Diffondiamo:
Mattinée sottoculturale a sostegno dei prigionieri domenica 2 giugno alle 18 in Piazza dell’Unità a Bologna.
Cresciamo nei terreni incolti, nelle zone asciutte e sassose, ai bordi dei viottoli
Diffondiamo:
Mattinée sottoculturale a sostegno dei prigionieri domenica 2 giugno alle 18 in Piazza dell’Unità a Bologna.
Diffondiamo:
de SUPPOSTE e de MATTONI
Martedì 7 maggio 2O24 lo spazio occupato in via delle Averle nel quartiere Torre Maura, da più di 32 anni autogestito,è stato sgomberato con un blitz poliziesco alle 6 del mattino.
Mobilitati un centinaio di agenti di polizia di stato, affiancati da vigili del fuoco e municipale, hanno proceduto allo scasso del cancello d’entrata, dopo aver prima rimosso i cassonetti e poi le auto nei parcheggi adiacenti, per fare spazio a blindati e mezzi dell’impresa edile che successivamente ha murato ogni possibile accesso.
La casa è stata quindi invasa minacciando e trascinando fuori due persone che al momento si trovavano all’interno.
Durante tutta la giornata, grande è stata la vicinanza dei solidali che spontaneamente sono arrivati numerosi sul posto mossi dal comune sentimento per la difesa degli spazi di libertà’.
Torre Maura Occupata è sempre stata punto di riferimento senza gerarchie né confini: da Centro Sociale ad Ateneo Libertario a Casa Collettiva. Uno spazio di confronto e condivisione di conoscenze e attività senza finalità di profitto: palestra, sala prove, erboristeria, serigrafia, biblioteca e gran bazar der raccatto/dono, a disposizione di chiunque secondo i propri bisogni, contro spreco e consumismo.
Quindi un luogo di resistenza all’avanzare di un sistema omologante e intollerante verso chi risulti inadattabile ai suoi criteri.
Una storia di lotta ad ogni tipo di sopraffazione senza compromessi, per la Liberazione Animale e della Terra, contro nucleare ed ogni nocività, per la distruzione di ogni forma di dominio, controllo e coercizione: dal carcere alla psichiatria ai centri di detenzione per migranti.
La Narrazione di potere intenzionalmente occulta e mistifica la complessità di esperienze come questa, significativamente e veracemente anomale nella società dello spettacolo, esultando per la restaurata legalità e il trionfo dello Stato!
Questa operazione mascherata da pubblico interesse con supposte finalità sanitarie, oltre ad essere una vendetta del mini(sindaco) fascista nei confronti dello spazio da sempre
antiautoritario, e già in passato sotto attacco da sinistri rappresentanti locali, corrisponde alla solita strategia speculativa per la quale la miseria non può che dilagare, creando nuovi nemici per distogliere lo sguardo dai reali responsabili di povertà, guerre e discriminazioni di ogni tipo.
MA KE DAVERO
ci si lascia ancora abbindolare da questa trita propaganda mediatica e dalle promesse elettorali?
MADDECHÉ !!!
NÉ SUPPOSTA NÉ MATTONE,
SENZA SERVI NESSUN PADRONE!
SEMPRE PADRONI di NULLA PEDONI di NESSUNO
PER L’AUTOGESTIONE OVUNQUE … VERSO L’ANARCHIA!
TORREMAURA SGOMBERATA MA MAI DOMA !
Riceviamo e diffondiamo:
Negli scorsi giorni, in San Donato, è avvenuto un fatto gravissimo, l’ennesimo atto di repressione e abuso da parte della polizia e degli apparati di potere: forme di violenza in divisa che negli ultimi mesi si stanno moltiplicando nel quartiere.
