In carcere dal 21 maggio 2019 per l’op. Prometeo, il compagno anarchico Beppe è stato assolto il 4 ottobre, insieme a Natascia e Robert per “insufficienza di prove”. L’accusa principale era quella di “attentato con finalità di terrorismo” per i plichi esplosivi che nel 2017 sono stati inviati ai pm Rinaudo, Sparagna e all’allora capo del DAP Consolo.
Beppe, nonostante l’assoluzione, è rimasto in carcere, poiché condannato in primo grado a 5 anni con l’accusa di aver posizionato nel 2016 una tanica di benzina ad un postamat di Genova. Dal gennaio 2021, dopo vari trasferimenti dal sapore punitivo (sia per lui che per Natascia e Robert), Beppe è stato trasferito nel carcere di Bologna, nella sezione AS3. In seguito all’assoluzione per l’op. Prometeo è stato “declassificato” e trasferito, sempre alla Dozza, nella sezione universitaria. Da lì ha fatto subito istanza per i domiciliari, velocemente rigettata dalla corte d’appello di Genova con le seguenti motivazioni che il compagno chiede di condividere:
[…] osserva che a sostegno della presente istanza è stata addotta la mera considerazione del trascorrere del tempo;
le ragioni che hanno determinato il Giudice di primo grado a disporre le misure in atto non sono venute meno; il reato commesso è molto grave, l’imputato è gravato da un precedente penale non rilevante in astratto ma significativo in relazione al reato contestatogli; nemmeno gli arresti domiciliari, pur in luogo lontano da quello di commissione del reato e tantomeno le altre misure meno afflittive, potrebbero garantire un adeguato controllo a fronte del concreto rischio di reiterazione della condotta illecita, potendo l’imputato rientrare in contatto con soggetti dediti a condotte di ribellione e distruzione o comunque attivarsi personalmente con tale finalità; nessun rilievo può avere il tempo decorso dall’inizio della limitazione della libertà personale, perché insignificante per la valutazione della pericolosità, come irrilevante è la vicenda relativa alla contestazione del reato di cui all’art. 280 c.p., conclusasi allo stato con sentenza di assoluzione; è prossima la celebrazione del giudizio di secondo grado (già fissato da questo Presidente, per il quale dovrà essere emesso decreto di citazione a giudizio).
A seguito del suo trasferimento dall’AS al polo universitario, dopo due anni e mezzo di rimbalzi burocratici tra carcere e istituzioni sanitarie – nonostante le condizioni critiche che gravavano sulla sua salute – ha finalmente ricevuto l’operazione per la quale ha portato avanti scioperi della fame e dell’aria.
Mercoledì 10 novembre si è tenuta l’udienza d’appello ed è stata presentata una nuova istanza di domiciliari, questa volta accolta. Oggi, 13 novembre, Beppe uscirà dal carcere per essere trasferito agli arresti domiciliari con tutte le restrizioni in Sicilia.
Approfittiamo di questo aggiornamento per invitare caldamente tutte e tutti a contribuire alle spese ancora in corso!
Per sostenere le spese dell’ Op Prometeo si può fare riferimento ad entrambi gli IBAN (indicandolo nella causale), mentre per il processo di Genova che vede imputato solo Beppe, va fatto riferimento al secondo IBAN riportato di seguito:
Decine e decine di perquisizioni a Genova, Carrara, Pisa, Cremona, Bergamo, Roma, Perugia, Viterbo, Lecce, Taranto, Cosenza e Cagliari. Le indagini svolte dai carabinieri del ROS, su ordine della Procura di Perugia, si sono concentrate sul giornale Vetriolo e sui siti di contro-informazione roundrobin.info e malacoda.noblogs.
Il reato principale che viene contestato è istigazione a delinquere e istigazione a delinquere aggravata dalle finalità di terrorismo e di eversione dell’ordine democratico.
Oltre alle decine di perquisizioni in tutta la penisola, 6 le misure cautelari: Alfredo, già detenuto nel carcere di Terni, 4 compagnx con obbligo di dimora e firme, uno ai domiciliari con braccialetto elettronico.
