con una testimone sul fatto che, non avendo subito lei stessa violenze sessuali, non avrebbe potuto capire e quindi solidarizzare con una donna che invece quelle violenze dice di averle subite. Queste sono solo alcune delle perle che si sono sentite durante il processo.

Dieci anni dopo quell’estate. Veniamo a conoscenza della decisione del Tribunale di Sorveglianza di Torino: la giudice Elena Bonu decide di fare scontare la pena in carcere. Purtroppo, per chi non ha la memoria corta, questa giudice la dobbiamo ricordare per essere la stessa ad aver scelto il carcere per Dana. Nonostante il parere positivo della stessa Procura Generale di fronte alla richiesta di applicazione delle misure alternative al carcere il Tribunale di Sorveglianza decide, ancora una volta, di punire chi lotta.

Ci chiediamo poche cose, perché le risposte già le abbiamo. La semplicità con cui la loro giustizia possa giocare con la vita delle persone, con chi fa parte del movimento No Tav, con chi lotta e con chi non ha posto in questo mondo è agghiacciante. Il fatto che possa farlo indisturbata, perché accettato in tutto e per tutto dall’apparato politico, istituzionale e giuridico è vergognoso. Da parte del Tribunale, della Procura e della Questura di Torino viviamo un attacco senza precedenti e probabilmente senza eguali in questo Paese ma, come sempre, resisteremo un metro, un minuto più di loro. Perché sappiamo di avere ragione.

Cecca siamo e saremo sempre al tuo fianco!


SABATO 11 FEBBRAIO ORE 15.30

PRESIDIO AL CARCERE (Ingresso principale, Via Maria Adelaide Aglietta 35)

Sabato saremo davanti al carcere di Torino perché questa ennesima ingiustizia non passi sotto silenzio, vogliamo Cecca libera subito. Lo diremo a gran voce perché il tuo posto è qui fuori, nelle lotte collettive.
Il dito lo puntiamo noi!

Siamo e saremo sempre al tuo fianco!

Cecca libera!

Libertà per tutte/i le/i No Tav!


PER SCRIVERE A CECCA:

FRANCESCA LUCCHETTO
c/o Casa Circondariale Lorusso e Cutugno
Via Aglietta, 35
10151 – Torino

BOLOGNA: BICICLETTATA ANTICARCERARIA

VENERDÌ 10 FEBBRAIO 2023

Ore 15:00 Ritrovo alla scalinata di Piazza VIII Agosto
Ore 17:30 Arrivo e presidio davanti al carcere della Dozza

Da più di 100 giorni Alfredo Cospito è in sciopero della fame. La sua è una battaglia contro la tortura del 41bis e dell’ ergastolo ostativo, ma ancor più è la battaglia di chiunque non vuole rimanere inerme di fronte alla violenza che le galere, i tribunali, l’ingiusta “giustizia” di questo sistema quotidianamente riversa su migliaia di persone.

Comunque andrà a finire Alfredo non lotterà da solo. Liberx tuttx