A dicembre ci manganellavano davanti alla sede della RAI, proprio sotto i palazzi della Regione Emilia-Romagna, mentre si protestava contro la complicità dello stato e dei mezzi di comunicazione governativi con il genocidio in corso a Gaza. Ad aprile invece provavano a sgomberare il presidio resistente del parco Don Bosco: quel giorno siamo riusciti ad allontanare le divise, ma al prezzo di decine e decine di feritx, 7 alberi del parco e un arresto violentissimo due giorni più tardi, proprio dentro al parco, che oltretutto ha visto l’utilizzo di taser, per la prima volta usato in Italia contro qualcunx del movimento.
Oggi invece hanno deciso di colpire Jonny, un ragazzo che è cresciuto in San Donato, dove vive, e che ha attraversato il quartiere fin da bambino. Lì si trova la sua famiglia, lx amicx, la casa.
Dopo essere stato fermato in via Andreini per un controllo di routine, Jonny è stato portato con l’inganno in questura per “accertamenti”. Qui è stato trattenuto due giorni in una cella senza cibo e acqua, fino a sabato, giorno in cui è stato trasferito in fretta e furia nel CPR di Via Corelli a Milano in attesa della decisione sul suo espatrio, udienza prevista per martedì 28. Un ragazzo che ha costruito a Bologna tutta la sua vita, i suoi affetti e i suoi ricordi, è stato preso a forza dai Carabinieri e dal mattino alla sera rischia di essere espatriato a Cuba, senza possibilità di vedere la sua famiglia, lx sux amicx, anche solo prendere i suoi oggetti personali.
Tutto questo in vista delle elezioni europee dove il governo Meloni vuole portare la sua politica razzista, omofoba e militarista in un’Europa che sembra sentirsi sempre più vicina a questi ideali.
Ribadiamo che un pezzo di carta non può determinare le nostre vite, che è inaccettabile che per mancanza di quest’ultimo la vita di un ragazzo possa essere stravolta per la decisione arbitraria di uno stato che determina come e dove dobbiamo esistere. Se questo è quanto, allora Noi non riconosciamo questo stato.
Al fianco di un amico che ha attraversato e che vuole continuare ad attraversare le strade del suo quartiere.
Fuoco a Frontiere e CPR.
Tuttx Liberx.
Aggiornamenti:
Lunedì 20 maggio a Bologna si sono tenute presso il Tribunale delle Libertà sia l’udienza di riesame per chiedere la revoca/attenuazione delle misure sia l’udienza d’appello con cui la PM chiedeva il riconoscimento dell’aggravante per 270bis per i reati contestati e il conseguente aggravamento (arresti domiciliari) delle misure cautelari a cui attualmente sono sottopostx 3 compagnx a seguito delle indagini aperte relative ad episodi avvenuti in territorio bolognese durante la mobilitazione in solidarietà ad Alfredo Cospito in sciopero della fame contro il 41bis e l’ergastolo ostativo.
Né il riesame né l’appello sono stati accolti, confermando le misure ax 3 compagnx: per 2 compagnx obbligo di firma, per una compagna obbligo di dimora con rientro notturno e obbligo di firma.
TUTTA LA NOSTRA SOLIDARIETÀ E COMPLICITÀ AX COMPAGNX COLPITX.
ALFREDO LIBERO!
41BIS È TORTURA!
CHE DELLE GALERE RIMANGANO SOLO MACERIE.
Dall’assemblea torinese contro il carcere e il 41 bis alcune riflessioni a seguito dell’operazione city, per rilanciare il corteo del 2 giugno:
Il corteo del 2 giugno prossimo è una prima risposta all’operazione repressiva denominata “City” che ha colpito alcunx compagnx in merito ai fatti del 4 marzo 2023 a Torino. Pochi giorni prima di quella data, una sentenza di Cassazione che aveva stabilito la permanenza in 41bis del nostro compagno Alfredo Cospito pareva sancire la sua condanna a morte, dopo sei mesi di sciopero della fame. In quella giornata le strade della città sono state percorse dalla nostra rabbia e dalla nostra determinazione.