In un momento in cui la ristrutturazione del Capitale è ad una svolta autoritaria senza precedenti e si specializzano nuove forme di sfruttamento e dominio, lo Stato intende chiarire e segnare preventivamente un confine da non oltrepassare per intimidire e scoraggiare chi intende sfidare l’attendismo dilagante e lottare.
I padroni evidentemente temono che la vivacità a sperimentare qualcosa di più rivoluzionario possa diventare sempre più una necessità per moltx.
“Seguite il vostro istinto, la vostra rabbia, non date troppo retta ai compagni/e coscienziosi. Buttatevi nella mischia, male che vada avrete vissuto una vita con qualche rischio e sofferenza in più ma anche piena di pensieri felici, piaceri e soddisfazioni. Contribuendo magari a cambiare le cose, e perché no… a fare la differenza. Come diceva un vecchio canto anarchico, “È l’azion l’ideal”. ”
Alfredo Cospito dal carcere di Terni
Contro Stato e Capitale, contro chi sfrutta e opprime, dalla parte di chi si ribella!
Anche nei gruppi che si dichiarano essere antiautoritari ci sono relazioni di potere, non è abbastanza abolire le gerarchie, le posizioni di potere nei gruppi non si sviluppano spontaneamente, ma sono il risultato di anni di condizionamento e costruzione sociale. La lotta contro il potere è una pratica quotidiana, di coscienza e di cura da parte di tutt*… in un collettivo auto-organizzato siamo tutt* responsabili per situazioni e relazioni di potere, di conseguenza possiamo agire per cambiarle, ma questo richiede lo sforzo di tutt* senza eccezione (and the conflicts will come). La motivazione per (il desiderio di) contrastare le relazioni di potere devono essere condivise da tutt*, ma ovviamente non siamo tutt* uguali di fronte al potere. Il potere ha genere, classe, razza, abilità.
NON VOGLIAMO ESSERE PANDA DA PROTEGGERE MA UNA MINACCIA A QUESTO MONDO
Su ddl ZAN, leggi protezioniste, prospettive di pratiche al di fuori dello stato e delle sue ridicole briciole.
Roma poche settimane fa : un’aggressione omofoba ai danni di una persona, presa a pugni mentre aspettava la metro, reo di aver baciato un suo compagno, accende di nuovo la polemica sul DDL ZAN.
Mentre sfilano personaggi e pantomime pubbliche su pro o contro una legge di protezione della comunità lgbtqia+, succede un altro fatto meno pubblicizzato.
Vicenza, 10 aprile 2021 Abderrahmane Ben Moussa, viene aggredito dal vicino al grido di ricchione di merda, ma lui cambia le carte in tavola e decide di difendersi tirando fuori un taglierino e rispondere alla violenza dell’aggressore. Il risultato è che viene denunciato l’aggredito per minaccia e gli viene sequestrato il taglierino.
I due pesi e le due misure dello stato. Se rimani zitto e buono, se accetti la retorica della vittima passiva e inerme, allora solidarietà pubblica persino da personaggi quali la Meloni e Mussolini. Ma se invece osi rompere questa retorica, vieni denunciato e perseguito, e non c’è nessuna campagna mediatica di difesa. Per di più se non appartieni a quell’immaginario di norma del gay maschio bianco, benestante e che come unico sentimento prova amore incondizionato (love is love come unica motivazione di accettazione dell’omosessualità), sei dalla parte sbagliata della storia, sei la causa dell’omotransfobia.
Adesso, davanti alle pantomime di politici e persino di fascisti dichiarati come la Mussolini, che gridano con ste manine alzate sui social all’approvazione della legge Zan, mi viene da dire un paio di cose, come persona Queer, sicuramente più in diritto di loro sull’esprimermi a riguardo.
LO STATO NON MI HA MAI PROTETTO E NON VOGLIO CHE LO FACCIA!