L’operazione della procura di Torino aspira in modo evidente a estendere il reato di devastazione e saccheggio a tutte le persone presenti, con l’implicito “Se eri lì, sei complice!”. L’intenzione è ovviamente quella di dividere e scoraggiare la partecipazione a future iniziative di piazza che prevedano di mettere in campo quelle pratiche conflittuali che da sempre sono patrimonio del movimento, nel tentativo di annullare i momenti in cui rabbia, lotta e istanze sociali si mischiano e rafforzano reciprocamente. Del resto, è risaputo che la repressione agisce anche cercando di spezzare i legami solidali tra le diverse sensibilità, con la chiara volontà di disincentivare la partecipazione e isolare per meglio colpire. Rendere inoffensivi gli attivisti, scoraggiare gli indecisi, criminalizzare idee e pratiche di scontro con lo Stato e il Capitale: ecco la ricetta per disinnescare il potenziale conflitto sociale in un momento in cui le contraddizioni generate – crisi, guerre e devastazione ambientale – pongono il sistema in una palese condizione di precarietà.
Cucendo l’abito del nemico pubblico addosso a chi si oppone con determinazione e criminalizzando chi non tace, anche con questa azione repressiva si tenta di evitare la contaminazione tra le varie modalità e istanze di lotta. Se infatti tra le cause dell’estendersi delle condizioni di oppressione c’è anche la nostra attuale incapacità di mettere in campo rapporti di forza favorevoli, è vitale per l’apparato poliziesco e repressivo inasprire l’attacco generalizzato alle classi approfittando delle loro separazioni e antagonismi, al fine del mantenimento dell’attuale sistema di sfruttamento e disciplinamento totale.
L’intenzione di questa chiamata per una piazza nazionale a Torino proprio il giorno della “Festa della Repubblica” è quella di rilanciare un momento di strada che materializzi il senso del corteo di un anno fa, e della repressione che lo ha seguito, nel contesto dove quello si è dato e questa si sta dando. Vogliamo inquadrarlo nella complessità di una società stretta nella morsa di una retorica bellica che, mentre normalizza un genocidio algoritmico mandandolo in mondovisione, produce un discorso martellante sul nemico interno identificato non solo in chi lotta, disobbedisce e diserta, ma anche in coloro che abitano le oppressioni strutturali del capitalismo odierno, dove la detenzione amministrativa e penale si inserisce come tassello disciplinante diventando l’unico orizzonte di chi non può, o non vuole, sottostare a imposizioni sempre più stringenti.
Il sistema punitivo statale italiano vede la sua massima espressione nel regime di 41bis e nell’ergastolo ostativo, ma la macchina repressiva e detentiva si articola in forme molteplici, più o meno subdole, con l’identico fine persecutorio; e anche recentemente si è visto come ad esempio i CPR si pongano alla confluenza di molte tipologie di oppressione: usati come monito per i liberi, minaccia nei contesti lavorativi e ricatto in quelli di lotta, questi luoghi di invisibilizzazione per eccellenza ci mostrano continuamente quante forme possa assumere la brutalità dello Stato. Quando questa viene sconfitta non lo si deve certo ai commissariamenti della magistratura o alle preghiere riformiste (a volte avanzate perfino da chi quei luoghi li ha istituiti), bensì, sempre, alla rivolta e al fuoco dei ribelli.
Con questo spirito siamo scesi più volte in strada, e lo abbiamo fatto anche il 4 marzo.
E se quelle giornate sono riuscite a rompere il muro del silenzio riguardo a un circuito di tortura “bianca” in Italia e a mettere in evidenza come e quanto i tribunali applichino la vendetta dello Stato contro i suoi nemici interni, al di là di ogni fantasticheria sul diritto, lo sappiamo, la partita è ancora aperta. Non solo perché questo regime carcerario di tortura si sta palesando come strumento nelle mani della DNAA (Direzione Nazionale Antimafia-Antiterrorismo) come modello di repressione a monito di tutti i rivoltosi, ma anche perché questo regime è un dispositivo di guerra, e sarà ancora molto utile, contro il nemico interno, in questi tempi di guerra.