Come frocia, che tutti i giorni si scontra con l’omotransfobia, con le narrazioni e lo svilimento verso la violenza quotidiana (che ci colpisce a pugni in faccia, più o meno metaforici), che sia a casa, a lavoro, per strada o durante “i normali e casuali controlli di polizia”, sempre così casualmente contro persone non bianche, non cis e non visibilmente ricche. Ecco, come lgbtqia+ che forse riusciamo a delinearci le forme in cui questa violenza colpisce, e studiarci i modi di combatterla (e non rassegnarci ad essa come vorrebbe padre stato), crediamo fermamente che non sarà assolutamente una legge punitiva il mezzo con cui anche solo minimamente, arginare tale violenza.
Che chi ammazza una persona LGBTQIA+ si faccia due anni in più di carcere, (salvo la difesa da panico gay ancora beatamente legale praticamente ovunque, più o meno velatamente) a noi non me ne può fregare assolutamente nulla. Non ci rende più felici, non ci tranquillizza e non ci fa sentire di aver sconfitto l’omotransfobia.
Il carcere inoltre non è una soluzione, ma parte del problema.
Una legge punitiva serve al mantenimento dell’ordine, compreso quello stesso ordine che vuole noi froce sottomesse e in ginocchio.
Nel senso pratico, una legge non impedirà in alcun modo un’aggressione. Non ci immaginiamo che al prossimo attacco che subiremo in quanto lgbtqia+, un potere sovrannaturale sganciato da un pezzo di carta firmato dai padroni ci impedirà di prenderci un pugno in faccia.
Gli intenti di questa legge sono chiari.
Il mondo lgbtqia+ è insofferente, le aggressioni aumentano, la disparità pure. L’ omotransfobia è sempre più fieremente rivendicata, le continue aperture di sedi fasciste e partiti di destra pure non rendono il clima più abitabile.
In tutto il paese ultimamente si stanno creando gruppi e collettivi lgbtqia+ e queer, più o meno conflittuali, più o meno istituzionali. Ma il punto è che l’insofferenza della comunità lgbtqia+ verso la ribalta delle destre e dei valori familisti e omofobi è palese. E se l’insofferenza causa rabbia, per lo stato è un problema. Sopratutto se all’aumentare della violenza omofoba, a qualcunx venisse in mente di reagire e difendersi, e magari lasciare gli aggressori in un bagno di sangue senza correre a chiamare padron stato a difenderlo manco fosse un panda in via d’estinzione.
Ed è per questo che allora entra in gioco una legge protezionista. Quietare gli animi, prima che l’ordine ne risenta. La possibilità che le comunità lgbtqia+ inizino a incontrarsi, a parlarsi e magari a organizzarsi, è un rischio che non si può correre.
E allora giù di ddl, sensibilizzazione, LO STATO C’E’. Sindaci, vip, persino fascisti dichiarati a sostegno del ddl zan. Un modus operandi “non violento” della repressione che ovviamente ha funzionato, se guardiamo tutte le manine sui social con la scritta “ddl zan” e il grido diamoci il 5 contro l’omotransfobia.
Diamoci un 5? Diamoci invece appuntamento per pestare omotransfobici dentro e fuori i palazzi del potere invece.
UNA QUESTIONE DI GENERE, MA ANCHE DI CLASSE
Il ddl zan è una questione di civiltà dicono. Si, vero. Una questione di civiltà ma anche di classe. Chi favorirà davvero il ddl zan? Chi si sentirà davvero al sicuro con questa legge? Chi si sentirà benvoluto dalla società che fino a oggi non fa altro che invisibilizzarlo, stereotipizzarlo, renderlo un fenomeno da baraccone dal quale ruolo non uscire mai? Non ovviamente la comunità lgbtqia+ in tutte le sue sfumature e sovversioni, ma un gruppo in particolare. Si, quei maschi gay bianchi e orgoglio della società eteropatriarcale, gli MXM, che ai pride non ci vanno perché bisogna essere benvestiti, che la colpa dell’omotransfobia è delle drag e delle persone T. Loro che vogliono la famiglia, il matrimonio, sfornare figli a profusione come il modello etero vuole, dove c’è un attivo maschile e virile e un passivo effemminato e sottomesso. (Sia chiaro che non è una critica a prescindere verso chi prova il desiderio di matrimonio o di sfornare figli). Tutto questo è ciò che il canone eteronormato può digerire, tutto ciò che è al di fuori può continuare ad essere ostracizzato, represso, violentato e anche ucciso.