Negli ultimi due anni la guerra guerreggiata è alle porte. Dalle periferie del mondo occidentale, è dilagata avvicinandosi sempre di più alla fortezza Europa. Il controllo sui territori diventa serrato, militari e sbirri pattugliano ogni angolo, chi vive e attraversa i quartieri interessati da questa incessante militarizzazione rischia quotidianamente di finire dentro una galera o un CPR.
Ma quando inizia la guerra? Chi decide quando questa comincia? Inizia veramente, nel caso europeo, fuori dai confini dell’Unione? O è la stessa organizzazione sociale, anche in tempi che vengono descritti come tempi di pace, a incarnarla, alternando momenti più o meno feroci? L’Italia e l’UE si trovano di fatto in guerra. Da un lato sostengono il settore militare israeliano, come dimostrano i dati relativi all’invio di armi e munizioni verso Israele dell’ultimo trimestre del 2023, per un valore pari a 2,1 milioni di euro. Dall’altro, fin dai primi giorni del genocidio in Palestina, l’Italia ha trasformato la stazione aeronavale di Sigonella in Sicilia in una base di appoggio per gli aerei spia e per quelli che trasportano armi, e ha trasferito diverse unità navali nel mare di fronte a Gaza. Inoltre, dal 5 marzo 2024 ha ufficialmente preso parte alla missione “Aspides” nel Mar Rosso, a difesa del commercio internazionale, contro i ribelli Houthi e le azioni di sabotaggio da loro messe in campo contro le navi israeliane a sostegno della
resistenza a Gaza.
I media nostrani hanno invece costruito l’idea di questo possibile inizio, questo emergere della prossimità bellica, datandolo all’azione russa del febbraio 2022 e il suo allargamento a partire dalla responsabilità di Hamas (e indirettamente dell’Iran) del 7 ottobre 2023. Questa visione non è solo faziosa e non si limita a scaricare la responsabilità bellica sulla controparte, retorica più che scontata da parte di ogni Stato, ma soprattutto è inaccettabile perché mette in campo l’idea che tutto si giochi sul piano geopolitico. Se invece dobbiamo ravvisare un periodo in cui alcune istanze della società-guerra si sono violentemente palesate e possono essere considerate gli antefatti di questo ultimo biennio, dovremmo tornare agli attentati parigini del 13 novembre 2015 che hanno portato in Francia, e in tutta l’Europa occidentale, un susseguirsi di normative sull’ordine pubblico che hanno segnato un punto di svolta della militarizzazione interna e
delle politiche di controllo sociale. Ci pare evidente che non esiste un’anormalità da una lato, la guerra come eccezione, e una normalità, la politica, dall’altro. Non è facile capire cosa sia realmente la guerra oggi, visto il proliferare nel nuovo millennio di nomenclature come “guerra ibrida”, “guerra infinita”, “guerra mondiale a pezzi”, ma quello che possiamo affermare con certezza è che siamo entrati in un periodo in cui si è ben oltre la militarizzazione degli spazi pubblici, fisici o simbolici che siano. L’economia di guerra e il richiamo alle esigenze di arruolamento paventati senza mezzi termini dai governanti, il potenziamento del riarmo industriale, la stretta su qualunque tipo di opposizione, la censura attraverso i mezzi di comunicazione tradizionali e social, evidenziano il processo di mobilitazione delle società verso la guerra che gli stati europei hanno innescato come ormai unico mezzo per dirimere il ginepraio delle politiche neoliberali, la corsa all’accaparramento delle risorse naturali e la gestione degli esseri umani considerati come mera eccedenza, anche all’interno del territorio UE.