La legge Zan è una legge di classe precisa, che vuole proteggere degli individui a scapito di altri, ma che della comunità lgbtqia+ e della sua salvaguardia non gliene frega assolutamente niente. E lo si evidenzia nel fatto che è il ddl stesso a invisibilizzare tutto ciò di lgbtqia+ che non rientra nei canoni che l’eteronorma progressista possa tollerare.
L’ARTICOLO 4, UNA LEGGE CONTRO L’OMOTRANSFOBIA A TUTELA DELL’OMOTRANSFOBIA
Un altro particolare della legge zan, capolavoro del PD, che fingendo una lotta di sinistra e di “diritti civili”, ne fa contemporaneamente 10 di destra, è l’articolo 4 del ddl zan.
Poichè la destra si oppone al ddl zan per questioni come “la censura alla libertà di espressione (aka pestare i froci è un diritto costituzionale dalla nascita del patriarcato)”, ovviamente il nostro piddino Zan, gay da cortile per eccellenza, non poteva non strizzare un occhio ai suoi amici incravattati fascisti più o meno velati. Ed ecco il capolavoro dell’articolo 4, ovvero l’introduzione del concetto del “PLURALISMO DELLE IDEE”.
Facciamo una sintesi di cosa significa questo nel disegno di legge: Picchiare froci diventa aggravante di reato, ma solo se li picchi, potrai infatti continuare a fare tutto questo :
– comizi dove dilaghi stronzate come l’omotransessualità come malattia
– dichiarare persone lgbtqia+ come malati mentali in pubblica via
– affermare tutto l’odio (a parole eh) che vuoi verso la comunità lgbtqia+, basta che non li meni, se poi lo fa qualcun altro, non è un tuo problema, hai il diritto democratico di spargere odio fascista quanto ti pare e piace.
Ecco il capolavoro di questa legge, proteggere gli omofobi con una legge contro l’omotransfobia, e ammetto che riconosco al PD il ruolo di unici a poterne essere capaci a fare una cosa del genere.
Ma in soldoni questo significa anche che contestare “il pluralismo delle idee”, verrà represso con ancora più foga, e via alla repressione del tentativo di nascita di movimenti e collettivi queer in giro per i territori.
Una legge non ci protegge, non facciamo parte di una specie da proteggere. Dobbiamo organizzarci, come persone lgbtqia+, come comunità, come persone che subiscono l’oppressione eteropatriarcale e la violenza omotransfobica. Ma sopratutto come persone che sanno di poter reagire, concepire la nostra forza collettiva e metterla in essere nelle strade.
Difendiamoci da solx, parliamo tra di noi, organizziamoci : ATTACCHIAMO GLI OMOTRANSFOBICI, e senza chiedere il permesso a nessunx!
Intasiamo di glitter gli ingranaggi del potere e del patriarcato eterocis, costruiamo pratiche di autodifesa con ogni mezzo. Solidarietà e complicità con tuttx coloro che si ribellano alla retorica della vittima e dell’amore e decidono di armarsi e difendersi a pugni e tacchi a spillo da aggressori e fascisti.
TORNIAMO AD ESSERE UNA MINACCIA PER QUESTO MONDO, LO STATO E’ NATO PER REPRIMERCI, NON COMINCERA’ ADESSO A PROTEGGERCI!
DIFENDIAMOCI DALLA VIOLENZA OMOTRANSFOBICA, DALLA POLIZIA, DALLA LEGGE E DALLA GIUSTIZIA CHE PROTEGGONO STUPRATORI, AGGRESSORI E FASCISTI CON E SENZA DIVISA!
BRUCIAMO LO STATO E L’ETEROPATRIARCATO!
Alcunx lgbtqia+ che non si rassegnano all’assorbimento eteropatriarcale e capitalista
In montagna come in città gli spazi di autogestione sono sotto attacco.
Solo sulla frontiera del Monginevro in sette mesi ci sono stati tre sgomberi.
Vorrebbero fermare chi si organizza per attraversare e contrastare questo dispositivo che controlla, seleziona e uccide. Il numero di persone che passa il confine rimane alto e la repressione in frontiera non fa che crescere, portando con sé il suo prezzo di feriti e morti, ancora più ora con l’inverno alle porte.
In città, anche e soprattutto in quest’ultimo periodo caratterizzato da Green Pass e continui “stati di emergenza”, il controllo sociale aumenta e la repressione incalza: controlli polizieschi diffusi, retate, sgomberi, sfratti.
Il cpr di corso Brunelleschi, ingranaggio del sistema di detenzione ed espulsione, è l’incarnazione della frontiera in centro a Torino.
Assistiamo al tentativo di distruggere ogni forma di pensiero e pratica non istituzionale e ogni esperienza di autogestione e di disinnescare ogni tensione di lotta; il tentativo di eliminare la pratica delle occupazioni, impedendone di nuove e piano piano sgomberando le vecchie.
Per tutto questo, scendiamo in piazza.
Appuntamento per un corteo a Torino, sabato 6 novembre ore 16:30!
Cinque saggi per ripensare l’essere uomo nel patriarcato
Per parafrasare Audre Lorde: “Quando ci si aspetta che le persone di colore educhino i bianchi alla loro umanità, quando ci si aspetta che le donne educhino gli uomini, le lesbiche e gli uomini gay educhino il mondo eterosessuale, gli oppressori mantengono la loro posizione ed eludono la responsabilità delle loro azioni”.
Il Procuratore Amato annuncia un’ulteriore stretta autoritaria per quanto riguarda… la guerra alla DDDdroga, dice: ” Se non cessa la domanda, non può cessare l’offerta”.
“Dobbiamo occuparci non solo di chi spaccia, ma anche di chi consuma […] nel momento in cui al divieto di fare uso di sostanze venissero associate delle sanzioni, pecuniarie o interdittive, anche l’assuntore avrebbe consapevolezza della sua responsabilità. Un ragazzo, di fronte al rischio di una ‘punizione’, come ad esempio il divieto di frequentare locali per un determinato periodo o il sequestro della macchina, probabilmente ci penserebbe due volte prima di fumare uno spinello”.
Tutto questo servirebbe – come no – per “sensibilizzare sugli ‘effetti collaterali’ connessi all’uso di sostanze”.
Una ‘salute’ e una ‘prevenzione’ che fanno sempre più rima con repressione. Ci si abitua sempre più ai ‘cani antidroga’ nelle scuole, a controlli polizieschi su adolescenti nei parchi, a vessazioni e abusi da parte delle forze dell’ordine.
“Il popolo è minorenne, la repressione è il nostro vaccino, repressione e civiltà.”
Si pensa anche alla possibilità di una sanzione ‘retroattiva’: non solo per chi è sorpreso in flagranza a consumare ma anche per chi risulta aver assunto sostanze, a seguito di analisi.
Facendo leva su una ‘responsabilità personale’ che vede nell’uso/abuso di sostanze psicotrope un comportamento “pericoloso” da punire attivamente, si propongono sanzioni pecuniarie o interdittive da applicare soprattutto in un’ottica “preventiva”, come non allontanarsi dall’abitazione prima o dopo un certo orario, il divieto di frequentare determinati locali pubblici, l’obbligo di presentarsi in orari precisi agli uffici di polizia.
Nonostante i laboratori antiproibizionisti da oltre 20 anni indichino come l’unico modo per stroncare alla radice i narcotraffici sia la depenalizzazione della coltivazione di cannabis per uso personale e il commercio legale delle foglie di coca – come chiedono le popolazioni indigene sudamericane da decenni – le politiche repressive e la caccia alle streghe su categorie sociali già marginalizzate e stigmatizzate non si arresta, anzi, li arresta.
Oltre il 35% della popolazione detenuta è in carcere per violazione della legge sulle droghe, circa il 30% della popolazione carceraria fa uso di sostanze o ha problemi di dipendenza che spesso esordiscono o si cronicizzano/acutizzano proprio durante la detenzione (alla faccia del tanto declamato ‘recupero sociale’).