Se questo è quanto sta succedendo in Europa, quello che sta succedendo nell’altrove guerreggiato ci parla di centinaia di migliaia di morti, di persone mandate al macello sull’altare del profitto e dell’accaparramento. La guerra là è più feroce, senza limiti, ma ha gli stessi scopi di quella non guerreggiata qua. La guerra asimmetrica che lo stato di Israele sta conducendo dal 7 ottobre contro Gaza ne è summa ed esempio: la migliore democrazia in tempi bellici, un modello per gli altri stati. In un connubio fra high tech e sterminio, rimozione della memoria e costruzione di una sempre nuova narrazione della storia, laboratorio a cielo aperto di meccanismi sociali. Lo stato di Israele rappresenta sicuramente la migliore risposta alle necessità di una società in guerra.
Ma proprio partendo dal modello perfetto di Israele e dalla resistenza palestinese possiamo iniziare a pensare che questo sistema possa essere
disarticolato. Israele per continuare a mantenersi in vita ha bisogno di spietate complicità e collaborazioni che attraversano il capitale in ogni sua
forma: i luoghi di lavoro, della cultura e della formazione. Le atrocità che stanno avvenendo a Gaza sono possibili grazie al contesto geopolitico strutturato dall’Occidente fin dall’avvento degli stati-nazione: secoli di colonialismo di insediamento, accordi e collaborazioni occidentali che hanno permesso il massacro di chi in quei territori ha sempre vissuto. Un esempio per tutti sono le università, che rappresentano uno strumento di normalizzazione, legittimazione e complicità rispetto al genocidio in corso a Gaza, oltre che del colonialismo di insediamento e della pulizia etnica perpetrata da Israele ai danni del popolo palestinese da più di 75 anni. Attraverso accordi e partnership, vengono sviluppate tecnologie belliche e securocratiche che prima vengono testate sulla pelle del popolo palestinese e poi riversate nel mercato globale, per essere usate contro il nemico interno ed esterno. Attraverso accordi e collaborazioni con l’università, aziende belliche come Leonardo, Thales-Alenia o Elbit, si stanno espandendo, generando nuovo profitto garantito dall’utilizzo di infrastrutture pubbliche e conoscenze del mondo universitario: ostacolare il loro ingresso e la loro normalizzazione contrattuale significa evidentemente opporsi alla militarizzazione sempre più pervasiva della nostra società e può proporsi come una delle modalità effettive di resistenza alla guerra totale che questo sistema genera e alimenta.
Ma per mettere in atto questa resistenza, e perché sia possibile condurla ancora a lungo, per affrontare la lotta contro la generale oppressione di classe e razza, di cui la repressione rappresenta un aspetto, dobbiamo costruire la solidarietà più larga e duratura possibile intorno a chi viene colpito.
Le forme di ribellione e lotta che si danno dentro le prigioni a cielo aperto e in quelle chiuse delle mura sono una testimonianza importante che non solo disvela le efferatezze dello Stato e la brutalità della sua violenza, ma rilancia il coraggio di chi, stretto nella morsa più asfissiante e totalizzante del potere coercitivo, ricorda ai liberi il coraggio della rivolta.
Per la creazione di complicità tra chi viene colpito dalla violenza di Stato e Capitale. Per rivendicare la presenza auto-organizzata in strada. Per ribadire che la risposta alla repressione è continuare la lotta!
Cosa accomuna l’aggressione a un ragazzo da parte dei carabinieri nel contesto di una lotta contro un piano speculativo locale, le manganellate che piovono su chi protesta contro la guerra e il genocidio di un popolo, l’inasprimento del rischio repressivo per chi protesta fuori dalle carceri, la repressione che si abbatte silenziosa su chi ha sostenuto un compagno anarchico in sciopero della fame, con tanto di misure cautelari a seguito (le ultime solo in ordine di tempo a Torino e Bologna)? Il contesto bellico in cui ciò sta avvenendo. Un contesto in cui economia, città e territori sono in fase di ristrutturazione e in cui chi domina non aspira più a un’ipocrita pace sociale, ma all’ordine puro e schietto. E il vulcano sotto ribolle. Presentiamo la rivista aperiodica “Lahar” per avere un punto di partenza per chiarirci le idee, discutere assieme e trovare delle possibili vie d’uscita.
Programma:
DOMENICA 26 MAGGIO, PIAZZA DELL’UNITÀ
Dalle 16: distro, serigrafia, birrette
Dalle 17: presentazione della rivista anarchica aperiodica “LAHAR”
Dalle 19: cibo benefit a sostegno di Ali, Anan e Mansour prigionieri palestinesi dello stato italiano.
SOLIDALI CON CHI E’ COLPITO DALLA REPRESSIONE PER ESSERE STATX A FIANCO DI ALFREDO
CONTRO IL 41BIS E L’ERGASTOLO OSTATIVO
AL FIANCO DI CHI LOTTA PER UN MONDO SENZA GUERRE NE’ GALERE
https://tribolo.noblogs.org/dom-26-mag-presentazione-di-lahar-in-pza-dellunita/
Diffondiamo:
PRESENZA SOLIDALE DAVANTI AL TRIBUNALE IN VIA D’AZEGLIO 56
A fine aprile 3 compagnx sono state sottoposte a misure cautelari (obbligo di firma per due di loro, firme, obbligo di dimora e rientro notturno per una terza). I fatti loro contestati fanno principalmente riferimento alla campagna che si è svolta a Bologna lo scorso anno, in solidarieta ad Alfredo contro il 41 bis e l’ergastolo ostativo. Come se ciò non fosse abbastanza il pm ha fatto appello: chiede che venga riconosciuta l’aggravante di terrorismo e che lx 3 compagnx siano messe ai domiciliari. Oggi 20 maggio si sta tenendo l’udienza.
Sempre al fianco di chi lotta!
Da: La Vampa, tradotto da athens.indymedia.org.
La sera del 13 maggio, lx studentx di Atene si sono unitx al movimento globale dell’Intifada studentesca in solidarietà con la Palestina e, con il sostegno dx solidalx, hanno occupato la facoltà di Giurisprudenza di Atene. Hanno chiesto alle università greche di interrompere qualsiasi cooperazione sotto forma di progetti di ricerca o programmi di scambio e finanziamento con lo Stato israeliano. La mattina dopo, la polizia ha fatto irruzione nello spazio occupato e ha arrestato 28 persone. La polizia ha confiscato una serie di oggetti dal terreno dell’università, senza che vi fossero prove per collegare questi oggetti a qualcun dellx arrestatx.
Dopo la finalizzazione della legge che consente la presenza della polizia greca all’interno dei campus universitari, l’anno scorso si sono scatenate ondate di violenza contro gli studenti nei loro stessi campus, mentre quest’anno si è assistito a un percorso accelerato verso la privatizzazione delle università. L’aumento della presenza della polizia e le tattiche di intimidazione in spazi un tempo liberi e autonomi si estendono oltre le mura dell’università. Eventi, attività e riunioni collettive in spazi pubblici – siano essi politici o meno – sono presi di mira dalla presenza della polizia, dalla repressione e dalla violenza. La posizione aggressiva dello Stato è un tentativo di reprimere qualsiasi forma di solidarietà, di modalità anticapitalistiche, di libera circolazione e di lotta dei migranti.
Lx 28 arrestatx nella Facoltà di Giurisprudenza di Atene sono statx immediatamente trasferitx alla stazione centrale di polizia di Atene (GADA). Agli avvocati è stato consentito l’accesso ai detenuti solo otto ore dopo il loro arresto, e la polizia ha cercato di costringere lx detenutx a fornire le impronte digitali prima dell’arrivo dei loro avvocati. Nel frattempo, centinaia dx solidalx si sono riunitx davanti alla GADA, chiedendo l’immediato rilascio delle persone arrestate e affermando il loro sostegno a una Palestina libera. Dopo aver ricevuto l’informazione che tuttx lx 28 arrestatx sarebbero statx incriminatx, sono statx costrettx a passare la notte a GADA.