Questo è accaduto grazie a leggi repressive come la Fini/Giovanardi, la Bossi/Fini, la Cirielli, le leggi sulla sicurezza volute da Minniti e Salvini.
La Fini Giovanardi è stata stracciata dalla corte costituzionale nel 2014, esiste ancora la 309/90, che il referendum nel 2022 potrebbe ‘migliorare’ – ma solo in parte – depenalizzando uso personale e coltivazione.
La proposta medioevale del procuratore Amato mette in luce tutta l’ipocrisia di un sistema fatto per rimanere tale: tabacco 70mila morti l’anno, alcool 40 mila, eroina circa 168, cocaina 63 , cannabis zero, ma sulle sostanze ‘legali’ si può lucrare accettando tangenti dagli spacciatori autorizzati.
Sebbene enti come le Nazioni Unite abbiano già dichiarato sulla carta diversi anni fa il fallimento della ‘Guerra alla Droga’ – il consumo zero è fantasia – continuare a fare ‘la guerra ‘a chi usa sostanze non solo lede i più fondamentali diritti umani ma toglie la possibilità di contrastare le narcomafie che hanno proprio bisogno del proibizionismo per alzare i prezzi.
Mentre si incarcerano i piccoli spacciatori, si perseguono i consumatori e le morti per overdose passano inosservate, si lascia intaccato un giro miliardario che evidentemente fa comodo così.
Lo stato di emergenza non perdona, la stretta autoritaria non solo continua ma minaccia di amplificarsi a dismisura senza trovare argine alcuno.
Nessunx è al sicuro. Lo Stato è la vera ‘droga’, l’autodeterminazione è la risposta!
Sono ancora scarse le informazioni riguardanti la morte della persona, originaria della Val di Cornia, ricoverata nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Livorno deceduta a inizio aprile di quest’anno dopo essere stato legata al letto per oltre una settimana. Le generalità non sono ancora state rese pubbliche. Non sappiamo se è stata fatta un’autopsia e se c’è un indagine della magistratura in corso. Non sappiamo quante contenzioni vengono fatte nel reparto di Livorno.
Di sicuro nei reparti psichiatrici italiani si continua a morire di contenzione meccanica, sia in regime di degenza che durante le procedure di TSO.
Il 13 agosto del 2019, nel reparto psichiatrico dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo è morta durante un incendio Elena Casetto, 19 anni, bruciata viva nel letto al quale era legata: la contenzione non le ha permesso di fuggire. A oggi per quel terribile evento sono indagati solo i due addetti della ditta che aveva in appalto il servizio antincendio dell’ospedale.
Un episodio simile era accaduto nel Manicomio Giudiziario di Pozzuoli nel 1974, quando Antonia Bernardini morì per le ustioni riportate dopo l’incendio che l’aveva avvolta nel letto di contenzione al quale era stata legata ininterrottamente per 43 giorni.
Il 4 agosto del 2009 Francesco Mastrogiovanni è morto per edema polmonare dopo 87 ore consecutive di contenzione nel reparto di psichiatria dell’Ospedale di Vallo della Lucania, provincia di Salerno. Era stato ricoverato in TSO, trattamento sanitario obbligatorio, senza rispettare le procedure previste dalla legge; sedato e legato con fascette ai polsi e alle caviglie, è rimasto senza mangiare, senza bere e senza nessuno che si preoccupasse di lui fino alla morte.
Nel caso Mastrogiovanni la Corte di Cassazione ha definito l’uso della contenzione meccanica un presidio restrittivo della libertà personale che non ha né una finalità curativa né produce l’effetto di migliorare le condizioni di salute del paziente. La contenzione non è un atto medico e non ha alcuna valenza terapeutica: è un evento violento e dannoso per la salute mentale e fisica di chi la subisce; offende la dignità delle persone e compromette gravemente la relazione terapeutica.
Purtroppo contenzione meccanica e farmacologica sono praticate diffusamente anche nelle strutture che ospitano persone anziane e/o non autosufficienti. In nessun caso la carenza di personale e di strutture può giustificare il ricorso a pratiche coercitive. Anche la logica dei “motivi di sicurezza”, dello “stato di necessità” o delle “persone aggressive” a cui sovente si fa appello nei reparti, deve essere respinta poiché fondata sul pregiudizio ancora diffuso della potenziale pericolosità della “pazzia”. Molti ritengono, per atteggiamento culturale o per formazione, che sia giustificabile sottoporre persone diagnosticate come “malate mentali” a mezzi coercitivi, che sia nell’ordine delle cose e corrisponda al loro stesso interesse. Chi condivide questa opinione non considera adeguatamente, sia in termini esistenziali che giuridici, il valore imprescindibile della libertà della persona, tanto più rilevante quanto più attinente a libertà minime, elementari e naturali, come la libertà di movimento.
Oltre al ricorso alla contenzione meccanica e farmacologica, continua ancora oggi a prevalere nei servizi psichiatrici un atteggiamento custodialistico e l’impiego sistematico di pratiche e dispositivi manicomiali: obbligo di cura, porte chiuse, grate alle finestre, sequestro dei beni personali, limitazione e controllo delle telefonate e di altre relazioni e abitudini.
Sappiamo inoltre, di numerose esperienze in Italia e all’estero dove viene evitata la contenzione. In solo 15 reparti italiani su 320 viene praticata la terapia no restraint, la contenzione è stata abolita e le porte sono aperte.
Sappiamo che questi dispositivi sono strutturali ai luoghi di reclusione e abbandono, ma ribadiamo la necessità di proibire, senza alcuna eccezione, la contenzione meccanica nelle istituzioni sanitarie, assistenziali, penitenziarie italiane e in tutti i luoghi di reclusione.
Continueremo a lottare con forza contro ogni dispositivo manicomiale e coercitivo (obbligo di cura, trattamento sanitario obbligatorio, uso dell’elettroshock, contenzione meccanica, farmacologica e ambientale, ecc) e per il superamento e l’abolizione di ogni pratica lesiva della libertà personale.
BASTA MORIRE DI CONTENZIONE !! STOP ALLA CONTENZIONE!!
Sabato 6 Novembre:
– PRESIDIO CONTRO LA CONTENZIONE piazza Damiano Chiesa davanti l’Ospedale nel pomeriggio dalle ore 16
– alle ore 20 PIZZATA + MUSICA all’ Ex Caserma Occupata in via Adriana 16
Domenica 7 novembre:
– ore 10 all’ Ex Caserma Occupata inizio assemblea antipsichiatrica
– ore 13 Pranzo a cura di Cucina IppoOasi
nel pomeriggio proseguimento assemblea
AGGIORNAMENTO SULLE SORVEGLIANZE SPECIALI RICHIESTE E DATE A BOLOGNA
A circa due mesi dall’udienza del 12 luglio il tribunale si è espresso sulla proposta di applicazione della sorveglianza speciale per 7 compagne/i di Bologna: 6 i rigetti e un accoglimento.
Al nostro compagno Guido verrà applicata la sorveglianza per due anni con obbligo di dimora.
A pochi giorni dall’udienza il PM Dambruoso aveva presentato un’integrazione affinché il tribunale si esprimesse non solo, come da richiesta iniziale, sulla “pericolosità qualificata” per reati di terrorismo, ma anche sulla pericolosità generica. Ed è infatti sulla base di quest’ultima che la richiesta è stata accolta.
Stando alle motivazioni, sono le accuse mosse dallo stesso Dambruoso con l’Operazione Ritrovo ad avere “spiccata rilevanza”, “prova della propensione ad atti di pericolo accentuato per la sicurezza e la tranquillità pubblica”. Ci si spinge addirittura nel merito di quell’inchiesta da cui, secondo i giudici, “emerge chiaramente” che il nostro compagno “è stato autore dell’incendio al ponte ripetitore, in località Monte Donato, nel dicembre 2018”.
Ad oggi, l’instancabile PM ha già presentato ricorso contro due dei sei rigetti e non escludiamo se ne possano aggiungere altri.
Tutta la nostra solidarietà va alle compagne e i compagni sottoposte/i a questa infame misura e a tutte/i quelle/i colpiti dallo Stato per aver attaccato questo mondo.