Il giorno successivo, il tribunale avrebbe dovuto svolgersi a mezzogiorno, ma è stato deliberatamente ritardato di qualche ora. Lx solidalx erano presentx in tribunale per mostrare il loro sostegno allx arrestatx, con canti che chiedevano una Palestina libera e la fine delle tattiche di intimidazione. Alla fine, lx 28 sono statx portatx davanti al pubblico ministero e la decisione è stata quella di rilasciare tutti e rinviare il processo al 28 maggio con le accuse di: vandalismo, disturbo dell’ordine pubblico, rifiuto di collaborare con le procedure di polizia (impronte digitali) e possesso di “armi”. Nonostante la decisione del tribunale penale di rilasciare tuttx lx detenutx, la polizia ha deciso diversamente; il dipartimento di sicurezza dello Stato ha registrato lx nove compagnx internazionali non greci come “indesideratx” e ha deciso di procedere con una detenzione amministrativa. Gli avvocati sono stati informati della decisione che la detenzione dellx nove compagnx internazionali sarebbe proseguita in via amministrativa e che sarebbe stato emesso anche un ordine di espulsione; uno sviluppo senza precedenti per i cittadini europei. Lx compagnx sono statx prima inviatx alla Divisione Stranieri della Polizia di Attica e successivamente otto delle nove sono state trasferite al Centro di detenzione preventiva di Amygdaleza, mentre l’unico compagno maschio è rimasto solo alla Divisione Stranieri.
La detenzione amministrativa e le deportazioni sono strategie quotidiane che lo Stato greco pratica come una delle componenti profondamente razziste della micidiale Fortezza Europa. Il palese razzismo dello Stato è evidente negli arresti, nelle detenzioni, nelle torture e nelle deportazioni su larga scala che avvengono quotidianamente e che passano per lo più inosservate alla società.
La sfacciataggine con cui lo Stato greco agisce si spiega anche con anni di applicazione di una politica di frontiera micidiale nei confronti di rifugiati, migranti e persone senza documenti. In Grecia esistono quattro motivi per l’espulsione amministrativa, il che dà alla polizia piena libertà di giudicare se una persona è una minaccia per l’ordine pubblico e, senza un processo penale, la persona può essere detenuta ed espulsa con procedure amministrative. La detenzione e la minaccia di deportazione dei nove detenuti, con cittadinanza italiana, spagnola, francese, tedesca e britannica, è una nuova applicazione di questi ordini repressivi che intimidiscono e prendono di mira il movimento di solidarietà con la Palestina.
La tecnologia utilizzata dallo Stato greco nei suoi respingimenti violenti e mortali dei richiedenti asilo si basa sulla ricerca e sulle tecnologie di contenimento, sorveglianza e controllo che lo Stato israeliano sperimenta sui palestinesi di Gaza e della Cisgiordania. Il dissenso contro lo Stato israeliano, la sua occupazione militare della Palestina e le guerre che conduce a Gaza, in Libano e in Siria, è una minaccia per l’UE e per il complesso di sicurezza militare dei confini della Grecia.
I media di destra greci hanno diffuso informazioni sulla detenzione e la deportazione dei nove individui prima che qualcuno di loro o i loro avvocati ne fossero informati, una mossa che sottolinea l’uso dei media da parte dello Stato come strumento di guerra psicologica e la loro fedeltà ai media rispetto ai processi legali formali. Venendo a conoscenza del loro destino attraverso i media piuttosto che attraverso i canali legali, lx detenutx sono statx privatx della loro capacità di agire e sono statx gettatx nell’incertezza. Queste sanzioni e reazioni legali sono risposte severe e senza precedenti alle accuse di reati minori.
I migranti e i senza documenti che esercitano il loro diritto alla libertà di parola essendo politicamente attivi sono ora esposti a un rischio maggiore di deportazione e di azioni legali violente. Questo è esemplificato dal caso del nostro compagno egiziano che, avendo partecipato a manifestazioni pro-Palestina, è stato minacciato di espulsione dall’ambasciata egiziana. I governi e i media collaborano per criminalizzare e delegittimare gli sforzi a sostegno della lotta palestinese, dipingendo gli individui come minacce alla sicurezza nazionale. Queste azioni rivelano la disperazione dello Stato nel mantenere il controllo e reprimere la resistenza. Sottolineano la necessità di media alternativi e reti di solidarietà per contrastare queste tattiche di intimidazione. Solidarizzando con le persone prese di mira, possiamo smascherare i meccanismi oppressivi dello Stato e continuare la lotta per la vera liberazione, dai palestinesi ai detenuti. È necessario rendere concreta la nostra solidarietà, agire, intensificare, far capire a voce alta che né le intimidazioni né le incarcerazioni e le deportazioni indeboliscono la lotta. La resistenza non morirà mai, la Palestina non morirà mai! Queste intimidazioni e tattiche repressive non possono e non potranno mettere a tacere la nostra rabbia, né fermare la nostra solidarietà con la Palestina.
CHIEDIAMO QUANTO SEGUE:
– NESSUNA DEPORTAZIONE PER LX NOVE INTERNAZIONALI CHIEDIAMO IL LORO RILASCIO IMMEDIATO SENZA RESTRIZIONI FINO ALLA DATA DEL PROCESSO.
– CHIEDIAMO LA COMPLETA ABOLIZIONE DELLA DETENZIONE AMMINISTRATIVA PER LE PERSONE SENZA DOCUMENTI, I MIGRANTI, I RICHIEDENTI ASILO IN GRECIA INSIEME ALLA LEGGE RAZZISTA DELLA DEPORTAZIONE AMMINISTRATIVA.
– L’INTERO MECCANISMO È UNA PRATICA RAZZISTA CHE INCARCERA LE PERSONE NON BIANCHE SENZA ACCESSO AI DIRITTI UMANI FONDAMENTALI.
– SIAMO CONTRO I MEDIA, CHE COLLABORANO CON LA POLIZIA E CHE CERCANO DI DIFFONDERE IL TERRORE CONTRO LE PERSONE CHE LOTTANO E ALZANO LA VOCE PER UNA PALESTINA LIBERA.
LA LOTTA CONTINUA
FERMATE IL GENOCIDIO!
FINE DELL’OCCUPAZIONE DELLA PALESTINA!
TUTTI GLI OCCHI SU RAFAH!
Domenica sera verso le 23 da dentro il carcere di San Vittore si sono uditi forti rumori, e grida che si sono protratte per tempo. Una cella sembra essere andata a fuoco. Quattro mezzi dei vigili del fuoco sono entrati dentro le mura del carcere insieme ad ambulanze e auto medica.
Un gruppo di solidali si è ritrovato sotto le mura per esprimere solidarietà alla rabbia dei detenuti!
SEMPRE CONTRO OGNI GALERA! NE VOGLIAMO SOLO MACERIE!
Diffondiamo:
Sembra che nella notte tra venerdì e sabato le vetrine della sede elettorale del candidato sindaco del centrodestra di Cremona, Alessandro Portesani, siano andate in frantumi. Una cloaca che vede riuniti FdI, Forza Italia, Lega, Udc e naturalmente la sua lista civica, Novità a Cremona. Secondo i media locali alcuni servi recatisi alla sede sabato mattina con l’intenzione di allestire i propri banchetti di propaganda mortifera, avrebbero trovato il presente. Il Partito Democratico – sempre puntualmente immancabilmente complice – avrebbe fatto sapere: “Tante cose ci dividono ma ci unisce il metodo con il quale facciamo politica, che è quello secondo i principi della nostra costituzione repubblicana antifascista. Oramai non si possono considerare casi isolati gli attacchi ai presidi democratici delle nostre comunità e questo ci deve rafforzare nella convinzione che solo la tolleranza e la solidarietà sono le parole d’ordine per far politica”.
Dovete avere paura.
Complici e solidali con chi agisce 🔥🖤